- Details
- Hits: 1349
La battaglia delle idee: come è stata costruita l’egemonia statunitense
di Alessandra Ciattini
L’egemonia culturale statunitense non è casuale, ma è stata promossa dal secondo dopoguerra da istituzioni ben finanziate e organizzate come la CIA
È noto che l’espressione battaglia delle idee viene già utilizzata da Marx negli anni ’40 dell’’800 e successivamente da Gramsci allo scopo di sottolineare che la lotta per la costruzione di un nuovo modello di società tocca in maniera profonda anche la coscienza degli individui e il loro modo di concepire la vita collettiva.
Negli anni ’80, all’epoca dello scontro con gli Stati Uniti per la restituzione al padre del piccolo Elián González, Fidel Castro rilancia questo termine e dà impulso ad una serie di importanti misure, il cui scopo è quello di elevare il livello intellettuale dei cubani; tra queste cito lo sviluppo di un programma educativo volto ad estendere la preparazione universitaria, la creazione di un canale televisivo educativo (Universitad para todos), che si è mostrato molto utile in questa fase di confinamento per l’insegnamento a tutti i livelli, l’universalizzazione dell’università; quest’ultima, il cui scopo era quello di consentire l’accesso all’università di tutti i lavoratori sociali con l’aiuto dell’impegno volontario dei docenti, purtroppo non ha dato buoni risultati.
Successivamente, dopo il dissolvimento del blocco dell’est, e quindi con l’impossibilità di contrapporre il capitalismo ad un altro modello di società, il governo cubano decise di incrementare questa politica, passando da un atteggiamento difensivo ad uno aggressivo, colpevolizzando con insistenza l’attuale sistema economico-sociale dei gravi problemi con cui si deve confrontare l’umanità. In questo contesto nel 2003 si costituì ad opera di intellettuali cubani e messicani la Rete degli intellettuali in difesa dell’umanità, che ha avuto un illustre antecedente nell’Alleanza internazionale degli scrittori, il cui primo Congresso si tenne a Parigi nel 1935. La Rete è animata dalla volontà di opporsi alla barbarie, all’ingiustizia, a difendere la pace, la dignità umana e a preservare ciò che caratterizza l’essere umano in quanto tale.
- Details
- Hits: 1994
La fabbrica del consenso economico
di Thomas Fazi
Per capire come la teoria economica mainstream, costruita e riprodotta nei circoli intellettuali e accademici, viene veicolata, mediaticamente, nella cultura di massa, dobbiamo prima fare una breve premessa su come funziona la propaganda nei moderni regimi occidentali cosiddetti liberal-democratici (cioè nei regimi in cui, per intenderci, vigono elezioni a suffragio universale, libertà di associazione e libertà di stampa).
In questi paesi la propaganda assume forme ben diverse da quelle che solitamente assume nei regimi non democratici – cioè in cui non vigono le condizioni di cui sopra –, dove tendenzialmente esiste un controllo top-down diretto e pressoché assoluto del flusso di informazioni che arriva ai cittadini, tanto tramite i media ufficiali (che perlopiù sono direttamente sotto il controllo del governo) quanto, oggi sempre di più, tramite i social network e persino i sistemi di chat. Pensiamo per esempio alla Cina.
Ora, un tale livello di controllo – ma soprattutto un controllo così esplicito dell’informazione – sarebbe ovviamente considerato inaccettabile nei paesi occidentali (almeno per ora). Dunque in Occidente, in particolare in seguito all’ascesa della comunicazione di massa nel secondo dopoguerra – e quindi al progressivo proliferare delle fonti di informazione “indipendenti” (cioè non soggette a controllo governativo, diversamente dalla televisione pubblica, per esempio), che oggi con internet tendono praticamente all’infinito –, le élite politico-economiche occidentali sono dovute ricorrere a strategie alternative per assicurarsi un controllo sulla narrazione pubblica (controllo che – attenzione – è ancora più fondamentale nei regimi democratici, proprio perché in essi esiste effettivamente il rischio che possa essere eletto un governo ostile agli interessi delle élite).
- Details
- Hits: 834
La lotta all’UE nella strategia dei comunisti
di Redazione politica
L’Ordine Nuovo ha inaugurato alcune settimane fa sulle sue pagine una rubrica su l’Unione Europea. L’obiettivo dichiarato è favorire la discussione su una tematica complessa, le cui differenti visioni concorrono a dividere il movimento comunista a livello internazionale e all’interno dei vari Paesi. Questi contrasti, in alcuni casi, rispecchiano differenze profonde: valutazioni dissimili sulla natura delle istituzioni borghesi e nella concezione dello Stato, letture antitetiche dello scontro interimperialista. In altri casi, invece, il centro del dibattito non è tanto la natura dell’UE o la sua riformabilità, quanto differenti impostazioni tattiche che, complice l’arretratezza dello scontro di classe, finiscono per tradursi in un dibattito sulle intenzioni dai pochi risvolti reali, più utile a dividere che a fare i necessari passi in avanti nell’elaborazione.
Sul carattere irriformabile e reazionario dell’UE ci siamo soffermati già precedentemente,[1] evidenziando come essa sia stata strumento per l’abbattimento delle condizioni di vita dei lavoratori e abbia favorito i processi di riduzione degli spazi democratici, sdoganando, attraverso l’attività di lobbying, le pressioni delle grandi aziende private sugli indirizzi politici ed economici dell’Unione. Continue conferme della giustezza di questa lettura arrivano dalla quotidianità delle politiche europee che seguiremo a trattare nei nostri articoli.
Qui vogliamo, piuttosto, parlare di quale sia il compito dei comunisti nella battaglia contro l’UE con quanti condividono con noi la convinzione che nessuna Europa dei popoli sia possibile in regime capitalistico, che l’Unione Europea sia un’alleanza imperialista attraverso la quale il capitale monopolistico europeo persegue i propri interessi e che, per questa loro natura, le istituzioni europee siano irriformabili ed intrinsecamente contrarie agli interessi dei popoli europei.
