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intelligence for the people

In attesa della catastrofe: Gaza al centro del mondo

di Roberto Iannuzzi

Il “nuovo Medio Oriente” di Netanyahu. Israele e la rivalità con l’Iran. Gli USA tornano nella polveriera mediorientale

6ce0e071 0e0a 40fc bcb3 28e816826105 2400x1600La tragica crisi di Gaza, evidentemente, non riguarda solo Hamas e Israele. Al contrario, dopo l’Ucraina Gaza sta divenendo un altro epicentro di un conflitto mondiale strisciante per la ridefinizione degli equilibri globali, in corso ormai da diversi anni.

Bakhmut, una cittadina di secondaria importanza nel Donbass, per una serie di fortuite coincidenze e ragioni strategiche non evidenti a prima vista, divenne un teatro chiave del conflitto russo-ucraino.

Analogamente, Gaza, un’esigua e povera lingua di terra, schiacciata fra Israele, il Mediterraneo e l’Egitto, si è trasformata in un focolaio di tensioni internazionali che ha la potenzialità di far divampare un esteso conflitto in una regione strategica come il Medio Oriente.

Naturalmente, le ragioni profonde della crisi sono locali, legate all’annosa questione israelo-palestinese (le ho indagate in un precedente articolo).

Ma la destabilizzazione mediorientale, spaventosamente accelerata dalle rivolte arabe del 2011, e i crescenti antagonismi fra le potenze dell’area, primo fra tutti quello fra Israele e Iran, hanno trasformato la crisi in un potenziale detonatore regionale e – in virtù della precarietà dell’ordine internazionale a guida americana – potenzialmente globale.

 

Il “nuovo Medio Oriente” di Netanyahu

A fine settembre, il premier israeliano Benjamin Netanyahu aveva pronunciato il suo discorso di rito all’Assemblea generale dell’ONU.

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voltairenet

La censura militare israeliana vi nasconde la verità

di Thierry Meyssan

Era l’informazione più importante dell’operazione “Diluvio di Al Aqsa”, eppure ci è sfuggita. L’attacco a Israele non è stato sferrato dagli jihadisti di Hamas, ma da quattro formazioni armate. È la prima volta dopo cinquant’anni che i palestinesi di Gaza si uniscono.

Lo si voglia o no, i lunghi anni d’indifferenza occidentale alla sorte dei palestinesi finiscono. Si dovrà cominciare ad applicare il Diritto internazionale

219833 6.jpgContrariamente a quanto ho scritto la scorsa settimana basandomi su dispacci di agenzia occidentali e arabi, filtrati dalla censura militare israeliana, l’attacco a Israele del 7 ottobre 2023 (operazione “Diluvio di Al Aqsa”) non è stato sferrato unicamente da Hamas. È stato deciso da un nucleo operativo unitario delle forze della Resistenza palestinese. Hamas, la formazione di gran lunga più rilevante, ha fornito la parte essenziale delle truppe, ma vi hanno partecipato altri tre gruppi:

• la Jihad islamica (sunnita e khomeinista);

• il Fronte popolare di liberazione della Palestina (marxista);

• il Fronte popolare di liberazione della Palestina-Comando generale (FPLP-CG).

La stampa occidentale ha dato conto dei barbari crimini commessi da alcuni assalitori, ma non del rispetto di altri. La verifica ha dimostrato che le accuse di stupri e di decapitazione di neonati [1] sono propaganda di guerra. Un giornalismo miope e bugiardo che non deve più stupirci.

Questa precisazione modifica l’interpretazione dell’accaduto. Non è un’operazione jihadista dei Fratelli Mussulmani, ma un attacco unitario dei palestinesi di Gaza. Solo Al Fatah di Cisgiordania  che si tiene a distanza dai gruppi citati e il cui presidente Mahmoud Abbas è gravemente malato  non vi ha partecipato.

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contropiano2

Gaza sarà la tomba del progetto sionista israeliano?

di Giacomo Marchetti

Palestina carro armato conquistato 599x300.jpgLa reazione israeliana all’operazione Diluvio d’Al-Aqsa, lanciata da Hamas ed appoggiata da tutte le forze della Resistenza palestinese, sta scatenando un conflitto su scala regionale dalle implicazioni internazionali e dagli esiti quanto mai incerti per Israele, proprio come fu nel 1948, nel 1967 e nel 1973.

