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Euro-exit concordata o "disordinata", da sinistra o da destra

Una via di composizione ragionata

di Quarantotto

 1. In margine all' "evento" oggettivamente costituito dal convegno di a/simmetrie di ieri, alcune osservazioni legate allo specifico tema, "Un'europa senza euro", che era poi il baricentro su cui si aggiravano l'insieme degli interventi.

La maggior focalizzazione del tema, non a caso, è venuta dal dibattito finale tra gli esponenti politici intervenuti.

Il clima inevitabilmente pre-elettorale ha agevolato prese di posizione (almeno un pò) più stringenti; se non altro perchè in questa fase, nulla si può ancora escludere sull'esito delle elezioni, in termini di composizione delle forze politiche che risulterà dal voto e che potrebbe o meno essere destabilizzante dell'attuale governance deflattivo-finanziaria. 

La stessa evoluzione europea del sentiment sulla moneta unica, rischia infatti di far apparire "cauta", se non superabile dagli eventi, la posizione del, diciamo così, fronte italiano del dissenso.

2. Provo a partire da una cosa affermata in quel dibattito da Fassina e che, come ho già detto su twitter, contiene in sè una obiettiva verità: se si guarda all'effettivo contenuto dei trattati, e quindi al disegno consolidato che perseguono, incentrato com'è, fin dallo SME, sul coronamento di un modello socio-economico legato al vincolo monetario "one size fits for all" (con tutte le sue implicazioni), immaginare un'euroexit concordata esigerebbe una convergenza, un'apertura alla revisione dei rapporti di forza, almeno pari a quella della stessa revisione dei trattati.

Quest'ultima implicherebbe, infatti, per essere risolutiva, un sacrificio della Germania (sicuramente da essa come tale percepito): cioè l'adesione da parte sua ad un'idea cooperativa che forzi le sue politiche economiche verso un'espansione della sua domanda interna, con una controcorrezione prolungata (e simmetrica) dei tassi di cambio reale e della crescita reale dei salari, che è contraria sia alla monolitica pretesa di percorrere una correzione gold-standard fatta propria dalle istituzioni UE, sia alla stessa tradizione mercantilista della Germania .

3. "Perchè lo dovrebbe fare" è un interrogativo che può avere varie risposte, ma tutte egualmente e fortemente dubitative; il diritto internazionale dei trattati, come abbiamo più volte illustrato, non solo tende a ratificare e, per via di prassi applicativa (che è fonte di diritto integrativo dei trattati stessi), a rafforzare i rapporti di forza presenti nella sociologia della politica internazionale,

Ma una variazione correttiva di tali rapporti di forza, all'interno di un trattato, promossa dalle parti più deboli (e divenute tali in modo crescente) è praticamente senza precedenti nella storia dei trattati; di più è una direzione di politica internazionale "innaturale".
Storicamente solo eventi traumatici o lunghi percorsi di mutamento degli equilibri caratterizzanti, a monte, il diritto internazionale generale, - cioè creato dalla consuetudine (osservanza de facto sostenuta nel tempo e diffusa di una certa serie di "nuove" regole)-, ha portato al superamento degli equilibri segnati dai trattati. Che sono tutti, fisiologicamente (e in vari gradi), ineguali nella loro essenza applicativa.

E questo al punto che l'art.11 Cost., come altrettanto abbiamo visto , assume una concezione rigorosa e, quasi "ideale", se non utopistica, delle condizioni cui subordinare la partecipazione italiana alle organizzazioni internazionali, legandola ESCLUSIVAMENTE, non a caso, prima di tutto alla "parità di condizioni con gli altri Stati" e poi, anche, alla promozione de "la pace a la giustizia tra le Nazioni".

4. Per tornare, sulla scorta di tali premesse, all'affermazione di Fassina (se abbiamo riportato fedelmente l'essenza del suo pensiero), possiamo altrettanto dire che se una correzione cooperativa, e non gold standard, degli squilibri creati dalla moneta unica, è inevitabilmente legata ad un sacrificio, da parte della Germania, del vantaggio e delle utilità accumulate grazie all'applicazione dell'euro, altrettanto vale per un'uscita concordata; e cioè se tale correzione deve corrispondere al mutuo riconoscimento di esigenze non soltanto sue, unilaterali, legate quindi al mantenimento del suo vantaggio mercantilista , implica un sacrificio pratico di pari segno. Il margine di una trattativa si incentra sui saldi creditizi Target-2 e sulle condizioni valutarie di recupero dei suoi crediti pregressi. Un modo di tesaurizzare il vantaggio competitivo accumulato grazie ad una dubbia condotta di violazione strisciante dei trattati , consentita e tutt'ora avallata, in vari modi, dalla Commissione e in genere dalle istituzioni UE.

