- Details
- Hits: 1808
L’imperialismo multinazionale, fase “sublime” del capitalismo
di Gianfranco Pala*
Grave, difficile e pericolosa materia è questa
in cui il mio istituto mi mena,
e tale che io mi sarei ben volentieri astenuto d’entrarvi dentro,
se l’avessi potuto decentemente fare
[Ferdinando Galiani, Della moneta (Del frutto della moneta)]
Il mese di ottobre non si addice a Wall Street. Il grande crollo del 1929, la grande paura del 1987, il piccolo crollo del 1989, sono avvenuti tutti in ottobre. Noi non conosciamo la serie storica delle statistiche di borsa relative al primo mese d’autunno. Né ci interessa, e lasciamo volentieri che, in questo mondo di cabala, qualcun altro possa esaminarla. A noi, per la Contraddizione, basta studiare le cause strutturali di codesti fenomeni monetari. I pochi lettori che hanno seguito le nostre precedenti analisi non si saranno sorpresi affatto dello scoppio dell’ultima bolla di sapone speculativa “made in Usa”. Era stata annunciata, nella sua stessa effimera volatilità. Tutto secondo il copione e la regìa della grande finanza transnazionale. La conferma di ciò, tuttavia, non equivale a ridurre la questione a un semplice e banale contrattempo. Al contrario. Sono anni che, seguendo le analisi di Marx, indichiamo nella “sovraproduzione irrisolta su scala mondiale” la causa efficiente della perdurante crisi, non solo finanziaria, dell’imperialismo multinazionale. Gli stessi fenomeni di parvenza monetaria (inflazione, disinflazione, tassi di interesse e debito pubblico), a carattere nazionale, sono riconducibili tutti alle medesime determinanti connesse all’arresto del processo di accumulazione sul mercato mondiale. Anche quando, da altri, essi sono acutamente descritti nella loro immediata fattualità di cronaca e storia, noi li intendiamo sempre ascritti alle cause strutturali della sovraproduzione generale.
- Details
- Hits: 1255
Classe, lotta di classe e determinismo storico
di Michael Heinrich
Il testo che segue, è tratto dal libro di Michael Heinrich, "Critica dell'economia politica. Un'introduzione a Il Capitale di Marx", capitolo 10.3. Il capitolo 10, di cui questa parte è un estratto, costituisce la terza ed ultima parte del libro, e si intitola "Il feticismo delle relazioni borghesi"
Numerose correnti del marxismo tradizionale hanno compreso l'analisi di Marx come se si trattasse innanzitutto di una analisi di classe e della lotta tra borghesia e proletariato. Al giorno d'oggi, per la maggior parte dei conservatori e dei liberali attuali, i concetti di «classe», ed in particolare quello di «lotta di classe» sono «ideologici»; cosa che non vuole significare niente più se non che sono «non scientifici». Generalmente, di norma, questi concetti vengono utilizzati soprattutto a sinistra. Innanzitutto, è importante ricordare che il «discorso di classe» non è affatto specifico del contributo dato da Marx. Già da prima che lo facesse lui, gli storici borghesi parlavano di lotta di classe, e David Ricardo - quello che è stato il più importante rappresentante dell'economia politica classica - era arrivato addirittura a specificare come le tre più importanti classi delle società capitalistiche (capitalisti, proprietari fondiari e lavoratori) avessero degli interessi fondamentalmente opposti.
I concetti di classe e di lotta di classe costituiscono il nodo centrale delle argomentazioni di Marx nel Manifesto comunista (1848). [...]Ma è in una lettera scritta all'amico Weydemeyer che Marx riassunse tutto ciò che egli aveva individuato come costitutivo la natura del suo contributo alla teoria delle classi. Egli sottolinea di non aver in alcun modo scoperto l'esistenza delle classi, o della loro lotta:
« Per quanto mi riguarda, non compete a me il merito di aver scoperto l’esistenza delle classi nella società moderna, né tanto meno la loro lotta reciproca. Molto tempo prima di me, degli storiografi borghesi avevano illustrato lo sviluppo storico di questa lotta delle classi, e degli economisti borghesi avevano descritto la loro anatomia economica.
- Details
- Hits: 1700
La Modern Monetary Theory
Intervista a Marco Veronese Passarella
Con l’articolo Economia della dismisura di Christian Marazzi, abbiamo avviato il percorso che abbiamo definito «Governo della crisi» (https://www.machina-deriveapprodi.com/post/pensare-il-transito). La seguente intervista, proseguendo nel solco tracciato dal testo di presentazione della rubrica, analizza gli strumenti messi in campo dalle istituzioni finanziarie e tratteggia le caratteristiche del nuovo corso che si sta imponendo, spiegando, in particolare, i capisaldi della Modern Monetary Theory, dottrina economica salita alla ribalta negli ultimi mesi. Marco Veronese Passarella è docente di macroeconomia presso la Leeds University e autore di articoli su riviste scientifiche internazionali, tra le quali il «Cambridge Journal of Economics», il «Journal of Economic Behavior & Organization» e il «Journal of Policy Modelling».
* * * *
La crisi sanitaria ed economica che stiamo vivendo ha determinato la revisione del paradigma neoliberista che ha guidato le politiche fiscali e monetarie negli ultimi decenni. L’iniezione di liquidità senza precedenti promossa dalle banche centrali coniugata con i provvedimenti presi dai governi nei mesi di pandemia, segnalano un cambiamento nella strategia complessiva di governo della crisi. Inoltre, sono gli stessi organi che in questi anni hanno dettato e imposto l’austerity e il contenimento del debito pubblico, oggi richiedono uno scarto: pensiamo, ad esempio, alle dichiarazioni di Kristina Georgieva, direttrice del Fondo Monetario Internazionale, che ha invocato «una nuova Bretton Woods». Pensi che si possa definitivamente affermare che siamo davanti alla fine dell’egemonia neoliberale?
- Details
- Hits: 1372
Sinophobia Inc. Capire la “macchina” anti-cinese
di Giacomo Marchetti
Di seguito un testo del Qiao Collective
Gli USA sono uno “Stato castrense”, dove il complesso militare-industriale è uno dei principali blocchi di potere che governano il Paese, qualsiasi presidente venga eletto.
I grandi gruppi nord-americani del settore delle armi sviluppano una potente opera di lobby tesa ad orientare le decisioni politiche complessive e a forgiare – attraverso i media – un’opinione pubblica che promuova la difesa dei propri obbiettivi economici, camuffandoli da necessità difensive generali.
Non sorprende che il lavoro di lobbying del complesso militare-industriale venga camuffato da giornalismo d’inchiesta indipendente, come è ben descritto nell’articolo che qui abbiamo tradotto.
