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Draghi, Hamilton e i creditori contro la democrazia

di Lorenzo Del Savio e Matteo Mameli

hamilton draghi 510In un recente editoriale su Repubblica, Eugenio Scalfari paragona Mario Draghi, attuale Presidente della Banca Centrale Europea, ad Alexander Hamilton, il primo Segretario al Tesoro degli Stati Uniti d’America (dal 1789 al 1895). Draghi sarebbe l’Hamilton dell’Unione Europea. È un paragone che Scalfari riprende da un articolo apparso sul Foglio a firma di Aresu e Garnero, in cui si spiega come “Hamilton, per migliorare le aspettative dei creditori, usò con determinazione l’unico strumento concreto di cui disponeva: la creazione di un’unione fiscale con un allineamento di istituzioni e di interessi in grado di aumentare la reale probabilità di pagamento da parte del governo federale”. Ovvero: l’integrazione fiscale degli stati come modo per rassicurare i creditori e per difenderne gli interessi.

Anche Draghi ha in più occasioni invocato il completamento dell’unione fiscale tra gli stati membri dell’Eurozona, sostenendo che senza unione fiscale non può esserci alcuna unione monetaria funzionante, né convergenza economica.

Un’esortazione con portata costituzionale di questo tipo è piuttosto inconsueta per un banchiere centrale, ossia per un tecnico al riparo dai processi elettorali. Ed è per questa ragione – più che per il malinteso principio di indipendenza politica del banchiere centrale – che Scalfari lamenta la mancanza di un’analoga tensione federativa fra i politici europei, invocando un “Washington Europeo”, ossia un capopopolo federalista che aiuti Draghi a portare avanti l’integrazione con passi forzati.

Malgrado alcune differenze, il paragone tra Draghi ed Hamilton, e quindi tra il processo costituente statunitense e ciò che sta avvenendo nell’Eurozona, è molto importante. È un paragone che si spinge molto più in là di quanto Scalfari immagini e di quanto probabilmente sarebbe disposto ad ammettere. Come argomentato dallo storico americano Woody Holton, Hamilton era il più feroce conservatore fra i delegati della Convenzione Federale, convinto che occorresse imbrigliare la democrazia degli stati americani con istituzioni federali per disciplinarne gli eccessi. Quali erano questi eccessi?

Hamilton fu Segretario al Tesoro durante un grave periodo di recessione economica, recessione che rendeva assai arduo il servizio del debito federale accumulato durante la guerra d’indipendenza. La crisi aveva colpito in particolar modo gli agricoltori – ossia la stragrande maggioranza della popolazione – i quali si ritrovarono anch’essi fortemente indebitati. Ai debiti degli agricoltori e delle amministrazioni pubbliche corrispondevano enormi crediti dei super-ricchi, i quali avevano investito i propri capitali nei buoni del tesoro per il finanziamento della guerra e nei mutui a favore degli agricoltori. Un’eventuale bancarotta (oggi si dice default) della federazione, degli stati o dei privati, avrebbe inflitto enormi perdite a questi creditori super-ricchi. È per questa ragione che questi creditori cercarono di mantenersi saldamente al potere, imponendo politiche che massimizzassero le probabilità di recupero dei crediti, ossia: livelli di tassazione molto elevati per rifinanziare il debito, uso della forza pubblica per il pignoramento dei debitori, e divieto assoluto di emissione di cartamoneta come mezzo di pagamento dei debiti degli stati, che avrebbe fatto perdere drasticamente valore ai crediti.

Anche per mano di Hamilton, al fine di evitare perdite, i creditori riuscirono a imporre un regime economico d’austerità all’intera popolazione. Se l’analogia fra Draghi e Hamilton che piace a Scalfari è da prendere seriamente (e noi crediamo che lo sia), allora bisogna dire che Draghi è il garante dei creditori europei. Se si considerano anche alcuni altri dettagli, l’analogia diventa ancora più interessante.

Il politologo americano Jeffrey Winters ha introdotto l’utile concetto di wealth defense, quella difesa della ricchezza a cui tutte le oligarchie economiche inevitabilmente tendono. I sistemi fiscali vengono spesso ingenuamente visti come strumenti di redistribuzione della ricchezza, e talvolta possono funzionare in questa direzione. Ma molto spesso i sistemi fiscali fungono invece da strumento di wealth defense dei super-ricchi. Questo non deve sorprendere visto che, nel corso della storia, i sistemi fiscali sono spesso stati congegnati in modo da avvantaggiare i più ricchi. I sistemi fiscali progressivi – e quindi che redistribuiscono ricchezza dai più poveri ai più ricchi – sono l’eccezione e non la regola.

Molto spesso, le tasse sono usate per estrarre risorse dalla gente comune e incanalarle principalmente verso pochi e potenti creditori. È per questo che il controllo democratico-popolare dei poteri pubblici (e dunque anche del sistema di tassazione) è cruciale per la difesa degli interessi della gente comune. Questo controllo funge da contropotere alla “cattura” degli strumenti coercitivi dello stato (inclusa anche la tassazione). Si tratta di una da parte dei super-ricchi impegnati a difendere ed espandere la propria ricchezza. Questa cattura è la normalità delle società politiche umane. Non stupisce che Hamilton volesse imbrigliare la democrazia per “migliorare le aspettative dei creditori”. In un periodo di turbolenze in cui i super-ricchi rischiavano grosse perdite, Hamilton stava auspicando il ritorno alla normalità.