- Details
- Hits: 2628
I ‘postumi’ del Sì
Alba Vastano intervista il professor Paolo Maddalena
“La concentrazione dei poteri in un uomo solo al comando e la corrispondente riduzione di poteri del Parlamento muterebbe la gerarchia delle fonti, poiché in pratica sposterebbe il potere sovrano dal Parlamento (e cioè dal Popolo) al Governo, con la inevitabile conseguenza che la legge avrebbe la pari forza delle norme e dei principi costituzionali. In sostanza, sarebbe cancellata la Costituzione”
P. Maddalena
Siamo ormai ad un mese dal referendum confermativo che ha chiamato gli elettori ad esprimersi, votando Sì o No, sulla legge costituzionale al taglio dei parlamentari “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari” pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 240 del 12 ottobre 2019 . L’art. 138 della Costituzione prevede che una legge può essere sottoposta a referendum se ne facciano domanda, entro 3 mesi dalla pubblicazione in Gazzetta, un quinto dei membri di una camera o 500mila elettori o 5 consigli regionali. La richiesta di referendum è stata firmata da 71 senatori e approvata dall’ufficio centrale per il referendum dalla Corte di Cassazione.
Una forte e partecipata campagna per il No, forse inaspettata, ha visto coinvolti molti Costituzionalisti e tanti personaggi della cultura italiana. Tanto da far sperare in una svolta rispetto ai fautori per il Sì. Non è andata, ma era anche prevedibile, vista la forte adesione dei partiti parlamentari e dei loro fidelizzati fra gli elettori. Nonostante la sconfitta del No, quel 30 per cento e oltre avrà un peso sulle scelte future del Parlamento nella nuova legislatura post elezioni politiche del 2023?
Delle ragioni del No e delle conseguenze della vittoria del Sì risponde nell’intervista che segue, Paolo Maddalena, costituzionalista, vice presidente emerito della Corte costituzionale.
- Details
- Hits: 2380
Ricerca di una nuova direzione
Sulla logica del Cln
di Nuova Direzione
La crisi
La spinta generata dalla crisi sanitaria ancora in corso sta determinando conseguenze dirette ed indirette molto forti. In particolare, si registra un’accentuazione della divaricazione tra sezioni del paese, sia in termini geografici sia di specializzazione, e l’impatto altamente differenziato sul mondo del lavoro (principalmente sull’asse tra impieghi stabili e precari e tra lavoratori autonomi e dipendenti). È evidente l’allargamento di una profonda linea di divaricazione, già presente e costitutiva della retorica neoliberale, tra i settori dei ceti salariati ancora protetti dalle garanzie novecentesche e il vasto mondo dei lavoratori precari senza diritti, in particolare nelle imprese piccole ed a basso livello tecnologico e di competitività, i numerosissimi finti autonomi del settore dei servizi (in particolare nel turismo e settori affini), gli operatori in proprio del commercio al dettaglio, i professionisti e parte del ceto medio produttivo ed imprenditoriale in crescente difficoltà. I primi antepongono la protezione, richiedendola, alla continuità dell’impegno lavorativo mentre i secondi, impregnati dello spirito libertario e della retorica del self-help tipica del mondo neoliberale, sono impauriti soprattutto della potenziale disoccupazione, o del fallimento delle loro attività, passano in secondo piano i rischi sanitari individuali e collettivi (che tendono ad essere negati). La seconda area tende a mobilitarsi contro le misure di protezione sanitaria, percependole come una minaccia concreta e una violazione della propria libertà individuale. La prima costituisce la base, al momento maggioritaria, di consenso alle misure governative di protezione attiva nei confronti dei rischi epidemici (che riguardano molto più la tenuta del fragile sistema sanitario nazionale che non la mortalità diretta in condizioni ottimali, che resta bassa).
- Details
- Hits: 1757
Pandemia nel capitalismo del XXI secolo*
di Alessandra Ciattini, Marco Antonio Pirrone
In questi ultimi mesi molto si è scritto e si è detto sulla pandemia, prodotta dal Coronavirus SARS-CoV2, che ha come esito il COVID 19[1] e che sta facendo morti in tutto il mondo, colpendo soprattutto quegli strati sociali che, per le loro stesse condizioni di vita, non sanno come difendersi.
Il libro ritorna sull’argomento, esaminando il gioco interattivo dei diversi fattori che stanno alle radici di questo drammatico fenomeno sociale e che costituisce un ennesimo avvertimento, dai più inascoltato, sulle reali condizioni del nostro pianeta e sulla possibilità che la vita possa continuare a riprodursi in esso.
All’interno dell’analisi di questi diversi fattori abbiamo voluto prestare una particolare attenzione alla dimensione economica, convinti che vi sia una stretta correlazione tra il modo di produzione capitalistico, la manipolazione della natura - e lo sconvolgimento degli assetti ecologici e della biodiversità che esso determina - e la genesi degli eventi pandemici. A questo proposito, non a caso, alcuni studiosi definiscono l’era attuale l’era del Capitalocene, ossia l’era del dominio e della diffusione del capitale sull’intero pianeta, con particolare attenzione proprio alle conseguenze sull’ecosistema di tale dominio.
Per sviluppare al meglio questa impostazione e per connettere la sfera economica agli altri aspetti della vita sociale siamo ricorsi ai contributi di vari specialisti (biologi, virologi, medici, sociologi, filosofi, economisti, giuristi), dotati però di una sensibilità antiriduzionistica. Ossia capaci di focalizzare la dimensione di loro pertinenza senza offuscare le complesse relazioni tra questa e gli altri livelli della vita sociale.
- Details
- Hits: 1057
Lo Stato come leva competitiva del capitale nella crisi
di Domenico Moro
Recentemente sul Sole24ore, il quotidiano di Confindustria, è stato pubblicato un articolo dal titolo significativo: “L’Europa superi il pregiudizio contro gli investimenti pubblici”[1].
Nell’articolo si parla di uno studio dell’Università Cattolica di Milano e di SciencePO di Parigi, a cura di Floriana Carniglia e Francesco Saraceno, che denuncia “il pregiudizio contro gli investimenti pubblici che risale almeno agli anni ’80 ma ha caratterizzato specialmente la fase di consolidamento fiscale fra 2010 e 2015.” Lo studio si concentra sulla parte della spesa pubblica rappresentata dagli investimenti, sottolineando che gli Stati hanno scaricato proprio sugli investimenti i costi dell’austerità. Gli investimenti vanno ripresi, dice il rapporto, ma in modo che siano considerati “non solo come fattore a sostegno della domanda aggregata ma anche come fattore funzionale alla produttività di lungo termine e alla crescita potenziale.” In questo senso, sono da rilanciare non solo gli investimenti pubblici tradizionali in infrastrutture materiali, come quelle di trasporto, ma anche quelli che allarghino la definizione stessa di investimento, inteso come tutto ciò che è funzionale alla produttività di lungo termine e alla crescita potenziale, come gli investimenti in ricerca e sviluppo, nel capitale sociale, la spesa mirata a sostenere gli investimenti privati, la lotta all’emergenza climatica e la gestione delle pandemie.