La dirigenza israeliana che guida il nuovo Governo di Unità Nazionale e che sta attuando l’escalation, porta per intero sulle proprie spalle la responsabilità di un conflitto da cui potrebbe però uscire con le ossa rotte a livello interno, regionale e internazionale.

L’imperialismo euro-atlantico che in questi decenni – dalla firma degli Accordi di Oslo in poi – ha assecondato totalmente la politica dello Stato d’Israele è co-responsabile della situazione che si è creata, perché non ha neanche lontanamente prefigurato uno sbocco positivo alla questione palestinese, ma ha invece contribuito al suo “politicidio”, derubricandola a questione secondaria.

Ora influenti attori del mondo multipolare, come la Russia e la Cina, hanno rimesso sul tappeto l’ipotesi di una risoluzione comprendente la costituzione di uno Stato palestinese, secondo la formula dei “due Stati”.

La causa palestinese è oltretutto fortemente sostenuta dal nuovo “fronte del rifiuto” (Algeria, Iran, Iraq, Siria), pronto forse ad intervenire anche manu militari in questa nuova tappa del conflitto arabo-israeliano, a cominciare dall’Iran e dall’arco della forza della Resistenza della cosiddetta “Mezzaluna sciita”, Hezbollah in primis.

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alternative

Contro l’idea della vittoria

di Alfonso Gianni

9788858123874.jpg"Deve essere sembrato a molti che in un convegno sulle prospettive del mondo di domani fosse almeno impertinente (…) chiedere la parola per ricordare ai convenuti che 'domani' il mondo, in quanto mondo culturale umano, può finire e che una qualsiasi risposta a come possa e debba essere “domani” il mondo comporta la domanda preliminare se 'domani' vi sarà un mondo e se oggi non vi sia il rischio che almeno certe forze cospirino alla sua fine”1

Con una modifica certamente non irrilevante, di parole e di senso, rispetto al sacro testo da cui è estrapolato,2 si potrebbe riproporre il celebre interrogativo: “Sentinella a che punto è la guerra?” e la risposta sarebbe “In stallo”. Naturalmente se si guarda il campo di battaglia. La pluriproclamata controffensiva ucraina ha dato scarsi e deboli segnali di sé e soprattutto nessun successo sostanzioso. D’altro canto l’avanzata russa si è fermata a consolidare le posizioni fin qui raggiunte. Naturalmente non tutte le narrazioni sono concordi, come sempre succede in tempo di guerra per ogni guerra. Il segretario della Nato Jens Stoltenberg non perde occasione di magnificare le possibilità di vittoria finale dell’Ucraina esaltando i passi in avanti fin qui fatti. In una visita improvvisata a Kiev lo scorso 28 settembre, parlando in una conferenza stampa congiunta con Volodymir Zelensky, ha affermato con enfasi che le forze ucraine starebbero “gradualmente guadagnando terreno … ogni metro che le forze ucraine guadagnano è un metro che la Russia perde”.3

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marx xxi

L’economia di guerra parziale russa “tiene”, mentre l’Eurozona rallenta e la Germania scende in recessione

di Andrea Vento*

ucraina guerra.jpgNegli ultimi mesi Mosca sta evidenziando un ciclo economico in ripresa, ordinativi industriali in aumento e un regime di cambio controllato, al cospetto di una lieve ripresa dell’inflazione, un rialzo dei tassi e una riduzione del saldo commerciale.

* * * *

L’economia russa dopo la moderata, rispetto alle catastrofiche previsioni iniziali (-8,5%), recessione del -2,1% del 2022 e le prospettive di crescita per l’anno in corso dell’Outlook Fmi di luglio del 1,5% (tabella 1), grazie e non solo a un surplus commerciale positivo seppur in diminuzione (tabella 2), sembrerebbe evidenziare, benché non priva di criticità, una sostanziale tenuta, sia per l’anno in corso che nei due successivi.

