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La vittoria di Donald Trump

Tra rottura e ripetizione della Storia

di Piotr

La candidatura Clinton era il frutto marcio di un'America stravolta che la crisi sistemica ha reso torva, torbida, ipocrita, feroce e cinica

trump 2612021. Donald Trump è il nuovo presidente degli Stati Uniti d'America

Non esulto. Non gioisco. Sono solo moderatamente meno preoccupato. Per il momento.

La candidatura Clinton era il frutto marcio di un'America stravolta che la crisi sistemica ha reso torva, torbida, ipocrita, feroce e cinica ben più di quanto già fosse quando nel secolo scorso gettò due bombe atomiche sui civili giapponesi e uccise in Vietnam circa 2 milioni di persone.

Le élite che più di duecento anni fa ci hanno donato l'Illuminismo, hanno fatto la Rivoluzione Francese e scritto i Diritti dell'Uomo e del Cittadino, da tempo vogliono sbarazzarsi dei vincoli che i loro stessi vecchi valori impongono alle loro idee e alle loro azioni. Dopo la presa del potere della borghesia quei vincoli furono trasformati in ipocriti simulacri e disattesi con regolarità, ma c'era un ritegno, a volte solo formale, che comunque non permetteva di gettarli esplicitamente a mare. La borghesia come classe che doveva occupare ed egemonizzare lo spazio sociale aveva bisogno di un decente apparato ideologico. Oggi, nell'attuale crisi sistemica questi vincoli per quanto formali essi possano essere sono lo stesso sentiti come un'insopportabile camicia di forza che non permette tutte le sconsiderate azioni che le élite pensano di dover fare per mantenere la loro supremazia. Da quando è scoppiata la crisi, nel secolo scorso, la borghesia come corpo sociale si è dissolta, lasciata come falso bersaglio per falsi alfieri del proletariato, e le sue ristrette élite si sono rintanate in bunker inaccessibili a qualunque classe sociale, fuori del raggio d'azione di qualsiasi controllo democratico, impermeabili a qualsiasi valore, laico o religioso.

Ecco allora che ogni ritegno viene meno, che l'appello ipocrita ai diritti umani definiti nell'epoca moderna si accompagna al sostegno spudorato di forze ultra-oscurantiste premoderne e l'appello alla democrazia si accompagna all'istigazione a delinquere e al sostegno esplicito a nazisti dichiarati. Stiamo parlando di Siria e Ucraina.

Questo è ciò che rappresentava Hillary Rodham Clinton. Questo è ciò che fino a ieri ha esaltato la nostra sinistra e la sua corte di intellettuali.

La devastazione della "più bella Costituzione del mondo", cioè la nostra, è parte integrante di questo processo e di questa mentalità.

Questa è la cifra culturale dell'epoca contemporanea. Un disastro.

Non è un caso che i due candidati alla Casa Bianca siano stati i meno amati di tutta la storia statunitense e che il più "impresentabile", Donald Trump, sia forse addirittura il meno funesto.

 

2. Trump, il populismo e la crisi sistemica

I paragoni tra la vittoria di Trump e quella di altri "populisti", a partire da oggi e per molte settimane si sprecheranno. Nella vituperata categoria verranno inseriti e paragonati a lui personaggi che niente hanno a vedere l'uno con l'altro. Di sicuro si rammenterà l'inaspettata vittoria di Berlusconi, poi si passerà all'ungherese Orbán, non ci si dimenticherà del filippino Duterte (che tanto dispiacere sta dando agli Stati Uniti) e, statene pur certi, qualcuno non si periterà di citare persino Putin, se non altro perché se si parla di qualcosa di negativo Putin va sempre tirato in ballo.

Ah, dimenticavo, va da sé che verrà tirato in ballo anche Beppe Grillo.

Ho già avuto modo di riflettere sul termine "populismo" (si veda [1]). In sintesi, "populista" è chiunque non condivida la razionalità corrente, quella dettata dalle élite dominanti, adatta ad un obiettivo perfettamente razionale che altro non è se non la riproduzione delle élite stesse. È quindi populista chi vorrebbe che le persone avessero un lavoro per poter fornire di un progetto la propria vita. È populista chi non comprende le ragioni dell'Alta Finanza e dei suoi guru che parlano a suon di schemi logici e di formule matematiche (in realtà matematicamente e logicamente poco interessanti). In altri termini, è populista chi non si preoccupa degli interessi delle élite, perché ciò vorrebbe dire non essere in grado si trascendere la percezione immediata della realtà e adeguarsi invece al banale modo immediato di percepire del "popolo". Cosa ritenuta sommamente antiprogressista e irrazionale.