In particolare, sulle politiche per l’emergenza climatica si richiedono investimenti in larga scala, non solo pubblici ma anche quelli attinti al mercato dei capitali privati.
- Details
- Hits: 1175
Lavoro fluidificabile
di Carla Filosa
Il prolungamento produttivo della giornata lavorativa, realizzato sia allungando sia diminuendo l’orario di lavoro, si attua mediante l’accorciamento del tempo che i lavoratori hanno da vivere, nell’usura incondizionata delle energie vitali pur di rendere liquida al massimo possibile la forza-lavoro
Sollecitati dalla “Mozione conclusiva dell’assemblea dei lavoratori e delle lavoratrici combattive” tenutasi il 27 settembre 2020 a Bologna, cerchiamo di mettere a fuoco il 3° paragrafo della mozione, quello in cui si inizia “All’attacco a salari e diritti dobbiamo allora contrapporre una piattaforma generale di lotta…” con “parole d’ordine storiche del movimento operaio”.
Nell’ottica di sostanziare la potenzialità delle rivendicazioni proposte si cercherà di approfondire le modalità con cui il padronato ha fin qui condotto la sua lotta di classe nei confronti di un proletariato ormai mondiale, generato appunto dall’estensione planetaria del sistema di capitale impropriamente chiamata globalizzazione. Sapere o capire come viene fatto variare il salario, in base alle sole esigenze produttive dei capitali, significa poter poi lottare nella certezza di incidere significativamente sul sistema di sfruttamento non solo inarrestabile, ma programmato in continuo aumento dalla crisi strutturale raddoppiata da quella sanitaria sopraggiunta. Cominciamo a considerare che una qualsiasi giornata lavorativa può essere variata a discrezione, sulla base della quantità di plusvalore prodotto (cioè ricchezza prodotta e non remunerata, di cui non si ha mai consapevolezza) dal lavoro superfluo. Questa quota di ricchezza va distinta da quella remunerata prodotta nella trasformazione lavorativa per la necessaria ricostituzione della forza-lavoro, e che si presenta nell’operare concreto del cosiddetto lavoro necessario. Questa distinzione, specifica del modo capitalistico di produzione, può diventare visibile solo se si ha accesso alla conoscenza teorica di questo modo di produzione, mentre invece rimane oscura nell’unificazione apparente della giornata lavorativa determinata dall’orario di lavoro in base a cui si percepisce un salario.
- Details
- Hits: 1386
Il lavoro nelle tradizioni politiche moderne: bilancio e prospettive*
di Carlo Galli
Non si può parlare di lavoro, in chiave storica e teorica, senza confrontarsi con le principali categorie del discorso filosofico-politico: soggetto, proprietà, Stato, società, pubblico/privato, libertà/alienazione, disciplinamento; insomma con la nozione di politica moderna in generale. Infatti, il lavoro interseca le quattro grandi invenzioni della modernità: lo Stato, il mercato, il partito e la tecnoscienza.
Il mondo antico conosce il lavoro, naturalmente, ma nella teorizzazione classica il lavoro ha scarso rilievo. Certamente, in Platone (Repubblica 369b-374d) e in Aristotele (Politica 1252b) c’è l’idea che la città è prima di tutto cooperazione, un operare comune, e che questo cooperare grava sulla città, la fonda e la determina; ma c’è, altrettanto chiaramente, l’idea che ciò che è importante – l’attività di governo, o l’attività della filosofia, variamente intrecciate o addirittura coincidenti –, non è il lavoro. La politica ha a che fare con la libertà, la filosofia, la scienza, la guerra e la gloria, mentre il lavoro appartiene al regno della necessità. Del resto, mai i Greci hanno sentito il bisogno di pensare una divinità del lavoro: i Titani lavorano perché sconfitti; Afrodite è la dea della universale fecondità, della riproduzione ma non della produzione, e il suo infelice marito, Efesto, benché lavori è il dio del fuoco; Demetra è la dea delle messi, non la dea dei contadini; Ermes è il dio della comunicazione, del commercio e anche del furto; ma il dio del lavoro si cercherebbe invano: il lavoro non è cosa da dei.
Una delle poche voci importanti del mondo greco in cui il lavoro diventa una realtà politica è l’Epitaphios Logos, il discorso di Pericle che commemora i caduti ateniesi del primo anno (431/430 a.C.) della guerra del Peloponneso, riportato, probabilmente con fedeltà, da Tucidide nel II libro della Guerra del Peloponneso.
- Details
- Hits: 1671
Trump e la Cina: un braccio di ferro lungo quattro anni
di Gino Fontana
l dossier “AMERICANA” realizzato congiuntamente da Osservatorio Globalizzazione e Kritica Economica arriva alla terza puntata, la prima pubblicata sulle nostre colonne, con questo ampio e approfondito articolo di Gino Fontana, che traccia un bilancio dei rapporti tra Usa e Cina nell’era Trump
Uno spettro di aggira per gli Stati Uniti, lo spettro delle elezioni presidenziali. Quattro anni fa, in pochi avrebbero scommesso sul successo di Trump e il giorno dopo la vittoria dei repubblicani, molti si sono chiesti che ne sarebbe stato degli Stati Uniti d’America. Quattro anni di amministrazione Trump hanno portato a rivedere le priorità e gli interessi internazionali della Casa Bianca. In questo articolo, cercheremo di analizzare i quattro anni di politica estera dell’amministrazione Trump prendendo in considerazione i rapporti con un altro grande Paese, la Cina.