Tabella 1: previsioni e dati definitivi in % anni 2022, 2023 e 2024 degli Word Economic Outlook Fmi

Tipologia di dati Previsioni 2022 Previsioni 2022 Definitivo 2022 Previsioni 2023 Previsioni 2023 Previsioni 2023 Previsioni 2024
Economic Outlook Fmi emesso a: Aprile 2022 Ottobre 2022 Luglio 2023 Gennaio 2023 Aprile 2023 Luglio 2023 Luglio 2023
Economia mondiale 3,6 3,2 3,5 2,9 2,8 3,0 3,0
Russia -8,5 -3,4 -2,1 0,3 0,7 1,5 1,3
Stati Uniti 3,7 1,6 2,1 1,4 1,6 1,8 1,0
Germania 2,1 1,5 1,8 0,1 -0,1 -0,3 1,3
Italia 2,3 3,2 3,7 0,6 0,7 1,1 0,9
Cina 4,4 3,2 3,0 5,2 5,2 5,2 4,5
India 8,2 6,8 7,2 6,1 5,7 6,1 6,3

 

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giubberosse

Tempesta sul Medio Oriente

di Enrico Tomaselli

214939881 76953236 c554 48b1 9c01 44fedb8a515eUn primo tentativo di analisi del riaccendersi del conflitto in Palestina, pur nel pieno dell’azione ancora in corso, ed in particolare soffermandosi su tre aspetti: la mancata previsione dell’attacco, da parte dei servizi di sicurezza israeliani e statunitensi; la capacità palestinese di ottenere il fattore sorpresa al momento dell’attacco; il senso politico e militare dell’operazione in generale.

* * * *

Come un sasso in piccionaia, l’attacco portato dalle Brigate Ezzedin al-Qassam il 7 ottobre, ha sorpreso e sconvolto tutti, gli osservatori e – ovviamente – gli stakeholders. Essendo l’operazione al Aqsa Flood ancora in corso, non è al momento possibile farne una analisi chiara ed esaustiva; ciò nonostante, alcune riflessioni possono essere già fatte. E di alcune, anzi, si avverte decisamente l’urgenza.

In particolare, sono tre gli aspetti su cui soffermarsi. La mancata previsione dell’attacco, da parte dei servizi di sicurezza israeliani e statunitensi. La capacità palestinese di ottenere il fattore sorpresa al momento dell’attacco. Il senso politico e militare dell’operazione in generale.

Prima di entrare nel merito, ed esaminare specificamente questi tre aspetti, è importante aggiungere una ulteriore premessa, di ordine più generale. Purtroppo, talvolta anche in ambienti presumibilmente identificabili come alieni dalla propaganda mainstream, si insinua un pericoloso bias complottista, che tende a vedere – nelle varie articolazioni statuali del potere occidentale – una sorta di moloc invincibile, e che pertanto, quand’anche si ritrova dinanzi ad una palese sconfitta di questo potere, ai suoi clamorosi errori, rifiuta di farsene convinto, e tende a immaginare oscure manovre e occulti disegni, in base ai quali la realtà apparente sarebbe in effetti l’opposto di ciò che è fattualmente.

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analisidifesa

Se gli Stati Uniti scaricano l’Ucraina sull’Europa

di Gianandrea Gaiani

174020924 900c5ae5 2aa2 4acb a9ba 48e6e9191745.jpgAl vertice Ue di Granada il presidente ucraino Volodymyr Zelensky non ha usato mezzi termini per definire l’attuale situazione. Preso atto dei “tornado politici” che scuotono un’America ormai travolta da una aspra campagna elettorale in vista delle presidenziali del novembre 2023, secondo Zelensky “l’Europa deve essere forte, non abbassare le vele in attesa della fine della tempesta” perché gli europei non possono permettersi il lusso della stanchezza, o di abbandonare l’Ucraina o di accettare un congelamento del conflitto con la Russia. Se lo facessimo secondo il presidente ucraino, saremmo tutti in pericolo poiché nel 2028 l’Europa rischia un altro “momento critico” con la Russia pronta ad attaccare altri obiettivi.

Si può esprimere qualche dubbio sul fatto che la Russia (dipinta in Occidente come una “potenza imperialista”) abbia davvero intenzione o interesse a invadere un pezzo di Europa tra cinque anni e non può certo stupire che Zelensky cerchi di scongiurare il rischio, sempre più concreto, che l’Occidente abbandoni la causa ucraina o rallenti decisamente il flusso dio aiuti. L’America lo farebbe per ragioni elettorali e perché tradizionalmente gli Stati Uniti, specie quando gli americani vengono chiamati al voto, decidono che i conflitti in cui sono invischiati non sono più “la loro guerra”.

