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Gli attentati del 13/11 e la predisposizione della scacchiera

Federico Dezzani

formiche isis palmiraLa strage di Parigi del 13/11 ha già prodotto un risultato finora impensabile: su iniziativa di Angela Merkel, la Germania schiera mezzi ed uomini in Medio Oriente, a fianco di Francia, Regno Unito ed USA, nonostante il Califfato stia subendo pesanti rovesci in Siria ed Iraq. Nel frattempo le condizioni economiche dell’eurozona volgono al peggio, con la Francia che registra ad ottobre un nuovo record di disoccupati e la deflazione che avanza ovunque. La guerra all’ISIS è solo un espediente per procrastinare lo sfaldamento della UE/NATO: l’avversario strategico degli angloamericani è infatti Mosca, capace di aggregare l’Europa post-euro su basi alternative al sistema euro-atlantico. Con l’ammassarsi degli occidentali nel sempre più affollato ed incandescente Medio Oriente, la scacchiera è predisposta: è sufficiente un casus belli simile all’abbattimento del Su-24 e sarà guerra.

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L’Europa tra crisi economica e guerra all’ISIS

Una delle ricadute della strage del 13/11, coordinata come abbiamo sottolineato nei nostri lavori dai servizi segreti francesi, è stata senza dubbio la possibilità di eclissare i dati francesi sul mercato del lavoro, pubblicati la settimana scorsa e relativi al mese di ottobre: cifre pessime che, col nuovo record di 3,81 mln di disoccupati1, certificano la situazione critica della Francia, alle prese con un debito pubblico prossimo al 100% del PIL ed una bilancia commerciale in cronico disavanzo. Il primo ministro Manuel Valls ha altresì colto la palla al balzo per annunciare che Parigi, causa nuove spese per la sicurezza, non rispetterà i parametri di bilancio concordati con Bruxelles, già di manica larga rispetto agli altri membri dell’eurozona: il deficit è infatti atteso attorno al 4% del PIL nel 2015, ed è  sfumato l’impegno ad abbassarlo al 3,3% nel 2016 e sotto il 3% nel 2017.

La strage di Stato del 13/11 serve quindi a ribadire l’eccezionalità della Francia, “potenza mondiale” impegnata nella lotta al Califfato per la sicurezza dell’Europa: poco importa se l’ISIS contro cui l’Eliseo spedisce la portaerei Charles De Gaulle è il principale strumento con il quale i francesi, in conbutta con angloamericani, israeliani ed autocrazie sunnite, si sono adoperati dal 2011 per la balcanizzazione del Medio Oriente, coll’obbiettivo di dissolvere la Siria e l’Iraq (missione riuscita in Libia). Nell’attuale contesto, preme infatti gridare urbi et orbi che “la France est en guerre!”  e, di conseguenza, libera di qualsiasi pastoia europea.

Anzi, addirittura tutta l’Europa è in guerra contro il fantomatico Califfato che, peraltro, sta vivendo il momento più critico sul piano militare dalla sua apparizione nel 2013: i bombardamenti russi e l’istituzione a Baghdad di un centro per la condivisione di informazioni ed il coordinamento bellico tra Iraq, Iran, Siria e Russia3 hanno inflitto drammatici rovesci all’ISIS, riuscendo dove aveva fallito per un anno la coalizione a guida americana (suscitando l’ilarità della comunità internazionale, l’ex-numero due della CIA, Michael Morell, ha giustificato il mancato bombardamento dei pozzi petroliferi controllati dall’ISIS adducendo scrupoli ambientali4).

