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A qualcuno piace freddo

Giorgio Salerno

Su Matteo Renzi html 2ee97f9Due consumati democristiani, Franco Marini e Pierferdinando Casini, hanno dato di Matteo Renzi, anch’egli di provenienza democristiana, un giudizio alquanto sprezzante; di valore il primo, di metodo il secondo. Marini ha definito il giovane sindaco di Firenze un ambizioso, il secondo un abile parlatore che usa molti fuochi d’artificio verbali. Ricorda un po’, il giudizio del segretario dell’UDC, quello che l’allora giornalista de l’Espresso Giampaolo Pansa affibbiò a Fausto Bertinotti, il 'parolaio rosso'. Siamo ora di fronte ad un parolaio ‘bianco’?

Cerchiamo di capire Renzi partendo da ciò che egli stesso dice, scrive, dichiara e proclama; Renzi attraverso Renzi, leggendo le sue interviste e consultando i suoi ultimi libri.

Che Renzi sia un abile parlatore è fuori di dubbio ma quali sarebbero i fuochi d’artificio che evoca Casini? Renzi usa nei suoi discorsi molte figure della poesia e della retorica quali l’assonanza, la rima, l’ossimoro, l’anagramma, il gioco di parole, il calembour, battute ad effetto, a volte ironiche, a volte irridenti.

Ad esempio in una sola intervista, quella a Repubblica del 9 luglio 2013 si ha un bel campionario di questi ‘effetti speciali’: «un PD che non esiste ma resiste, Letta si preoccupi non didurare ma di fare, Andreatta non Andreotti, un PD pensante e non pesante». Sullo stesso tono il breve documento che concluse la manifestazione organizzata alla Stazione Leopolda di Firenze, la ‘Carta di Firenze’ (novembre 2010)*. In esso abbondano questi artifici retorici con un tono ispirato ed ieratico, con la ripetizione ossessiva del Noi, sul modello del famoso discorso di Pericle agli ateniesi**: «Noi, che abbiamo imparato a conoscere la politica con tangentopoli e il debito pubblico…..Noi, che ci siamo riuniti a Firenze per ritrovare le parole della speranza….Noi, che abbiamo voglia di incrociare i nostri sogni e non solo i nostri mouse (sic!)…Noi, vogliamo gridare all’Italia …che si può credere in un Italia più bella. Si noi crediamo nella bellezza (ma cos’è il Manifesto del Futurismo?). Da Firenze, patria di bellezza, ci mettiamo in gioco perché pensiamo giusto che l’Italia recuperi il proprio ruolo nel mondo (quale? Non lo si specifica per cui può andare bene alla destra ed alla sinistra), perché non vogliamo sprecare il nostro tempo (?), perché abbiamo sogni concreti da condividere (quali? Nessun esempio)». Vacue affermazioni che trovano una degna conclusione nella sarabanda finale dei fuochi di artificio verbali: «Ci accomuna il bisogno di cambiare questo Paese…un Paese dalla parte dei promettenti e non dei conoscenti…..no alconsumo di suolo, si al diritto di suolo….scaricare tutto, scaricare tutti….lavoro meno incertosussidio più certo…rispondere al cinismo con il civismo…. Alla divisione con una visione…allapolemica con la politica…il coraggio contro la paura….». Linguaggio sintetico, poco più che cinguettii, come nei social networks. Fa venire in mente la famosa canzone di Bigazzi, in arte Pupo, toscano anche lui, che ripete con indubbia efficacia ‘trance’ il ritornello «Su di noi…su di noi..su di noi»……..

Altra invenzione del giovane Sindaco è l’uso di parole decontestualizzate dall’uso proprio e che assumono un certo effetto dirompente nel linguaggio politico, parole nuove per dire cose vecchie: il ricambio della classe dirigente diventa rottamazione, vincere l’avversario politico diventa asfaltare e così via. E l’uso spregiudicato del dileggio come quando definì Letta «attaccato alla seggiola», gli ex dirigenti del PD incapaci anche di vincere una votazione di condominio, rivoltare il PD come un calzino, il Pd più che di primarie ha bisogno di un primario e così via sbeffeggiando (non gli avversari politici ma….i compagni di partito).

