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Derivati di Stato, una rapina con molti basisti

di Federico Dezzani

derivatives businessmanDanno erariale da 3,8 €mld, violazione delle norme di contabilità generale dello Stato e subalternità alle banche d’affari: sono queste le accuse sollevate contro il Ministero del Tesoro dalla Procura regionale della Corte dei Conti del Lazio, nell’indagine sulla ristrutturazione dei derivati finanziari concordata nel 2012 tra Via XX Settembre e Morgan Stanley. Il caso è un edificante esempio della gestione dei derivati: il premier Mario Monti, ex-consulente di Goldman Sachs, ed il ministro dell’Economia Vittorio Grilli, futuro presidente di JP Morgan per i mercati europei, esborsano, senza consultare l’avvocatura generale di Stato, una cifra miliardaria a Morgan Stanley, la cui filiale italiana è presieduta dall’ex-ministro dell’Economia, Domenico Siniscalco. Sui derivati vige il massimo riserbo, perché parlarne significa indagare sui contratti capestro con cui l’Italia fu introdotta all’euro e sulle responsabilità di intoccabili come Carlo Azeglio Ciampi e Mario Draghi.

* * *

Stipula il derivato e troverai il pozzo di San Patrizio…

C’è uno scabroso segreto sussurrato nei Palazzi romani: di tanto in tanto, come un fiume carsico, esce dalle ovattate stanze del Ministero del Tesoro e della Presidenza del Consiglio, affiora sulla stampa e poi si inabissa di nuovo nel silenzio più omertoso.

Parlarne significa entrare nel merito delle scelte su cui il traballante establishment italiano ha costruito la politica degli ultimi vent’anni, l’ingresso nella moneta unica e l’abdicazione ad una funzione economia dello Stato, e sui metodi, poco ortodossi, con cui ha perseguito quell’obbiettivo: lo smantellamento dell’economia mista, l’eurotassa e la stipulazione dei derivati finanziari “per l’Europa”. Sono proprio gli strumenti finanziari derivati ad agitare il sonno della politica italiana in questi ultimi mesi. Appena trapela un’indiscrezione, appena si allenta un poco il ferreo riserbo sull’argomento, sulla schiena di molti corrono i brividi.

L’ultima in ordine cronologico ad aver dissipato la cortina fumogena che avvolge il dossier è stata la Procura regionale della Corte dei conti del Lazio, che di recente ha formulato contro il Ministero dell’Economia e della Finanze nientemeno che l’accusa di danno erariale: si tratta dei 3,8 €mld di euro pagati nel 2012 da Via XX Settembre alla banca d’affari Morgan Stanley, per chiudere e/o ristrutturare i contratti derivati stipulati nel lontano 1994, diventati riscuotibili dalla banca americana dopo il declassamento del debito pubblico e l’impennata dei rendimenti dei Btp. “Super regalo a Morgan Stanley1 scriveva nel febbraio 2012 l’Espresso, in un articolo pieno di condizionali e supposizioni, dato il più stretto riserbo sulla vicenda:

“L’episodio riapre la questione della trasparenza delle operazioni in derivati che sono gestite dal Tesoro nella più totale opacità: nessuno sa a quanto ammontano e una volta all’anno viene comunicato (agli uffici di statistica) il guadagno o la perdita complessivamente registrata su quel tipo di operazioni. Infine c’è un problema di immagine per quello che è spesso chiamato il “governo dei banchieri”: dare 2,567 miliardi a Morgan Stanley mentre si stangano i pensionati e si stanziano 50 milioni per la social card non suona bene.”

L’esecutivo Monti definito come “il governo dei banchieri”, totalmente succube alla volta delle grandi banche d’affari internazionali: la sensazione di allora sul governo tecnico non era poi così distante dalla realtà, considerato che anche la Procura regionale della Corte dei Conti ha evidenziato come “le procedure adottate dal ministero violavano le norme di contabilità generale dello Stato e in diversi casi sembravano orientate unicamente e senza un valido motivo a favorire la banca2.