È chiaro che per fare questo bisogna identificare un nemico che costituisca una minaccia vitale all’american way of life, e far sì che questa minaccia venga percepita come “comune” da numerosi Paesi – in primis i propri alleati – verso cui si possano indirizzare i flussi d’esportazioni delle armi della propria industria bellica.
Senza capire la filiera produttiva bellica complessiva è difficile comprendere la catena di trasmissione della paura, che è il cuore della disinformazione strategica, leggermente più sofisticata della fake news che nutrono le differenti teorie “cospirazioniste”, bersaglio abituale della stampa sedicente liberal.
La politica estera statunitense è il risultato della sincronizzazione dell’agenda delle maggiori corporations – tra cui l’industria delle armi -, gli orientamenti del Deep State e l’establishment politico al governo, all’interno di un orizzonte strategico comune. Il quale può avere variazioni tattiche a seconda dell’amministrazione, ma che deve riprodurre il dominio imperiale a stelle-e-strisce ed una adeguata governance delle contraddizioni sociali interne.
- Details
- Hits: 4278
Pandemia di legge*
di Il Pedante
Occupandomi mesi fa su queste pagine di «lockdown», osservavo che nessun problema vero o presunto, semplice o difficile, sanitario o non sanitario, individuale o collettivo, può risolversi privandosi delle risorse necessarie alla sua soluzione. Rimarcavo allora, tra le altre cose, che per proteggere una comunità a rischio occorre mettere chi non è a rischio nella condizione di rendere effettiva quella tutela. Il caso di oggi non smentisce la regola e anzi la conferma a corollario di una più ampia legge naturale: se i più fragili sono esposti a un certo pericolo, la popolazione restante è chiamata ad attivarsi affinché godano di cure, protezione, reddito, supporto fisico e morale. Non a disattivarsi come predica la logica del «lockdown», che nel minare la capacità produttiva e la serenità di chi dovrebbe farsi carico dei vulnerabili, estende la vulnerabilità a tutti, moltiplica la quantità e la qualità del pericolo e rende impossibile la reazione.
Dopo avere scritto queste cose tutto sommato scontate, constatavo che la consapevolezza della contraddizione era ben più estesa di quanto immaginassi. A parte i pochi «esperti» che riuscivano a portarla sugli schermi televisivi, sempre più persone misuravano la sproporzione tra i danni anche ufficialmente circoscritti del problema e quelli invece universali della sua «medicina». Con il ritorno delle chiusure autunnali, grandi folle occupavano le piazze italiane per rivendicare il diritto di vivere del proprio lavoro e contribuire così al benessere, e perciò anche alla salute, della propria comunità. Non si trattava di posizioni eretiche o - qualunque cosa significhi - «negazioniste», se è vero che il 9 ottobre uno degli inviati speciali dell’OMS per l'emergenza Covid-19, David Nabarro, dichiarava in un videocast della rivista Spectator che
- Details
- Hits: 1557
Crisi del neoliberismo e della globalizzazione come manifestazione della crisi del capitalismo
I cambiamenti epocali del post pandemia
di Domenico Moro
La crisi del Covid-19 è la crisi più grave dalla fine della Seconda guerra mondiale. Secondo Henry Kissinger, forse il più noto politico statunitense vivente e già segretario di stato sotto le presidenze di Nixon e Ford, nulla sarà come prima dopo la pandemia[1]. L’ordine mondiale, ereditato dalla fine della guerra fredda, è in disfacimento. Per questa ragione, i governi previdenti, quello degli Usa in testa, dovrebbero pensare agli assetti futuri globali mentre si occupano di contrastare la pandemia.
In effetti, la pandemia accelera tre tendenze che si manifestavano già da tempo. La prima è la crisi del capitalismo mondiale. La seconda è il mutamento dei rapporti di forza economici tra Occidente e Oriente, in particolare tra gli Usa e i maggiori Paesi dell’Europa occidentale, da una parte, e la Cina, dall’altra. La terza è la crisi del neoliberismo e del suo prodotto maggiore, la globalizzazione, già messa in discussione dalla crisi di egemonia degli Usa e dal crescente protezionismo statale nel commercio mondiale.
Mentre in Occidente ci si deve confrontare con una nuova ondata pandemica, il Covid in Cina sembra solo un ricordo, secondo quanto afferma Milano Finanza, che, al proposito, titola così l’edizione del 12 novembre: “Festeggiano solo i cinesi. Covid: in Italia il Natale è a rischio coprifuoco, nel paese asiatico è boom dei consumi”. Secondo le previsioni del Fondo monetario internazionale (Fmi), tra le prime dieci economie mondiali, solo la Cina nel 2020 fa registrare, per quanto modesta, una crescita del Pil a prezzi costanti (+1,85%), mentre gli Usa fanno registrare un calo consistente (-4,27%) e l’area euro fa ancora peggio, con la Germania che scende al -5,98%, la Francia al -9,75% e l’Italia al -10,64%.
- Details
- Hits: 1604
Nove anni fa il golpe dell’Europa contro Berlusconi
di Thomas Fazi
Oggi ricorre il nono anniversario di una delle pagine più buie della moderna storia italiana ed europea: l’insediamento del governo tecnico di Mario Monti a seguito del “golpe bianco” della BCE contro il governo Berlusconi. Purtroppo, come per tante delle trame oscure che hanno costellato la storia del nostro martoriato paese, è un episodio che molti ancora oggi fanno fatica a mettere a fuoco. Vediamo dunque di ricostruire per sommi capi gli eventi di quelle fatidiche settimane di nove anni fa.
È l’estate del 2011. Il paese è nel pieno della furia speculativa contro i titoli di Stato italiani. Ad agosto, un clima politico già surriscaldato si arroventa ulteriormente quando viene fatto trapelare sui giornali il contenuto di una lettera – in teoria destinata a rimanere segreta – inviata al governo italiano da Mario Draghi, che di lì a pochi mesi avrebbe assunto ufficialmente la carica di presidente della BCE, e dal suo predecessore Jean-Claude Trichet.
In essa, i vertici della BCE intimano al governo italiano «una profonda revisione della pubblica amministrazione», compresa «la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali», «privatizzazioni su larga scala», «la riduzione del costo dei dipendenti pubblici, se necessario attraverso la riduzione dei salari», «la riforma del sistema di contrattazione collettiva nazionale», «criteri più rigorosi per le pensioni di anzianità» e persino «riforme costituzionali che inaspriscano le regole fiscali». Tutto ciò, si dice, al fine di «ripristinare la fiducia degli investitori».