Infine, tra le frasi ad effetto, ricordo ancora «Se vuoi una garanzia comprati un tostapane» (da Clint Eastwood), «Il partito non sbagli più rigori a porta vuota», «Io non tramo ma non tremo» , espressioni metaforiche che fanno quasi rimpiangere il bonario giaguaro da smacchiare di bersaniana memoria.

Ma cosa vuole, cosa propone Renzi? in realtà, al netto delle battute e dei giochi verbali, Renzi dice molte cose e molto pesanti. Il 30 agosto, su Repubblica, a proposito della sua corsa per la premiership, risponde: «Io non ho fretta. Voglio ricostruire il PD e dargli un’identità completamente diversa, semmai ne ha avuta una». Sempre in un’intervista a Repubblica, del 9 luglio 2013 dichiarava «voglio un PD in cui vinca la leggerezza…che invece di essere pesante sia pensante….Il PD parli di futuro, non di un’idea novecentesca dell’appartenenza…per un partito che non concentri l’appartenenza solo sul tesseramento. Forse si puo’ unire il social network al porta a porta».

La bordata contro l’idea ”novecentesca” dell’appartenenza, da sostituire con una non meglio precisata presenza dei social network, e di primarie aperte ai non iscritti, non solo svaluta il valore dell’iscrizione ma colpisce tutta la cultura dei partiti basati sulla libera associazione dei cittadini che si assumono una responsabilità personale con l’atto di iscriversi ad un partito politico. I partiti del “900” hanno firmato la Carta fondamentale, la Costituzione della Repubblica Italiana emanata dal Presidente Enrico De Nicola il 27 dicembre 1947 e controfirmata da Umberto Terracini, Presidente dell’Assemblea Costituente, e da Alcide De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri, il primo comunista, il secondo democristiano. Il Visto è firmato dal Guardasigilli Giuseppe Grasso, liberale. La perdita di autorevolezza, in alcuni casi la vera e propria decadenza degli attuali partiti, non autorizza a voler buttar via con l’acqua sporca anche il bambino; finora non è stata inventata alcuna democrazia senza partiti mentre con partiti evanescenti, ridotti a comitati elettorali, vi è qualche esempio nel mondo. E' a questi Paesi che pensa Renzi?

Ed arriviamo all’ultima dichiarazione che riassume sinteticamente l’idea di partito che ha in mente il sindaco di Firenze, un partito “cool”, fresco, cioè alla moda, ‘fico’. L’immancabile Repubblica riporta questa dichiarazione (17 settembre 2013): «Nel 2008 nessuno ci prendeva in giro quando dicevamo che votavamo PD, era cool…insomma andava di moda, era sexy, fico o figo, era appassionante» e dopo, con la gestione Bersani, tutto è diventato triste, non appassionante, da compatire. Incassato l’appoggio di Veltroni, di cui Renzi sostanzialmente ripete le tesi esposte al Lingotto nel 2007, anche Renzi sogna un partito “a vocazione maggioritaria” e leggero. («Veltroni aveva ragione a parlare di ascensori sociali, di mobilità, di innovazione, di apertura alla società, di partito leggero e di pensieri pesanti. Aveva ragione, ma purtroppo non era credibile. Perché l'album di famiglia, dietro di lui, diceva il contrario» (“Fuori!”, Rizzoli, febbraio 2011.Pag.197).

Un partito alla moda, leggero, soft, che si regga sulla figura di un leader, a vocazione maggioritaria; questa posizione postula un sistema politico bipartitico, all’americana, dove lo scontro politico si impernia su due partiti, apparentemente diversi ma sostanzialmente simili.

Nel suo terz'ultimo libro, “Fuori!” (sottotitolato 'Il manifesto di una generazione che vuole ricominciare a sognare. Un'altra Italia è già qui: basta farla entrare'), scritto in modo colloquiale, in una lingua familiare, con qualche errore tipico del linguaggio parlato, da chiacchierata al bar, si evince chiaramente dove batta il cuore di Renzi. «Scrivo questo libro per raccontare che si può credere davvero in una rivoluzione del buon senso…si puo' cantare un inno d'amore per la politica fatta di entusiasmo e passione» (pag. 21); «essere veloce, ma saggio. Deciso ma prudente» (pag. 10).