Cina e Stati Uniti non sono solamente legati da rapporti economici, ma rappresentano due superpotenze in grado di proiettare la loro influenza oltre i propri confini. Entrambi rappresentano un terzo del prodotto interno lordo mondiale. Pechino e Washington sono anche i maggiori investitori in spese militari, nonché i due maggiori Paesi che emettono CO2. Come già trattato in precedenti articoli, i rapporti sino-americani stanno definendo la natura dell’ordine internazionale del XXI secolo. Esistono molte opinioni differenti in merito all’evoluzione dei rapporti tra Pechino e Washington. Alcuni accademici parlano del modello “Chimerica”, sottolineando come il fattore dell’interdipendenza sia peculiare nelle relazioni tra i due giganti. Altri invece, riprendono la teoria della “trappola di Tucidide” sostenendo che le due superpotenze sono destinate allo scontro o ad una nuova guerra fredda. Come cita Mario Del pero in Ispi, report four years of Trump 2020, si tratta di un bipolarismo spurio, nel quale vi è una distribuzione di potere asimmetrica con la predominanza di un polo (quello a guida americana) sull’altro. Tuttavia, Pechino rimane in grado di sfidare la leadership di Washington, se non globalmente, almeno in alcune aree strategiche come la zona Asia-Pacifico.
- Details
- Hits: 1566
Walter Benjamin, un pensiero per tempi bui
di Dario Gentili
Il filosofo morto 80 anni fa è un'icona, nonostante la complessità del suo pensiero. Ciò accade perché, anche in una fase in cui non parevano esserci vie di fuga dall'oppressione, intravide la possibilità di invertire il corso della storia
Le ricorrenze rappresentano talvolta l’occasione per strappare – per qualche settimana o per qualche mese – all’oblio o a una trasmissione affidata esclusivamente agli specialisti il pensiero e l’opera di un autore. Quella della rammemorazione delle ricorrenze – se non godono di per sé di una celebrazione già solennemente imbastita – è un esercizio a cui si è dedicato anche Walter Benjamin. A ottant’anni dalla sua morte, tuttavia, il suo non è certo il caso di un pensatore scomparso dai radar delle mode culturali (e dunque non solo accademiche) e di cui ci si augura o si promuove la riscoperta. Anzi, a partire dagli anni Sessanta (vale la pena ricordare che, in vita e fino ad allora, era un autore praticamente disconosciuto), Benjamin è uno dei pochi filosofi che ha oltrepassato i confini dei circuiti accademici per far capolino non di rado nella cosiddetta cultura popolare. È stato ed è fonte d’ispirazione se non oggetto di film, rappresentazioni teatrali, romanzi, racconti, dipinti, e la sua stessa immagine è stata riprodotta – per mezzo di quella «riproducibilità tecnica» che lui indicò come destino dell’arte – in vari stili e fattezze. Per non parlare della frequenza con cui le citazioni tratte dai suoi scritti campeggiano ovunque, dalle mostre d’arte alle pagine Facebook. E sarebbe da rilevarne l’ironia della sorte per un pensatore i cui scritti sono stati spesso tacciati di oscurità ed ermetismo, aspetto che tra l’altro fece da argomento per la sua bocciatura all’abilitazione per l’accesso all’università tedesca (ben prima che il suo essere ebreo potesse comunque precludergliela).
- Details
- Hits: 7341
Catastrofe o rivoluzione1
di Emiliano Brancaccio
L’ex capo economista del Fondo monetario internazionale ha sostenuto che per scongiurare una futura “catastrofe” serve una “rivoluzione” keynesiana della politica economica. La sua tesi viene qui sottoposta a esame critico sulla base di un criterio di indagine scientifica del processo storico definito «legge di riproduzione e tendenza del capitale». Da questo metodo di ricerca scaturisce una previsione: la libertà del capitale e la sua tendenza a centralizzarsi in sempre meno mani costituiscono una minaccia per le altre libertà e per le istituzioni liberaldemocratiche del nostro tempo. Dinanzi a una simile prospettiva Keynes non basta, come non basta invocare un reddito. L’unica rivoluzione in grado di scongiurare una catastrofe dei diritti risiede nel recupero e nel rilancio della più forte leva nella storia delle lotte politiche: la pianificazione collettiva, intesa questa volta nel senso inedito e sovversivo di fattore di sviluppo della libera individualità sociale e di un nuovo tipo umano liberato. Una sfida che mette in discussione un’intera architettura di credenze e impone una riflessione a tutti i movimenti di lotta e di emancipazione del nostro tempo, tuttora chiusi nell’angusto recinto di un paradigma liberale già in crisi
Prologo
Per scongiurare una futura “catastrofe” sociale serve una “rivoluzione” della politica economica. Così parlò Olivier Blanchard, già capo economista del Fondo monetario internazionale, in occasione di un dibattito e un simposio ispirati da un libretto critico a lui dedicato (Blanchard e Brancaccio 2019; Blanchard e Summers 2019; Brancaccio 2020). Che un grande cardinale delle istituzioni economiche mondiali adoperi espressioni così avventuristiche è un fatto inusuale. Ma l’aspetto davvero sorprendente è che tale fatto risale a prima del tracollo causato dal coronavirus. Tanto più dopo la pandemia, allora, diventa urgente cercare di capire se l’evocazione blanchardiana del bivio “catastrofe o rivoluzione” sia mera voce dal sen fuggita o piuttosto segno di svolta di uno spirito del tempo che inizia a muovere da farsa a tragedia. A tale interrogativo è dedicato questo scritto.
A chi intenda cimentarsi nella lettura, sarà utile lanciare un avvertimento. Sebbene intessuto di fili accademici, questo saggio risulterà estraneo alle pratiche discorsive dell’ordinario comunicare scientifico. Qui si cercherà infatti di rinnovare un antico esercizio, eracliteo e materialista: di intendere logos come scienza. Scienza non parziale ma generale, per giunta, quindi inevitabilmente colma di vuoti come un formaggio svizzero. Su questi vuoti, prevediamo, gli specialisti contemporanei avvertiranno insofferenza mentre sarà indulgente l’osservatore avvezzo alla critica e alla crescita della conoscenza (Lakatos e Musgrave 1976). Costui è consapevole che solo una visione generale consente di visualizzare quei vuoti, e quindi crea le premesse per tentare di perimetrarli e superarli.
- Details
- Hits: 1445
Affrontiamo un autentico cambio di paradigma
di Karlo Raveli
Questo testo è riedizione del contributo ‘Percorsi di comunismo ecologico per capovolgere l’offensiva contro i corpi’ al terzo seminario di Effimera ‘Dei corpi perduti e dei corpi ritrovati’, Milano 10 ottobre 2020
L’assalto di massa intelligente e organizzato del denominato capitalismo alla salute operaia sembra costituire l’ultima fase di ‘lotta di classe’ - usando questo temine antico, abusato, alienato e soprattutto contraffatto.
