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Volo Egyptair, regolamento di conti ad alta quota

di Federico Dezzani

hollandeal sisiI cieli dell’Egitto, di questi tempi, sono più pericolosi del triangolo delle Bermude, soprattutto per gli aerei che transitano da uno scalo di un Paese alleato del presidente Abd Al-Sisi: il disastro del volo Egyptair MS804 presenta forti analogie con l’attentato al volo russo Metrojet 9268, perpetrato ufficialmente “dall’ISIS”. Il mezzo di trasporto, la tratta percorsa ed il momento della quasi certa esplosione sono vocaboli di un preciso lessico terroristico, con cui gli ambienti atlantici esprimono il loro disappunto per l’intraprendenza francese in Egitto ed Libia, in contrasto con gli interessi angloamericani. L’attentato denota un salto di qualità nel contesto internazionale, spostando la lotta per gli assetti mediorientali dentro al ristretto “patto di sindacato” della NATO.

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I parallelismi tra il volo Egyptair MS804 ed il Metrojet 9268

Appartiene agli anni ’50-’60, l’epoca dei primi voli commerciali transoceanici col puntuale scalo alle isole Azzorre, il mito del triangolo delle Bermude: era il tratto di oceano “maledetto” tra l’arcipelago delle Bermude, l’isola di Puerto Rico e la penisola della Florida, dove si narrava che aeroplani e navi scomparissero sovente nel nulla. Aride menti scientifiche smontarono presto questo affascinante mito della rampante aviazione civile, dimostrando, dati statistici alla mano, che il numero di sparizioni fosse simile a qualsiasi altra parte del globo e, in ogni caso, facilmente spiegabile con le frequenti tempeste tropicali dell’area.

Per gli appassionati del genere, c’è terreno fertile per creare una nuova leggenda metropolitana: “il triangolo delle Bermude egiziano”, coincidente, grossomodo, con lo spazio aereo del Paese nordafricano, governato dall’ex-feldmaresciallo Abd Al-Sisi. Corrono parecchi rischi gli aeromobili che attraversano questo tratto di cielo e le probabilità di incorrere in un disastro aereo aumentano esponenzialmente se l’aereo batte la bandiera, o transita da uno scalo, di un Paese in buoni rapporti politici ed economici con il sullodato Abd Al-Sisi.

A creare il mito del “triangolo delle Bermude egiziano” contribuì in principio il volo l’Airbus 321 della compagnia aerea russa Metrojet/Kogalymavia, partito dall’aeroporto internazionale di Sharm el-Sheikh e diretto allo scalo di San Pietroburgo: l’aereo esplode nei cieli sopra la penisola del Sinai, portandosi con sé i 224 occupanti, essenzialmente turisti russi di ritorno dalla vacanze sul Mar Rosso.

A distanza di poche ore inizia a circolare la voce di un possibile attentato di matrice islamista, benché le autorità egiziane e quelle russe neghino in primo tempo questa possibilità. Pian piano, prima Mosca e poi il Cairo, devono avvalorare l’ipotesi avanzata sin dalle prime ore dal SITE Intelligence Group diretto dall’israeliana Rita Katz: il responsabile è il fantomatico ISIS, l’onnipresente ed onnipotente Spectre islamista che dirige il terrorismo mondiale da Raqqa, Siria orientale. Che dietro “il Califfato” si nascondano i servizi angloamericani ed israeliani, l’abbiamo detto troppe volte per ripeterlo ancora. Con l’abbattimento del volo Metrojet, i poteri atlantici perseguono un duplice obbiettivo: punire Mosca per il suo intervento militare in Siria a sostegno di Damasco (il disastro aereo si consuma il 31 ottobre 2015, a distanza di un mese dall’avvio della campagna russa) e mettere in ginocchio la strategica industria del turismo egiziana (i turisti occidentali sono frettolosamente imbarcati su voli militari che fanno scalo a Cipro).