Già, perché situazione dell’intera Eurozona è critica, non solo in Francia, e quindi bisogna gridare all’unisono “l’Europe est en guerre!”. Nella terza economia dell’euro, l’Italia, la situazione ha ormai assunto contorni da conflitto bellico, tra crollo verticale dell’attività produttiva e desertificazione demografica: in recessione dal 2008, il Paese dovrebbe chiudere il 2015 con una crescita del +0,9%, grazie ai maneggi contabili di ESA 2010, mentre ila deflazione alza paurosamente la china (-0,4% i prezzi al consumo di novembre rispetto al mese precedente5) rendendo improbabile non solo la riduzione ma anche il contenimento del debito pubblico, tanto che il Tesoro ha iniziato a ricorrere alle disponibilità liquide in cassa per evitare lo sforamento dei 2.200 €mld. Sta poco meglio ovviamente la finanza privata dove, schiacciate da 200 €mld di crediti inesigibili, le banche scricchiolano e gli istituti di medie-piccole dimensioni saltano. In Spagna il deficit è previsto al 4,7% del PIL nel 2015 ed il debito pubblico, triplicato dall’inizio della crisi, si attesterà alla fine dell’anno al rapporto record di 1:1 col PIL; si avvicinano intanto le elezioni legislative di dicembre, e ci si domanda con inquietudine come voteranno gli spagnoli, oppressi da una disoccupazione al 21% della forza lavoro. A livello aggregato l’eurozona nel suo complesso flirta con la deflazione, nonostante da quasi nove mesi sia in atto l’allentamento quantitativo che ha regalato solo laute plusvalenze alle banche.

Quanto può durare la stallo nell’eurocrisi, considerato che l’economia globale si dirige verso un brusco rallentamento? Non a lungo probabilmente, e qui si riapre la parentesi della strage del 13/11.

Sull’onda degli attentati la cancelliera Angela Merkel, fedele esecutrice delle direttive atlantiche, ha concesso a François Hollande un’apertura impensabile fino ad un mese fa: il dispiegamento di 650 soldati in Mali e, soprattutto, l’invio di uomini e mezzi in Medio Oriente, affiancando così i francesi nella loro “guerra all’ISIS”. Si parla di 4-6 jet Tornado da ricognizione, supporto satellitare ed il dispiegamento di una fregata per proteggere (dai sottomarini dell’ISIS?) la portaerei De Gaulle per un totale di 1.200 soldati6. La mossa di Angie, che attende il parere del Bundestag, è una rivoluzione copernicana per Berlino, che dai tempi della Prima Guerra del Golfo ha sempre evitato qualsiasi coinvolgimento mediorientale, fatta eccezione per la disastrosa Operazione Enduring Freedom in Afghanistan. Se la cancelliera rischia tanto, la posta in gioco deve essere maledettamente alta.

Peraltro Berlino è in buona compagnia nella corsa “à la guerre à Daesh”, dal momento che anche il premier inglese David Cameron potrebbe riuscire là dove fallì nella tarda estate del 2013, ovvero ottenere l’approvazione della Camera dei Comuni per un intervento militare in Siria, non più (formalmente) contro l’esercito di Assad, reo allora dell’impiego di armi chimiche (un’orchestrazione dei ribelli supportati dall’Occidente per giustificare i bombardamenti), ma contro l’ISIS, obviously. Il premier Cameron ha anche sfruttato la strage del 13/11 e la conseguente febbre militarista per annunciare la costituzione di due brigate di intervento rapido da 5.000 uomini cadauna e l’ulteriore stanziamento di 12 £mld per la difesa7.

Man man che le condizioni dell’eurozona tornano a preoccupare, ecco quindi che la temperatura bellica sale di nuovo, con la significativa ed inedita aggiunta della Germania alla grancassa anti-ISIS.

Come abbiamo sempre evidenziato nelle nostre analisi, l’euro e l’UE sono tutto meno che un’unità di conto ed un’autonoma iniziativa politica delle nazioni europee: sono, al contrario, l’altra faccia della medaglia della NATO, ideate coll’obbiettivo, finora fallito,di creare di Stati Uniti d’Europa, inglobando così il Vecchio Continente e saldandolo al sistema atlantico. Le convulsioni dell’eurozona mettono quindi oggi a repentaglio l’intero apparato militare, economico e politico con cui gli angloamericani controllano l’Europa. La guerra all’ISIS è un’arma tattica per rallentare il disfacimento della UE, vincolando i membri in un comune impegno militare contro una minaccia creata ad hoc dallo stesso Occidente.