Una affermazione che contiene per cominciare varie insidie...
La prima: assalto intelligente e organizzato. Che non significherebbe – solo? - sottolineare le possibili e probabili disposizioni tattiche e strategiche di potere degli ultimi anni nel terreno della salute, delle cure dei corpi, da parte di svariati nodi capitalistici (Fond. Rokefeller, BigPharma e chimico-petrolifero, Bill e Belinda Ponti, OMS privatizzata, innumerevoli altri centri, fondazioni e facoltà universitarie, ecc, ecc. da loro dipendenti, insieme ai governi) BENSÌ tutto un lungo processo capitalistico che da Pasteur in poi – come riferimento significativo – ha fatto delle cure, della sintomatologia e malattia, farmacologia, tecno-interventi sui corpi, funzioni ospedaliere, ecc. un complesso raziocinante e organizzato di riduzioni e integrazioni mercantili dei corpi. Pertanto degli individui, e poi di persone e implicitamente soggetti sociali e collettivi.
Compresi gli interventi sulle più o meno serie influenze annuali, invernali e periodiche così come si manifestano e interpretano da non molti anni. Con disposizioni sempre più massicce e virulente fino all’attuale e allucinante apogeo infodemico 2020 che colpisce costantemente e ripetutamente gli individui con tutti i media di massa.
Ecco quindi un’altra trappola epistemologica originaria: la stessa concezione di salute e cure stravolta dall’etica e filosofia di base della medicina allopatica e da tutto l’enorme apparato corrispondente.
- Details
- Hits: 1919
L’elaborazione di Gianfranco La Grassa del concetto di Imperialismo
di Giancarlo Paciello
Premessa
Lo studio pluriquarantennale di questo misconosciuto studioso del marxismo e del leninismo (che ha comunque pubblicato decine di libri su entrambi gli argomenti!), è approdato ad alcune formulazioni originali sia dell’uno che dell’altro. Dal momento che, nella situazione attuale, è proprio un quadro complessivo cui far riferimento che fa difetto, cercherò di illustrare dette formulazioni, a partire dalla rilettura che La Grassa fa dell’“Imperialismo, fase suprema del capitalismo” di Lenin, ivi comprese le sue ipotesi su come possa evolvere nei prossimi decenni “la formazione sociale capitalistica ri-mondializzatasi nel 1989-91”.
Cercherò, nei limiti delle mie capacità, innanzitutto di “descrivere” il nuovo quadro teorico che ne risulta, quanto alle mie “riserve”, pur dichiarandomi fin da ora complessivamente d’accordo con La Grassa (cosa del tutto evidente del resto, visto che ho scelto questo originale e rinnovato contributo alla teoria, per collocarvi le mie argomentazioni), le esprimerò in una o due paginette, a parte, che allegherò al testo. Premetto che si tratta di un lavoro, decisamente faticoso e difficile!
Ad una prima parte sostanzialmente teorica, che io credo di non difficile comprensione (anche se di non facile accettazione, visto il quadro ossificato dei teorici marxisti), ne seguirà una seconda, con la quale occorre confrontarsi se non si vuole stare soltanto alla finestra, e che sarà costituita, per solido convincimento dello stesso autore, da una serie di ipotesi pronte a smentire il più approfondito dei convincimenti, anche se fondato su di una solida teoria.
- Details
- Hits: 1967
Socialismo o imperialismo europeo?
di Alessandro Pascale
Articolo pubblicato su Cumpanis.net nel settembre 2020. Disponibile in PDF su Academia
L'uscita dall'Unione Europea rappresenta un punto ineludibile non solo per i comunisti e i “sovranisti” (di qualsivoglia fatta) ma anche per le forze borghesi “realiste” e soprattutto per la stragrande maggioranza dei lavoratori e dei subalterni di questo paese. Una gran parte del popolo la pensa però diversamente, e pur mostrando ormai un'ampia diffidenza, ritiene ineludibile la permanenza nell'UE. Quali sono le loro ragioni? Raccogliendo i principali atteggiamenti socio-individuali sull'Europa, si possono costruire i seguenti ideal-tipi, che racchiudono modi di sentire presenti sia tra le classi dominanti che tra quelle dominate. Queste ultime per varie ragioni subiscono l'egemonia borghese, senza esserne pienamente consapevoli.
1) Gli "ingenui europeisti”
La prima categoria, facilmente identificabile, è quella che chiamerei gli “ingenui europeisti”, ossia coloro che rivendicano la bontà dell'esperimento europeo. “L'Europa ci ha dato prosperità e sviluppo, ha garantito 70 anni di pace, libertà e diritti umani”. Spesso tale tendenza è accompagnata da una sensibilità cosmopolita o da un'autodenigrazione nazionale che ritiene gli italiani incapaci di auto-governarsi a causa della dilagante corruzione, stupidità e incapacità che sarebbero insiti nel nostro DNA. Inoltre ci si richiama al percorso che ha ormai permesso di costruire un'identità europea, specie tra le giovani generazioni grazie a progetti come l'Erasmus.
Gli “ingenui europeisti” si dividono in due filoni: i “truffatori” e gli “ingannati”.
- Details
- Hits: 1756
La nuova enciclica del Papa, contro l’ideologia del mercato
di Piotr Zygulski*
La nuova lettera enciclica di papa Francesco dal titolo Fratelli tutti (qui il testo), firmata ad Assisi il 3 ottobre 2020, è dedicata – come mostra già il titolo – all’apertura universale della fraternità e all’amicizia sociale, e non risparmia parole incisive anche per l’economia. Nata a cavallo della pandemia come sviluppo dei temi del Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune firmato ad Abu Dhabi nel febbraio 2019 congiuntamente con il Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb, l’enciclica sistematizza in modo più autorevole alcuni spunti che il papa aveva già offerto in altre occasioni.
Già nel primo capitolo “Le ombre di un mondo chiuso” segnala che l’espressione “aprirsi al mondo” fatta propria dalla finanza “si riferisce esclusivamente all’apertura agli interessi stranieri o alla libertà dei poteri economici di investire senza vincoli né complicazioni in tutti i Paesi. I conflitti locali e il disinteresse per il bene comune vengono strumentalizzati dall’economia globale per imporre un modello culturale unico”, imponendo quindi una massificazione “che privilegia gli interessi individuali e indebolisce la dimensione comunitaria dell’esistenza”.
