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Perché il governo d’unità nazionale libico fallirà

Washington e Londra tifano per una nuova Somalia

di Federico Dezzani

92CD0C7BANel resort marocchino di Skhirat è stato firmato il 17 dicembre l’accordo per la nascita di un governo d’unità nazionale libico: il documento, non ratificato dai parlamenti di Tobruk e di Tripoli ha il valore della carta straccia ed il nuovo esecutivo patrocinato dagli angloamericani attraverso l’ONU ha l’unico scopo di chiedere un intervento militare internazionale in Libia. Washington e Londra non hanno alcun desiderio di pacificare il Paese e lavorano per la propagazione dell’ISIS nell’intero Nord Africa: come in Siria, Ankara e Doha collaborano introducendo i miliziani e contrabbandando petrolio. Solo l’Egitto e la Russia hanno l’interesse ad evitare l’implosione dell’ex-colonia italiana, mentre una coalizione internazionale a guida ONU la trasformerebbe in una nuova Somalia.

***

Un accordo di facciata, per coprire le vere intenzioni di Londra e Washington

Ha il sapore di una stanca riproposizione di un film già visto e rivisto, della messa in onda di un programma trito e ritrito, lo spettacolo proiettato il 17 dicembre nelle sale del resort di Skhirat, località balneare della Marocco bene: dopo mesi di estenuanti trattative è firmato l’accordo per la nascita di un governo d’unità nazionale libico, presieduto dal premier Faiez Al-Serraj.

Uomo d’affari originario di Tripoli, già membro della Camera dei Rappresentati esiliata a Tobruk, Faiez Al-Serraj è designato premier non su pressione dei suoi colleghi parlamentari1, bensì è scelto dal precedente rappresentante dell’ONU per la Libia, lo spagnolo Bernardino Leon (a suo tempo cooptato dalla britannica Catherine Ashton per gestire la “Primavera Araba” in qualità di rappresentante dell’Unione Europea per gli affari mediterranei) per i suoi trascorsi negli Stati Uniti2.

Nonostante siano adottate tutte le raffinatezze del caso (Consiglio Presidenziale composto tre rappresentanti per la Cirenaica, tre per la Tripolitania e tre per il Fezzan) l’accordo non è ratificato dai due Parlamenti che attualmente si contendono la Libia (quello laico di Tobruk sostenuto da Egitto e Russia e quello islamista di Tripoli sostenuto da Turchia, Qatar ed angloamericani) ma da singoli deputati dei due organi legislativi, più qualche rappresentante di Misurata e signorotti vari3. Il valore dell’accordo è, dal punto di vista formale e soprattutto sostanziale, nullo.

Il compito del neonato Consiglio presidenziale è quello di formare entro 40 giorni un governo d’unità nazionale che nei piani dovrebbe traghettare il Paese a nuove elezioni legislative entro un anno. Nel frattempo, l’esecutivo sarebbe il solo rappresentante della Libia riconosciuto dalla comunità internazionale e già si parla di un probabile appello per il dispiegamento di contingenti militari internazionali, più volte categoricamente rifiutato da Tobruk e Tripoli.

Un risultato gli angloamericani l’hanno già ottenuto: il governo islamista di Tripoli ha ricevuto una sostanziale legittimazione, essendo stata richiesta ed invocata la sua firma per l’accordo, quando fino a ieri l’unico esecutivo riconosciuto formalmente dalla comunità internazionale era quello esiliato a Tobruk. Passo dopo passo, avanza in sordina quindi una nuova realtà: la Libia unita non esiste più, ma è divisa almeno in due centri di potere, la Tripolitania e la Cirenaica.

L’intera operazione di Shkirat ha il sapore della propaganda, uno sforzo mediatico per illudere l’opinione pubblica che si lavora alla pacificazione della Libia ed al ripristino di un governo centrale, quando in realtà l’obbiettivo di Londra e Washington è esattamente l’opposto, ossia la balcanizzazione dell’ex-colonia italiana ed il suo utilizzo come trampolino di lancio per esportare il caos in tutto il Magreb. Il premier Matteo Renzi è un ingenuo, oppure si comporta come tale, quando lamenta il mancato impegno della NATO dopo l’intervento militare che porta alla caduta ed all’uccisione di Muammur Gheddafi: “non possiamo permetterci una Libia bis” dice il presidente del Consiglio pressato per intervenire in Siria contro il Califfato. In verità, l’attuale scenario libico era proprio quello preventivato ed auspicato dagli strateghi angloamericani: la distruzione del potere centrale e la somalizzazione del Paese, da estendere in prospettiva ad Egitto ed Algeria.