L’Europa lo farebbe perché non ha più nulla da dare a Kiev in termini di armi e munizioni, perché tradizionalmente segue gli USA come un fedele vassallo nel coinvolgimento e nel disimpegno dai conflitti e poi anche perché la guerra che a dire di molti leader europei doveva logorare la Russia sta invece distruggendo la nostra economia e mina la nostra stabilità politica e sociale.

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sinistra

L’Onu e il conflitto russo-ucraino: potenzialità inattuate

di Luca Benedini

1646241518748 GettyImagesNella Carta (o Statuto) dell’Onu c’è una tendenziale contraddizione: da un lato, l’Onu è tenuta a difendere la pace internazionale, come emerge da articoli come in particolar modo il 24, il 37 e il 39, oltre all’1 e al 2 nei quali si trovano esposti i fini e i princìpi dell’Onu stessa; dall’altro lato, tale responsabilità viene attribuita principalmente – e con estrema chiarezza – al Consiglio di Sicurezza, ma quest’ultimo può essere totalmente bloccato nel suo agire se qualcuno dei suoi 5 membri permanenti (i governi di Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna e Francia) esercita su una questione il proprio “diritto di veto” previsto nell’art. 27.

È una contraddizione che ha però uno spiraglio: in base agli articoli 10 e 12, l’Assemblea Generale ha la potestà di occuparsi praticamente di qualsiasi argomento, fatta eccezione per le problematiche internazionali (controversie, altre situazioni da cui la pace può essere minacciata, violazioni della pace) delle quali si sta già occupando esplicitamente il Consiglio di Sicurezza. In altre parole, quando quest’ultimo è bloccato da dei veti, così che di fatto non riesce ad occuparsi concretamente di una situazione, l’Assemblea Generale può in pratica surrogarlo.

 

L’Onu, il diritto internazionale e le rotture della pace: dagli anni ’50 agli anni ’80

Si tratta di una potestà che venne anche messa dettagliatamente “nero su bianco” nella risoluzione dell’Assemblea Generale n. 377 del 1950, nota col nome di Uniting for Peace, cioè “Unirsi per la pace” [1]. In pratica, l’Assemblea deliberò di poter – e, sostanzialmente, dover – assumere tutte le funzioni del Consiglio ogni volta che dei veti gli impedissero di affrontare adeguatamente gravi circostanze internazionali.

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 clarissa

Palestina e Israele: la pace è impossibile

di ALFATAU

Quanto sta avvenendo in Palestina non è certo una novità. La Striscia di Gaza è una delle aree che residuano dal lungo conflitto tra Palestinesi e Stato di Israele, a partire dalla costituzione di quest’ultimo (1948): qui è infatti concentrata una parte numericamente assai consistente dei discendenti dei Palestinesi che la creazione dello Stato ebraico ha espulso dalla Palestina storica.

La Scuola Grande e1696780910605.jpgÈ una delle aree più densamente popolate al mondo, 10 km di larghezza per 41 di lunghezza, dove vivono 2,3 milioni di Palestinesi, in 365 km quadrati: una superficie equivalente a quella della provincia di Prato, una delle più piccole dell’Italia, che conta però meno di 260mila abitanti (707 abitanti per kmq) contro gli oltre 4.000 per kmq a Gaza.

 

Israele in Palestina

Nel 2008-2009 le forze armate israeliane furono impiegate per 23 giorni in un attacco contro la Striscia di Gaza. Nel 2012 vi fu un’altra operazione israeliana, della durata di 8 giorni. Lo stesso avvenne nel 2014, per 50 giorni. Nel 2021, per altri 11 giorni.

Complessivamente, il costo umano dei ripetuti interventi delle forze armate israeliane, sia nella Striscia che nelle altre aree della Palestina (Cisgiordania, Gerusalemme Est), è stato di 6.407 caduti Palestinesi, tra civili e combattenti, a fronte di 308 Israeliani; i feriti sono stati rispettivamente 152.560 Palestinesi e 6.307 Israeliani. Sottolineiamo per chiarezza che questo bilancio è relativo ai soli anni dopo il 2008, vale a dire dopo che il movimento islamista Hamas ha acquisito nel 2007 il controllo politico e militare della Striscia di Gaza.

