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Lo spread che vale una legislatura

Carlo Clericetti

Se l’Italia chiederà l’aiuto del Fondo salva-Stati dovrà firmare un memorandum di impegni. Potrebbe essere questo il modo di blindare la politica montiana: a quel punto, comunque vadano le elezioni, il programma della legislatura sarebbe già scritto. Nel qual caso, potremmo pure risparmiarci la fatica di andare a votare

Uno dei più persistenti dibattiti sui vari aspetti della crisi è quello che verte sul fatto che l’Italia sia costretta o no a chiedere l’intervento del Fondo salva-Stati per ridurre il costo del debito. E’ ormai universalmente accettato – visto che l’hanno affermato anche istituzioni internazionali oltre che politici ed economisti italiani e stranieri – che questo costo, assai più elevato per i paesi del sud Europa rispetto a quelli del centro-nord, dipenda per una parte rilevante non dalla sfiducia nella capacità dei vari Stati di ripagare i debiti, ma dall’ipotesi non del tutto improbabile di una rottura dell’euro. Se si tornasse alle monete nazionali quelle del sud subirebbero una svalutazione e le altre una rivalutazione, generando rispettivamente perdite o guadagni per i possessori dei titoli denominati nelle nuove valute. I rendimenti elevati richiesti alle monete del sud incorporano dunque il rischio di quelle perdite, mentre la possibilità di un extra-guadagno fa sì che gli investitori nelle monete del nord si accontentino di rendimenti bassissimi o addirittura negativi.

Il problema più grave non è comunque la maggiore spesa per il servizio del debito, ma il fatto che anche i tassi sui prestiti all’economia seguano l’andamento di quelli sui titoli pubblici, rendendo ancora più difficile alle imprese di questi paesi la competizione sui mercati. Così queste imprese subiscono un doppio strangolamento: quello della recessione indotta dalle misure di austerità, ulteriormente inasprite per i maggiori costi del debito; e quello di un costo del denaro doppio o triplo rispetto ai concorrenti esteri.

Una banca centrale veramente indipendente dalla politica avrebbe dovuto intervenire già da tempo per porre riparo a queste disastrose distorsioni.

Ma è inutile soffermarsi su questo punto, visto che la Bce ha persino fatto sapere che non muoverà un dito prima che la Corte Costituzionale tedesca abbia dato il via libera al nuovo salva-Stati, l’Esm, il 12 settembre prossimo; un via libera che peraltro non è nemmeno scontato.

Ammesso comunque che non vi siano ostacoli in questo senso, i paesi che vorranno usufruire degli interventi anti-spread dovranno farne richiesta formale all’Esm, che, dopo una complessa procedura, potrà accettarla in cambio della firma di un memorandum di impegni da parte del paese interessato. Quali dovranno essere questi impegni non è ancora ben definito. Ma ammettiamo che passi (anche questo non è scontato) la linea sostenuta da Mario Monti: i paesi che hanno già fatto i “compiti a casa” dovrebbero soltanto riconfermare l’impegno a proseguire sulla strada già intrapresa e approvata dagli organismi dell’Unione.

Detta così, sembrerebbe quasi una formalità di scarsa rilevanza. La Germania e i suoi satelliti, ma anche la Bce e la Commissione, vogliono garanzie che, una volta attenuata la pressione dei mercati, il paese che ha chiesto aiuto non interrompa le politiche di risanamento. Purtroppo il governo Berlusconi, come la stampa internazionale continua ricordare, ha dato motivo di essere sospettosi, promettendo e non mantenendo una volta ottenuti gli acquisti di titoli da parte della Bce. Certo, il governo Monti gode di ben altra considerazione, ma dal prossimo maggio su quella poltrona potrebbe sedere qualcun altro non altrettanto affidabile per i nostri partner europei.