È lo stesso disegno perseguito in Siria ed Iraq: si sostituisce uno Stato capace di proiettarsi all’estero, stringere alleanze con Russia e Cina, difendere le proprie risorse naturali e minacciare potenzialmente Israele, con un vespaio di tagliagole e trafficanti, non solo innocui ma pure profittevoli perché come si è recentemente visto con l’affaire Erdogan, l’ISIS vende il greggio alla metà delle quotazioni di mercato. Per le compagnie occidentali è il ritorno all’età dell’oro, prima delle nazionalizzazioni delle risorse petroliferi degli anni ’50 e ’60 da parte dei governi arabi laici ed anti-britannici.

Le analogie tra Libia e Siria meritano di essere sviluppate, perché ci consentono di capire meglio cosa avviene sulla Quarta Sponda e chi lavora per l’implosione dell’ex-colonia italiana.

In Siria, il governo laico di Bashar Assad, sostenuto dalla Russia, fronteggia dal 2011 una coalizione comporta da potenze occidentali (USA, GB, Francia ed Israele) ed autocrazie sunnite (Turchia, Qatar ed Arabia Saudita): Ankara svolge un ruolo particolare, fornendo sia le basi logistiche e l’addestramento ai miliziani dell’ISIS, sia finanziandone l’attività attraverso il contrabbando di greggio, cui negli ultimi due mesi l’aviazione russa ha inferto durissimi colpi. La Turchia, membro NATO che persegue precisi obbiettivi “neo-ottomani” all’interno della cornice di destabilizzazione del Levante, lavora gomito a gomito con un’altra autocrazia sunnita, il Qatar, uno dei principali finanziatori dell’ISIS 4.

Doha che, ricordiamo ospita una base della Royal Air Force e l’enorme piazza d’armi americana di Al Udeid e senza il consenso angloamericano non muoverebbe neppure i vigili urbani, corona questa alleanza tra potenze sunnite invitando Ankara ad aprire a sua volta una base militare nel minuscolo regno, per ospitare a regime 3.000 soldati turchi5. Il dispiegamento di eserciti stranieri in Qatar rispecchia fedelmente il patto d’acciaio tra Washigton, Londra, Ankara e Doha, con cui si mette a ferro e fuoco il Levante ed il Nord Africa.

Già, perché la stessa scellerata coalizione opera anche in Libia e lavora per la sua disintegrazione, usando sempre come braccio armato lo Stato Islamico. Abbiamo a più riprese analizzato il processo di destabilizzazione cui è scientemente sottoposta la Libia 6: contro la presenza diplomatica e politica dell’Italia, interessata al mantenimento dell’ordine per motivi economici e di sicurezza, gli inglesi piazzano l’autobomba che esplode nel giugno del 2013 nei pressi dell’ambasciata di Tripoli, ricorrendo ad un terrorista ingaggiato dai servizi di Sua Maestà7; in concomitanza si verifica una lunga serie di omicidi mirati che elimina ex-alti ufficiali dell’esercito, elementi di spicco dei servizi segreti e figure politiche di rilievo, col chiaro intento di privare il Paese di una spina dorsale 8; poi nel giugno del 2014 la formazione islamista Alba della Libia, sostenuta dalla Turchia e dal Qatar, rifiuta l’esito delle elezioni da cui è uscita la nuova Camera dei Rappresentanti guidata dal premier Abdullah al Thani 9 ed occupa la capitale, costringendo il legittimo esecutivo a riparare a Tobruk.

Sono vani gli appelli che l’esecutivo laico lancia per più di anno alla comunità internazionale affinché gli sia fornito l’appoggio militare e politico per ristabilire l’ordine: Washington e Londra sostengono infatti, velatamente ma inequivocabilmente, gli islamisti che ora controllano la Tripolitania. Non a caso dalla parte opposta della Libia, a Bengasi, si svolgono proteste anti-americane, dove i manifestanti chiedono le dimissioni dell’ambasciatrice statunitense Deborah K. Jones 10, accusata di parteggiare per le fazioni islamiste, ed invocano la riesumazione dei vecchi contratti stipulati da Gheddafi con Mosca per la fornitura di moderni sistemi d’arma. Serve infatti equipaggiamento efficiente per affrontare la nuova minaccia che insidia la già martoriata Libia11: l’ISIS, salito alla ribalta internazionale grazie all’esecuzione dei copti sulla spiaggia di Sirte.