La vicenda degli strumenti derivati finanziari stipulati con Morgan Stanley, una goccia nel mare dei 163 €mld di contratti derivati in pancia al Tesoro, è in effetti paradigmatica: il presidente del Consiglio Mario Monti, ex “international advisor” di Goldman Sachs, ed il vice-ministro dell’Economia Vittorio Grilli, futuro “chairman of J.P. Morgan Corporate & Investment Bank EMEA3, scuciono, senza neppure valutare il ricorso all’avvocatura generale di Stato4, qualche miliardo alla banca americana diretta dall’ex-ministro dell’Economia, Domenico Siniscalco. Monti, Grilli e Siniscalco, tre banchieri della finanza anglofona, che senza batter ciglio trasferiscono le tasse degli italiani agli azionisti di Morgan Stanley, in virtù di opachi strumenti finanziari stipulati nel 1994.

Già, corre l’annus domini 1994 quando questi contratti sono siglati.

Il trattato di Maastricht, che getta le basi della moneta unica, è stato firmato due anni prima ed a Roma è insediato il governo tecnico dell’ex-governatore di Bankitalia Carlo Azeglio Ciampi, convinto europeista e figura “intoccabile” della politica italiana, come emergerà anni dopo dalle indagini sulle trattative Stato-mafia5 . Mario Draghi occupa la strategica poltrona di direttore generale del Tesoro Vincenzo la Via dirige il dipartimento che si occupa di piazzare e gestire il debito pubblico.

L’Italia non si avvicina neanche ai parametri di Maastricht (debito/PIL al 60% e deficit al 3% del PIL). Tutti però vogliono Roma agganciata all’euro: lo vuole Washington per cui la UE è il risvolto politico ed economico della NATO, lo vuole la City inglese per saccheggiare l’economia mista italiana a colpi di privatizzazioni e minacce di bancarotta, lo vogliono Parigi e Berlino per neutralizzare l’agguerrita concorrenza economica della Penisola. Succede quindi che sia lasciata volutamente aperta una breccia nelle normative, attraverso cui l’Italia possa entrare nell’euro, coll’aiuto, molto interessato, delle finanza internazionale: si tratta appunto degli strumenti derivati finanziari.

Ecco quanto dice il vice-direttore generale di Bankitalia, Luigi Federico Signorini, nella “Indagine conoscitiva sugli strumenti finanziari derivati” presentata alla Camera nel giugno 20156:

In base alle regole statistiche europee, le attività o passività generate da operazioni in derivati (cioè il loro valore di mercato alla data di riferimento) sono registrate nei conti finanziari. Esse non sono invece incluse nella definizione di Maastricht del debito delle Amministrazioni pubbliche, a meno che il derivato non comprenda una componente assimilabile a un finanziamento: in questo caso tale componente è registrata nella voce “prestiti” sia nei conti finanziari, sia nel debito.”

Le regole statistiche europee sono concepite perché un varco non sia presidiato: i finanziamenti sotto forma di derivati non compaiono nel debito pubblico, ma nei ben più discreti e misconosciuti conti finanziari. Per gli “europeisti” e la banche d’affari è una vera manna dal cielo. I maggiori istituti angloamericano “alleggeriscono” le finanze pubbliche italiane, nascondendo il deficit di bilancio sotto il tappeto dei conti finanziari, attraverso contratti che si riveleranno presto un salasso per l’erario. Utile a capire le circostanze in cui sono siglati i suddetti strumenti finanziari, è la testimonianza di Roberto Ulissi, allora consulente legale e del Tesoro7,, che evidenzia bene il clima di prevaricazione ed i reali rapporti di forza tra Stato e banche:

“Le risorse erano limitate e quando ci si presentava a negoziare in due o tre, dall’altra parte del tavolo si trovavano dieci banchieri assistiti da altrettanti studi legali. E noi eravamo sempre gli stessi a trattare dalla mattina alla notte inoltrata, mentre loro si alternavano mettendo in campo sempre forze fresche”.

L’uso dei derivati per abbellire i bilanci non è malauguratamente circoscritto alle amministrazioni centrali ma si diffonde in quegli anni, con esiti persino più catastrofici, agli enti locali, con un’ulteriore esplosione di costi a carico della comunità: famosi sono i casi dei comuni di Milano, Torino, Roma e Napoli, abbindolati dalle banche d’investimento con la promessa di risparmio sugli interessi sul debito e puntualmente taglieggiati. Idem per le regioni. Trascorrerà meno di un decennio perché lo Stato, già gravato dai suoi derivati, prima indurisca la normativa (2001) e poi vieti definitivamente gli strumenti finanziari derivati agli enti locali (2008).