Si verifica così “un vero e proprio scisma” tra “l’ossessione per il proprio benessere e la felicità dell’umanità condivisa”, con il “bisogno di consumare senza limiti e l’accentuarsi di molte forme di individualismo senza contenuti”. Parla di “globalismo” che, nella logica del divide et impera favorisce le identità dei più forti e dissolve quelle dei più deboli.
- Details
- Hits: 975
"Quel sole e quel cielo"
Raccolta di poesie di Geraldina Colotti
di Fosco Giannini
Dall’ultima raccolta di Geraldina Colotti, Casa Editrice “La Città del Sole”, dal perfetto amalgama tra forma e contenuto, tra postazione rivoluzionaria e raffinatezza del linguaggio traiamo un dono: la poesia
Libera nos a malo: con la stessa espressione evangelica con la quale, nella versione latina, si pregava il padre nostro di liberarci dal male, potremmo chiedere al dio della della poiesis di liberarci da Benedetto Croce e da tutto il vasto, secolare, crocianesimo servile, che mai non muore e che come una fabbrica di merci di massa ha invaso il mercato della critica letteraria con i criteri standardizzati per la lettura della poesia e della letteratura. È attraverso il crocianesimo che per decenni abbiamo creduto che vi fosse una letteratura di serie “a” e una di serie “b”, una alta e una negletta; che il grande romanzo inglese o francese fosse letteratura classica e il “giallo” fosse letteratura per ceti operai e proletari, quelli senza capacità critica e, in fondo, senz’anima. Finché dalle viscere della società americana uscirono le pagine, altrettanto classiche di un Flaubert, di Dashiell Hammett o di un Raymond Chandler, che scrivevano gialli, che usavano la forma del giallo per raccontare la miseria, la violenza, la vita oscura delle metropoli americane, con la stessa luce veggente di quel Balzac che scriveva della piccola borghesia in formazione. Libera nos a malo, liberaci dal crocianesimo che come un feroce ingegnere israeliano ha tirato su un Muro tra il contenuto e la forma, condannando reggimenti di critici letterari ed eserciti di lettori a parlare dell’una e dell’altra, salvandone una e condannandone l’altra, mai viste convivere in un unico corpo.
Occorre innanzitutto prendere le distanze da “Poesia e non poesia” (1923) dove Croce stabilisce per i posteri che l’arte è pura forma e che il mondo fisico è irreale quanto reale è la poesia, per leggere il lavoro di Geraldina Colotti. È vero che sono le scelte di vita, politiche, filosofiche, esistenziali di Geraldina a prendere, da sole e senza aiuto esterno, le distanze dal vate dell’idealismo conservatore italiano.
- Details
- Hits: 1928
Il capitale ha riconquistato piena padronanza del sistema bancario
di Ascanio Bernardeschi
Le politiche liberiste europee, passivamente subite dall’Italia, hanno determinato lo scompaginamento del sistema bancario togliendo allo Stato la leva della politica monetaria e creditizia e ponendolo alle dipendenze della finanza. Le regole europee e le misure anti-covid non consentono di esercitare un controllo pubblico dell’economia. Lo Stato dovrebbe riappropriarsi del sistema bancario per poter indirizzare le risorse finanziarie verso obiettivi economici e sociali pianificati. Inizia con questo articolo un servizio sul sistema bancario italiano nel contesto della crisi economica
Cominciamo con Marx. Nel caso del denaro dato a prestito, la forma della metamorfosi del capitale è D-D’ con D’ maggiore di D. Cioè viene messo in circolazione denaro e se ne ritrae di più di quello immesso. La valorizzazione avviene attraverso il puro movimento del denaro, senza che intervenga non solo la produzione, ma neppure la stessa circolazione delle merci. Si crea l’illusione che il denaro possa sgorgare da sé stesso e moltiplicarsi alla stregua dei pani e dei pesci di evangelica memoria. A chi si ferma a questa manifestazione fenomenica diviene invisibile la circostanza che il guadagno del capitalista finanziario è solo una quota del plusvalore complessivo, cioè lavoro non pagato, estratto nei settori produttivi e ripartito fra tutti i capitalisti, compresi quelli operanti nei settori non produttivi. Si raggiunge quindi con questa forma il culmine del feticismo del denaro.
La sezione finanziaria del capitale è anche quella che meglio di tutte rappresenta la pulsione del capitalista all’autoaccrescimento della ricchezza astratta, a prescindere dai modi con cui tale valorizzazione si realizza. Perciò non è sorprendente se nelle formazioni economiche in cui predomina il modo di produzione capitalistico, cioè nella maggior parte del globo, tutto si sacrifica agli interessi del capitale finanziario, compresi, il debito “sovrano”, che sovrano non è, trascinato fino ai limiti dell’ingovernabilità (e talvolta anche oltre), e le stesse istituzioni democratiche, regolarmente soggiogate alle sue esigenze.
Non va dimenticato però che le banche hanno oggettivamente un ruolo di primissimo piano nel sistema economico in virtù della loro capacità di determinare l’allocazione delle risorse finanziarie fra i vari rami economici e le varie imprese, attraverso le loro decisioni di finanziamento.
- Details
- Hits: 1647
Per scomporre l’orologio della modernità
di Gigi Roggero
A mo’ di una recensione di Gigi Roggero sulla trilogia di Raffaele Alberto Ventura
Leggeteli, i libri di Raffaele Alberto Ventura. Non solo l’ultimo, Radical Choc (Einaudi 2020), ma anche quelli precedenti, Teoria della classe disagiata e La guerra di tutti (minimum fax 2017 e 2019). In una sorta di trilogia, ci sembra che già il primo volume contenga le tesi e gli argomenti centrali. Aggiornando Thorstein Veblen, che definiva «agiata» una classe oziosa e improduttiva, che spende nei consumi per lo status, Ventura propone una teoria di quella classe diventata «disagiata». Nel contesto della crisi del ceto medio, l’autore si concentra sulla sua frazione colta e intellettualizzata, che usa o usava la conoscenza come strumento di potere e di ascesa sociale, abituata a uno stile di vita – fatto di riconoscimento e consumi «posizionali» – che non può più permettersi. Da qui l’infelicità rancorosa, che per le diverse frazioni prende strade differenti e confluisce nella guerra di tutti. Un novello stato di natura di hobbesiana memoria, che rischia di assumere più i toni grotteschi della farsa che non quelli seriosi della tragedia. Nell’arena si scontrano così i vari pezzi del ceto medio declassato e minoranze aggrappate all’orgoglio di un’identità costruita sull’oppressione subita. Gli uni vogliono tornare a quello che avevano prima, gli altri vogliono avere quello che non hanno mai avuto. Entrambi pretendono un risarcimento per i torti subiti e sono pronti a scannarsi per una risorsa sempre più scarsa: il riconoscimento, appunto.