La fida cancelliera Angela Merkel, rispondendo senza esitazioni all’appello del presidente Hollande, può riuscire, previo assenso del Bundestag, dove mancò l’obbiettivo durante la crisi ucraina: legare mani e piedi della Germania alle avventure militari atlantiche. Non soltanto, favorendo l’ingresso di un milione di immigrati nel solo 2015, Angie ha posto le basi per la riproposizione anche in Germania di eventi simili alle stragi del 13/11, o forse anche peggio: le informazioni a disposizione di questa enorme massa di persone entrata in Germania sono poche o nulle, ma si sa che il nocciolo proviene da Siria ed Iraq, ed è altamente plausibile che tra loro ci siano anche reduci dell’ISIS. L’intervento in pompa magna di Berlino a fianco dei francesi, giustifica ora dal punto di vista mediatico la perpetrazione di attentati sulla falsariga di quelli francesi e, non a caso, si moltiplicano già le notizie di attacchi “sventati”8: si evince che, presto o tardi, alle forze di sicurezza tedesche ne sfuggirà uno, come già successo a Parigi.

Come scrive sul Financial Times9 John Sawers, l’ex-direttore del MI6 che si è incontrato a Washington con il direttore della DGSE Bernard Bajolet, il capo della CIA John Brennan ed il consigliere della Difesa israeliana Yaakov Amidror, due settimane prima della strage di Parigi del 13/11:

The next attack probably will not be in France. Isis wants to provoke division across Europe — in particular, hostility to the refugees flooding in. (…) Germany might be vulnerable as Isis would see an attack as weakening Chancellor Angela Merkel and dividing opinion. (…) Political calculation and available operatives will determine where Isis tries to strike next. There is little doubt that there will be further attacks. This will challenge not just our intelligence agencies. The wars in Europe’s neighborhood are now washing on to our shores and governments in Europe — especially France, Germany and Britain — will have to lead the response.

È facile immaginare che la risposta a questi potenziali attacchi sarà, come sempre, più integrazione europea, ed un maggiore coinvolgimento di Berlino a fianco di Washington, Londra e Parigi sui dossier mediorientali. Un altro, clamoroso attentato in Germania, potrebbe inoltre spianare la strada ad una politica di difesa comune dell’Unione Europea. Come scrive l’influente pensatoio Carnegie Endowment for International Peace, basato a Washington10:

It is about Europe coming to terms—or rather, coming of age—by recognizing that its belief in soft power is not a security guarantee, and that Europe cannot continue to depend on the United States to be its hard-power backer. Earlier terrorist attacks in London, Madrid, and Brussels should have put paid to those assumptions. They didn’t. The attacks in Paris may finally have the effect of persuading EU governments of the need for a credible security and defense policy, instead of one that is borne by just a few countries.

Queste sono però riposte tattiche all’eurocrisi, in grado di procrastinare il collasso dell’eurozona ancora per 12-18 mesi. A quel punto le criticità dell’Unione Europea esploderanno in tutta la loro virulenza e si porrà all’estanlishment euro-atlantico il problema strategico di come mantenere il Vecchio Continente subordinato al sistema militare e politico di Washington.

Emergerà a quel punto l’ineluttabilità di un conflitto armato con la Federazione Russa, unico attore capace di offrire al Vecchio Continente un progetto geopolitico alternativo credibile(l’integrazione euroasiatica) e dotato di risorse umane e naturali in grado di alterare gli equilibri mondiali se integrate con l’Europa e/o la Cina. Ecco quindi che l’ammassarsi delle forze armate di Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Germania nel sempre più angusto ed affollato teatro mediorientale, non è finalizzato alla guerra contro il Califfato (già in dissolvimento e creato dallo stesso Occidente) bensì a creare un punto di frizione tra NATO e Russia, per di più in una zona che, come dimostra il recente affaire del Su-24 russo abbattuto, offre casus belli in abbondanza.