Ma cosa vuol dire l'elezione del "populista" Trump, dal punto di vista di un consuntivo e di un preventivo storico? Perché se questa elezione è una soluzione di continuità, lo è tra un prima che conosciamo, o dovremmo conoscere, e un dopo che non è ancora accaduto ma dovremmo cercare di prevedere.

 

3. Le crisi sistemiche riconfigurano il mondo

Con "crisi sistemica" non intendo quella che è scoppiata con i subprime. Lascio agli specialisti di economia questa idea. Io non so nulla di economia e quindi per me questa crisi finanziaria è solo una "sottocrisi", cioè il fallimento di una strategia per contrastare la crisi sistemica vera e propria che si protrae da circa mezzo secolo. Una crisi che è per sua natura internazionale: internazionali sono le sue cause e internazionali le sue conseguenze. Necessariamente.

Perché?

Il capitalismo, in quanto sistema finalizzato all'accumulazione infinita, nasce in Occidente e nasce extravertito, per usare un termine dell'economista Samir Amin. Nasce cioè proiettato necessariamente all'esterno. Si pensi alla sua patria d'origine, quell'isoletta periferica galleggiante tra freddi mari del Nord, chiamata Gran Bretagna, che conquistò il più grande impero formale della Storia. In modo sintetico ma preciso, il termocapitalismo occidentale moderno nacque con la conquista inglese del Bengala. Coi proventi di quella colossale rapina gli Inglesi riuscirono a ripianare i loro debiti coi banchieri olandesi e a investire nelle invenzioni che diedero vita alla Prima Rivoluzione Industriale; infine relegarono i già predominanti Olandesi stessi a un ruolo marginale. Poi la leadership passò, con le due guerre mondiali del Novecento, agli Stati Uniti d'America, una sorta di isola colossale, senza nemici di terra e bagnata dai due grandi oceani commerciali. Ora questa leadership è in crisi, una lunga crisi iniziata col Nixon shock del 1972, quando Richard Nixon dichiarò a tutto il mondo che il Dollaro non si basava più sull'oro ma sulla potenza militare, politica e culturale degli Stati Uniti. Nel termocapitalismo extravertito occidentale i processi di accumulazione generano terremoti internazionali e, viceversa, ogni terremoto internazionale ha effetti sui processi di accumulazione. La crisi di sovraccumulazione che iniziò a conclamarsi alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso e annunciata col Nixon shock, fu affrontata spostando gli investimenti dal commercio e dall'industria alla finanza (ecco l'origine della famosa finanziarizzazione) e con la globalizzazione, con cui la finanza occidentale intercettava il plusvalore prodotto nei cosiddetti Paesi emergenti, in primis la Cina e il resto dell'Oriente asiatico. Il tentativo di rapina della Russia, rapina agevolata dal cleptocrate Boris Eltsin beniamino "democratico" dell'Occidente, era parte di questo processo.

L'Impero Britannico nel bel mezzo della sua crisi sistemica (iniziata nel 1873 con la Lunga Depressione) cercò di reagire raddoppiando i suoi domini diretti sul resto del mondo per scaricare su di esso le contraddizioni generate dal processo di accumulazione e contrastare le potenze che allora stavano emergendo, cioè gli USA e la Germania. Allo stesso modo gli Stati Uniti stanno cercando oggi di ampliare a dismisura il loro impero per lo stesso motivo. Ora i competitors si chiamano Cina e Russia, una Russia rimessa in piedi, dallo stato pietoso in cui versava, da Putin, non a caso il nuovo cattivissimo dell'establishment statunitense con il seguito belante dei suoi vassalli. Se ci mettiamo dal punto di vista dell'impero statunitense, questo tentativo di sovraespansione è più che comprensibile, proprio per quanto abbiamo detto. Poiché il Dollaro è sostenuto dallo strapotere americano (che gli permette di godere, per dirla con l'ex presidente francese Valéry Giscard d'Estaing, di un "privilegio esorbitante"), se questo strapotere dovesse essere drasticamente ridimensionato, che cosa succederebbe all'economia, alla finanza e alla società statunitensi? Qualcosa di estremamente grave se il grande storico e geografo inglese David Harvey ha facilmente predetto che qualsiasi attacco o minaccia al predominio del Dollaro avrebbe suscitato "una reazione, anche militare, selvaggia".