- Details
- Hits: 1955
Per non dimenticare Costanzo Preve
di Salvatore Bravo
Il politicamente corretto è il dispositivo interdittivo del capitalismo. Non indossate l’abito del «Politically correct». Serve a necrotizzare il concetto e sostituirlo con la chiacchiera
Politicamente corretto
Ogni organizzazione sociale ha le sue interdizioni: senza di esse non vi è comunità che regga. Il capitalismo assoluto cela le sue interdizioni pur rappresentandosi come la società più libera che la storia umana abbia conosciuto.
Il politicamente corretto è il dispositivo interdittivo del capitalismo assoluto.
Per necrotizzare il concetto e sostituirlo con la chiacchiera si opera secondo modalità plurali. La chiacchiera è il distrattore di massa del capitale: l’etere è occupato dal continuo flusso di informazioni, e di gossip, che funzionano per distrarre i popoli, che si vogliono plebi, dalla durezza del reale e trasportarlo in un mondo onirico di desideri e sogni derealizzanti. La chiacchiera è la nuova religione del capitalismo assoluto, religione nichilista in cui mediocri personaggi di nessun talento raccontano il loro privato. Il dispositivo opera per sostituire il concetto (Begriff) con la chiacchiera (Gerede). I santi, i letterati e gli scienziati che nella fase precedente del capitalismo erano i modelli dialettici e critici del capitalismo, sono sostituiti dalla mediocrità dei narcisi dello spettacolo, dai loro racconti “tutti simili” come le loro fisicità e che convergono sulla cultura del privato e dell’indifferenza verso il pubblico. Sono vere armi per veicolare il capitalismo assoluto nella forma infantile ed innocente del narcisismo incentrato sul corpo da esporre e della parola da annichilire. La differenza, e l’identità dialettica sono respinte, poiché qualsiasi intelligenza media può ben rendersi conto che le storie e le aspirazioni raccontate sono tutte “drammaticamente” eguali. L’attenzione è volta unicamente al proprio privato che riproduce mediante gli automatismi della chiacchiera i modelli socialmente imposti.
- Details
- Hits: 8720
A cosa serve l’epiteto «negazionista» e quale realtà contribuisce a nascondere
di Wu Ming
Video “virali” del tizio o della tizia che gliele canta ai «negazionisti»; titoloni sul pericolo «negazionisti»; invettive contro i «negazionisti»; satira sui «negazionisti», grasse risate! I «negazionisti» sono ovunque, ed è colpa loro se le cose vanno male. Ecco allora i nostri eroi, i prodi che li contrastano, gettando loro guanti di sfida: «Vengano in terapia intensiva, i negazionisti!»
Sono sfide a nessuno, invettive contro fantasmi, colpi sparati nella nebbia. Chi sarebbero i «negazionisti»? Sì, esistono frange secondo cui la pandemia sarebbe finta, ma sono ultraminoritarie. In genere, nemmeno chi è aperto a fantasie di complotto su Bill Gates, i vaccini e quant’altro nega che sia in corso una pandemia e che il virus uccida. E allora di chi si sta parlando?
Il termine «negazionista» ha ormai una storia pluridecennale. Coniato negli anni Ottanta per definire personaggi come David Irving, Robert Faurisson o Carlo Mattogno, secondo i quali nei lager nazisti non sarebbero esistite camere a gas né sarebbe avvenuto alcuno sterminio sistematico di ebrei e altri prigionieri, in seguito è stato esteso a sempre più ambiti, diventando un’arma nelle culture wars del XXI secolo.
In Italia, negli ultimi quindici anni, se n’è appropriata la destra per accusare di «negazionismo» chiunque smontasse le sue narrazioni – bufale storiche incentrate su fantasie di complotto antislave – sulle «foibe» e l’«Esodo istriano-dalmata». In quel modo, mentre una narrazione risalente al collaborazionismo filonazista diventava “storia di Stato” con l’istituzione del Giorno del Ricordo, la destra poteva fingere di occupare il “centro” del dibattito sulla memoria storica. In parole povere, poteva denunciare gli “opposti estremismi”: c’è chi nega la Shoah e c’è chi “nega le foibe”, stessa roba.
- Details
- Hits: 2017
L’ultrasinistra e il «partito storico» della rivoluzione
di Michele Garau
Le compagini e le tesi facenti capo al laboratorio magmatico della cosiddetta «critica radicale», affrontate a più riprese su «Qui e ora», sono riconducibili alla filiazione, filtrata e spuria, di quelle correnti del movimento operaio internazionale, sviluppatesi all’inizio del 900, che rispondono al nome di «ultrasinistra». Quando si parla dell’«ultrasinistra» si richiama, all’origine, una tassonomia vigente in seno alle posizioni del socialismo internazionale del primo 900: la destra era identificata con le tendenze scioviniste della socialdemocrazia tedesca, rappresentata da Ebert; il centro dall’orientamento riformista e gradualista di Kautsky; infine la sinistra corrispondeva al bolscevismo ed alla direzione di Lenin. Dentro questo quadro l’«ultrasinistra» si aggiunge ad indicare quelle frazioni, presenti soprattutto in Germania e in Olanda, che esprimevano un’opposizione di sinistra al leninismo nel suo insieme, come fenomeno teorico e pratico, in seno al movimento rivoluzionario e da principio nella «Terza Internazionale»[1].
Non è semplice ricostruire il profilo di tale corrente, in senso teorico ed ideologico, nella varietà delle sue espressioni e nel suo intreccio con l’esperienza storica dei tentativi rivoluzionari avvenuti, in Germania, durante la sequenza 1918-21, nonché con il suo successivo bilancio. Gli esponenti del «comunismo dei consigli» a partire da Hermann Gorter ed Anton Pannekoek, seppure intraprendano ben prima il proprio percorso, in particolare nel solco dei principi fondamentali della «scuola olandese»[2], elaborano in forma matura le loro tesi distintive proprio misurandosi con questi tentativi e con il loro lascito: si può dire che una formalizzazione compiuta del «Linkskommunsimus» come tendenza politica organizzata risalga alla famosa Lettera aperta la compagno Lenin di Gorter e alla fondazione del «KAPD» (Kommunistische Arbeiterpartei Deutschlands), nell’aprile del 1920.
- Details
- Hits: 2002
Il Papa del capitalismo
di Miguel Martinez
Il Forum Economico Mondiale sta al capitalismo all’incirca come il Vaticano sta alla chiesa cattolica.
E il signor Klaus Schwab sta al Forum, all’incirca come il Papa sta al Vaticano.
Siccome il capitalismo incide molto di più sulle nostre vite della Chiesa, è bene sapere cosa predica il signor Schwab.
Riprendiamo qui un articolo di Paul Cudenec, uscito su The Winter Oak.