Il filmato che ritrae l’aberrante scena si rivelerà12, come molti altri filmati scovati in rete dal SITE Intelligence Group dell’israeliana Rita Katz, un clamoroso falso, zeppo di errori nella montatura13.

Ma come è arrivato l’ISIS in Libia, dove non perde tempo ad alimentare il caos, piazzando bombe negli alberghi di Tripoli e sabotando gli oleodotti che trasportano verso la costa il greggio 14, unica fonte di ricchezza del Paese?

Ex-post si può tranquillamente affermare che i miliziani del Califfato sono traghettati per nave dalle coste turche sino ai porti libici di Sirte e Derna, che diventano rapidamente i due bastioni del Califfato. Non solo, è quasi sicuro che anche in Libia si ripetano gli stessi traffici che Mosca ha recentemente svelato in Siria: la Turchia, sempre col placet degli angloamericani, acquista il greggio libico su cui il Califfato riesce a mettere le mani e lo rivende sul mercato internazionale, così da alimentare incessantemente l’espansione dell’ISIS. Un po’ di dati per corroborare la nostra tesi: 5 gennaio 2015, l’esercito nazionale libico bombarda con alcuni caccia una petroliera battente bandiera liberiana a Derna, roccaforte all’ISIS15 ed importante terminal petrolifero; il 23 febbraio 2015 il governo di Tobruk bandisce dal suo territorio tutte le aziende turche, accusando Ankara di foraggiare gli islamisti16; l’11 maggio 2015 l’aviazione libica bombarda una nave turca che cerca di entrare nel porto di Derna17, violando il cordone sanitario attorno alla “capitale” dell’ISIS.

La NATO è all’oscuro di questa manovre? Non sa che Ankara e Doha si adoperano per diffondere e finanziare l’ISIS in Libia? Le probabilità che Londra e Washington non siano al corrente di queste operazioni, sono le stesse che ignorassero il contrabbando di greggio tra il Califfato ed Ankara in Siria ed Iraq. Gli angloamericani approvano e collaborano. Ora che Mosca e Teheran hanno inferto pesantissimi colpi allo Stato Islamico nel Levante, insediando le roccaforti lungo l’Eufrate, è stato aperto un corridoio marittimo per consentire ai miliziani in fuga di riversarsi in Libia, nuovo eldorado dell’ISIS. Cosi scrive il Financial Times l’11 dicembre18:

Foreign jihadis and Libyan returnees from the battlefields of Syria and Iraq have in the past year been pouring into Sirte, the coastal Libyan city which is now an Isis colony in a strategic location not far from crucial oil facilities. Isis controls almost 300km of Libya’s coastline. A UN report last month said the group’s fighters in Libya numbered between 2,000 and 3,000 jihadis, with about 1,500 in Sirte, and that the country offered an ungoverned space close to Europe and a place of “potential retreat”.

Come possono i miliziani dell’ISIS fuggire in Libia, sottraendosi non agli innocui raid angloamericani in corso da un anno ma ai bombardamenti russi iniziati a fine settembre, se non per nave, partendo dai porti della Turchia per sbarcare a Sirte o a Derna? Non esiste una via terrestre da cui i tagliagole del Califfato possano raggiungere l’ex-colonia italiana, dal momento che l’Egitto del generale Al-Sisi blocca l’accesso all’est del Paese: si spiega così anche l’ostinata contrarietà della NATO 19, comprese le nostre forze armate asservite agli interessi angloamericani, all’istituzione di un blocco navale, che impedirebbe di mettere in salvo i terroristi che operano in Siria ed Iraq e traghettarli in Libia.

Così l’ISIS si rafforza sulla Quarta Sponda, giorno dopo giorno, e sulla rivista online Dabiq, megafono del Califfato, si può leggere l’appello lanciato ai miliziani a convergere verso la Libia20:

Lo Stato islamico qui in Libia è ancora giovane. Abbiamo bisogno di ogni musulmano che può venire, soprattutto medici, personale amministrativo e giudiziario, oltre ai combattenti. La Libia è una porta sul deserto africano che apre a diversi Paesi . E il controllo dello Stato islamico su questa regione porterebbe al crollo economico l’Italia e tutti gli altri Stati europei.”

La strategia di destabilizzazione angloamericana, camuffata da operazioni mediatiche come il recente accordo per la nascita di un improbabile governo d’unità nazionale, ha nel mirino l’intero Nord Africa. Gli unici attori interessati a soffocare anziché alimentare il caos sono violentemente osteggiati da Londra, Washington e Tel Aviv: stiamo parlando dell’Egitto del generale Abdel Fattah Al-Sisi e l’esercito nazionale libico del generale Khalifa Haftar.

