Inflazione, svalutazione e quota salari
di Alberto Bagnai
Parliamo di cose serie.
Nel dibattito che si sta (forse) svolgendo a sinistra circa l'opportunità di uscire dall'euro, un argomento che viene portato avanti è quello secondo il quale dall'euro ci sarebbero due uscite: una a destra, e una a sinistra. Il che attribuisce all'euro un vantaggio, rispetto ad altri posti dai quali si usciva in un modo solo.
Ho un po' polemizzato su questo con Emiliano Brancaccio, anche perché, come avrete capito, mi ero risentito (ma ingiustamente) per un suo articolo nel quale pareva che dividesse gli economisti italiani in tre categorie: da una parte lui, e dall'altra due categorie di fessi: quelli che "fuori dall'euro c'è la guerra" e quelli che "usciamo e tutto si risolve per magia". D'altra parte, che ho un carattere di merda non riesco a nasconderlo. Nel frattempo abbiamo raggiunto un accordo sul fatto che la tassonomia degli economisti italiani è un po' più articolata, e possiamo tornare serenamente al lavoro.
Come credo sappiate, personalmente non ho mai sostenuto né che l'uscita sarà una passeggiata, né che risolverà tutti i problemi. L'uscita sarà costosa, ma i costi non saranno quelli che il terrorismo mediatico suggerisce. L'uscita non risolverà tutti i problemi, perché bisognerà gestire bene la sovranità riacquistata. Su questo ultimo punto il blog abbonda di spunti che sto sistematizzando nel mio libro. Diciamo che praticamente tutto quello che la sinistra propone per tenere in vita l'euro va bene, purché lo si applichi dopo l'uscita dall'euro. Ma di questo parliamo un'altra volta.
Tornando alle due uscite, io trovo il dibattito relativamente poco rilevante per due motivi. Il primo è che purtroppo questo dibattito si è già svolto, in Francia, con le critiche di Jacques Sapir al piano di Marine Le Pen. Sono critiche che hanno più che altro portato fortuna alla Le Pen, come sapete. Il secondo motivo, più serio, è che certo, bisogna pensare al dopo.
Ma, appunto, al dopo. Non ha molto senso chiedersi come gestire la transizione perché è matematicamente certo, come ci siamo detti, che essa verrà gestita dalle persone sbagliate, quando il mercato le costringerà a farlo.
E allora?
Vogliamo che questa arma di distruzione di massa di diritti e redditi dei lavoratori continui a operare?
Non credo: vogliamo uscire, a sinistra, a destra, al centro, di sopra, di sotto, non importa, non decidiamo noi, e non è nemmeno rilevante, in un certo senso. Quello che è rilevante è riuscire, con la divulgazione e l'impegno al dialogo, a creare un consenso attorno a una visione equilibrata della realtà, che ci permetta, dopo, di combattere una battaglia politica a favore delle classi subalterne, con l'appoggio di un movimento di opinione consapevole.
Io la vedo così e mi regolo di conseguenza. Il che non significa assumere la posizione di quello che "elude" i problemi (rassicuro su questo anche Emiliano).
Fa parte di questo impegno per costruire una piattaforma condivisa anche riflettere coi colleghi che vogliano farlo. Raccolgo qui lo stimolo di Emiliano, che nella sua replica dice:
Dunque: io in effetti non avevo fatto vedere solo il salario reale, ma una cosa un po' diversa: la dinamica del salario reale e della produttività media del lavoro. Se il salario reale cresce più della produttività, pensavo io, si vede che i lavoratori si appropriano di una quota maggiore di prodotto, cioè la quota distributiva cresce. Se il salario reale cresce meno della produttività, allora hanno vinto i capitalisti.
Il grafico mostrato era questo qui:
e racconta una serie di cosette delle quali varrebbe la pena di parlare.
Il mio argomento era uno solo, che probabilmente non riguarda nemmeno tanto Emiliano, quanto quelli che sostengono che l'inflazione danneggia la vedova, l'orfano e il proletario. Il grafico mostra bene che nel periodo della disinflazione (dall'inizio degli anni '80 in poi) la produttività continua a crescere, mentre il salario reale si stabilizza, il che significa che la quota salari scende. Quindi, come dire, l'argomento piddino par excellence, quello secondo cui l'inflazione è la più iniqua delle imposte perché colpisce i poveri in misura maggiore, è una scemenza.
Possiamo farlo vedere anche con la variabile che Emiliano giustamente ritiene più significativa.
Questa figura, tratta dal lavoro che sto facendo, mostra l'andamento di quota salari e inflazione in Italia dal 1960 al 2010.La quota è calcolata come redditi da lavoro dipendente su Pil nominale, aggiuntando due basi dati: quella OCSE del 1997 (CD-Rom edition), che avevo usato per il mio modello dell'economia europea, e i dati on-line della CN Istat. Magari me la rifaccio con i dati Ameco, ma ora questi avevo.
Cosa ci dice questa figura? Una cosa molto semplice: che non è vero che quando c'è più inflazione la distribuzione del reddito diventi svantaggiosa per i salariati, o almeno che in Italia non è stato così.
Concludo citando il mio commento a questa immagine:
Del resto, mi pare che anche Emiliano sia d'accordo su questo: il problema è stato un problema di medio-lungo periodo determinato dallo smantellamento di certe garanzie, non un problema di breve periodo di gestione del cambiamento di politica valutaria.
Sono quelle garanzie che dobbiamo ripristinare, in un'ottica di lungo periodo, anche perché, per dirla tutta, io sono molto scettico sul fatto che la scala mobile "creasse" inflazione e che la sua abolizione sia stata la bacchetta magica che ha contribuito al rientro dall'inflazione. I dati raccontano una storia completamente diversa, ma anche di questo non parliamo oggi. Ci basta aver ribadito (spero d'accordo con Emiliano) che la storia che l'inflazione danneggia la vedova, l'orfano e il proletario la lasciamo ai piddini di tutti i partiti e di tutte le nazionalità. La caduta della quota salari nel 1992-1994 si inserisce in un trend secolare che inizia sostanzialmente con l'ingresso nello Sme, che accelera con il divorzio, e che è accompagnata da una progressiva disinflazione.
Togliamoci, per favore, dalla testa l'idea che occorra una Banca centrale indipendente per difendere la vedova, l'orfano e il proletario dalla più iniqua delle imposte. Le cose stanno al contrario, e spero che su questo non ci sia troppo da discutere!
Apriamo comunque la discussione...