 

Tutti i pezzi al loro posto, la partita può iniziare

Non ha dubbi il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov nel definire l’abbattimento del Su-24 per mano turca come una “provocazione premeditata”.

Secondo la versione di Ankara il bombardiere russo avrebbe violato per 17 secondi lo spazio aereo turco, durante i quali sarebbe stato lanciato l’improbabile numero di 10 avvertimenti prima di dare via libera all’F-16 che ha abbattuto il Su-24 con un missile aria-aria. L’unico superstite del velivolo, il navigatore Konstantin Murakhtin, afferma invece di non aver ricevuto nessun messaggio radio e che il SU-24 è stato colpito alla coda senza preavviso11.

Più fattori avvalorano la tesi dell’attacco premeditato.

In primo luogo il massiccio bombardamento russo di camion cisterna (ne sarebbero stati distrutti oltre un migliaio) e dei campi petroliferi attorno a Raqqa e Deir el-Zor controllati dall’ISIS, non solo ha privato la Turchia di una fonte a buon mercato di greggio (commercio nel quale sarebbe coinvolto il figlio stesso del presidente Recep Erdogan, Bilal12) ma sottraendo al Califfato la principale fonte di introiti per pagare stipendi ed armi, ha minato alle fondamenta l’intera strategia di destabilizzazione di Siria ed Iraq: sono infatti i russi dopo due mesi, non gli americani dopo un anno a distruggere i pozzi.

È quindi verosimile che la NATO, con l’abbattimento del Su-24, abbia inviato a Mosca il messaggio che la distruzione delle risorse petrolifere in mano al Califfato è un punto di non ritorno. Quest’ipotesi è corroborata dal fatto che né l’Alleanza Atlantica né Barack Obama hanno stigmatizzato la mossa di Ankara anzi, al contrario, il dossier dell’ingresso della Turchia nella UE, da sempre caro a Washington, ha subito un’improvvisa accelerazione ed i contribuenti europei hanno elargito 3 €mld al governo turco per arginare il flusso di profughi, generato dalla stessa politica di destabilizzazione del Medio Oriente condotta dalle autocrazie sunnite (tra cui la Turchia), israeliani ed angloamericani.

Non solo, l’abbattimento del SU-24 è caduto a distanza di sole 48 ore da un’altra provocazione perpetrata quasi sicuramente su istigazione turco-americana: ci riferiamo al sabotaggio in Ucraina delle linee elettriche che riforniscono la Crimea, attuato da alcuni miliziani appartenenti alla minoranza turcofona dei Tatari13. Questi avrebbero agito congiuntamente con gli estremisti di Settore Destro, impedendo l’accesso alla zona delle squadre di riparazione14: peraltro, le autorità di Kiev hanno dichiarato a distanza di una settimana che l’assenso dei Tatari è indispensabile per la riparazione della linea elettrica, che sarà ripristinata nei tempi “concordati con gli attivisti” 15.

La reazione di Mosca non si è fatta attendere, né sul fronte della Crimea né su quello turco.

Per quanto concerne il primo Mosca ha arrestato il flusso di gas diretto in Ucraina, bloccando anche le spedizioni del carbone estratto nella Federazione e nei territori del Donbass controllati dai separatisti filo-russi: calcolando che quasi il 50% delle produzione elettrica ucraina viene dall’antracite, Kiev suda freddo.