Cudenec è dichiaratamene anarchico e il testo è fortemente politico e polemico, in una maniera che magari piacerà molto ad alcuni lettori e pochissimo ad altri; e divaga su molti temi, su cui si può essere o meno d’accordo.
Non importa: al di là delle opinioni polemiche di Cudenec, è il miglior riassunto attualmente esistente del pensiero di Schwab e quindi della filosofia che guida oggi le scelte di fondo delle principali imprese mondiali (per avere l’onore di finanziare il Forum, un’impresa deve avere un fatturato di almeno cinque miliardi di dollari l’anno).
Come al solito, traduzione Google, per mancanza di tempo: che eticamente ci fa sentire un po’ in colpa, ma ci sentiremmo ancora più in colpa a non far conoscere meglio il signor Schwab.
* * * *
Klaus Schwab e il suo grande reset fascista
di Paul Cudenec
Nato a Ravensburg nel 1938, Klaus Schwab è figlio della Germania di Adolf Hitler, un regime di stato di polizia costruito sulla paura e la violenza, sul lavaggio del cervello e sul controllo, sulla propaganda e le bugie, sull’industrialismo e l’eugenetica, sulla disumanizzazione e la “disinfezione”, sulla una visione agghiacciante e grandiosa di un “nuovo ordine” che sarebbe durato mille anni.
- Details
- Hits: 1203
Testimoni del nulla
di Cinzia Nachira
Testimoni del nulla (Edizioni Laterza Bari-Roma, ottobre 2020, pp. 145, 16 euro) di Domenico Quirico è un testo che si pone come bilancio del cambiamento cui abbiamo assistito in questi ultimi decenni del modo di approcciare i grandi temi sociali, politici e culturali che fino agli anni ottanta del ventesimo secolo erano quelli che hanno segnato i grandi momenti di svolta. Momenti che hanno avuto come protagonisti, malgrado limiti e contraddizioni, per molti versi nel ruolo di motori non immobili i grandi mezzi di informazione, i giornali soprattutto, che fino agli anni ottanta del secolo scorso non avevano solo un ruolo di “fornitori di notizie”, ma anche si sforzavano di offrire al lettore delle chiavi di lettura e interpretazione dei fatti che raccontavano. I giornali, come d’altronde i libri, avevano l’ambizione di suscitare in chi li leggeva dei sentimenti, fossero questi rabbia, indignazione o, al contrario, approvazione.
Da moltissimo tempo questo si è perso e non solo a causa dell’avvento soverchiante delle nuove tecnologie che nella nostra parte del mondo si pensa possano sostituire i cosiddetti “vecchi” strumenti per comprendere il mondo.
Ciò che colpisce nel leggere questo libro è di trovarsi davanti allo stesso tempo un bilancio di un’esperienza di vita personale e professionale, ma anche dei fallimenti collettivi che oggi più che mai sono sotto gli occhi di noi tutti. L’autore si pone una domanda di fondo: perché malgrado l’invivibilità di questo mondo per la maggioranza dei suoi abitanti ciò non suscita più ribellione contro i responsabili di questo stato di cose?
- Details
- Hits: 1470
Nelle tempeste d’acciaio della crisi. Il nazionalbolscevismo tra ieri e oggi
Recensione di Franco Milanesi
David Bernardini, Nazionalbolscevismo. Piccola storia del rossobrunismo in Europa, Shake, Milano 2020
Sulla comprensione del significato storico e politologico del nazionalbolscevismo gravano due condizionamenti. Da una parte esso è oggetto di una sorta di damnatio memoriae da parte della sinistra di classe che fatica a prendere atto quanto l’internazionalismo proletario appartenga più alla tradizione ideologica marxiana e alla pubblicistica terzinternazionalista che alla storia effettuale dei movimenti di emancipazione. Percorrendo la storia del Novecento ci troviamo infatti di fronte a una frequente ed efficace attivazione dell’idea di nazione utilizzata come potenza mobilitante nel corso delle lotte di liberazione dal controllo e dal dominio di Stati stranieri, nei conflitti antiimperialisti, nella propaganda contro le borghesie che spadroneggiano nell’illimitato mercato-mondo. Anche nella fase di consolidamento degli stati socialisti, l’afflato internazionalista ha non di rado lasciato il posto al richiamo a forme di identità radicate nel fluido e ambiguo concetto di nazione (i lavori di Mosse, Wehler, Campi restano, sotto questo aspetto, punti di riferimento obbligati). La seconda ipoteca rimanda agli intrecci abborracciati tra neosovranismo, nazionalismo e comunismo che lo smottamento della cultura della sinistra ha lasciato come strascico melmoso dietro di sé. Con esiti spesso risibili e inquietanti non tanto sul piano del rigore teorico quanto su quello della strategia politica conseguente, non di rado orientata verso il suprematismo, il razzismo o il vero e proprio neofascismo.
Per avvicinarsi alla comprensione dell’intricata storia dei gruppi, delle riviste e delle personalità che hanno innestato su tronco della nazione ulteriori motivi teorici, gli articoli e i saggi monografici di David Bernardini, giovane professore a contratto presso l’Università di Milano, rappresentano uno strumento indispensabile.
- Details
- Hits: 1166
Il potere del controllo sociale tra distopie e contro-azioni artistiche
Il corpo politico tra sorveglianza, paranoia e attivismo
di Silvia Cegalin
«Quello che ci sembra la nostra libera volontà – cioè i nostri desideri, la coscienza di voler fare quel che facciamo – può benissimo essere un’illusione».
(Philip Dick, Se vi pare che questo mondo sia brutto)
– Grande fratello & Stato di polizia: la sorveglianza come potere e fonte di paura
Siamo anche noi, dunque, come dichiara Philip Dick, esposti al rischio di vivere ripetute illusioni che ci ammaliano con versioni della realtà che non esistono? E il senso di libertà risulta essere più forte della libertà stessa? Per capire come si è giunti a questa indefinizione di ciò che ci circonda è necessario analizzare come il potere abbia agito sul substrato sociale odierno, forgiando le dinamiche in cui siamo inseriti e tessendo le chimere in cui crediamo.
Oggi il potere si muove in maniera subdola, adescandoci tramite ciò che Byung-Chul Han, in Che cos’è il potere?, definisce «la dittatura dell’ovvio», in quanto esso si incarna proprio in azioni e gesti di semplice quotidianità, attraverso abitudini che sono scontate e che, a causa della loro banalità, riescono a incorporare le costrizioni che sono vissute come libertà.