E mantenere lo strapotere vuol dire essere costretti ad accrescerlo, perché l'accumulazione di ricchezza e di potere nel capitalismo soffre della sindrome di Alice oltre lo specchio: bisogna correre sempre più forte per rimanere per lo meno nello stesso punto.

È un segreto solo per chi non vuole vedere. Un segreto alla luce del sole, rivelato senza reticenze ad esempio da Thomas Friedman due anni prima delle Torri Gemelle, nel suo "Manifesto per il mondo veloce": «La mano invisibile del mercato non funzionerà mai senza un pugno invisibile ... chiamato Esercito, Aviazione, Marina e Corpo dei Marines degli Stati Uniti».

 

4. Finanziarizzazione e globalizzazione vogliono dire impoverimento della classe media e della classe operaia

Oggi molti commentatori vedono nella vittoria di Trump una "rivincita" di quelle classi. E lo è. Ma i commentatori mainstream non tirano solitamente le conseguenze di quanto affermano. Non ci riescono o non gli va di farlo. Cerchiamo allora di tirarle noi, così come siamo in grado di fare.

La vittoria di Obama è stato un grande e prolungato addio delle speranze progressiste, un addio decorato dal primo presidente nero degli Stati Uniti, il regalo d'addio più lussuoso che il sistema americano potesse presentare. Un lusso che ha fatto letteralmente prendere abbagli, veder miraggi, al "popolo di sinistra" italiano. Sotto le sue due "tenures" la classe media non ha smesso di impoverirsi, per la maggior gloria di Wall Street e il numero dei cittadini afroamericani fucilati dalla Polizia ha raggiunto un livello inaudito. Questo tanto per far capire che tra l'aspetto e le parole e il fare c'è di mezzo il mare. Una cosa che il "popolo di sinistra" però non credo capirà mai, per via delle sue tare che confonde per "ideali".

Il lungo addio americano delle speranze progressiste segue quello che in Europa è iniziato - anche se non ancora finito ma ci manca poco - con Tony Blair, con François Mitterrand, con Gerhard Schröder. In India è stato il lungo addio del Partito del Congresso e anche, in certi Stati indiani, dei partiti comunisti locali.

Non diversamente in Italia. Col centrosinistra, paladino entusiasta della finanziarizzazione e della finanziarizzazione, le condizioni dei lavoratori e dei giovani sono peggiorate come sotto il centrodestra non era successo. In parallelo sono aumentati i doni all'Alta Finanza come nemmeno Berlusconi e Tremonti osavano fare. Per non parlare del supino allineamento a tutte le aggressioni imperiali.

La Storia si ripete. Quasi un secolo fa la destra si era già presentata come alfiere degli interessi (ovviamente non quelli "di classe") degli strati sociali dei lavoratori in generale. Lo fece il Fascismo e lo fece il Nazismo. Se si analizzano i meccanismi di rapina finanziaria imposti dalle potenze anglosassoni alla Repubblica di Weimar, troviamo dei paralleli sconcertanti con quanto succede adesso. Quando Lord Keynes le accusò di stare lastricando la strada per una seconda guerra mondiale, sapeva esattamente quel che diceva. Così fu. Il Fascismo e il Nazismo erano la reazione all'impoverimento dovuto a quella rapina e alla sconfitta dei generosi tentativi rivoluzionari dei socialisti di sinistra in Italia (il Biennio Rosso) e dei comunisti in Germania (la rivolta Spartachista). Bisogna sempre ricordarsi che i leader spartachisti tedeschi Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht furono assassinati non dalla destra, ma dai Corpi Franchi che facevano capo al più grande partito progressista di allora, il Partito Socialdemocratico Tedesco, in particolare a Gustav Noske, ministro della Difesa.

La Storia si ripete ricorsivamente e non necessariamente in forma di farsa. Le ripetizioni possono essere tragiche come le volte precedenti. Ma quel che cambia, in continuazione, sono le condizioni in cui si svolge la ripetizione.

Nei primi decenni del secolo scorso il Fascismo e il Nazismo presero il potere in Potenze subordinate che cercavano di espandersi ai danni della Potenza allora egemone, la Gran Bretagna. Oggi Donald Trump vince invece proprio nella nazione egemone, che deve fronteggiare il proprio declino. C'è quindi una grande differenza.