Sul versante turco la reazione di Mosca è stata a più livelli. Un livello di natura economica, con l’imposizione di sanzioni per bloccare l’import di prodotti turchi (specialmente vestiario ed agroalimentare), disincentivare il turismo, impedire l’assunzione di lavoratori turchi nella Federazione e sospendere la collaborazione in campo energetico (il gasdotto Turkish Stream e la centrale nucleare di Akkuyu)16. A livello militare si è invece fatto martellante il bombardamento russo sul valico di Bab-al-Salam17, principale snodo stradale tra Turchia e Siria ed accesso privilegiato per terroristi ed armi. È inoltre da registrare l’improvviso exploit bellico dei curdi siriani contro Al-Nusra e l’ISIS e, in parallelo, il crescere della tensione nei distretti turchi a maggioranza curda, con scontri a fuoco e l’imposizione di coprifuoco18: è quindi possibile che il Cremlino abbia deciso di giocare la carta curda per rovesciare Recep Erdogan.

Ciò però che muta radicalmente la situazione è il dispiegamento in Siria dei missili russi S-300 (capaci di abbattere i velivoli di quarta generazione come gli F-15, F-16 e F/A-18) e gli S-400 (in grado di colpire gli aerei “invisibili” di quinta generazione come il il B-2, l’F-22, l’F-35 e gli ormai datati F-117): in risposta alla provocazione turca, Mosca ha quindi instaurato de facto una zona d’interdizione al volo sotto controllo russo.

È una rivoluzione copernicana per il Medio Oriente, dove dall’ultimo dopoguerra sono stati gli angloamericani a detenere il monopolio dei cieli, tanto che ancora nel 2013 i falchi repubblicani invocavano un intervento di Washington per tenere a terra i velivoli di Assad19. La mossa rappresenta un ulteriore escalation nel conflitto siriano, perché qualsiasi aereo americano, israeliano o turco che entri nello spazio aereo di Damasco è ora intercettabile e distruggibile dalla contraerea russa: dal 25 novembre, data dal dispiegamento degli S-400, sia gli Stati Uniti che gli alleati della coalizione “contro l’ISIS” hanno infatti sospeso i voli sopra la Siria20.

Che ne sarà anche dei raid arei (illegali) che Tel Aviv è solita compiere in territorio siriano per difendere i miliziani islamisti che occupano le alture del Golan e distruggere i depositi d’armi dell’Esercito arabo siriano?

È in questo scenario sempre più carico di tensione e affollato di potenze internazionali (cui si somma la Cina che ha inviato nelle acque siriane la portaerei Lianoning21, forse per prendere parte ai bombardamenti contro il Califfato o forse solo per testimoniare il suo sostegno a Mosca), che si inquadra l’intervento di Francia, Germania e Regno Unito.

Damasco non ha mai concesso il proprio spazio aereo alla coalizione a guida americana, accusando i bombardamenti effettuati da Washington di essere al contrario la causa dell’avanzata dell’ISIS22, né il governo di Baghdad sembra ora aver bisogno di soccorso, considerato che, grazie alla collaborazione instaurata a fine ottobre con la Russia, l’Iran e la Siria23, l’esercito regolare ha velocemente ribaltato la situazione sul campo ed è ora ad un passo dalla liberazione di Ramadi, capoluogo del governatorato di Al Anbar finora controllato dal Califfato. Che ci vanno quindi a fare François Hollande, Angela Merkel e David Cameron in Siria ed Iraq? Perché questo pericoloso intervento delle cancellerie europee in Medio Oriente quando l’ISIS è in rotta sia in Siria che in Iraq?

È vero che il presidente francese ha incontrato Vladimir Putin per coordinare le operazioni militari contro l’ISIS ed ha ammorbidito i toni su Bashar Assad, ma le distanza tra gli angloamericani ed i russi, i veri dominus della situazione, sono tutt’ora incolmabili, con Barack Obama che insiste per il cambio di regime a Damasco. È lecito il sospetto che i fidi esecutori europei delle direttive atlantiche convergano verso il Medio Oriente proprio perché il Califfato è ad un passo dalla sconfitta, che sancirebbe la definitiva espulsione degli angloamericani dalla regione petrolifera e la sostituzione del defunto ordine (ormai tramutatosi in caos) statunitense, con un ordine russo-iraniano-cinese.