E la sorveglianza è uno tra gli aspetti centrali in cui le strategie di potere si realizzano, adottando pratiche mascherate e poco esplicite. In Servire e punire, Michel Foucault scrive che la sorveglianza è la caratteristica chiave per interpretare la modernità perché, attraverso l’equilibrio giocato tra il dominio e la violenza che genera norme e regole, le persone possono conformarsi al vivere sociale, atrofizzando così la loro parte irrazionale e istintuale, a favore di quella razionale; e nel caso contrario in cui non riescano a “controllarsi”, ecco che scatta l’esercizio punitivo, con la conseguente messa al bando in strutture di detenzione o ricovero.
- Details
- Hits: 1569
Cosa ci porta una presidenza Biden/Harris? NATO first, Make NATO great again
di Luigi Ambrosi
Premesso che la partita elettorale negli USA non si è ancora conclusa considerate le denunce in corso per frodi elettorali, la nomina di Biden alla Presidenza è per ora solo una forzatura dell'apparato mediatico globalista, la reale e legale nomination avverrà non prima del 6 gennaio allo stato attuale delle cose; Biden per ora è solo un Presidente mediatico, anche se sta accelerando la formazione della nuova governance per cercare di imporre la sua presidenza come fatto compiuto.
Biden Presidente è "altamente probabile" ma non ancora certo.
Se poi i Repubblicani conservassero il controllo del Senato (5 gennaio), la eventuale presidenza Biden sarà quella di una anatra zoppa; altrimenti se i Democratici riuscissero a conquistare anche il Senato, le forze globaliste avrebbero strada libera, ma dovrebbero pur sempre fare i conti con gli USA profondamente divisi. Di altamente certo è che la società americana è e resterà a lungo profondamente divisa, quindi più debole nella sua governance locale e mondiale, per la felicità dei popoli del mondo; per questo la prima insistenza di Biden è di presentarsi vanamente conciliante come il Presidente di tutti.
Occorre riconoscere la potenza di fuoco raggiunta dalle forze globaliste mondiali, intendendo le grandi multinazionali occidentali (e le loro Agenzie di controllo e di propaganda) che sono riuscite a condizionare e ribaltare gli esiti elettorali nella sede della principale potenza mondiale.
- Details
- Hits: 1985
La moneta digitale cinese cambierà la finanza
di Giacomo Marchetti
In calce un articolo di China Daily sull'argomento
Diana Choyleva, economista-capo di Enodo Economics, in un articolo sul Financial Times dal titolo illuminante – “Il Renmimbi si rafforza mentre la Cina si rafforza” – afferma che:
«la Cina spera particolarmente nell’adozione di una nuova valuta digitale, ora in fase di sperimentazione avanzata, da parte di altri paesi. Mantenere alta la fiducia nel renminbi “analogico” sarà fondamentale per ottenere molti ‘convertiti’ al suo gemello digitale».
La sfida di Pechino è parte integrante di una strategia a tutto tondo per affermare un nuovo benchmark anche in quella terra di mezzo tra il massimo grado di sviluppo tecnologico e le tecniche finanziarie, continuando ad attrarre porzioni crescenti di capitale internazionale – tra cui i big di Wall Street -, tutto però sotto il ferreo controllo politico della direzione economica complessiva.
Si tratta di vincere la guerra digitale e quella monetaria, in uno scontro a tre tra titani, con Pechino che però sta ora disponendo di un differenziale strategico notevole grazie alla maggiore capacità dimostrata nella gestione dell’emergenza pandemica.
Come ha platealmente mostrato la “sospensione” della più grande IPO della storia finanziaria (prevista per il 5 novembre, ma stoppata pochi giorni prima) per la Ant, il più grande operatore privato di pagamenti digitali al mondo, che il miliardario Jack Ma sognava nelle borse cinesi (Shangai e Hong Kong).
Pechino non intende correre rischi e mostra che mentre il mondo economico naviga a vista in un mare in tempesta, lei tiene saldamente il timone ed segue la rotta che verrà formalizzata nel 14° Piano Quinquennale.
- Details
- Hits: 1686
Una critica agli accelerazionisti
di Bollettino Culturale
Introduzione
Dalla sua comparsa nel 2013, il Manifesto accelerazionista ha provocato un'agitata discussione nei circoli politici di sinistra proponendo un quadro di riferimento alternativo al modello tradizionale di classe e di partito, motivato dalle sfide che le correnti poststrutturaliste e post-marxiste hanno posto al marxismo. In opposizione a quella che gli autori accelerazionisti considerano "folk politics", di orientamento particolare, reattiva al cambiamento, la proposta accelerazionista esige il recupero di un orizzonte strategico, di orientamento universale. Si tratterebbe di unire il pensiero di sinistra con una posizione favorevole al progresso tecnico, nella concezione del cambiamento tecnologico come una sorta di trampolino di lancio per una pratica politica globale finalizzata alla costruzione di un orizzonte sociale post-capitalista. In questa prospettiva, gli accelerazionisti pensano che la sostituzione del lavoro umano con l'automazione della produzione è un processo inevitabile e desiderabile e propongono un'utopia del post-lavoro come nuovo asse di articolazione della politica.
Questo articolo discute le possibili implicazioni di questo modello post-lavorista nelle politiche di emancipazione. Sulla base di una revisione della letteratura economica sulla disoccupazione tecnologica, viene proposta un'ipotesi alternativa: che la narrativa della “fine del lavoro” costituisca una rappresentazione errata delle tendenze attuali del capitalismo. L'eccessiva attenzione che gli autori accelerazionisti prestano all'offerta di fattori contrasta con i grandi problemi contemporanei che l'economia eterodossa si propone di discutere: crescente disparità di reddito, domanda insufficiente e deregolamentazione commerciale e finanziaria. In questo modo, l'accettazione acritica della premessa della "fine del lavoro" potrebbe portare l'accelerazionismo a diventare una forma di legittimazione dell'attuale ordine neoliberista.
- Details
- Hits: 1322
Recovery Plan: restaurazione o ravvedimento?
di Paolo Cacciari
Le aspettative intorno ai fondi Ue sono alte quasi quanto quelle per il vaccino. Due cose sono certe: il Patto di stabilità è stato improvvisamente sospeso, l’austerity sembra un brutto ricordo; il market system è capace di fare cose che, per dirla con l’androide Roy di Blade Runner, noi umani nemmeno sappiamo immaginarci. Intanto assistiamo a un gran fermento di ricerche e discussioni, con proposte non prive di trabocchetti, appare evidente come, per far fronte alla sempre più grave crisi climatica e alla devastante crisi economica, il Recovery end Relience Plan andrebbe strappato dalle mani degli economisti. Sui rischi, le contraddizioni e le opportunità che riguardano i fondi Ue, è difficile trovare un articolo più dettagliato, comprensibile e utile come questo di Paolo Cacciari
1. La strategia Next Generation Eu varata un anno fa dalla nuova Commissione europea e il suo principale strumento operativo, il Recovery and Resilience Facility da 672,5 miliardi di euro, tra sovvenzioni a fondo perduto e prestiti a tassi contenuti e rimborsabili a lunga scadenza, entro il 2058, hanno aperto speranze e aspettative, pur permanendo ancora molte incertezze sulle modalità concrete di erogazione.