Non solo, il "populismo" di Donald Trump si inserisce in una storia culturale e politica molto differente da quella europea. Parlare di Trump come di un "fascista" è quanto di più superficiale si possa fare. Più utile - specialmente per noi Europei - sarà cercare di capire cosa succederà alla finanziarizzazione e come cambieranno i rapporti internazionali. Qui, se proprio si vuole, si possono trovare analogie più appropriate con la prima metà del secolo scorso.

 

4. La crisi della politica neocon, della finanziarizzazione e della globalizzazione

La marcia trionfale dei neocons è stata preparata dal democratico Bill Clinton e si è dispiegata dopo le Torri Gemelle sotto il repubblicano Bush jr. Questa marcia ha accompagnato quella della finanziarizzazione e della globalizzazione. Ma essa sta sempre più incespicando, perché il suo ruolino militare non è stato rispettato. Ricordo che il generale Wesley Clark ha rivelato che nel 2001 i neocons avevano deciso di  "liquidare" (take out) sette Stati in cinque anni, ovvero entro il 2006: Iraq, Somalia, Libano, Libia, Siria, Sudan e infine Iran. Oltre all'Afghanistan che era l'apripista. Siamo nel 2016 con i liquidatori impantanati in Novorussia, Afghanistan, Iraq, Siria, Libia, Yemen e fuori dai piedi in Iran. Questo ritardo ha dato il tempo a Russia e Cina di diventare temibili sia militarmente sia economicamente. Molto temibili. Significa, come conseguenza, che la finanziarizzazione a guida occidentale, a scadenze sempre più frequenti deve fare i conti con la realtà, ovvero col fatto che è un cumulo di carta straccia e che la globalizzazione in quanto predominio statunitense sul mercato internazionale dà e darà ritorni decrescenti. E le società sulle quali si regge comunque il potere delle élite, sono stanche, spaventate, irritate, stufe marce.

Ciò significa che la politica, ovvero il Potere del Territorio, ha necessità di sganciarsi dal Potere del Denaro nella sua forma finanziarizzata e globalizzata per affrontare la crisi sistemica facendo prevalere un punto di vista squisitamente politico. Non è un passaggio agevole, perché il Potere del Territorio ha bisogno del Potere del Denaro, e viceversa. E' un passaggio traumatico e storicamente è sempre stato la conseguenza di una serissima impossibilità di andare avanti lungo il percorso precedente.

Ora, il rischio di implosione delle società occidentali, minate nella loro struttura economica e nei loro valori, quelli che le hanno plasmate e a cui sono abituate, e il rischio di una guerra termonucleare con Potenze che sono emerse come frutto inintenzionale della globalizzazione, tutto ciò può costituire questa impossibilità. Se è così, occorre il prevalere di un punto di vista politico autonomo dai centri finanziari che riconosca che, obtorto collo, la Superpotenza deve adeguarsi a una configurazione multipolare del mondo e che la finanziarizzazione e la globalizzazione sono al capolinea (si veda [2]).

Non è la prima volta nella storia del capitalismo che la politica si sgancia dall'economia (con buona pace dei marxisti economicisti). Durante lo sgretolamento dell'egemonia britannica (che era basata in Occidente sul gold-standard e il libero mercato unilaterale, e in Oriente e in Africa sulla forza) il New Deal negli Usa e - ecco il punto - i fascismi in Europa fecero la stessa cosa. E ovviamente lo faceva lo stalinismo in Russia con tutt'altro progetto in testa. La spiegazione ultra sintetica e ultra sintetizzante di quei fenomeni è questa, pur con tutte le loro evidenti differenze politiche e le loro differenti motivazioni. Non sto assolutamente equiparando i tre fenomeni, sto dicendo che furono tutti e tre espressione di una supremazia della Politica sull'Economia, reazione, a sua volta, alla crisi dei processi di accumulazione mondiali coordinati dall'Impero Britannico ormai in declino.

Un fenomeno analogo sta accadendo sotto i nostri occhi. L'elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti potrebbe dare l'avvio a una svolta simile. Non è automatico né garantito che ciò avvenga. I poteri contrari a questa svolta sono enormi, privi di scrupoli. E' anche evidente che ciò non significa automaticamente un allontanamento della guerra, come il secondo conflitto mondiale è lì a insegnare. Ma significa che l'ottica potrebbe cambiare e di molto e che la crisi potrebbe imboccare un nuovo cammino, molto diverso da quello degli ultimi trent'anni. Un cammino pieno di pericoli, ma di tipo nuovo. Un cammino contrastato. Questi contrasti e questi pericoli, è prevedibile, riguarderanno in massima parte la democrazia e la libertà, in senso generale. Non potremo mai abbassare la guardia.