Aggiungiamo che dal settembre 2000, data della cosiddetta seconda Intifada (“rivolta”, in arabo), provocata dalla celebre “passeggiata” dell’allora capo del partito Likud israeliano, illustre comandante militare e più volte primo ministro, Ariel Sharon, nella spianata della Moschee, luogo sacro dell’Islam, poi estesasi a tutta la Palestina – Israele ha fatto passare nei suoi vari luoghi di detenzione oltre 135mila Palestinesi.

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poliscritture

La Yugoslavia ….e la nuova Europa dei fratelli Grimm

di Paolo Di Marco

sarajevo2 wide 1f345540e707a92eda9b2a8737725189aa6c006e s1600 c851- l’intervento all’ONU di Vučić (da l’Antidiplomatico)

Il 20 Settembre, davanti a un’assemblea generale delle Nazioni Unite tutta presa dal conflitto ucraino, il presidente serbo Vučić ha fatto un discorso di grande coraggio e lucidità:

“Sono davanti a voi come rappresentante di un Paese libero e indipendente, la Serbia, che si trova nel percorso di adesione all’Unione europea ma che, al tempo stesso, non è pronto a voltare le spalle alle sue tradizionali amicizie costruite da secoli )”. “Voglio alzare la voce a nome del mio Paese, ma anche a nome di tutti coloro che oggi, a 78 anni dalla fondazione delle Nazioni Unite, credono veramente che i principi della Carta delle Nazioni Unite siano l’unica difesa essenziale della pace nel mondo, del diritto alla libertà e all’indipendenza dei popoli e degli Stati. Ma anche di più: sono la garanzia della sopravvivenza stessa della civiltà umana. L’ondata globale di guerre e violenze che colpisce le fondamenta della sicurezza internazionale è una conseguenza dolorosa dell’abbandono dei principi delineati nella Carta delle Nazioni Unite […] Il tentativo di smembrare il mio Paese, formalmente iniziato nel 2008 con la dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo è ancora in corso. Per la precisione, la violazione della Carta delle Nazioni Unite nel caso della Serbia è stato uno dei precursori visibili di numerosi problemi che tutti dobbiamo affrontare oggi, che vanno ben oltre i confini del mio Paese o il quadro della regione da cui provengo. Più in generale, dall’ultima volta che ci siamo incontrati qui, il mondo non è né un posto migliore né più sicuro. Al contrario, la pace e la stabilità globale sono ancora minacciate. […]

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italiaeilmondo

L’invasione russa è stata un atto razionale

È nell’interesse dell’Occidente prendere Putin sul serio

di John Mearsheimer e Sebastian Rosato

Screenshot 2023 10 02 090056 577x280.pngÈ opinione diffusa in Occidente che la decisione del presidente russo Vladimir Putin di invadere l’Ucraina non sia stata un atto razionale. Alla vigilia dell’invasione, l’allora primo ministro britannico Boris Johnson suggerì che forse gli Stati Uniti e i loro alleati non avevano fatto “abbastanza per scoraggiare un attore irrazionale e dobbiamo accettare al momento che Vladimir Putin forse sta pensando in modo illogico e non vede il disastro che lo attende”. Il senatore statunitense Mitt Romney ha fatto un ragionamento simile dopo l’inizio della guerra, osservando che “invadendo l’Ucraina, Putin ha già dimostrato di essere capace di decisioni illogiche e autolesioniste”. L’assunto alla base di entrambe le affermazioni è che i leader razionali iniziano le guerre solo se hanno la probabilità di vincere. Iniziando una guerra che era destinato a perdere, Putin ha dimostrato la sua non razionalità.