Il combinato disposto tra le necessità di fronteggiare la crisi sanitaria (attraverso il Programma anti-pandemico della Banca centrale europea Pandemic Emergency Purchase Programme, PEPP) e il riscaldamento climatico (con il piano di investimenti dell’European Green Deal) ha scardinato l’impianto teorico del neoliberismo e il suo dogma monetarista. Si chiude un lungo ciclo quarantennale di politica economica codificato in Europa dal Trattato sull’Unione di Maastricht del 1992. Il Patto di stabilità è stato “sospeso”, l’austerity sembra un brutto ricordo e la Banca centrale europea è stata autorizzata a creare moneta attraverso l’acquisto dei titoli del debito pubblico degli stati e l’erogazione di “stimoli monetari” “non convenzionali”, inaugurati già da Mario Draghi con il Quantitative Easing.
- Details
- Hits: 1619
Chi paga la crisi? Come nasce l’attacco agli stipendi pubblici
di coniarerivolta
Negli ultimissimi giorni, da pulpiti diversi e in salse varie, ci è capitato di ascoltare e leggere lo stesso inquietante ritornello: tutti devono contribuire a pagare la crisi da Covid, gli effetti nefasti della pandemia non devono ricadere solo su quella parte di popolazione che ne subisce direttamente le conseguenze. Per scongiurare il pericolo che la diffusione del virus e le misure di contenimento colpiscano solo una parte della società, occorrerebbe dunque togliere qualcosa a chi ancora non è stato toccato da questa crisi. Benissimo, diremmo: andiamo a prendere i soldi dagli sciacalli e dai profittatori che in questi mesi hanno visto le loro ricchezze crescere ancora. E invece no: chi ci propina questa solfa suggerisce di andare a mettere le mani nelle tasche dei dipendenti pubblici e, più in generale, di chi ha un lavoro garantito, per poi redistribuire verso coloro che davvero soffrono le conseguenze economiche delle chiusure.
C’è chi, come il commentatore de ‘Il Foglio’ Camillo Langone, dedica al tema un contributo dal titolo emblematico, “Togliere al pubblico per dare al privato: ecco la vera unità nazionale”. Chi, come il Professore di Economia Riccardo Puglisi, redattore de ‘La voce.info’, si augura che nel nuovo lockdown paghino anche i dipendenti pubblici. C’è anche Massimo Cacciari, che, intervistato a Piazza Pulita sui provvedimenti del Governo per il contrasto all’epidemia, si lascia sfuggire un: “non è possibile tenere la gente a zero euro al mese o a 700 euro al mese. Voglio dire ai miei colleghi dello Stato e del parastato, prima o dopo arriveranno a voi, per forza. E io spero che ci arrivino presto, perché è intollerabile che questa crisi la paghi metà della popolazione italiana”. Insomma, serpeggia l’idea per cui se la crisi morde su alcuni settori in particolare, chi ancora non è stato morso è ora che venga colpito dalla scure di tagli, sacrifici e austerità per fare giustizia.
- Details
- Hits: 888
Che importa chi parla? Manifesto per l'anonimato intellettuale
di Anonimo
[Questo è un manifesto-proposta per l’anonimato intellettuale. L’idea è semplice: almeno in questo ecosistema – nei blog, nelle riviste online, nei social –, ma forse anche fuori di qui, l’autore non è affatto in declino, né morente, pace Roland Barthes. Forse il lettore è autore, qui più che altrove. Forse questa è la fabula dove regna incontrastato il lector, sotto forma di like. Eppure, se è così, il lettore è inevitabilmente irretito nelle maglie dell’autore – della sua celebrità, del ruolo che ha, del pulpito da cui parla. E anche chi autore non può essere nel senso classico, cioè l’individuo qualunque, qui – in questo ecosistema – spesso come autore si atteggia sin da subito. La funzione-autore foucaultiana si esercita a tutto spiano in certi ambiti della Rete, fagocitando tutto il resto. Fagocitando soprattutto le idee e il merito delle argomentazioni. Allora, la proposta è mettere l’autore fra parentesi, dare uno spazio a chi accetterà di prenderselo – a certe condizioni, naturalmente – senza volerlo occupare con la propria identità, ma solo con la propria voce. Potrebbe non accettare nessuno; potrebbero essere troppi i favorevoli alla proposta. Lo vedremo. La rubrica inaugurata da questo intervento, e curata dal suo autore anomimo, sarà lo speaker’s corner per chi, parte del General Intellect, vorrà sfuggire dalla logica che rende la produzione intellettuale un altro ambito della produzione di ricchezza, che fa della comunicazione umana una fra le altre merci. Testi collettivi, testi irregolari, testi provocatori, testi marginali: voci della moltitudine potranno apparire qui, sotto le mentite spoglie dell’anonimato e grazie allo scudo che esso garantisce.]
* * * *
Si può immaginare una cultura dove i discorsi circolerebbero e sarebbero ricevuti senza che la funzione-autore apparisse mai. Tutti i discorsi, qualunque sia il loro statuto, la loro forma, il loro valore e il trattamento che si fa loro subire, si svolgerebbero nell’anonimato del mormorio.
M. Foucault, Che cos’è un autore?
- Details
- Hits: 2445
"Critica" tra Hegel e Marx
di Roberto Fineschi1
Abstract: Marx fa largo uso del termine “critica”, che è presente nel titolo di varie sue opere. In questo articolo cercherò di ricostruire lo sviluppo e i cambiamenti di significato di questo termine nelle diverse fasi dell’indagine di Marx. Mi concentrerò sulle fonti dirette, come il dibattito “critico” tedesco durante il Vormarz, e su autori come Straufi, Bruno Bauer, Feuerbach. Certamente Hegel è un punto di riferimento privilegiato dell’approccio filosofico di Marx. Mostrerò come Marx si sia spostato lentamente da un significato specifico del termine “critica” che era predominante durante il Vormarz per approssimarsi alla posizione hegeliana
È noto che Marx fa largo uso del termine “critica”. Esso è presente nel titolo di varie sue opere e non è quindi un caso che l’attenzione si sia concentrata su di esso. In questo articolo si cercherà di contribuire alla ricostruzione della sua storia interna e della sua origine nella tradizione filosofica anteriore. Essendo Hegel uno dei filosofi di riferimento privilegiati di Marx, si indagherà anche in questo autore il significato del termine per vedere a quale uso specifico di critica Marx si avvicini di più. Si vedrà del resto come il ruolo e la funzione della critica cambino nel corso della sua maturazione teorica.