Come dimostra chiaramente infatti l’abbattimento del Su-24 russo, lo spazio tra Iraq e Siria è una polveriera che offre decine di casus belli al giorno, buoni per avviare un conflitto regionale o mondiale.

Con gli attentati del 13/11 di Parigi, gli strateghi angloamericani hanno quindi predisposto la scacchiera, mobilitando gli europei e riuscendo persino nell’impensabile impresa di coinvolgere Berlino. Manca poco perché tutti i pezzi siano al loro posto: USA, GB, Francia, Germania, Turchia, Russia, Iran e Cina. A quel punto basterà lo sconfinamento di un jet turco, un’incursione israeliana in Siria od una bomba caduta sul lato sbagliato della frontiera, per dare inizio alla partita. Sarà allora guerra, combattuta non contro l’ISIS, ma attraverso l’ISIS.

pilo_crimea

1http://www.lesechos.fr/economie-france/social/021512063207-chomage-tres-fort-rebond-en-octobre-1179023.php

3http://www.reuters.com/article/2015/10/13/us-mideast-crisis-iraq-russia-iran-idUSKCN0S71JC20151013#sbbvWCx9Mu1bI2ci.97

4http://www.washingtontimes.com/news/2015/nov/25/michael-morell-former-cia-chief-says-environmental/

5http://www.milanofinanza.it/news/italia-a-un-passo-dalla-deflazione-201511301134231677

6http://www.reuters.com/article/2015/11/29/us-mideast-crisis-germany-idUSKBN0TI0GA20151129#a98FrxLlv3ApabSu.97

7http://www.independent.co.uk/news/uk/politics/david-cameron-hails-10000-rapid-strike-brigade-troops-as-helping-britain-shape-world-events-a6745246.html

8http://www.theguardian.com/world/2015/nov/22/terrorists-planned-three-bombs-german-stadium-hanover

9http://www.ft.com/intl/cms/s/2/201f9a32-8b72-11e5-8be4-3506bf20cc2b.html#axzz3sy5qGNft

10http://carnegieeurope.eu/strategiceurope/?fa=62118

11https://www.rt.com/news/323431-saved-pilot-turkish-su24/

12http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/11/25/siria-turchia-abbatte-caccia-russo-tre-giorni-prima-mosca-aveva-bombardato-il-petrolio-di-isis-con-cui-ankara-fa-affari/2252068/

13http://www.nationalia.info/new/10659/russia-ukraine-tension-mounts-again-crimean-tatars-in-the-midst

14http://www.reuters.com/article/2015/11/22/us-ukraine-crisis-crimea-electricity-idUSKCN0TB04920151122#lFAgYJPK3g4S7beh.97

15http://www.reuters.com/article/2015/11/30/us-ukraine-crisis-crimea-idUSKBN0TJ1KD20151130#SiyAkAURtTu4KQoa.97

16http://sputniknews.com/world/20151126/1030796887/turkish-stream-russia.html

17http://www.reuters.com/article/2015/11/26/us-mideast-crisis-syria-strikes-idUSKBN0TF1RQ20151126

18http://www.todayszaman.com/national_soldier-killed-in-rocket-attack-in-derik-as-curfew-enters-5th-day_405689.html

19http://www.politico.com/story/2013/06/syria-no-fly-zone-092766

20http://www.debka.com/article/25048/Russian-S-400-missiles-turn-most-of-Syria-into-no-fly-zone-halt-US-air-strikes-

21http://www.express.co.uk/news/world/610286/China-preparing-to-team-up-with-Russia-in-Syria-Boost-for-Putin-in-battle-against-ISIS

22http://www.channel4.com/news/assad-us-led-airstrikes-in-syria-are-counter-productive

23http://www.agi.it/estero/notizie/isis_gelo_usa_iraq_baghdad_collaboriamo_con_russia_iran_siria-201509270319-est-rt10007

 

 

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