Con continui riferimenti, culturalmente raffinati, alternativamente colti e pop (ci perdonerà Ventura se rimarchiamo la sua evidente appartenenza allo stile di scrittura del ceto su cui giustamente infierisce nel suo libro), l’autore scarnifica una classe troppo ricca per rinunciare alle proprie aspirazioni, troppo povera per realizzarle.
- Details
- Hits: 1545
Niente paura, arrivano i mostri!
di Francesco Cappello
Lo stato delle cose nel nostro paese
Quasi 5 milioni in povertà estrema, circa 9 milioni in povertà relativa, 14 milioni gli inattivi che hanno rinunciato a cercare lavoro né si dedicano alla formazione, 2 milioni di disoccupati; il 12% di chi lavora è sulla soglia della povertà a causa di salari troppo bassi, 4,3 milioni di lavoratori part-time di cui 2 su 3 non per scelta ma perché costretti. Nel frattempo la produzione industriale si è quasi dimezzata. Il settore turistico e il suo indotto ridotti allo stremo. Le imprese a rischio default con il coronavirus sono il 65% delle Pmi italiane; Più di 8 milioni i lavoratori in cassa integrazione mentre, come si sa, il termine del divieto di licenziamento imposto dal governo avrà termine, a meno di proroghe, a fine anno. Nel frattempo cominciano i primi provvedimenti nel segno della ripresa delle riforme strutturali nel solco della nostra ormai triste tradizione: quota 100 è in corso di smantellamento (la legge Fornero non è mai stata abrogata) e cominciano i primi attacchi al cosiddetto reddito di cittadinanza. In prospettiva è prevedibile una recrudescenza delle politiche di avanzo primario ormai quasi trentennale.
Piuttosto che alle soluzioni concrete e percorribili nell’immediato in grado di valorizzare le nostre immense risorse endogene (vedi piano di salvezza nazionale) il governo pensa ad indebitarci ulteriormente e a cronicizzare il vincolo esterno che ha almeno due componenti fondamentali: l’appartenenza alla Ue insieme a quella che ci lega alla Nato a comando Usa e ai suoi programmi. Piuttosto che investimenti verso una spesa pubblica quale risposta ai bisogni interni appare viceversa naturale, nell’attuale sistema delle cose, approffittare di questa occasione per alimentare ulteriormente il settore delle spese militari.
- Details
- Hits: 2102
C’era una volta l’egemonia statunitense…
di Francesco Piccioni
Con un articolo di Maurizio Novelli
Guardare le cose dal cortile di casa è confortevole, ma non permette di capire alcunché su come sta cambiando il mondo. Lo diciamo spesso, perché il provincialismo culturale o addirittura informativo della cosiddetta “sinistra” ha raggiunto livelli superati solo dalla destra fascioleghista, costitutivamente incapace di cogliere le dinamiche mondiali.
Per questo, nel nostro lavoro di informazione-formazione di una “cultura collettiva” comunista, ricorriamo spesso ai contributi più illuminanti che vengono prodotti in campo avversario. E i giornali economici – per la loro funzione di “orientamento” degli investitori – sono obbligati a dare informazioni strutturate decisamente meno taroccate di quelle che appaiono su Repubblica et similia.
Sulla tempesta che sta colpendo gli Stati Uniti, qualche giorno fa, abbiamo ripreso il punto di vista – molto pessimistico – di Stephen Roach sui destini del dollaro (uno dei pilastri dell’egemonia Usa).
A conferma indiretta, oggi Milano Finanza ospita un’analisi forse anche più “definitiva”, per mano di Maurizio Novelli, manager del Lemanik Global Strategy Fund, un fondo di investimento svizzero su mercati mondiali. Non un “teorico” della finanza, insomma, ma un operatore sul campo, che guarda alle tendenze attraverso indici aggiornati in tempo reale e deve decidere cosa fare dei miliardi che gestisce.
Fa effetto, insomma, leggere da un personaggio del genere – certo non sospettabile di simpatie marxiste – che “Il Covid ha travolto il modello economico degli Usa, ormai troppo esposto alla leva finanziaria e al peso della finanza nell’economia, dove è l’economia reale che sostiene la finanza e non viceversa.”
- Details
- Hits: 1682
Che cosa è la "legge del valore"?
di Bollettino Culturale
Sebbene la legge del valore sia una delle idee fondamentali e centrali dell'approccio economico marxista, le sue caratteristiche non sono così chiare come sembra. Tale legge può essere intesa fondamentalmente in tre versioni successive e complementari, all'interno del piano dell'economia nazionale. Partendo dal complesso elementare-semplice al complesso composto: la versione più semplice è la legge della determinazione del valore in base all'orario di lavoro, poi c'è la legge del valore come legge della distribuzione del lavoro sociale (che solleva interrogativi sul suo significato di legge dell'equilibrio nella distribuzione del lavoro sociale), infine può essere inteso come una legge di minimizzazione dell'orario di lavoro astratto, che è legata alle leggi generali di riproduzione e sviluppo del modo di produzione capitalistico.
La legge del valore nel capitalismo
Per Marx, la grandezza del valore di una merce è proporzionale all'orario di lavoro socialmente necessario per produrla, quindi esiste la legge della determinazione del valore in base al tempo di lavoro. Questa conclusione iniziale, oltre ad essere oggetto di critica da parte dell'economia borghese, può portare a certe confusioni sulla natura della legge del valore. In “Salario, prezzo e profitto” Marx dichiara che:
“Quale è dunque il rapporto fra valore e prezzi di mercato, o tra prezzi naturali e prezzi di mercato? Voi tutti sapete che il prezzo di mercato è lo stesso per tutte le merci della stessa specie, per quanto diverse possano essere le condizioni di produzione dei singoli produttori. Il prezzo di mercato esprime soltanto la quantità media di lavoro sociale necessario, in condizioni medie di produzione, per fornire al mercato una certa quantità di un determinato articolo.