Altri critici sostengono che Putin non era razionale perché ha violato una norma internazionale fondamentale. Secondo questa visione, l’unica ragione moralmente accettabile per entrare in guerra è l’autodifesa, mentre l’invasione dell’Ucraina è stata una guerra di conquista. L’esperta di Russia Nina Khrushcheva ha affermato che “con il suo assalto non provocato, Putin si unisce a una lunga serie di tiranni irrazionali” e sembra “aver ceduto alla sua ossessione guidata dall’ego di ripristinare lo status della Russia come grande potenza con una propria sfera di influenza chiaramente definita”. Bess Levin di Vanity Fair ha descritto il presidente russo come “un megalomane assetato di potere”; l’ex ambasciatore britannico a Mosca Tony Brenton ha suggerito che la sua invasione è la prova che egli è un “autocrate squilibrato” piuttosto che l'”attore razionale” che era un tempo.

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giubberosse

Il primo e l’ultimo

di Enrico Tomaselli

Senza titolèlopjho 1Se Russia e NATO si possono considerare player dello stesso livello (e quindi il conflitto in atto può essere definito come simmetrico), le concezioni strategiche di fondo sono antitetiche, e affondano le proprie radici nelle differenze storico-culturali che contraddistinguono le parti. Sotto questo profilo, quindi, si può senz’altro affermare che il conflitto è assolutamente asimmetrico. E questo rende tutto più complicato.

Si sta facendo sempre più strada, tra gli osservatori politici e militari occidentali, la convinzione che la guerra ucraina sia a un punto di inflessione strategico [1], insomma a un punto di svolta, oltre il quale le cose cambiano. “In questo punto di svolta, i leader più abili e creativi riconoscono e accettano questa sfida, facendo progredire le loro organizzazioni per affrontarla. I leader rigidi, esitanti o avversi al rischio non accettano la sfida, portando all’irrilevanza e, in ultima analisi, al fallimento della loro organizzazione” [2].

La questione veramente importante è che, ovviamente, superato il punto di svolta le cose possono andare appunto sia bene che male, tutto dipende dalle scelte assunte dalla leadership. Ed in questo momento, le leadership occidentali non sono univocamente coese e concordi sulla rotta da seguire. Per quanto l’esigenza di sganciarsi in qualche modo dalla precipitosa corsa verso il disastro sia sempre più forte, l’idea che si possa in qualche modo ribaltare lo stato delle cose è dura a morire; e quindi, la propensione a mantenere l’investimento sull’Ucraina resta al momento predominante.

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sinistra

Le origini della guerra russo-ucraina

Introduzione

di Salvatore Minolfi

Salvatore Minolfi: Le origini della guerra russo-ucraina. La crisi della globalizzazione e il ritorno della competizione strategica, Istituto Italiano per gli studi filosofici, 2023

INTRODUZIONE Le origini della guerra russo ucraina.pdfLa matrioska della guerra

L’epoca del dopo guerra fredda – quella iniziata con le speranze dell’89 – è stata costellata di conflitti. Alle sue origini doveva essere, nella narrativa dominante, un’epoca pacifica, poiché la fine della competizione strategica tra le due superpotenze e il collasso dell’URSS avrebbero rimosso l’ultimo ostacolo all’avvento di un ordine nuovo, garantito dalla supremazia incontrastata degli Stati Uniti che, rimodulando la sovranità nell’universo degli Stati – e ponendo alla sua cuspide un egemone benevolo – li avrebbe privati di quei caratteri hobbesiani che condannavano il mondo a essere il teatro di una guerra di tutti contro tutti1.

Dacché quella dottrina fu lanciata molta acqua è passata sotto i ponti e la realtà si è mostrata sensibilmente differente. La nuova epoca si apriva con una guerra, quella combattuta nel Golfo Persico, e avrebbe continuato a dipanarsi in un serie inesauribile di conflitti – dai Balcani al Medio Oriente alle province più remote dello spazio post-sovietico – in un contesto aggravato da “un processo di rilegittimazione surrettizia dell’uso della forza”, tale da condurre “alla dissoluzione di ogni chiara distinzione tra pace e guerra”2. Una ricerca del “Watson Institute for International and Public Affairs” (Brown University) stima che la sola costellazione di conflitti legati al disordine mediorientale abbia mietuto oltre novecentomila vittime.

Non è questo il luogo per dar conto dell’ampia e articolata geografia della guerra degli ultimi trent’anni. Ciò che preme qui sottolineare è che, malgrado quei terribili precedenti, la guerra russo-ucraina ci trasporta in un’altra dimensione.