Ad alimentare il mito del “triangolo delle Bermude egiziano” interviene poi, ed è cronaca di queste ore, il disastro dell’Airbus 320 della compagnia area Egyptair, decollato dall’aeroporto parigino Charles De Gaulle alle 22.45 del 18 maggio ed inabissatosi nei pressi di Creta, appena dopo essere entrato nello spazio aereo egiziano, attorno alle 2.30 del 19 maggio, trascinandosi con sé i 66 occupanti, di cui 15 francesi e 30 egiziani.

L’ultima comunicazione ricevuta dalle torre di controllo dell’aeroporto di Atene risale alle 2.25: a distanza di pochi minuti l’Airbus, da cui non parte alcun segnale d’emergenza, avrebbe compiuto una prima brusca virata di 90 gradi in un senso poi, come fuori controllo, una seconda virata nell’altro senso di 360 gradi, scendendo rapidamente dai 40.000 (12 km) ai 10.000 piedi d’altitudine, per poi scomparire dai radar. L’aereo, “moderno” e puntualmente revisionato, era arrivato a Parigi dopo aver percorso nella giornata di mercoledì il tragitto Asmara-Cairo-Tunisi, imbarcando, di volta in volta, passeggeri e bagagli.

Come nel caso del volo Metrojet è subito avvalorata la pista del terrorismo, con l’unica differenza che, questa volta, anche le autorità egiziane (sollevate dal fatto che l’Airbus non è decollato da Sharm el-Sheikh, ma da Parigi) contemplano apertamente la possibilità dell’attentato.

Il direttore dell’FSB russo Alexander Bortnikov, esperti internazionali di aviazione civile, il Copasir italiano, voci dell’amministrazione Obama e fonti non precisate della CNN, ritengono che si tratti di una strage deliberata. Già nel primo pomeriggio del 19 maggio, il ministro dell’Aviazione egiziano Sherif Fatih afferma che “si potrebbe trattare di un atto terroristico, ma al momento non abbiamo certezze”. Più cauto è il governo francese (“aucune hypothèse ne peut être écartée sur les causes de cette disparition” dice il premier Manuel Valls verso le ore 15), per la stesso motivo per cui le autorità egiziane furono le ultime ad ammettere la natura terroristica del disastro aereo dello scorso ottobre: avvalorare la pista del terrorismo, significa per Parigi ammettere che non è stata in grado di garantire la sicurezza di un volo decollato dai suoi aeroporti.

Stranamente più cauta, ma non per questo meno possibilista, la solita Rita Katz, abilissima nello scovare in rete le rivendicazioni dell’ISIS di questo o quell’attentato. Che questa volta, a differenza delle stragi di Parigi e Bruxelles, i servizi israeliani non siano della partita?

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Che si tratti di un attacco terroristico è pressoché certo, dal momento che tutti gli elementi sono ascrivibili al consueto lessico terroristico con cui i poteri atlantici redarguiscono nemici o “alleati” fuori dallo spartito: l’aeroplano, feticcio dello stragismo angloamericano, la tratta Francia-Egitto sui cui è consumato il disastro e la dinamica dell’attentato, ossia la probabile deflagrazione in volo di un ordigno, non lasciano adito a dubbi che si tratti di un “pizzino” al Cairo ed a Parigi.

A cosa è dovuta questa attenzione verso Parigi? Qual è il motivo dell’interessamento atlantico per la Francia?

Ripartiamo dal volo Metrojet. L’attentato, come abbiamo detto, mirava sia a punire Mosca per il suo attivismo in Siria, sia a mettere in ginocchio il turismo egiziano, infliggendo un duro colpo ad Al-Sisi che aveva impostato la sua presidenza proprio sul ritorno alla pace sociale ed alla normalità. Colpire l’Airbus sulla tratta Sharm el-Sheikh-San Pietroburgo, significava però anche colpire simbolicamente le relazioni russo-egiziane. Il presidente Abd Al-Sisi, conscio di quanto fosse inviso a Londra e Washington, è stato il grande artefice dell’apertura a Mosca, concretizzatasi nella firma di contratti miliardari per la fornitura di armi1 e nell’accordo per la costruzione della prima centrale nucleare egiziana a Dabaa, sulle coste del Mar Mediterraneo2.