 

L’asse russo-egiziano, unica soluzione per evitare una nuova Somalia

Alla destabilizzazione del Nord-Africa e del Levante poggiante su forze islamiste-rivoluzionarie, sostenuta dagli angloamericani, francesi, israeliani ed autocrazie sunnite, si è opposta la strategia di consolidamento dello Stato e di lotta al terrorismo poggiante su forze nazionaliste-laiche, capeggiata dalla Russia e dagli alleati regionali, primo fra tutti l’Egitto del generale Al-Sisi.

Il crescente attivismo dell’ISIS nella penisola del Sinai ed i continui attentati contro l’industria turistica, sono infatti tentativi occidentali di mettere a sua volta in ginocchio il Cairo, portandone al collasso l’economia: per risposta il nuovo presidente egiziano ha rinsaldato ancora di più i rapporti con Mosca, firmando l’intesa per la costruzione della prima centrale nucleare sul suolo egiziano con tecnologia russa 21.

L’asse egiziano-russo si proietta anche nella vicina Libia, dove il Cairo sostiene apertamente il governo nazionalista-laico di Tobruk ed il generale Khalifa Haftar, nominato nel febbraio del 2015 a capo delle forze armate libiche. In più occasioni il premier Abdullah al-Thani sollecita l’intervento di Mosca nel convulso teatro libico, da ultimo il 2 dicembre quando dichiara che il esecutivo di Tobruk è pronto a trattare “al più alto livello” un’operazione congiunta tra le forze armate russe e l’esercito nazionale guidato da Haftar22.

Per reazione gli angloamericani si adoperano in ogni modo per screditare l’ex-alto ufficiale di Gheddafi. “Haftar, il generale che piace al governo di Tobruk e che americani e inglesi non vogliono” scrive La Stampa nel febbraio del 201523, descrivendo l’ostilità che gli angloamericani verso il generale e i timori nutriti a Tobruk che Washington e Londra vogliano sbarazzarsene, per installare un fantoccio, “un Karzai libico”, così da gestire a piacimento il Paese in alleanza con gli islamisti.

Il 2 novembre del 2015, nelle ultime fasi dei negoziati, appare su La Repubblica l’articolo “Mattia Toaldo: Così Haftar cerca di sabotare il piano Onu24 dove il ricercatore del European Council on Foreign Relations, l’ennesimo pensatoio creato per indirizzare la politica secondo i desiderata di Londra e Washington, insinua che il generale Haftar sia il principale ostacolo al buon esito delle trattative ed addirittura una minaccia per gli interessi dell’Italia: in verità i nostri servizi segreti, al contrario, collaborano da mesi proprio con Haftar25.

I timori del governo di Tobruk si materializzano: il generale Haftar è escluso dal nascente governo d’unità nazionale, gli islamisti di Tripoli ottengono un riconoscimento formale e come premier è scelto Faiez Al-Serraj, inviso allo stesso parlamento di Tobruk da cui è uscito e manovrabile a piacimento dagli USA. Il fatto che Haftar sia stato emarginato e che le fazioni islamiste abbiano ottenuto la legittimazione, trasforma l’accordo firmato in Marocco il 17 in un inutile pezzo di carta, utile solo agli angloamericani a proseguire la loro politica di destabilizzazione.

Mentre infatti continuano a convergere verso la Libia i miliziani dell’ISIS, si attende che il nascente esecutivo di Faiez Al-Serraj, privo di qualsiasi reale legittimazione, chieda un intervento militare straniero in Libia, ipotesi violentemente avversata più volte da Tripoli e Tobruk26. “ Britain hopes to send hundreds of troops to Libya after peace deal” titola il 17 dicembre The Guardian27, asserendo che Londra aspetta con ansia l’invito a dispiegare fino a mille militari in Libia, mentre il The Times ipotizza già una missione a guida italiana, forte di 6.000 unità, per addestrare e sostenere le forze di sicurezza libiche28.