Gli eccessi che a Hamilton non piacevano erano nient’altro che il rovesciamento del normale flusso del potere, ovvero della normale situazione di dominio dei super-ricchi sugli agricoltori oppressi. In alcuni stati della federazione, tale rovesciamento era avvenuto. Gli agricoltori indebitati erano la maggioranza della popolazione in molti stati, e sistemi elettorali a largo suffragio permettevano loro di accedere al governo. I governi controllati dalle maggioranze impoverite fecero politiche a difesa dei debitori oppressi: stamparono moneta a corso forzoso per ripagare i debiti statali, cancellarono i debiti pubblici e privati, e abbassarono drasticamente i livelli di pressione fiscale. In altre parole, i debitori sospesero unilateralmente le politiche di austerità che andavano a vantaggio dei pochi creditori. Era a eventi di questo tipo che Hamilton pensava quando definì la democrazia “la nostra vera malattia”.

Fu a causa dell’avvento di questi governi democratico-popolari (oggi si dice “populisti”) decisi a difendere i debitori che la tensione costituente diventò frenetica. Proprio come gli entustiasti dell’austerità oggi, i costituenti americani ritenevano che i governi controllati dai debitori (si pensi al caso greco attuale) fossero i principali responsabili dell’esacerbarsi della crisi economica. I federalisti americani, che non erano di estrazione popolare e difendevano la prospettiva dei creditori, sostenevano che la legislazione a favore dei debitori privava i creditori dei loro capitali e scoraggiava ulteriori investimenti, e argomentavano che i sistemi fiscali lassisti minacciavano la sostenibilità del debito federale e dunque il rating dei buoni del tesoro.

Sulla base di un miscuglio di argomenti economici di questo rango, stigmatizzazione dei debitori, e disprezzo delle maggioranze popolari, i federalisti come Hamilton si posero ben presto il problema di imbrigliare la democrazia. Come scrisse James Madison, il più importante fra i federalisti, il Padre della Costituzione, occorreva “esautorare il popolo dal potere”. Occorreva farlo per evitare legislature pro-debitori. Tali legislature venivano considerate economicamente catastrofiche, dimenticando il ruolo cruciale che il debito ha nell’attività economica e la responsabilità dei creditori nei casi in cui il debito lieviti incontrollatamente.

Poiché i creditori super-ricchi, e quindi in grado di influenzare le decisioni politiche in maniera diretta, sono sempre e necessariamente un’esigua minoranza, gli interessi di tali creditori (spesso strumentalmente identificati con gli interessi generali) e gli interessi della gente comune non vanno d’accordo. È per questo che i federalisti americani si accanirono contro quelle che loro vedevano come derive democratico-popolari (populiste!). Trasferire sovranità dagli stati alla federazione fu la loro soluzione. Oggi, il trasferimento di sovranità dagli stati nazionali alle istituzioni dell’Unione Europea funge da strumento di disciplina dei debitori e serve a mettere le politiche a favore dei creditori “al riparo del processo elettorale”, per usare le parole del senatore Mario Monti. Scalfari farebbe bene a esplorare anche questi aspetti del paragone Draghi-Hamilton.

Lasciamo agli storici dell’economia il compito di approfondire le analogie tra gli articoli pro-creditori discussi e approvati dai costituenti americani e gli articoli pro-creditori dei vari trattati europei, in primis quelli approvati dopo la crisi iniziata nel 2008, come per esempio il Fiscal Compact. D’altronde, la crisi economica è percepita dai super-ricchi come una minaccia suprema ai loro patrimoni. Quando la democrazia popolare non si attiva a difesa degli interessi della gente comune, i super-ricchi hanno la meglio. Tramite le politiche d’austerità, oggi come allora, i creditori usano il potere coercitivo delle istituzioni statali e sovra-statali, oltre che la tassazione, come società di recupero crediti. (Non stupisce che, nelle recenti riunioni dell’Eurogruppo, i negoziatori dei paesi creditori si siano mostrati entusiasti all’idea di aiutare il governo greco a perfezionare il suo sistema di riscossione delle tasse.)

Vorremmo soprattutto ricordare come proprio Draghi – questo Hamilton dell’Unione Europea – abbia ferocemente imbrigliato il governo greco il 4 Febbraio, con l’annuncio che la BCE non avrebbe rifinanziato le banche greche utilizzando i buoni del tesoro greci come collaterale. La conseguente fuga massiccia di capitali e la successiva capitolazione di Syriza alle richieste dell’Eurogruppo sono solo un sintomo dei tanti vincoli e delle tante barriere che le istituzioni europee pongono all’esistenza stessa di governi dei debitori, ossia della gente comune, dei più. Questi sono vincoli e barriere che i potenti creditori pongono alla democrazia.

L’Unione Europea, come ha ricordato Mark Blyth ad una recente assemblea dei socialdemocratici tedeschi, è stata fino a questo punto un “paradiso dei creditori”. C’è chi sostiene che i problemi dell’Unione si possano risolvere rafforzando l’unione politica, ossia con un potente governo federale autorizzato a decidere le politiche fiscali dei vari stati. Ma tale governo federale, come d’altronde la Troika (e con le mani più libere di quelle che la Troika ha avuto), quasi inevitabilmente proseguirebbe le politiche di austerità, o farebbe comunque politiche a vantaggio degli interessi dei potenti creditori. (E certo non basterebbe il rafforzamento del Parlamento Europeo per controbilanciare questo rischio. Istituzioni elettorali di quel tipo, come ben sapevano Hamilton e Madison, sono degli strumenti che difficilmente possono contrastare il potere delle oligarchie e, anzi, spesso ne legittimano il dominio.)

Speriamo che l’analogia fra Hamilton e Draghi serva a convincere chi ancora non è convinto che il rafforzarsi dell’unione politica non è una buona idea, e che molti dei trattati e dei vincoli pro-creditori e anti-democrazia degli ultimi anni andrebbero stracciati.

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