1. Critica è un termine dall’uso diffusissimo nel dibattito intellettuale dall’illuminismo in poi. Qui fa da generale ed emblematico punto di riferimento la ricca, articolata e programmatica voce “Critique” nella Encyclopédie di Diderot e D'Alembert scritta da Marmontel (1754, vol. IV, pp. 490a-497b). Riviste critiche, biografie critiche, approcci critici, per non parlare ovviamente del criticismo kantiano, inondano la produzione letteraria e pubblicistica al punto che non è affatto semplice individuare un significato univoco del termine. Il tema è così complesso che non può certo essere oggetto di questo saggio; ci si limiterà in questa sede a indicarne alcune interpretazioni specifiche che reputo rilevanti per Marx ed il suo rapporto con Hegel.
Vediamo la lista di titoli significativi di pugno di Marx in cui compare il termine “critica”:
- Details
- Hits: 1422
Non esistono rivoluzioni innocenti. Il comunismo critico di Rossana Rossanda
di Alessandro Barile
La morte di Rossanda – straordinaria figura testimoniale del comunismo italiano – invita, anzi costringe a pensare ancora alla storia del nostro paese, all’impresa comunista nazionale e agli accidenti della rivoluzione. Contro le scemenze desideranti di insurrezioni «felici», Rossanda ci percuote con la sua verità, l’unica plausibile: la rivoluzione è un atto di sofferenza. Non si entra innocenti e se ne esce devastati. Umanamente, politicamente. Perché dovrebbe essere altrimenti? È un atto di vendetta per le generazioni passate e di sacrificio per quelle future. «Siate indulgenti», invoca Brecht, perché di ogni crimine ci saremo macchiati, e non verremo assolti. Quei crimini, di cui parla a cuor leggero una malandata etica della convinzione comunista, sono crimini verso noi stessi, non verso gli altri, famigerati “nemici di classe” su cui scaricare i necessari orrori della storia e della nostra coscienza. Siamo noi che veniamo compromessi, noi che ci macchieremo dei tradimenti e delle conversioni. Eppure si dovrà fare, è stato fatto: l’inazione giudicante non preserva dall’innocenza, è anzi una colpa ben maggiore.
La lunga, lunghissima riflessione di Rossanda si muove entro questi limiti. I limiti di una persona che si è scontrata direttamente con questi problemi, e che ha capito. A cui ha dato risposte molteplici, profonde, disorientanti. Su cui si può essere d’accordo e in disaccordo, come normale, ma riconoscendo le domande giuste, le uniche possibili, che si chiedono direttamente del travaglio umano che porta con sé ogni rivoluzione. Non esistono rivoluzioni innocenti. Un monito.
Rossanda ha scritto tanto, dagli anni Cinquanta ad oggi. Meriterebbe di essere letto tutto, soprattutto ciò che scrisse durante la sua militanza nel Pci, soprattutto durante il suo ruolo dirigente alla Federazione di Milano, prima, e alla Sezione culturale del partito, dopo.
- Details
- Hits: 1570
Ascesa e crisi della tecnoscienza del capitale
di Franco Piperno
Con questo contributo proseguiamo la riflessione sul percorso «Iperindustria» della rubrica Transuenze. Il testo che segue è la trascrizione, rivista dai curatori, di un intervento di Franco Piperno, fisico accademico e intellettuale militante che su queste pagine non dovrebbe richiedere ulteriori presentazioni, alla summer school organizzata da Machina alla fine della scorsa estate. Piperno, in modo inevitabilmente sintetico, entra nel merito di alcuni nodi profondi del tardo capitalismo, che trae potenza dalla sottomissione e funzionalizzazione della scienza alla tecnica, nell’impoverimento delle capacità cognitive sociali e dello stesso sapere scientifico. Il trionfo della tecnoscienza coincide tuttavia con una crisi profonda e conclamate dei suoi medesimi presupposti epistemologici. Le implicazioni di questa riflessione sulla natura del capitalismo iperindustriale, o tecnologico come lo chiama l’autore contrapponendolo a «cognitivo», e su molti dei temi che vorremmo approfondire (innovazione, qualità del lavoro, vecchia e nuova divisione sociale del lavoro, necessità di una critica radicale e non oscurantista del progresso tecnologico), ci sembrano evidenti, e anche imprescindibili.
* * * *
Fino al Rinascimento si può dire, schematizzando, che scienza e tecnica procedano separatamente. La scienza è solo uno dei saperi del mondo antico, quello teorico che, appunto, ha il fine in se stesso e lascia intatto il suo oggetto; la scienza deve rispettare delle procedure di produzione: risolversi nello svelamento delle «essenze»; dispiegarsi a partire da pochi principi fondamentali rispettando l’ordine logico; essere ad un tempo mezzo e fine – la scienza è disinteressata, non invasiva, nel senso non si propone di cambiare il mondo ma solo di conoscerlo contemplandolo.
- Details
- Hits: 1552
La paura americana (e occidentale)
di Michele Castaldo
Alla fine di una estenuante e assordante campagna elettorale vince il candidato che i sondaggisti davano favorito, e così il mondo democratico occidentale che aveva tifato e sperato nella sconfitta di Trump tira un sospiro di sollievo, e finalmente: habemus papam: Joe Biden.
Il “mite” e consumato personaggio politico già vice di Barak Obama sul quale si riversano le speranze occidentali indicandolo come Salvatore della patria, in nome dell’unità di tutti gli americani.
Quando è apparsa chiara la sua elezione sono scoppiate manifestazioni di giubilo un po’ in tutti gli Stati come a esorcizzare lo scampato pericolo di una nuova permanenza alla Casa Bianca di Trump, personaggio ritenuto più un fenomeno da baraccone che il presidente della nazione più potente del mondo libero, ma proprio per questo più pericoloso.
I media si sono spesi a ricostruire biografie del nuovo presidente e della sua vice, Kamala Harris, senatrice dello Stato della California, che ovviamente non ci risulta essere stata in piazza a scontrarsi con la polizia bianca nei giorni successivi all’uccisione di G. Floyd e che ha sposato un ebreo in età adulta e ricopre ruoli istituzionali di tutto rispetto. Poi c’è la ben nota ruffianeria italica, alla ricerca delle origini messinesi dell’attuale moglie del presidente, e via di questo passo.
La nostra impressione è che in Europa si pregava il padreterno perché vincesse Biden, perché il personaggio Trump, ormai inviso alle establishment del vecchio continente, avrebbe potuto determinare una destabilizzazione negli Usa, con ricadute preoccupanti sulla nostra economia, lacerando così i nostri già labili rapporti sociali. Pericolo scampato, dunque.
