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blog del leprechaun

Crisi dell'€uro: tre scenari

di Georges Berthu*

Sempre più spesso viene evocata la fine dell'euro come una possibilità credibile. Alcuni dei suoi sostenitori, prevedendo un futuro difficile, cominciano a incolpare altri del fallimento. La moneta unica, dicono, non può funzionare senza il federalismo, e se questo non arriva, non è colpa nostra, è colpa dei politici che non hanno fatto il loro lavoro. L'ultimo libro di Patrick Artus sembra inserirsi in questa tendenza. Ha ispirato a Berthu, ex eurodeputato, alcune riflessioni sulla fine dell'euro.

Riflessioni sulla fine dell'euro

L'economista Patrick Artus, capo economista della Banca Natixis, lo stesso che nel 2008 annunciava la fine della crisi1 , ha recentemente pubblicato un nuovo libro in cui mostra - anche brillantemente – quel che tutti ormai capiscono: l'unificazione monetaria europea non reggerà se non sarà rapidamente integrata da istituzioni federali. Il federalismo è necessario "per evitare una crescita stagnante e l'esplosione dell'euro"2.

Il guaio è che non riesce a spiegare in modo convincente né come si possa passare al federalismo, né in cosa consista questa formula. Questo libro porta a un pozzo senza fondo.

Conosciamo già la dimostrazione di base: i paesi della zona euro erano troppo eterogenei fin dall'inizio per essere una '"area valutaria ottimale" e inoltre, invece di armonizzare le economie, come alcuni avevano inizialmente sperato, l'unificazione monetaria ha solo creato una ancora maggiore eterogeneità. In effetti i tassi direttori unici della BCE, e i tassi di cambio estero unici non sono veramente adatti a nessun paese (anche se lo sono un po' di più per la Germania) e, alla fine, stanno danneggiando tutti.

Le parità interne fissate "irrevocabilmente" impediscono un riequilibrio morbido tra i membri della zona. Infine i paesi reagiscono in modo diverso agli shock esterni - come la concorrenza internazionale verso la quale l'Unione europea si è dichiarata zona aperta. In breve, le divergenze aumenteranno, diverranno insostenibili, fino a che non esploderà il sistema dell'euro.
Possiamo sfuggire a questo destino? Sono concepibili tre tipi di soluzioni.


1 – Sostenere l'euro cercando di creare omogeneità con un forte coordinamento economico, di bilancio e finanziario.


Questa è la politica attuale dell'Europa. E' impossibile sostenerla nel corso del tempo, perché avrebbe bisogno di strumenti molto più forti che la UE non possiede – al limite strumenti dittatoriali - per opporsi alle tendenze naturali della zona a divergere.

Inoltre, le divergenze principali derivano dalla deindustrializzazione i cui effetti negativi gli stati stanno cercando di cancellare per mezzo di deficit di bilancio. Ora volere ridurre questi deficit per allineare i paesi alla "golden rule" sul bilancio significa esporre le aziende alla devastazione di una sleale concorrenza internazionale senza dare loro nulla in cambio per alleviare le loro sofferenze. Allo stesso tempo, spinge le persone l'una contro l'altra. Per l'Unione europea è una politica suicida.


2 - Passare alla fase federale.


Questa è la soluzione auspicata da Patrick Artus. A quanto pare (non è molto chiaro), questa, nella sua mente, non contraddice la soluzione precedente, ma vi si sovrappone: si allevieranno le sofferenze dell'unificazione organizzando trasferimenti finanziari da parte dei paesi meno malati verso i paesi in più gravi condizione, sempre nel quadro di un monitoraggio centralizzato. Questo è ciò che i tedeschi chiamano "Unione dei trasferimenti." Come abbiamo già visto un centinaio di volte, ci vengono presentate tutte le paraphernalia delle tecniche di trasferimento: Eurobond, trasferimenti di bilancio europei, politica industriale europea, sistema europeo dei sussidi di disoccupazione, il Fondo europeo per la redenzione del debito sovrano delle anatre zoppe. Va bene tutto. E, come al solito, è tutto impossibile, almeno alla grande scala che sarebbe necessaria per salvare l'euro.