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intelligence for the people

Blinken: eccezionalismo USA, scontro fra grandi potenze, e guerra a oltranza in Ucraina

di Roberto Iannuzzi

Col tramonto dell’egemonia unipolare americana, il manicheismo di Washington richiede un mondo diviso, e un conflitto armato di lunga durata che perpetui questa divisione

99c87660 a07e 4b5f b849 0f7c89144284 4929x3286“Ciò che stiamo vivendo oggi è ben più di una messa alla prova dell’ordine mondiale post-Guerra Fredda, è la sua fine”.

A pronunciare queste parole è stato il segretario di Stato USA Antony Blinken, in un discorso tenuto il 13 settembre alla Johns Hopkins School of Advanced International Studies (SAIS), uno dei “templi” del pensiero strategico americano.

La SAIS fu fondata nel 1943 da Paul Nitze, considerato uno degli architetti della politica di difesa americana durante la Guerra Fredda. Nitze fu il principale autore dell’NSC 68, un documento del Consiglio per la Sicurezza Nazionale che pose le basi per la militarizzazione della Guerra Fredda dal 1950 in poi, con l’espansione del bilancio del Pentagono, lo sviluppo della bomba all’idrogeno e l’incremento degli aiuti militari agli alleati di Washington.

Settantatré anni dopo, Blinken ci pone di fronte alla prospettiva di una nuova, e forse più pericolosa, guerra fredda contro non una, ma due potenze nucleari: Russia e Cina.

Quella di Blinken non è una visione personale, ma riflette quanto già affermato nella Strategia di Sicurezza Nazionale formulata dall’amministrazione Biden nell’ottobre del 2022. 

 

Una crisi senza cause apparenti 

Di fronte alla platea della SAIS, Blinken ha decretato la fine dell’era unipolare americana, e l’inizio di una cupa fase di conflitto.

Secondo il segretario di Stato, la fine della Guerra Fredda aveva “portato con sé la promessa di una marcia inesorabile verso una maggiore pace e stabilità, cooperazione internazionale, interdipendenza economica, liberalizzazione politica, e diritti umani”.

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rossellafidanza

Un anno di bugie sul Nord Stream

di Seymour Hersh

L'amministrazione Biden non ha riconosciuto la propria responsabilità nell'attentato al gasdotto né lo scopo del sabotaggio

1281412e 0c36 4333 8b9f 9bee9cceb751 2032x1192Non so molto delle operazioni segrete della CIA - nessun estraneo può farlo - ma so che la componente essenziale di tutte le missioni di successo è la totale negabilità. Gli uomini e le donne americani che si sono mossi, sotto copertura, dentro e fuori la Norvegia nei mesi necessari per pianificare e portare a termine la distruzione di tre dei quattro gasdotti Nord Stream nel Mar Baltico un anno fa, non hanno lasciato alcuna traccia - nemmeno un accenno all'esistenza della squadra - se non il successo della loro missione.

La negabilità, come opzione per il presidente Joe Biden e i suoi consiglieri di politica estera, era fondamentale. Nessuna informazione significativa sulla missione è stata inserita in un computer, bensì digitata su una Royal o forse su una macchina da scrivere Smith Corona con una o due copie carbone, come se Internet e il resto del mondo online non fossero ancora stati inventati. La Casa Bianca era isolata dagli avvenimenti nei pressi di Oslo; i vari rapporti e aggiornamenti dal campo venivano forniti direttamente al direttore della CIA Bill Burns, che era l'unico collegamento tra i pianificatori e il presidente, il quale autorizzò la missione il 26 settembre 2022. Una volta completata la missione, i fogli dattiloscritti e i carboni sono stati distrutti, senza lasciare alcuna traccia fisica, nessuna prova che possa essere dissotterrata in seguito da un procuratore speciale o da uno storico presidenziale. Si potrebbe definire il crimine perfetto.

C'era una falla, un divario di comprensione tra coloro che hanno portato a termine la missione e il Presidente Biden, sul perché avesse ordinato la distruzione degli oleodotti quando l'ha fatto. Il mio rapporto iniziale di 5.200 parole, pubblicato all'inizio di febbraio, si concludeva in modo criptico citando un funzionario a conoscenza della missione che mi diceva: "Era una bella storia di copertura". Il funzionario ha aggiunto: "L'unico difetto era la decisione di farlo".