Si avvicina l’introduzione della moneta unica ed il maquillage dei conti pubblici italiani attraverso i derivati è un segreto di Pulcinella: anzi, è addirittura imitato dagli altri Paesi in procinto di entrare nell’euro pur non avendone i requisiti. Il direttore dell’agenzia greca del debito pubblico, Christoforos Sardelis, si inspira nel 2001 nientemeno che all’esperienza italiana per “abbellire” le finanze elleniche, ricorrendo ai servigi di Goldman Sachs8: niente di strano, considerato che ad occupare la posizione di “Vice Chairman e Managing Director” della banca d’affari americana è allora Mario Draghi, esperto di derivati e sotterfugi contabili sin dalla sua permanenza al Tesoro italiano. Il derivato stipulato tra Atene e Goldman Sachs, un mix letale di cambi in dollari e yen, contorti tassi d’interessi e valore nozionale superiore al debito “nascosto”, si tramuta presto in una Caporetto finanziaria per i greci ed in un esorbitante guadagno per la banca di Lloyd Blankfein.

Non solo, secondo la ricostruzione dell’ex-ministro dell’Economia Giulio Tremonti, il “peccato” dei derivati per camuffare l’entità del debito pubblico è addirittura sfruttato dagli altri Paesi europei per imporre un cambio euro/lira penalizzante9: 2.000 lire per ogni moneta del nuovo conio, contro il cambio 1.000 lire per ogni euro poi stabilito dal mercato.

Il primo gennaio 2002, ad ogni modo, l’euro entra in circolazione, mentre il Tesoro italiano cova in grembo i “ segretissimi “derivati per l’Europa” (Tremonti dixit).

 

…anzi, troverai un pozzo senza fondo

Sono misteriosi questi strumenti finanziari derivati che sonnecchiano in pancia al Tesoro: poche persone al Ministero dell’Economia ne hanno seguito la stipulazione e ancora meno ne afferrano la natura, tanto che, come vedremo, quando nel 2012 scoppia l’emergenza, a Via XX Settembre sono costretti a richiamare in servizio il personale che seguì i negoziati nel lontano 1994 (quasi vent’anni prima!).

Quasi nessuna notizia trapela per anni sulla stampa sui derivati “per l’Europa”, finché la situazione non precipita, obbligando Maria Cannata, direttore del dipartimento debito del Tesoro, a snocciolare nel febbraio 2015 qualche numero davanti alla Camera: si scopre in quella sede che gli strumenti finanziari detenuti dal Tesoro ammontano a 163 €mld10, con un valore di mercato negativo per 36,8 €mld. Niente paura, però, perché “il ricorso ai derivati da parte del Tesoro è sempre stato perseguito nell’interesse pubblico e tenendo il passo con le migliori pratiche internazionali. In parlamento qualcuno si domanda se non sia possibile avere qualche informazione in più, subito zittito dall’onorevole Marco Causi, eletto in quota PD (il partito più sensibile al dossier “Europa/svendita del patrimonio pubblico/eurotassa ed affini”), che evidenzia come “si rischierebbe di minare la credibilità italiana e di chi gestisce il debito, oltre al dare vantaggi competitivi con informazioni che normalmente – sul mercato – non vengono svelate”.

L’audizione parlamentare di Maria Cannata si inquadra nell’indagine conoscitiva condotta dalla Commissione Finanze della Camera, allora presieduta da Daniele Capezzone11: la “radiografia” compiuta nell’indagine sui derivati è talmente indigesta, che quando Daniele Capezzone è sostituito alla presidenza della Commissione Finanze, il lavoro scivola nel dimenticatoio, senza che nessuno in Parlamento sogni di procedere con una risoluzione12. Ma cosa sappiamo di questi segretissimi derivati per ‘Europa?

Qualche sparuta informazione è ottenibile dalla già citata “Indagine conoscitiva sugli strumenti finanziari derivati”. Al suo interno si legge:

Alcuni derivati (futures e talune opzioni) sono negoziati in mercati regolamentati: la borsa ne specifica gli standard contrattuali. (…). Alcuni di essi, in particolare forward, swap e opzioni, vengono negoziati in via pressoché esclusiva su base bilaterale in mercati non regolamentati, o, come si dice, “over the counter” (OTC). Le relative clausole contrattuali sono note alle sole controparti e consentono, volendo, di realizzare anche strumenti particolarmente complessi. Ne derivano una minore protezione dal rischio di controparte e una minore trasparenza, che possono rendere difficile determinare la natura e il livello dei rischi assunti dai soggetti coinvolti.(…).