E non solo per loro. Preoccupazioni non minori sono quelle nutrite in Italia dal “partito montiano”, uno schieramento trasversale che, se ha in Pier Ferdinando Casini un volenteroso portabandiera, coinvolge però non trascurabili settori tanto del Pdl quanto del Pd, oltre a forze sociali e a quei settori dell’opinione pubblica a cui danno voce quasi tutti i più importanti mezzi di comunicazione. Questo “partito-non-partito” preme perché Monti succeda a se stesso, ma sa bene,come lo sa l’attuale presidente del Consiglio, che non è detto che questo accada. In una recente intervista Pier Luigi Bersani, ad oggi il più probabile vincitore delle prossime elezioni, ha affermato chiaramente che a guidare il paese dovrà essere il leader della coalizione scelta dagli elettori. Certo, molte cose possono ancora succedere, e tra queste una riforma elettorale che è ancora avvolta in una fitta nebbia sia dal punto di vista dell’approvazione che da quello dei contenuti: gli esiti di questa partita non saranno indifferenti per il risultato che uscirà dalle urne. Ma, appunto, neanche il ”partito montiano” può contare su qualche certezza.

Ma forse può ottenere in altro modo il risultato più importante, che cioè sia garantito il “montismo dopo Monti”, cosa peraltro fortemente voluta anche da Angela Merkel, la Bce e le istituzioni europee. Serve qui una citazione un po’ lunga dell’editoriale di Eugenio Scalfari, che di Monti è un forte sostenitore, su Repubblica del 26 agosto:

“Finora Monti ha battuto e ribattuto sul tasto che l'Italia ce la farà da sola a rimettersi in piedi, restando fedele al programma di rigore già in atto, procedendo con le riforme (…). Questo orgoglio nazionale è stato un buon "incipit" per avviare il negoziato con la Bce e ottenere il suo intervento sul mercato dei titoli. Parliamoci chiaro: quell'intervento è indispensabile per difendere la moneta unica e garantire l'efficacia della politica monetaria, ma Draghi non darà mai inizio all'operazione da lui battezzata "non convenzionale" senza il via libera del fondo "salva Stati", cioè della Ue e del governo tedesco. Si tratta dunque d'un passaggio obbligato. Il disegno di Monti sembra questo: formulare lui le condizioni del "memorandum" e sottoporlo al "salva Stati" per l'approvazione. Monti conosce benissimo quale sia la condizionalità che la Ue e la Bce ci chiedono in aggiunta a quanto già fatto. Non si tratta di ulteriori dosi di rigore ma di ulteriori riforme che stabilizzino il quadro finanziario e consentano perfino un inizio di ripresa produttiva”.

 
Si dirà: ma il presidente del Consiglio continua a ripetere che l’Italia non ha bisogno di aiuti. Già, ma ripete anche, con la stessa frequenza, che serve una decisione definitiva sulle “condizionalità” e che queste dovranno consistere in nient’altro che nella riconferma del percorso deciso dall’Italia. A che servirebbe questo chiarimento se si esclude di ricorrere all’anti-spread? E perché insistere sulla concessione della licenza bancaria all’Esm, punto di dissenso con la Merkel a cui la stampa internazionale ha dato grande risalto, se davvero si crede che non si dovrà utilizzarlo?

Dunque: richiedere l’intervento “è indispensabile”; il memorandum è “un passaggio obbligato”; potrebbe essere lo stesso Monti a formularne le condizioni, cosa del tutto credibile vista la sua consonanza tanto con la Merkel che con Draghi, che del resto negli ultimi tempi marciano perfettamente uniti.

A quel punto, il programma della prossima legislatura, chiunque vinca le elezioni e qualunque sia la maggioranza di governo, sarebbe già scritto. Deviare dal memorandum significherebbe perdere l’ombrello anti-spread, con ottime probabilità di soccombere agli attacchi della speculazione e comunque rinnegando un impegno internazionale. Spazi per politiche alternative, meno di zero.

Se questa è la prospettiva, che ci andiamo a fare a votare? Tanto vale risparmiarci la fatica e anche i soldi della macchina elettorale, così magari evitiamo l’ennesimo aumento della benzina.

Non scherziamo. Se il Pd facesse passare questa linea, commetterebbe un suicidio forse definitivo.

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