Non perché Trump sia un fascista, come dice a vanvera la sinistra. Ma perché la democrazia e la libertà che noi Occidentali abbiamo conosciuto finora, e che con alcune importanti interruzioni si sono sviluppate a partire dalla Rivoluzione Francese, andavano di pari passo con un impetuoso sviluppo termocapitalistico che non sarà più possibile. Come riuscire allora a far vivere la libertà, o le libertà (civili, di genere, eccetera), e la democrazia in assenza delle loro basi materiali storiche? Non è impossibile. Molte idee e istituzioni sopravvivono attraverso cambiamenti epocali, basta pensare a quelle religiose. Non è impossibile ma non è scontato e soprattutto non è gratis.

Se non ci sarà nessuna resistenza popolare, se non ci sarà vigilanza e se non ci saranno nuove idee improntate non al progresso, che si è visto la fine miseranda che sta facendo, ma all'emancipazione, la gestione del nuovo cammino della crisi sarà autoritaria.

 

5. Nulla è scontato

Come reagirà il deep state alla vittoria di Trump? Come reagiranno i vari centri di interesse e di potere? Come reagiranno le differenti strategie che si fronteggiano all'interno delle élite statunitensi?

Lo scontro tra le strane posizioni parzialmente accomodanti di Trump e le cristalline posizioni guerrafondaie della Clinton, che si è agitato sul palcoscenico del teatrino della campagna elettorale, è già in atto in modo crudo nella realtà. E credo che sia destinato a protrarsi.

Il Dipartimento di Stato di Obama e il Pentagono negli ultimi tempi non hanno fatto altro che smentirsi l'uno con l'altro. Se Kerry e Lavrov firmavano una tregua in Siria, immediatamente dopo il Pentagono bombardava (e per la prima volta!) l'Esercito Arabo Siriano, uccidendo anche dei militari russi. Se, dopo il "massacro del funerale" nello Yemen da parte dell'Arabia Saudita, il Dipartimento comunicava che avrebbe rivisto il suo sostegno ai Sauditi, immediatamente dopo il Pentagono faceva bombardare le postazioni degli Houthi direttamente da una sua nave da guerra.

Ieri Mark Toner, portavoce del Dipartimento di Stato, ha dichiarato che una volta liberata Raqqa dall'ISIS, tutte le forze straniere se ne dovranno andare, che non sarà ammesso nessun tipo di regione semi-autonoma nel Nord della Siria, che il governo della città dovrà in tempi brevi essere ridato alla Siria e che, in conclusione, "we want to see a sovereign, intact Syria". Ci può covare sicuramente qualche gatta, sotto queste parole. Ma la risposta del Pentagono non si è fatta attendere. Il generale Joseph Dundorf ha rilasciato dichiarazioni totalmente contrastanti con quelle di Toner. Ha affermato che c'è un piano di lunga durata di occupazione e governo di Raqqa da parte della Coalizione, dei "ribelli moderati" e del sedicente Esercito Siriano Libero. Ha poi aggiunto che le forze curde, cioè l'SDF, non fanno parte della soluzione e che essa verrà negoziata solo con la Turchia.

Lo stesso Obama ha dato l'impressione di stare cercando di fare un po' di prato inglese sotto i piedi della Clinton, con inserimenti last minute qua e là in posti chiave di persone a lui fedeli che la avrebbero potuta intralciare nei suoi progetti e nelle sue velleità da presidente.

Insomma, nemmeno uno stato imperiale come gli USA è monolitico. E' chiaro che in Medioriente diverse strategie imperiali si sono scontrate, specialmente a fronte dell'atteggiamento russo. All'epoca della crisi degli "attacchi chimici", la linea dei bombardamenti perse, mentre vinse quella dei negoziati (con la Russia). Al contrario, al momento della tregua di Aleppo vinse quella dei bombardamenti, mentre perse quella dei negoziati. Per Raqqa lo scontro sembra aperto. Non certo perché improvvisamente Washington si sia messa ad amare Damasco, ma per motivi molto più intricati, come i rapporti con la Turchia o la constatazione che uno stato indipendente a maggioranza araba e minoranza curda che rivendica una propria supremazia significherebbe governare un pantano disseminato di mine. E sicuramente per valutazioni, negoziati, timori e prospettive che noi nemmeno sappiamo. E' un errore dare per scontato che gli Stati Uniti abbiano un'unica strategia. Ciò equivarrebbe a dare per scontato che gli USA possano sempre fare quello che vogliono.