Più dell’80% dei derivati stipulati dal Tesoro con le banche d’affari riguardano proprio “interest rate swap” (l’impegno a pagare un tasso d’interesse che differisce da quello vigente sul mercato) e sono quindi a pieno titolo ascrivibili alla categoria “over the counter: accordi bilaterali e “particolarmente complessi” tra XX Settembre e gli speculatori internazionali, caratterizzati da “una minore protezione dal rischio di controparte e una minore trasparenza”.

Proviamo a ricostruire quindi la parabola dei derivati, dall’introduzione dell’euro, alla ristrutturazione dei contratti con Morgan Stanley, sino all’incancrenirsi della situazione ed al lievitare delle perdite potenziali alla mostruosa cifra di 42 €mld.

L’unico vantaggio dell’introduzione dell’euro era la certezza di un’iniziale convergenza dei rendimenti dai Btp verso gli omologhi tedeschi: i famosi “derivati per l’Europa” dovevano essere costruiti su questo presupposto. Arriva l’eurocrisi: i rendimenti dei Btp superano i 300 punti base nella seconda metà del 2011, con punte attorno ai 500 punti base, e lì rimangono fino al 2013: scattano le clausole che consentono ad una parte di liquidare la posizione e le banche d’affari passano alla causa, intascando lauti guadagni. Mario Monti e Vittorio Grilli nei primi mesi del 2012 richiamo d’urgenza al Tesoro Vincenzo La Via, l’unico a conoscere i derivati perché li negoziò nel 199413 e versano i famosi 2,5 €mld a Morgan Stanley. In concomitanza, all’apice dell’emergenza finanziaria, “l’esecutivo dei banchieri” decide, sempre nel massimo riserbo, di ristrutturare i contratti derivati, immaginando non più un rendimento dei Btp vicino ai Bund, bensì strutturalmente più alto. Si noti che l’operazione avviene in un momento anomalo, quando l’Italia paga rendimenti tra il 4% ed il 6% sui Btp a dieci anni, mentre le altre economie avanzate offrono rendimenti inferiori al 2%: la scommessa del governo tecnico è che quindi l’emergenza duri a tempo indefinito.

Subentra il 2014 (Vittorio Grilli è nel frattempo premiato per il suo lavoro con la presidenza di JP Morgan) ed il differenziale Btp-bund si sgonfia, scendendo sotto i 200 punti base per tornare stabilmente attorno ai 120 punti base, dove era nella primavera 2011, prima dello scoppio della tempesta: i derivati si trasformano nuovamente in sanguisughe, questa volta non perché il rendimento dei btp è alto, bensì perché è basso: il Tesoro si è impegnato a pagare alle banche un interesse sul debito maggiore di quello vigente sul mercato. La perdita sugli strumenti finanziari posseduti da Via XX Settembre passa così dai 2,4 €mld del 2011 ai 5,6 €mld del 2012, poi scende lievemente nel 2013 (3,5 €mld) e schizza nel 2014 e 2015 (5,5 e 6,8 €mld). Le banche d’affari sentono odore di sangue e si premurano che la preda non sfugga: con l’articolo 33 della legge di stabilità 2014 il Tesoro crea un fondo alimentato da “da titoli di Stato di paesi dell’area euro denominati in euro oppure da disponibilità liquide” come garanzia degli strumenti derivati14. Niente cartastraccia insomma: JP Morgan e Goldman Sachs vogliono denaro contante e che sia depositato su un conto ad hoc.

L’esito per le casse italiane è catastrofico e, paradossalmente, aggravato dall’allentamento quantitativo varato dalla BCE: non solo l’effetto lenitivo della caduta dei rendimenti dei Btp è annullato, ma addirittura si generano perdite più che doppie rispetto ai benefici. L’Italia risparmia nel 2015 attorno ai 3 €mld15 in minori interessi, meno della metà delle perdite prodotte dai derivati, il cui valore negativo (la perdita secca in caso di liquidazione totale dei contratti) schizza a 42 €mld su un ammontare di 163 €mld16. Il ricavato delle tanto decantante privatizzazioni, che nel 2015 raggiungono i 6,5 €mld17 grazie al collocamento in borsa di Poste Italiane ed alla vendita di un ulteriore 5% di Enel, lungi dall’abbattere il debito pubblico (in continua crescita), serve a malapena a coprire i 6,8 €mld di perdite sui derivati: si vende l’argenteria per pagare non il mutuo della casa, ma i debiti di gioco!