Il capitolo sull'ideale della politica inizia con una frase di Tony Blair («Fare politica significa dare una chance all'impossibile») (più avanti definisce Blair come «uno dei pochi punti di riferimento mondiali di una sinistra vincente e convincente», pag. 175) prosegue ricordando Robert Kennedy, Nelson Mandela (indicato da Renzi come una delle due figure del suo Pantheon, insieme alla blogger tunisina, nella trasmissione di Mentana dei candidati alle primarie del centro sinistra), don Giuseppe Diana, il prete ucciso dalla mafia, il piccolo Iqbal Masih che lottava per i diritti dei minori ed assassinato per questo. Esempi rispettabili (con più di una riserva su Kennedy ed un totale dissenso su Tony Blair), di esponenti di battaglie per i diritti civili, per la legalità, contro i soprusi ma non sufficienti a delineare una robusta identità di sinistra per il partito che vuole essere il partito maggioritario della sinistra italiana. E' completamente assente il mondo del lavoro, la rappresentanza degli interessi dei lavoratori, dei ceti medi impoveriti, del disagio sociale. Seguono affermazioni condivisibili nella loro genericità ecumenica: «La politica deve ispirarsi all'ideale alto. Senza l'ideale non c'è politica» (pag.65). E vediamo quale sia l'ideale renziano della politica nel capitolo successivo dedicato ai valori scout, il movimento giovanile fondato da Robert Baden-Powell. Il percorso educativo scout prende il nome di partenza: «Essere donne e uomini della partenza significa di rifiutare di essere le donne e gli uomini dell'apparenza» (pag.71). Esperienza straordinaria quella con gli scout, con la direzione del giornale "Camminiamo insieme", con le escursioni e le camminate. Anche quelle negative quando il gruppo si perse in Garfagnana. Cito per intero questo concentrato della prosa renziana e del suo stile: «Ci siamo persi in Garfagnana, dormendo all'aperto e aspettando a gloria le luci dell'alba per capire dove diavolo ci eravamo ficcati. Tra l'altro non è neanche una cosa troppo cool perdersi in Garfagnana. Ora io capisco perdersi nella savana, che fa quasi figo. Torni a casa e lo dici agli amici, lo metti nel curriculum….». Un linguaggio da Facebook, da tardo adolescente che furbescamente strizza l'occhio agli adolescenti veri, una lingua che rivela pero' un modo di pensare e di essere, una vera e propria weltanschauung.

Proposte concrete? Sul piano locale volere una città sostenibile, ridurre la produzione dei rifiuti, aumentare la raccolta differenziata, avere impianti di termovalorizzazione, creare spazi pubblici dove la comunità possa ritrovarsi e non come accade ora nei grandi centri commerciali, politica dei trasporti, recupero urbanistico, edilizia sostitutiva e cosi' via elencando. Proposte di buon senso, di una sana amministrazione che si riassumono nel vedere Firenze come modello anche perché capitale della bellezza artistica.

Sul piano nazionale il suo libro porta attenzione alla scuola (la moglie è insegnante), all'Università ed alla cultura. Sulla scuola: «A proposito di merito, di qualità, di valorizzazione dell'insegnamento si chiacchiera tanto ma si combina poco. Dovremmo avere il coraggio di dire che la visione della sinistra sull'istruzione va desindacalizzata. La scuola è importante per quello che i bambini imparano, non per il numero di persone che riusciamo a cacciarvi dentro» (pag.95). Sull'università: «Sono felice che la fase dell'ubriacatura da territorio volga al termine…in Italia sono cresciuti in modo inaccettabile i corsi, le università, le cattedre, le facoltà….le attuali settanta università italiane andrebbero dimezzate, d'imperio». Per la cultura: «Creare le condizioni per cui dal nuovo rapporto beni culturali-fruizione-identità si possa arrivare alla possibilità di creare impresa».

Poi Renzi afferma che oggi abbiamo bisogno di investire di più, politicamente, nella sfida europea e per far ciò è necessario abbattere quattro tabù della sinistra. Il primo è il sistema degli ammortizzatori sociali e l'idea che il sindacato abbia sempre ragione, «balla spaziale» la definisce il sindaco. Il secondo il pensare che l'imprenditore sia comunque un evasore (chi lo dice? Bersaglio di comodo per tessere l'elogio dell'imprenditoria italiana). Il terzo è la pubblica amministrazione perché valutare il dipendente pubblico è impossibile e la produttività di questo settore non misurabile. Il quarto è sul sistema fiscale e sulle tasse che non sono «bellissime». Rivendica meno tasse per tutti e stangate per gli evasori (come? Con quali iniziative? Non lo dice).