Sembra di assistere alla riproposizione di un film già visto in Somalia nel 1991: gli angloamericani rovesciano il presidente filo-italiano Mohammed Siad Barre, il Paese precipita nel caos, a quel punto intervengono le Nazioni Unite (la Unified Task Force a guida americana cui partecipano italiani, inglesi, francesi, etc. etc.), la missione termina con un clamoroso fallimento e dopo quasi 25 anni il Paese del Corno d’Africa è ancora dilaniato dalla guerra civile. Il Regno Unito però ne approfitta, lavorado assiduamente per la secessione della ex-Somalia inglese (Somaliland) di cui cerca di sfruttarne le risorse petrolifere29 violando i divieti ONU alla ricerca ed all’estrazione di greggio.

Anziché progettare un disastroso intervento militare nella nostra ex-colonia, come sta già purtroppo avvenendo (il consigliere militare dell’ONU per la Libia è il generale Paolo Serra, formato negli USA come tutti gli alti ufficiali del nostro esercito), l’Italia dovrebbe ricordare l’esperienza della Somalia degli anni ’90: sostenere le iniziative degli angloamericani, interessati a fomentare il caos ed alimentare le spinte centrifughe, comporta solo rischi e danni, potenzialmente enormi in termini economici, umani e di immagine agli occhi del mondo arabo, senza alcun nessun beneficio. Il fenomeno dei signori della guerra e del terrorismo islamico esplode in Somalia dopo l’intervento della Nazioni Unite, che si ritirano nel 1995 lasciando il Paese in preda al caos. “The Lessons of Somalia: Not Everything Went Wrong” titolava allora Foreign Affairs, la rivista del Council on Foreign Relations: gli angloamericani sfruttano infatti l’occupazione della Somalia per inoculare i batteri da cui germineranno nel giro di pochi anni i futuri capi di Al Qaida e la Somalia è ancora oggi fonte di destabilizzazione per l’intero Corno d’Africa.

Mogadiscio è un monito ad evitare qualsiasi avventura simile.

C’è un’alternativa? Certo, è quella di agire congiuntamente con il governo di Tobruk, l’Egitto e la Russia: armando l’esercito nazionale libico e fornendogli copertura aerea, è possibile sconfiggere i miliziani dell’ISIS e debellare la minaccia islamista, senza mettere uno stivale a terra. L’intervento militare russo in Siria dimostra che l’azione congiunta di una potente forza aerea straniera e di un esercito nazionale che combatte al suolo è risolutiva.

Oserà mai l’Italia di Matteo Renzi giocare l’unica carta vincente, ossia quella russo-egiziana?

È quasi impossibile, nonostante i saltuari ammiccamenti a Mosca ed al Cairo, perché il margine di manovra dell’esecutivo italiano è limitatissimo. Come dimostrano i recenti fatti relativi alla Banca Etruria ed al disastroso salvataggio degli istituti di credito, l’ex-sindaco di Firenze non resisterebbe 24 ore sotto il fuoco di uno scandalo mediatico-giudiziario che Washington può innescare a piacimento. Ecco perché è sempre più concreto l’intervento militare italiano in Libia, che trasformerà la Quarta Sponda in una Somalia a due passi dalla Sicilia.

Dato il contesto generale, potrebbe essere l’ultima scellerata azione del marcescente establishment italiano.

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Note

1 http://www.lookoutnews.it/libia-leon-annuncia-nomi-governo-unita-nazionale/

2 http://www.corriere.it/esteri/15_dicembre_18/accordo-che-rida-futuro-libia-df00b41a-a556-11e5-a238-fd021b6faac8.shtml

3 http://www.lastampa.it/2015/12/17/esteri/libia-tutto-pronto-per-la-firma-KnhieXJucWWTRv6IOfgE5O/pagina.html

4 http://www.repubblica.it/economia/2015/11/20/news/qatar_isis_italia-127717794/

5 http://www.defensenews.com/story/defense/2015/12/16/turkey-build-military-base-qatar/77421650/

6 http://federicodezzani.altervista.org/sbarchi-di-massa-lucraina-del-mediterraneo/

7 http://www.panorama.it/news/oltrefrontiera/attentato-in-libia-i-sospetti-dei-nostri-servizi/

8 http://www.repubblica.it/esteri/2013/12/05/news/libia_insegnante_usa_ucciso-72757346/

9 http://federicodezzani.altervista.org/libia-sfida-russia-usa/

10 http://www.lastampa.it/2015/02/14/esteri/libia-lisis-avanza-e-lancia-un-ultimatum-appelli-allonu-per-un-intervento-coordinato-84Mzio5rCe6nx6zFgawpnI/pagina.html

11 http://federicodezzani.altervista.org/libia2-evitata-la-follia-del-2011-aiutare-nostri-vincere/