Analogamente, colpire il volo Egyptair sulla tratta Parigi-il Cairo significa mettere nel mirino le relazioni franco-egiziane, su cui, sia il presidente François Hollande che Abd Al-Sisi, hanno investito molto, sino a farne uno dei cardini dell’assetto regionale.

Come abbiamo sottolineato nel nostro recentissimo articolo (ed il tempismo non susciti sospetti nei più maliziosi), se l’Italia è stata sganciata obtorto collo dall’Egitto con l’omicidio Regeni ed il martellamento mediatico e diplomatico di contorno, la Francia, da sempre più zelante nel difendere i propri interessi, ha proseguito la sua pluridecennale penetrazione economica e politica dell’Egitto, a discapito del Regno Unito e degli Stati Uniti, che lavorano per la caduta di Abd Al-Sisi sin dal suo insediamento. L‘affaire Regeni ed il richiamo dell’ambasciatore italiano per consultazioni, non impedisco di certo a François Hollande di compiere a metà aprile una visita di due giorni al Cairo, siglando una trentina di contratti, incentrati soprattutto sul settore militare3: le aziende belliche transalpine, infatti, fanno la parte del leone nell’Egitto di Al-Sisi, spaziando dalla vendita di 24 caccia Rafale (pagati da Riad), alle corvette Gowind, per concludere con le due portaerei Mistral, inizialmente destinate alla Russia.

La Francia di Hollande si offre come “nume tutelare” di Al-Sisi, alla disperata ricerca, proprio come la monarchia dei Saud, di saldo appiglio internazionale, che gli angloamericani, adottata la strategia della destabilizzazione regionale, non possono più offrire.

Non solo: c’è anche la questione della Libia. Mentre l’Italia, un po’ per la pressione diplomatica americana un po’ per gli strascichi dell’omicidio Regeni, è costretta ad abbondare il generale Khalifa Haftar sponsorizzato dall’Egitto, per abbracciare la causa dell’effimero governo d’unità nazionale libico, la Francia, al contrario, rimane fedele alle alleanze iniziali, incrementando addirittura nei primi mesi del 2016 il sostegno militare all’ex-ufficiale gheddafiano, con l’invio di commando e corpi speciali. È superfluo dire che, nel momento in cui Haftar rigetta un compromesso con il governo d’unità nazionale e si appresta a marciare dalla Cirenaica verso Sirte, nell’ottica di una riunificazione manu militari della Libia, l’attrito tra gli angloamericani ed i francesi è destinato ad aumentare ulteriormente.

È in questa cornice che va collocato l‘attentato al volo Egyptair: un vero e proprio salto di qualità nella lotta sempre più incandescente per accaparrarsi sfere d’influenza, mercati di sbocco e fonti di approvvigionamento energetico.

 

Volo Egyptair, un segnale del rapido deterioramento internazionale

Che le acque si stiano intorbidendo e che la tensione internazionale sia in costante e sensibile aumento, non è certo una novità di queste ultime settimane. Come abbiamo più volte sottolineato nei nostri lavori, il peggioramento delle condizioni economiche, certificato dall’avanzare delle deflazione e dalla preoccupante esplosione dei debiti pubblici, ed il deterioramento del panorama politico globale sono grandezze direttamente proporzionali: per frenare la loro caduta e mantenere inalterati i rapporti di forza, gli angloamericani hanno adottato l’aggressiva strategia di destabilizzare regioni sempre più estese, dal Medio Oriente all’Europa dell’Est, dal Sud America all’Estremo Oriente.

