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Asse Carolingio

di Elisabetta Teghil

L’evoluzione del capitale verso l’accentramento sfocia nel potere, sempre più dominante, delle multinazionali.

Alla radice dei rapporti economici, c’è la tendenza imperiale alla globalizzazione, ma la necessità di realizzare l’unificazione economica e politica che gli è necessaria spiega l’attuale fase di offensiva che svolgono gli Stati Uniti che hanno assunto il ruolo di” Stato del capitale” e che si propongono di assoggettare, con ogni mezzo a disposizione, tutte le potenze lette, a questo punto, come rivali, con l’alleanza dell’Inghilterra.

 

Infatti ,c’è un “asse carolingio” ispirato, soprattutto, da esigenze di sopravvivenza, da parte della Francia e della Germania, all’offensiva in atto delle multinazionali anglo-americane, di cui i rispettivi governi si fanno braccio esecutivo.

Da qui, l’ondivagare della Francia e della Germania che, alle volte, cercano di salvare gli anelli deboli della catena, Grecia, Irlanda, Spagna e Italia, perché temono che, se cadono i bastioni esterni dell’eurozona, cada anche il centro, altre volte, invece, sembrano attirate dall’idea di non farsi coinvolgere dalle vicende di questi paesi e, magari, di limitarsi a proteggere solo e soltanto la loro ridotta dove si sono asserragliate.

 

Da qui, il senso dei patti segreti tra Francia e Germania.

 L’obiettivo degli Stati Uniti è quello di ricondurre la Germania a Stato “occupato” e di realizzare il sogno americano di ridurre la Francia a “protettorato”, così come era stato coltivato nell’immediato dopoguerra.

A questo proposito sono illuminanti gli studi di Annie Lacroix-Riz su quando gli americani volevano governare la Francia.

Allora, si capisce che non sono i mercati che, paradossalmente diventano qualcosa di neutrale ed ingovernabile, ad attaccare l’eurozona, ma ci sono gli interessi anglo-americani che, potendo contare su paesi fortemente atlantizzati come il Belgio, puntano a staccare i piccoli paesi, come l’Olanda e la Svezia che, per dimensioni demografiche e mezzi economico-militari, non costituiscono preoccupazione e che hanno messo a segno un colpo importante, mandando alla guida dell’Italia un primo ministro il cui compito principale è declinare qui i loro interessi. Operazione resa possibile, anche, dal fatto che già potevano contare sulla più alta carica istituzionale e sul maggior partito già di opposizione.

 

Leggere l’attuale situazione per quello che è, uno scontro fra stati e multinazionali per la ridefinizione dei rapporti di forza e delle gerarchie, che vede gli Stati Uniti e l’Inghilterra in fase offensiva, ci permette di capire il senso dell’aggressione alla Libia ed, altresì, di avere la chiave di lettura per comprendere il rumore sollevato a proposito della violazione dei diritti umani da parte del governo cinese, della natura non democratica dello stesso ed il tentativo di accreditare la Cina come un paese comunista.

 

L’essenza del problema , invece, è sempre la stessa, l’espansione del capitale che ha di fronte due alternative che si intrecciano e si sovrappongono, anche queste sempre le stesse: conquistare al mercato la Cina e utilizzare in regime di semi schiavitù la sua forza lavoro oppure predisporre l’aggressione armata.

 

Per questo, molte disamine degli avvenimenti si traducono in interminabili teorizzazioni e analisi specifiche che sembrano soddisfarsi di se stesse, senza mai approdare ad una sintesi.

In buona o in mala fede, si accetta il luogo comune che disegna l’ordine esistente come assoluto ed immutabile, legge di natura, entro la quale sono possibili soltanto dei mutamenti non sostanziali e la subalternità al pensiero unico del potere dominante che, magari, coincide con la tutela di condizioni di privilegio individuali o di ceto.

Con questa lettura, i disastri economici e sociali vengono attribuiti ad una gestione dell’economia “scorretta” secondo i parametri del capitalismo, assunti come i soli validi e possibili in assoluto.

E’ in questo quadro che la risposta alla politica neocolonialista è balbettante quanto la lettura dei motivi che la ispirano.

Da qui, il travestimento della realtà degli interessi imperialistici con l’adesione muta o dichiarata ai principi dei diritti umani e della democrazia pluripartitica, fondamentalmente selettiva, e con la semplificazione tra i pacifisti di far risalire le cause della guerra all’arbitrio di singoli individui o gruppi politici.

 

Per la lettura di quello che sta accadendo , è sempre attuale Paul Baran : “…la crescente incapacità delle vecchie nazioni imperialiste di reggere, a fronte della ricerca americana di influenza e potere in espansione”(Il surplus economico, Feltrinelli 1975).

Sempre Baran: “ …  l’asserzione della supremazia americana nel mondo “libero”, implica ridurre Francia, per non parlare di Belgio, Olanda e Portogallo alla condizione di soci minori dell’imperialismo americano.”

 

Questo fenomeno viene letto nello stesso modo da Harry Magdoff: “Lo stesso tipo di pensiero che affronta il concetto di imperialismo economico, nel senso ristretto di bilancio, di solito limita il significato del termine al controllo diretto o indiretto di un paese sottosviluppato da parte di una potenza industriale. Tale limite ignora le caratteristiche essenziali del nuovo imperialismo, la lotta competitiva fra le nazioni industriali per una posizione dominante sul mercato mondiale e sulle fonti di materie prime. La differenza strutturale che distingue il nuovo dal vecchio imperialismo è la sostituzione di un’economia dove sono in competizione molte imprese, in una nella quale compete un pugno di corporazioni gigantesche in ciascuna industria  …  L’intensificazione della lotta competitiva nell’arena mondiale è la maturazione di un sistema capitalistico veramente internazionale. In queste condizioni la competizione tra i gruppi delle corporazioni gigantesche e i loro governi ha luogo sull’intero pianeta; nei mercati delle nazioni avanzate come pure in quelli delle nazioni non industrializzate.” ( Monthly Review, 1968)

 

La logica del capitale è assolutamente inseparabile dall’imperativo del dominio del più forte sul più debole, la tendenza è al monopolio e all’assoggettamento e alla sconfitta dei concorrenti che si trovino sul cammino del monopolio che si autoimpone.

E, questo, vale, anche e soprattutto, nell’attuale stagione, nei confronti delle realtà produttive economiche dei paesi occidentali.

 

Essendo il capitalismo un sistema organico di riproduzione del metabolismo sociale che investe tutte le aree delle attività umane, in cui lo Stato è essenzialmente una struttura di comando gerarchico, a servizio del capitale stesso, la risposta deve essere complessiva, partendo dalla contraddizione permanente fra capitale e lavoro che si manifesta nella forma di subordinazione del lavoro al capitale e, perciò, nella necessità di superare questa endemica conflittualità e trasformarla in lotta di classe.

 

Per questo, è fuorviante leggere questa o quella situazione negativa come frutto imprevisto del neoliberismo, perché significa non comprendere che il neoliberismo è l’attuale fase del sistema del capitale in autoespansione e crescita incondizionata e le implicazioni e le conseguenze negative ne sono il necessario corollario.

Quando analizziamo gli avvenimenti, dovremmo sempre tenere presente Gyorgy Lukacs che ci ricorda che la capacità teorica va messa al servizio della pratica liberatrice.

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