Si prosegue con la considerazione che l'antiberlusconismo viscerale sia più dannoso che utile: «Se c'è chi è schiavo dell'ossessione per il Cavaliere, noi non vinceremo mai» (pag. 147). In un altro capitolo rivendica la sua fede cattolica, ça va sans dire.

La necessità di "rottamare" nasce da tutte queste considerazioni: riprendere il discorso veltroniano ma con facce completamente nuove, costruire un partito popolare senza dimenticare che «il popolo non vuole più un partito dentro il quale militare, vivere, sposarsi, appartenere in modo ideologico, ma vuole occasioni di confronto semplici, soft e innovative» (pag. 198). «E' il momento di rimboccarci le maniche. E per farlo bisogna iniziare con il mandare a casa i nostri. Questo è il nostro tempo, il tempo del coraggio» (pag.206).

Risparmiamoci una lettura puntuale del quarto libro del nostro che si intitola "Stil novo. La rivoluzione della bellezza da Dante a Twitter" (Rizzoli 2012). Vuole essere un inno alla bellezza dell'Italia, di Firenze, ed alla necessità che la politica, la nuova politica, abbia uno "stil novo", non disdegnando la modernità tecnologica con una mega pubblicità della Apple. Soffermiamoci lo stretto necessario, invece, sulla sua quinta ed ultima fatica (sic) letteraria "Oltre la rottamazione. Nessun giorno è sbagliato per provare a cambiare" (Mondadori, maggio 2013) dove, come dicono a Roma, Renzi sempre più 'parla come magna'. Dopo la pars destruens è il libro della pars construens, dell'andare oltre la rottamazione che non vuol dire rinnegarla ma completarla. Il coraggio di abbattere altri tabù come quello anti-presidenzialista della sinistra, della magistratura politicizzata, finirla con la guerra civile permanente. Il nuovo PD deve avere quattro caratteristiche: essere suscitatore di speranza, essere aperto, avere capacità di guidare e non di seguire, un partito che lavora come una squadra ma che non deve temere di avere un uomo solo al comando (pag 54). E chi, se non lui, può essere «l'uomo solo al comando»?

Polemizza poi con i giuslavoristi ed i sindacalisti («troppo ampio il confine dei loro poteri» , pag 56), con il governo Monti («che ha rassicurato molto i mercati e poco chi va al mercato» pag. 57), con i difensori dell'art. 18 che impediscono «la libertà di assumere» (???) e conclude con un capitolo intitolato "L'Italia di Gregorio" , non il guardiano del Pretorio di Carosello, ma di un italiano che avrà vent'anni tra vent'anni. «Facciamo politica per Gregorio e per quelli come lui: se la prospettiva di andare oltre la rottamazione davvero ci convince, guardandoci allo specchio la mattina dobbiamo abituarci a pensare che le scelte per un Paese non si fanno per le elezioni successive, ma si fanno per le generazioni successive» (pag. 112).

Ed è con questo originale e profondo pensiero che il libro si conclude.

Si ha l'impressione che i libri di Renzi siano un "frullato" di parole, a volte di ovvietà, o di semplice buon senso, o di pensierini elementari, dentro le quali vengono avanzate proposte e posizioni politiche di destra dissimulate ed annegate in una vorticosa prosa, in un tourbillon di parole. Se il sindaco di Firenze diventasse segretario del PD, scomparirebbe del tutto ciò che ancora resta di sinistra in quel partito.

Vedremo, al prossimo congresso del PD, «con l’incoronazione congressuale di Renzi, chiudere la parabola del PD, completandone la mutazione, con una maggioranza neo democristiana ed una minoranza socialdemocratica»? (Norma Rangeri, Manifesto 9.9.2013). In realtà non sarebbe solo la rivincita degli ex Dc sugli ex PCI (gli schieramenti sono trasversali) ma di qualcosa di più grave; sarebbe qualcosa di nuovo ed inedito, di una nuova destra per completare cio' che venti anni di berlusconismo hanno iniziato: la distruzione completa della sinistra italiana.

Dispiace constatare che l'urlo lanciato da Nanni Moretti, dal palco di Piazza Navona la sera del 2 febbraio 2002, «con questi dirigenti non vinceremo mai» lasciando basiti i Fassino, D'Alema, Rutelli, sia stato raccolto da un Renzi che lo riprende non per un'uscita da sinistra ma, da tutto quanto detto sopra, ne propugna un superamento da destra.