Finché i colpi bassi sono rifilati a “nemici storici” come la Russia (l’attentato al volo Metrojet per rimanere in tema), o ad “alleati” storicamente subalterni come l’Italia (l’omicidio Regeni), si rientra ancora nella norma: diverso è il caso del volo Egyptair, con cui gli angloamericani entrano a gamba tesa sulla Francia, alleata fino a ieri di mille avventure, dalla defenestrazione del Colonnello Gheddafi ai tentativi, frustrati, di rovesciare il regime baathista in Siria (si ricordi che Hollande rimane col cerino in mano nell’estate 2013, quando Barack Obama scansa all’ultimo momento il progetto di bombardare Damasco). L’attentato al volo Egyptair è una spia di quanto la situazione internazionale si stia incancrenendo: persino alleati blasonati come i francesi, membri ufficiali del ristretto patto di sindacato della NATO, non sono risparmiati da chiare intimidazioni mafiose, affinché rientrino in carreggiata e abbandonino al loro destino Al-Sisi ed Haftar.

L’esito, d’altra parte, era inevitabile e da Oltralpe erano partiti già diversi segnali di una latente, ma montante, tensione tra Francia e Stati Uniti.

Il sostegno fornito da Parigi al presidente egiziano Al-Sisi ed al generale libico Khalifa Haftar avrebbe, infatti, scavato presto o tardi un solco sempre più profondo tra Parigi e Washington, accorciando d’altro lato le distanze con Mosca, anch’essa a fianco dell’ex-feldmaresciallo egiziano e del governo laico-nazionalista di Tobruk. Non solo, l’affievolirsi delle tensioni tra Washington e Berlino sul tema dell’austerità e la delega statunitense sempre più ampia ad Angela Merkel per la gestione degli affari europei, avrebbe inevitabilmente alimentato l’insofferenza francese, contribuendo anch’essa al riavvicinamento a Mosca, così da ridimensionare il ruolo della Germania. Ne sono seguiti due significativi episodi: la minaccia francese di bocciare il TTIP (“Non siamo per un libero scambio senza regole. Mai accetteremo la messa in discussione dei principi essenziali per la nostra agricoltura, la nostra cultura, per la reciprocità all’accesso dei mercati pubblici” ha detto François Hollande il 3 maggio4) ed il voto dell’Assemblea Nazionale francese in favore della revoca delle sanzioni alla Russia5.

È difficile dire quanto a lungo la Francia, afflitta da un’economia in condizioni critiche e da una società in ebollizione per via della crisi, possa seguire una politica estera in collisione con quella angloamericana: di sicuro, l’attentato al volo Egyptair è il primo inconfutabile avvertimento a correggere velocemente la rotta, evitando mosse troppe audaci ed autonome, in Libia come in Egitto.

Le forze centrifughe che stanno corrodendo il blocco atlantico hanno quindi compiuto un salto di qualità il 19 maggio, spostandosi dentro il “patto di sindacato” della NATO ed intaccando l’alleanza stretta nel 2011 tra Parigi e Washington per ridisegnare il Medio Oriente: man mano che il quadro economico si deteriora e prevale in ogni attore la tendenza a ritagliarsi il più ampio spazio di manovra possibile, il caos aumenta e si riducono i tempi tra una frattura e l’altra.

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Note

1 http://www.reuters.com/article/us-russia-egypt-arms-idUSKBN0HC19T20140917

2 http://www.reuters.com/article/us-nuclear-russia-egypt-idUSKCN0T81YY20151119

3 http://www.affaritaliani.it/esteri/egitto-francia-hollande-al-cairo-firmati-30-accordi-417679.html?refresh_ce

4 http://www.repubblica.it/economia/2016/05/03/news/la_francia_dice_no_al_ttip_stati_uniti_all_angolo-138997701/?rss

5 http://it.sputniknews.com/politica/20160428/2567776/francia-russia-sanzioni-revoca.html

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