A questo punto è doveroso porsi la domanda: il clamoroso fallimento del Ministero delle Finanze nella gestione dei debiti, è frutto di un errore di valutazione sull’andamento dei mercati, oppure si tratta di una riproduzione in serie della derivato liquidato da Mario Monti e Vittorio Grilli a Morgan Stanley, con conseguente danno erariale ed illecito favoreggiamento delle banche?

Via XX Settembre, ovviamente, sposa la prima tesi, quella dei derivati ristrutturati al culmine dell’eurocrisi in vista di un ulteriore aumento dei rendimenti18:

“Come è stato rilevato nell’audizione del MEF dello scorso 10 febbraio, all’origine delle elevate passività in derivati del Tesoro (e dei pagamenti netti) c’è soprattutto la forte riduzione dei tassi d’interesse registrata negli ultimi anni. La strategia perseguita con i derivati mirava principalmente a proteggere i conti pubblici dal rischio di un rialzo dei tassi. A tal fine, il MEF ha stipulato contratti derivati in cui si è impegnato, su archi temporali molto lunghi, a pagare un tasso fisso predefinito in contropartita di un tasso variabile. Poiché nel frattempo i tassi di mercato sono scesi, il valore di mercato dei derivati è diventato negativo ed è cresciuto in valore assoluto (ovviamente lo stesso andamento dei tassi ha determinato contemporaneamente un minore esborso per interessi da parte dello Stato)”

Resta però il fatto che nessun altro Paese dell’eurozona ha registrato il 2011 ed il 2015 risultati così negativi nella gestione dei derivati: Francia e Germania, entrambe con uno stock di debito superiore ai 2.000 €mld, hanno nello stesso arco di tempo ottenuto rispettivamente un beneficio di un paio di miliardi ed un aggravio di un miliardo19. Nessun altro Paese ha subito un salasso di quasi 24 €mld in cinque anni. Come pure sospetto è il continuo passaggio tra cariche pubbliche e banche d’affari che contraddistingue la carriera di molte delle figure coinvolte nella vicenda dei derivati (Mario Monti, Mario Draghi, Vittorio Grilli, Domenico Siniscalco, Romano Prodi, Giuliano Amato, etc. etc.). Come pure ambigua è l’omertà che circonda i derivati finanziari, come se, indagando a fondo sulla vicenda, i “soloni” della Repubblica, quelli che hanno traghettato l’Italia in Europa a colpi di tasse e privatizzazioni, rischiassero di finire sul patibolo con l’accusa di connivenza col nemico.

Certo, nel mare magnum dell’eurocrisi, la perdita generati dai derivati è poca cosa, ma è l’ennesima prova dell’inadeguatezza della fallimentare classe dirigente italiana, più incline a favorire i centri d’interessi stranieri, siano essi statali, industriali o finanziari, che a difendere il benessere nazionale.

derivati 1

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Note
1 http://espresso.repubblica.it/affari/2012/02/03/news/super-regalo-a-morgan-stanley-1.40043
2 http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/04/29/debito-pubblico-corte-dei-conti-dai-derivati-del-tesoro-un-danno-da-38-miliardi-il-mef-favori-morgan-stanley/2680411/
3 https://www.jpmorgan.com/country/US/EN/jpmorgan/investbk/conferences/italian
4 http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/03/01/rating-dopo-taglio-2011-tesoro-pago-25-miliardi-poteva-opporsi/1465239/
5 http://www.inforegioni.rai.it/it/news.php?newsid=148371
6 Indagine conoscitiva sugli strumenti finanziari derivati
7 http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/04/24/derivati-sul-debito-tra-2011-e-2014-italia-prima-nelleurozona-per-perdite/1620421/
8 http://www.bloomberg.com/news/articles/2012-03-06/goldman-secret-greece-loan-shows-two-sinners-as-client-unravels
9 http://www.ilgiornale.it/news/interni/verit-tremonti-cos-larrivo-delleuro-ci-ha-portati-disastro-1004921.html
10 http://www.repubblica.it/economia/2015/02/10/news/cannata_derivati_camera-106975624/
11 http://www.repubblica.it/economia/finanza/2014/11/27/news/parte_la_commissione_di_indagine_sui_derivati_alla_camera-101550570/
12 http://formiche.net/2016/04/30/chi-vuole-coprire-il-caso-dei-derivati-di-stato/
13 http://www.corriere.it/economia/12_marzo_23/lavia-nominato-direttore-generale-tesoro_44e07ca8-74f9-11e1-9cbf-6c08e5424a86.shtml
14 http://presidenza.governo.it/GovernoInforma/documenti/legge_stabilita_2015/allegati/ARTICOLATO.pdf
15 http://www.lavoce.info/archives/33691/spread-a-84-punti-lerrore-da-evitare/
16 http://www.bloomberg.com/news/articles/2015-04-23/italy-is-euro-area-s-biggest-swap-loser-after-deals-backfired
17 http://economia.ilmessaggero.it/flash_news/poste_privatizzazioni_tesoro-1327391.html
18 https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/interventi-direttorio/int-dir-2015/Signorini-150615.pdf
19 http://www.bloomberg.com/news/articles/2015-04-23/italy-is-euro-area-s-biggest-swap-loser-after-deals-backfired