12 https://www.youtube.com/watch?v=V9B8pcJlFhs&bpctr=1450450659

13 http://www.corriere.it/esteri/15_febbraio_22/forse-falso-video-dell-uccisione-21-cristiani-giustizia-dall-isis-02deedb0-ba6c-11e4-9133-ae48336c4c83.shtml

14 http://federicodezzani.altervista.org/libia2-evitata-la-follia-del-2011-aiutare-nostri-vincere/

15 http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2015/01/05/nave-greca-bombardata-in-libia-2-morti_dcdc9edf-5960-4319-b76e-40058e9d4900.html

16 http://www.repubblica.it/esteri/2015/02/23/news/libia_turchia_esclusione_contratti-107996829/

17 http://www.reuters.com/article/us-libya-security-turkey-idUSKBN0NW0K720150511

18 http://www.ft.com/intl/cms/s/0/b4fec58a-9f1b-11e5-85ae-8fa46274f224.html#axzz3uga4ONg1

19 http://www.corriere.it/cronache/15_giugno_21/no-blocco-navale-libia-2308f284-17dc-11e5-b9f9-a25699cf5023.shtml

20 http://www.askanews.it/esteri/derna-gia-come-raqqa-si-rischia-santuario-dell-isis-in-libia_711665219.htm

21 http://www.reuters.com/article/us-nuclear-russia-egypt-idUSKCN0T81YY20151119

22 http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/mediooriente/2015/12/02/libia-premier-auspica-intervento-russo_72fb0625-4143-4099-b3d3-ad64343a896a.html

23 http://www.lastampa.it/2015/02/23/blogs/caffe-mondo/haftar-il-generale-che-piace-al-governo-di-tobruk-e-che-americani-e-inglesi-non-vogliono-9JTAEXsvL12xF4QLjjOwZM/pagina.html

24 http://www.repubblica.it/esteri/2015/11/02/news/mattia_toaldo_cosi_haftar_cerca_di_sabotare_il_piano_onu_-126454759/

25 http://english.alarabiya.net/en/views/news/middle-east/2015/02/16/Black-flags-over-Libya-show-ISIS-is-on-the-warpath.html

26 http://www.repubblica.it/esteri/2015/05/29/news/libia_unione_europea_migranti-115567975/

27 http://www.theguardian.com/world/2015/dec/17/britain-hopes-to-send-hundreds-of-troops-to-libya-peace-deal

28 http://www.askanews.it/minaccia-isis/libia-times-pronti-mille-uomini-gb-per-missione-a-guida-italiana_711689607.htm

29 http://www.bloomberg.com/news/articles/2015-10-01/soma-oil-lobbies-u-k-to-oppose-proposed-moratorium-on-somalia

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claudio
Monday, 28 December 2015 15:34
La sua è una tesi condivisibile, ma a mio modo di vedere, per essere veramente completa, andrebbe integrata con un’analisi esplicita dei rapporti in materia tra gli stati europei, dalla quale presumo che emergerebbe che tutti i paesi del blocco est sono per ragioni storico/politiche anti russi, la Francia ha cominciato per prima a bombardare la Libia per soffiare il petrolio ed il gas all’Italia e si muove tutt’ora in quella lunghezza d’onda, dell’Inghilterra ha detto, ma nella prospettiva del suo prossimo referendum, ritengo che sarebbe conveniente chiarire se sia veramente utile continuare ad averla come cavallo di Troia nella Ue. A parte Spagna e Portogallo, alle prese con notevoli problemi politici interni e che sulla questione in esame ritengo che contino poco, come del resto vari altri paesi periferici, resta da vedere il ruolo tedesco e della cosiddetta Alto rappresentante per la politica estera e vice presidente della Commissione europea, Federica Mogherini. Personalmente ritengo, ma posso sbagliarmi, che la Germania con la Russia abbia tenuto un atteggiamento molto equivoco, sostenendone le sanzioni, poi ha giocato un ruolo smaccatamente nazionalistico ed anti-italiano coi gasdotti del sud e nord. A tale ruolo la Germania non è nuova, avendolo giocato con destrezza durante tutta la fase della crisi dei titoli sovrani, mentre ora tale atteggiamento dimostra l’elevato livello di crisi politica a cui è giunta la Ue. Per quanto infine concerne la nullità politica della rappresentate italiana nella Commissione europea, ritengo che in quell’occasione della sua elezione a tale ruolo, Renzi abbia commesso uno dei suoi più macroscopici errori, ed ora soprattutto sulla questione libica ne paga, insieme al Paese, le conseguenze.
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