Ai tempi della guerra nel Vietnam c'era un gruppo che propugnava bombardamenti atomici (il cui portavoce era il democratico Eisenhower!). Ma non ci furono bombardamenti atomici, il repubblicano Nixon detto "boia" firmò il trattato di pace e tutti ricordiamo quando gli ultimi marines scapparono attaccandosi ai pattini degli elicotteri.

Durante la precedente crisi sistemica l'Impero Britannico decise che costi quel che costi non avrebbe mollato l'osso, non si sarebbe adeguato all'emergenza multipolare di allora. Anzi, come si è detto, in piena crisi pensò bene di raddoppiare i suoi domini diretti, ma non servì a nulla e perse l'impero. "Costi quel che costi" significò allora per il mondo quasi 100 milioni di morti in due guerre mondiali.

Ora "costi quel che costi" può significare la fine del genere umano e anche negli States lo sanno e non credo che lì siano tutti pazzi. Non ogni scelta teoricamente per loro migliore è effettivamente alla loro portata e non tutte le scelte sono effettivamente possibili. Da anni la loro strategia si svolge tramite "approssimazioni", nel senso logico-matematico, vale a dire, si situa tra ciò che è possibile e ciò che è impossibile, anche se ciò che è impossibile sarebbe, teoricamente, la loro prima scelta. Non a caso diversi seri analisti statunitensi affermano da molto tempo che Washington non ha una "grand strategy".

La strategia di Obama tendeva verso l'approssimazione inferiore e quella dei neocons tende verso l'approssimazione superiore, col rischio che ciò porti a un evento catastrofico non pianificato.

Il "leading from behind" di Obama, i proclami disattesi (come la "linea rossa" degli attacchi chimici), il non aver voluto o potuto impedire l'intervento russo nonostante si stesse preparando da mesi sotto il loro naso, l'altalena "sanzioni sì, sanzioni no" alla Russia per il suo intervento in Siria, sono tutti segnali di una strategia "approssimata" verso il basso. Ovviamente anche la "strategia approssimata" verso il basso è criminale ed è nostro compito denunciarla e contrastarla come possiamo. Ma questo non deve impedirci di vedere le contraddizioni in seno all'Impero. Esse si riverberano anche all'interno degli stati vassalli, come i paesi UE, con conseguenze che dobbiamo saper valutare e anticipare, e questo le rende doppiamente degne di essere prese in considerazione.

La vittoria di Trump è un segno netto che le contraddizioni all'interno dell'Impero hanno raggiunto un punto di svolta.

Donald Trump tenderà verso l'approssimazione inferiore, come il suo predecessore Obama, così come sembra voler fare e in contrasto coi proclami della Clinton? O cercherà di dividere la Russia dalla Cina ridefinendo cosa è possibile e cosa è impossibile? Quanta libertà avrà? Quanto sarà tenuto al guinzaglio dal suo vice Mike Pence, neocon piazzatogli dietro il sedere dall'establishment repubblicano?

E cosa succederà in Europa, in Italia? Per fare un esempio, Renzi continuerà ad essere sostenuto dalla Casa Bianca nei suoi litigi con la Commissione Europea e con la Merkel? Gli impegni militari che Obama ci ha richiesto saranno ancora necessari? E il TTIP che fine farà? Verrà abbandonato? Come si riposizionerà la NATO?

L'elezione di Trump è stata un terremoto nel centro dell'Impero. Le onde sismiche si propagheranno di sicuro anche alla sua periferia.

PS. Mi sto domandando se i "mercati" prenderanno la scusa della Brexit e dell'elezione di Donald Trump per far scoppiare la nuova grande crisi finanziaria che sta covando da un pezzo.


NOTE  
[1] Piotr: Chi sono i veri populisti? 
[2] Piero Pagliani: Al cuore della Terra e ritorno: comprendere la crisi sistemica. Parte seconda: "La crisi che verrà. Definanziarizzazione e deglobalizzazione".

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