- Details
- Hits: 994
L’infondata leggenda del Recovery Fund
di Leonardo Mazzei
La leggenda secondo cui il Recovery Fund avrebbe cambiato l’Europa, ponendo fine all’austerità per iniziare un nuovo periodo di espansione economica, è una clamorosa bufala. Una gigantesca fake news, per chi ama gli anglicismi. Chi scrive non ha mai avuto dubbi sul punto, ma adesso ci giunge in aiuto un’attenta analisi del professor Gustavo Piga sulla Nota di Aggiornamento del Def (Nadef).
Premesso che in tempo di Covid i numeri contenuti nei documenti previsionali valgono quel che valgono, cioè quasi nulla, resta però interessante lo schema di ragionamento che il decisore politico ha posto come cornice al quadro previsionale. Mentre i numeri sono destinati ad essere smentiti, riaggiornati e rismentiti, quello schema di ragionamento resta invece la traccia indelebile di una precisa impostazione politica: quella degli euroinomani impenitenti, che scrivono di “espansione” anche quando sanno benissimo che avremo invece la solita austerità. Tra questi adoratori del “Dio Europa” il ministro Gualtieri non è l’ultimo arrivato.
Ecco così la sua Nadef 2020, come sempre co-firmata col Presidente del consiglio Giuseppe Conte. Su di essa il giudizio di Gustavo Piga è stroncante.
Diamo la parola a Piga
«La manovra economica del governo che pare espansiva e invece non lo è», questo il titolo chilometricamente liquidatorio del suo articolo. E non lo è – spiega Piga – proprio perché il tanto sbandierato Recovery Fund verrà utilizzato in tutt’altro modo. Probabilmente perché, questo lo aggiungiamo noi, non potrebbe essere diversamente proprio in virtù delle clausole previste da quel fondo, tanto decantato dai media quanto volutamente sconosciuto nei suoi meccanismi essenziali.
Page 152 of 552
Gli articoli più letti degli ultimi tre mesi
Carlo Rovelli: Guerra e pace. Intervista a Carlo Rovelli
Andrea Zhok: Maccartismo. Su un angosciante documento del Parlamento europeo
Paolo Cortesi: Programmi tv come addestramento di massa alla sottomissione
Leonardo Mazzei: Terza guerra mondiale
Francesco Schettino: Le radici valutarie del conflitto in Ucraina
Ilan Pappe: È il buio prima dell'alba, ma il colonialismo di insediamento israeliano è alla fine
Carlo Formenti: Libere di vendere il proprio corpo a pezzi
Raffaele Sciortino: Stati Uniti e Cina allo scontro globale
John Mearsheimer: “La lobby israeliana è potente come sempre”
Piero Pagliani: Raddoppiare gli errori fatali
Chris Hedges: Anche se è un genocidio, non verrà fermato
Luciano Bertolotto: Credito, finanza, denaro ... fiducia
Giulia Bertotto: Terza Guerra Mondiale? Attenzione al fattore “disperazione”
Daniele Luttazzi: Al NYT hanno scoperto che gli “stupri di massa” erano solo propaganda
Rostislav Ishchenko: Il problema russo non è sconfiggere l’Occidente ma cosa farne dopo
Fabio Mini: Il pantano dell’ultimo azzardo e i trent’anni contro la Russia
Jeffrey Sachs: I perché di questa inutile guerra e come se ne esce
Fabio Vighi: La fiducia nelle istituzioni e i dividendi di guerra
Carlo Rovelli: Dissenso, élites e "anelare alla dittatura"
Big Serge: Guerra russo-ucraina: l’alluvione
Piccole Note: Ucraina. Gli Usa e la guerra decennale
Stefania Fusero: La disabilità del male
Adam Entous e Michael Schwirtz: Come la Cia ha preso possesso dell'Ucraina golpista
Enrico Cattaruzza: Il male nel giardino di Höss. “Zona di interesse” di Jonathan Glazer
Konrad Nobile: La Grande Guerra in arrivo: non "se" ma "quando"
Gli articoli più letti dell'ultimo anno
Silvia Guerini: Chi finanzia il movimento LGBTQ
Daniele Burgio, Massimo Leoni e Roberto Sidoli: Lenin con gli occhi a mandorla: l’asiacentrismo
Marco Travaglio: Abbiamo abolito i neuroni
Daniele Luttazzi: I (veri) motivi per cui Cia, Nsa e il Pentagono hanno creato Google
Fabio Mini: La “controffensiva” è un fumetto di sangue
Piccole Note: I droni sul Cremlino. Prove di terza guerra mondiale
Joseph Halevi: L’inflazione è da profitti
Andrea Zhok: I quattro indizi che in occidente qualcuno lavora per il "casus belli" nucleare
Wu Ming: Non è «maltempo», è malterritorio. Le colpe del disastro in Emilia-Romagna
Giorgio Agamben: I media e la menzogna senza verità
Nico Maccentelli: Riflessioni su una sinistra di classe che sbaglia
Emmanuel Todd: «Stiamo assistendo alla caduta finale dell'Occidente»
Alessandro Bartoloni Saint Omer: Oltre "destra" e "sinistra" di Andrea Zhok
Alberto Fazolo: Il 24 giugno a sgretolarsi è stata la propaganda sul conflitto in Ucraina
Andrea Zhok: Le liberaldemocrazie bruciano nei cassonetti
Fabio Mini: Zelensky è finito intrappolato
Andrea Zhok: Contro le letture di "destra" e di "sinistra" delle rivolte in Francia
Alessandro Avvisato: Prigozhin in esilio. Il “golpe” finisce in “volemose bene”
Fabio Mini: Quante favole in tv su cause, azioni ed effetti del “golpe”
Emiliano Brancaccio: Un Esecutivo nemico del lavoro. Il fine ultimo è il precariato
Guido Salerno Aletta: La Germania si ritrova sola di fronte ai prezzi impazziti
Fabrizio Casari: Guerra e pace, lo strabismo europeo
Mario Lombardo: Ucraina, i droni e la controffensiva
Andrew Korybko: Cosa viene dopo la vittoria della Russia nella battaglia di Artyomovsk?
Franco Romanò, Paolo Di Marco: La dissoluzione dell'economia politica
Qui una anteprima del libro
Giorgio Monestarolo:Ucraina, Europa, mond
Andrea Cozzo: La logica della guerra nella Grecia antica
Qui una recensione di Giovanni Di Benedetto
Moreno Biagioni: Se vuoi la pace prepara la pace
Qui una presentazione del libro