«Parlò fittamente, senza sosta, come una cateratta che finalmente potesse precipitare…..tutto ciò che quel personaggio diceva non erano che calembours, giochi di parole, scherzi linguistici, neologismi, finti lapsus…A parte le definizioni sublimemente divertenti che egli diede di alcune persone, basandosi su scambi di sillabe o deformazioni di luoghi comuni….rimasero impressi nella memoria…alcuni aforismi..: "Mentre sei vivo, sii un uomo morto", "Invece della vanità, l’inanità", "Dovete sentirmi e non capirmi", "La verità se non è nuova non è"…Alla fine del suo delirio verbale…..era diventato ‘brillante’….» (Pier Paolo Pasolini, “Petrolio” Einaudi 1992. Appunto 130 pagg.552-553. Scritto nel 1974).

Nota*
La Carta di Firenze
«Noi.
Noi che abbiamo imparato a conoscere la politica con tangentopoli e il debito pubblico e che oggi troviamo la classe dirigente del Paese occupata a discutere di bunga bunga e società offshore.
Noi che nonostante quello che abbiamo visto, fin da bambini, crediamo nel bene comune, nella cosa pubblica, nell'impegno civile.
Noi che ci siamo riuniti a Firenze per ritrovare le parole della speranza. Noi che abbiamo voglia di incrociare i nostri sogni e non solo i nostri mouse. Noi che crediamo che questo tempo sia un tempo prezioso, bellissimo, difficile, inquietante, ma sia soprattutto il nostro tempo, l'unica occasione per provare a cambiare la realtà. Noi.
Noi vogliamo gridare all'Italia di questi giorni meschini, alla politica di questi cuori tristi, al degrado di una solitudine autoreferenziale, che si può credere in un'Italia più bella.
Sì, noi crediamo nella bellezza, che forse non salverà il mondo, ma può dare un senso al nostro impegno. La bellezza dei nostri paesaggi, delle nostre opere d'arte, delle nostre ricchezze culturali, certo. Ma soprattutto la bellezza delle relazioni personali, la bellezza di
andare incontro all'altro privilegiando la curiosità sulla paura, la bellezza di uno stile di vita onesto e trasparente.
Da Firenze, patria di bellezza, ci mettiamo in gioco.
Senza pretendere posti, senza rivendicare spazi, senza invocare protezioni. Senza chiedere ad altri ciò che dobbiamo prenderci da soli.
Ci mettiamo in gioco perché pensiamo giusto che l'Italia recuperi il proprio ruolo nel mondo.
Ci mettiamo in gioco perché non vogliamo sprecare il nostro tempo.
Ci mettiamo in gioco perché abbiamo sogni concreti da condividere.
Ci accomuna il bisogno di cambiare questo Paese, un Paese con metà Parlamento, a metà prezzo, un Paese dalla parte dei promettenti e non dei conoscenti. Che permetta le unioni civili, come nei Paesi civili; che preferisca la banda larga al ponte sullo Stretto; che dica no al consumo di suolo, e sì al diritto di suolo e di cittadinanza. Un Paese in cui si possa scaricare tutto, scaricare tutti; che renda il lavoro meno incerto, e il sussidio più certo. Che passi dall'immobile al mobile, contro le rendite, e che riduca il debito pubblico, la nostra pesante eredità.
Vogliamo rispondere al cinismo con il civismo. Alla divisione con una visione. Alla polemica con la politica. E vogliamo farlo con la leggerezza di chi sa che il mondo non gira intorno al proprio ombelico e con la serietà di chi è capace anche di sorridere, non solo di lamentarsi.
Da Firenze, laboratorio di curiosità, vogliamo provare a declinare il coraggio contro la paura, condividendo un percorso di parole e di emozioni, di progetti e di sentimenti perché la prossima fermata sia davvero l'Italia. Un’Italia che oggi riparte dalla Stazione Leopolda, la Prossima Italia». (07 novembre 2010)

Nota**
Pericle - Discorso agli Ateniesi sulla democrazia, 461 a.C.
«Qui ad Atene noi facciamo così.
Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza.
Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.
Qui ad Atene noi facciamo così.
La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo.
Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.
Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa.
E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benchè in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla.
Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia.
Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore.
Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versalità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.
Qui ad Atene noi facciamo così».

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