Perché, dicono le malelingue, la Germania si rifiuta di pagare per le persone che non vogliono fare i sacrifici che essa stessa si è imposta. Ma soprattutto, diciamo, perché la situazione creata dall'euro e dalle politiche europee è diventata così disastrosa che, anche se la Germania volesse aiutare tutti distribuendo crediti, andrebbe in rovina senza riuscire a salvare nessuno.

Ma non è tutto. Perché Patrick Artus ignora completamente il vizio principale del federalismo europeo: nella misura in cui cattura la sovranità nazionale sulle questioni finanziarie principali, avrebbe un urgente bisogno di essere controllato da una democrazia parlamentare a livello europeo. Ma questa non esiste, e le condizioni di una sua realizzazione, uno spazio politico comune, potente solidarietà, ecc., non esistono neanche loro. Non c'è in Europa un'area valutaria ottimale, ma non c'è neanche una zona federale ottimale. Questo non vuol dire che non ci sono solidarietà o sentimenti politici comuni, ma che devvono potersi esprimere in un modo diverso dalla unificazione federale.

Come può Patrick Artus omettere una questione così importante? Probabilmente perché voleva finire il suo libro senza dovere ammettere che l'euro non è sostenibile.


3 – Eliminare l'euro, da parte di tutti i membri o di una parte di essi.


La fine dell'euro non è una soluzione, ed è senza dubbio un fallimento. Un fallimento per coloro che credevano che avrebbe aperto una nuova era "della crescita e dell'occupazione".

Un fallimento per gli avversari che si sono trovati di fronte a dei promotori meglio organizzati.

La fine dell'euro potrà difficilmente avvenire senza problemi, anche se certi scenari alternativi cominciano ad essere preparati in alcuni ambienti finanziari. Essa rischia di imporsi in modo brutale a tutti noi, senza chiedere il parere di nessuno, con, come ovvio, un costo molto elevato. In particolare un costo patrimoniale per tutti i titolari di attivi all'interno dei paesi le cui nuove monete nazionali si svaluteranno3.

Ma rispetto all'enorme costo che ci sarà imposto, bisogna mettere in conto l'enorme costo del mantenimento dell'euro: il suo contributo alla deindustrializzazione, il declino frutto dell'austerità centralizzata, e più in particolare l'enorme costo della perdita della democrazia.

Perché è questa in ultima analisi, la questione fondamentale: l'euro ci ha distribuito così tanti benefici che vale la pena di mantenerlo, di stabilire una sorveglianza centralizzato dei paesi da parte degli eurocrati, un federalismo autoritario, controbilanciato solo dalla democrazia artificiale del Parlamento europeo? La risposta è "no", naturalmente. E' solo deplorevole che ci siano volute così tante sofferenze per giungere ad una conclusione, alla fine, prevedibile fin dall'inizio.

***


Tra coloro che hanno combattuto valorosamente fin dall'inizio per evitare il disastro dell'euro, figura il professor Jean-Pierre Vesperini. Questi ha appena pubblicato un libro di sintesi, "L'euro - Origines, vertus et vices, crises et avenir"4, che è una meraviglia della pedagogia.

Jean-Pierre Vesperini dimostra chiaramente le virtù e i vizi dell'euro, mostrando che questi ultimi sono molti di più oggi rispetto ai primi giorni. Per contrastare i vizi, sono immaginabili piccole migliorie tecniche, ma insufficienti. Bisognerebbe aggiungere un po' di federalismo politico, ma purtroppo questo porta con sé i suoi propri vizi, e il saldo rimane sfavorevole.

Questo libro è un antidoto a quello di Patrick Artus.

*Georges Berthu è un ex parlamentare europeo



1 Cfr. Laurent Mauduit, Les imposteurs de l’économie, Jean-Claude Gawsewitch editore, 2012, pag. 79

2 Patrick Artus e Isabelle Gravet, La crise de l’euro, Armand Colin, 2012, pagina 19.

3 Si leggano le pagine terrificanti che il banchiere Patrick Artus dedica a questa prospettiva (op. cit. pagina 111 e seguenti.)

4 Jean-Pierre Vesperini, L’euro – Origines, vertus et vices, crises et avenir, Dalloz, 2013.


Pubblicazione originale dell'Observatoire de l'Europe
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