Comments

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Heleny
Thursday, 02 June 2016 19:16
Io sono sempre più convinta della necessità dell'abolizione del concetto moderno di banca e del ritorno alla primissima origine: deposito e prestito. Stop. Basta derivati, option, currency, swap e tutte ste bojate che hanno come unico fine l'arricchimento della finanza.
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Claudio
Monday, 09 May 2016 17:28
Considero il suo un ottimo scritto, che mette il dito sulla piaga dei derivati sottoscritti dallo stato italiano e che, come ricorda, la politica e l’alta burocrazia cercano di tenere il più possibile nascosti. Alla sua sottoscrizione hanno contribuito, e pertanto ne sono tutti ugualmente corresponsabili, vari uomini politici e tecnocrati della finanza da lei citati. Ma a mio modesto parere lo scritto ha il grosso limite di non essere stato adeguatamente inserito nell’ottica politica della cosiddetta finanza creativa, imposta a livello globale dal neoliberismo. Infatti, le grandi banche mondiali, e soprattutto quelle anglo-americane, negli ultimi trent’anni hanno sfornato derivati per un ammontare pari ad oltre tre volte il prodotto interno lordo mondiale, per cui, quelli sottoscritti dallo stato italiano, ne rappresentano una parte del tutto esigua, o se vogliamo insignificante, anche se risulta oltremodo costosa per noi.
Inserirla adeguatamente nel contesto della politica neoliberista della grande finanza globale, significa darle il più largo respiro che merita, ovvero avere la visione critica dell’intero sistema, che da oltre otto anni è precipitato in una fase di insuperabile crisi, della quale nel suo scritto non se ne colgono le dimensioni.
Per quanto concerne l’“imporre un cambio euro/lira penalizzante9: 2.000 lire per ogni moneta del nuovo conio, contro il cambio 1.000 lire per ogni euro poi stabilito dal mercato”, io credo che vada ascritto alla politica antipopolare del governo Berlusconi e del suo ministro Tremonti, alla cui linea politica si sono ben presto allineati buona parte dei paesi europei, Germania compresa, dal momento che i salari e soprattutto le pensioni tedesche non sono molto superiori a quelle italiane.
Per quanto riguarda infine I “vantaggi dell’introduzione dell’euro”, credo siano stati e continuino ad essere molti, anche se nel periodo della crisi dei debiti sovrani lo spread tra BTP e Bund è arrivato a superare i 500 punti base. Infatti, pur non essendo andata come ipotizzato, i paesi del Sud Europa hanno potuto godere di bassi tassi d’interesse e di bassi prezzi delle materie prime, soprattutto energetiche, da ancor prima dell’entrata sul mercato della moneta comune, ed in mancanza di essa, noi italiani avremmo dovuto ricorrere a svariate svalutazioni competitive, le quali, mentre danno vantaggi agli esportatori, vengono pagate a caro prezzo da tutte le classi popolari, attraverso acquisti a più caro prezzo, salari e pensioni a minor potere d’acquisto, ed a mutui con tassi d’interesse notevolmente superiori,.
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Eroz
Monday, 09 May 2016 10:48
lo sbando della sinistra attuale, quella vera, extraparlamentare, quella che si pensa e crede per davvero, ha molto a che fare con quanto in questo articolo

è la totale ignoranza di questa struttura economica (non è una sovrastruttura... è oramai una struttura!) che getta alla deriva il pensiero proletario

chi fa queste cose continuerà a farle finché non ci sarà una forza antagonista in grado di impedirle
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Eroz
Monday, 09 May 2016 10:33
grazie
bel lavoro.... l'articolo! ;-)
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