- Details
- Hits: 2008
Virus, il mondo di oggi
di Gilles Dauvé
Fino ai primi giorni del 2020, da quando ha sentito parlare di un «virus», la prima cosa a cui ha pensato l'Occidente (l'Asia era sicuramente meglio informata) è stato il suo computer. Di certo, nessuno ignorava il significato medico della parola, ma quel termine, virus, rimaneva assai lontano (Ebola) e relativamente silenzioso nonostante i 3 milioni di morti l'anno per AIDS, e perfino banale (l'influenza invernale, causava «solamente» 10.000 morti l'anno in Francia, ed erano per lo più i vecchi e coloro che erano affetti da patologie croniche). E se la malattia colpiva, poi c'era la medicina che faceva dei miracoli. Era riuscita perfino ad abolire lo spazio: da New York, un chirurgo poteva operare un paziente a Strasburgo! Di questi tempi, piuttosto, ad ammalarsi erano le macchine. E questo fino ai primi giorni del 2020.
1 / Malattia della Civiltà
1.1 / Si muore come si è vissuto
Malattia contagiosa, con un tasso di diffusione assai superiore a quello dell'influenza, il Covid-19 causa pochi casi gravi, ma la loro gravità è estrema, soprattutto per le persone a rischio (quelle sopra i 65 anni), e richiede una "pesante" ospedalizzazione dei contagiati in pericolo di vita. Da qui anche la necessità (che in Francia si è arrivati a realizzare assai tardi) di effettuare massicciamente dei test. Epidemie e pandemie non hanno aspettato l'era contemporanea. Nell'Impero Romano, fra il 166 ed il 189, la peste fece quasi 10 milioni di vittime. All'indomani della prima guerra mondiale, i morti attribuiti all'influenza "spagnola" sono stati tra i 20 e i 100 milioni (dei quali, in Francia tra i 150 mila e i 250 mila). In quello stesso periodo, il tifo, causato da un batterio, uccideva 3 milioni di Russi durante la guerra civile.
- Details
- Hits: 1586
La rivoluzione di Eleanor Marx
di Claudio Cinus
Il primo riferimento storico di Miss Marx è l’anno della morte di Karl Marx, 1883; non ci sono altri cartelli o sovrimpressioni a illustrare il contesto. Susanna Nicchiarelli non vuole indirizzare il suo film verso la classica ricostruzione storica e preferisce concentrarsi subito su un poco noto rapporto padre/figlia. L’orazione funebre rappresentata sullo schermo è da parte di Eleanor Marx, detta Tussy, figlia più giovane del grande pensatore tedesco. Romola Garai, che dà il volto alla protagonista, guarda in camera come per presentare il suo personaggio a una platea che probabilmente non lo conosce e nel rivolgersi, per la prima ma non ultima volta, direttamente agli spettatori del film (oltreché alla piccola platea di astanti nella finzione cinematografica) accetta il ruolo subalterno di “figlia di”. Le sue parole sono dedicate quasi esclusivamente al rapporto di Karl con la moglie Jenny, celebrazione di un matrimonio felice nei sentimenti quanto travagliato economicamente; nelle frasi di Eleanor la politica quasi scompare innanzi all’aspetto più intimo e quotidiano di un uomo noto invece per il suo impegno sociale. Eleanor è erede di nome e di fatto del padre: il partito la stima, le sue qualità oratorie e di scrittura sono riconosciute, nessuno mette in dubbio che sia capace di portare avanti con autonomia le idee ereditate dal padre. Ma lei preferisce filtrare tutta l’esperienza della figura paterna attraverso il racconto della loro vita familiare. Ricorda l’uomo che ha amato una donna nella maniera in cui ogni donna vorrebbe essere amata, il padre che le ha dato una degna educazione; questo è stato per lei Karl Marx.
Scoprirà solo qualche anno dopo che la vita sentimentale del padre non era stata lineare e monogama come lei credeva fermamente, ma ormai il danno è fatto: l’ammirazione profonda per il genitore la porta a volerne continuare la lotta politica cercando al contempo di replicare quell’ideale romantico che credeva di avere osservato e compreso coi suoi occhi di bambina.
- Details
- Hits: 1246
“La Polizia è fuori controllo e potenzialmente golpista”
La degenerazione della “Republique”
Intervista a Frédéric Lordon
Questa polizia è maledetta, razzista nel profondo, fuori controllo, impazzita per la violenza, bloccata nella negazione collettiva e ha solo episodi di attacchi terroristici per rifarsi l’immagine”.
“Essere un intellettuale è schierarsi con ciò che sconcerta l’ordine sociale, schierarsi con le forze che lo scardinano, contro gli intellettuali per i media”
È da poco uscito nelle librerie “Police”, opera collettiva pubblicata dalla casa editrice La Fabrique, in cui viene analizzata, grazie ai contributi eterogenei dei diversi autori, la natura storica e sociale della polizia, il suo ruolo e le sue funzioni all’interno dell’attuale società capitalista, la “legittimità” della violenza, la “degenerazione” aggressiva e la fascistizzazione dei suoi agenti. Partendo dalle enormi mobilitazioni di piazza degli ultimi anni in Francia – da quelle contro la Loi Travail fino al movimento dei Gilets Jaunes – e sull’onda lunga delle manifestazioni contro le violenze brutali e spesso letali (Geroge Floyd, Jacob Blake, Breonna Taylor, Dijon Kizzee, Deon Kay…) della polizia negli Stati Uniti, viene investigato a fondo lo stretto legame oggi vigente tra politiche neoliberiste, repressione del dissenso e controllo sociale.
Di seguito la traduzione dell’intervista ad uno degli autori, Frédéric Lordon, realizzata da Selim Derkaoui e Nicolas Framont per la “rivista indipendente di critica sociale per il grande pubblico” Frustration.
* * * *
Nel lavoro collettivo “Police” vi chiedete “Quale “violenza legittima”?”, espressione usata regolarmente dall’“alto” della gerarchia, che poi parla di “monopolio della violenza legittima” (come la prefettura, la DGSI, il governo, i politologi e gli esperti di televisione, ecc.).
Page 154 of 550