Ma anche risolvendo questo spinoso problema di tenuta del valore reale di quei crediti, la Germania, nel concordare l'euro-break dovrebbe in più sacrificare, anche per il futuro, una situazione di vantaggio che, sia nei rapporti intra-UE(M) che verso i mercati esterni all'Europa, le consente di prosperare con un cambio sottovalutato rispetto al corso naturale dell'ipotetico (nuovo) marco.
Nella direzione di una possibile flessibilità su questo complessivo quadro, depone la prospettiva di una generale insostenibilità della situazione valutaria ed economica, tale da incidere negativamente sulle prospettivie di crescita, di produzione industriale e di diffusa disoccupazione e sotto-occupazione, che tendono a "bloccare" la domanda intra-UEM in una stagnazione deflattiva a crescita praticamente 0. E con una
situazione che impedisce la valorizzazione dell'intero sistema produttivo europeo e il suo sviluppo in un quadro di investimenti e innovazione, anche del capitale umano, altrimenti indispensabili.

5. Ma una consapevolezza di questi aspetti, evidenziati da economisti non appartenenti alla governance UEM , appare ancora lontana, per la cieca fiducia tedesca e della Commissione nella correzione attualmente perseguita.

Pertanto, in assenza di fattori di rilevante impatto che costringano la Germania a ragionare su principi economici sensati e non accaniti nel segnalato mix di mercantilismo e monetarismo avallati dalle istituzioni UE, ogni ipotesi di "sacrificio" appare egualmente improbabile. E semmai, risulta corrispondere a quella impraticabile correzione di assetti, comunque negoziali, che pone a capo sia alle famose politiche "reflattive" che allo stesso euro-break "concordato", cioè realizzato mediante concessioni che non possono che essere reciproche (e che dunque implicano il necessario riconoscimento degli interessi altrui razionalmente riconoscibili).

6. Questo non vuol dire, però, che, come pareva implicare sul piano "pratico" Fassina, ogni tentativo possa solo ridursi a una pseudo-negoziazione al ribasso, cioè compiuta nel timore che la Germania operi in retaliation sulle merci italiane, o di chiunque voglia uscire e svalutare; cioè ad una soluzione incentrata su palliativi inefficaci e ininfluenti sui meccanismi di conclamata insostenibilità dell'euro, quali gli eurobonds o forme di mutualizzazione del debito pubblico UEM equivalenti, e finanziamenti BEI sugli investimenti nei paesi dell'area. La stessa perpetuazione degli intatti rapporti di forza sfavorevoli trasforma infatti, - e lo si preannunzia già in modo inquietante- i primi (gli eurobonds) nell'ERF, cioè in un meccanismo di mutualizzazione che tale non è, mirando prioritariamente alla riduzione dell'ammontare del debito di ciascun paese eccedente il 60% mediante "esecuzione forzata" sui suoi assets sovrani (la garanzia dell'oro e di altri beni patrimoniali statali) ovvero sul suo flusso di entrate tributarie ("sequestrate" a favore dell'ERF stesso) che, vincolato all'estinzione pro-rata del debito "eccedentario", obbligherebbe i paesi fuori parametro a degli avanzi primari obiettivamente insostenibili. E cioè mai realizzati nella storia dell'economia per periodi così prolungati: e questo, per di più, in una situazione di ciclo economico di post-recessione (nella migliore delle ipotesi) e di smiultaneo aggiustamento della domanda mondiale in senso correttivo generale degli squilibri commerciali (in testa i BRICS). 

Tutti fattori eclatanti che rendono improbabile pensare alla praticabilità concreta dello stesso pareggio di bilancio a cui, contemporaneamente, non si vuol rinunciare se non in vaghi termini di rinvio (finora neppure contemplati e in prospettiva, ove ammesso, incapace di segnare un mutamento di rotta rispetto al drammatico ristagnare della domanda interna e dell'occupazione).

Analoghe considerazioni si possono fare sui ventilati interventi concertati per finanziare gli investimenti, sia per le consuete difficoltà di originaria capitalizzazione asimmetrica, sia per il volume irrealistico che per la direzione "condizionale" -  che diverrebbe ulteriore occasione per intensificare delle riforme "strutturali" ormai distruttive- che questo flusso finanziario assumerebbe.

 

7. Insomma, la contro-obiezione che si può muovere al rilievo di Fassina sta nel fatto che il timore di una retaliation "core", o singolarmente tedesca, sui trading intra-UE, significa fare acquiescenza ad una linea di compromesso che tale non è, perchè incentrata su una transazione al ribasso che, al più, può dare l'apparenza di guadagnare tempo, ma che, in concreto, significa farsi strangolare consensualmente per paura di prendere un pugno da un interlocutore arrabbiato. Ed allora? Siamo alla paralisi decisionale per irresolutezza di fronte ad alternativi scenari penalizzanti (con la certezza, nella linea "intimorita", di farsi carico del peggiore)?

La risposta non può essere affermativa.

Cercheremo di spiegare come e perchè la via d'uscita "debba" esserci e non possa essere vissuta all'ombra di timori alternativamente comparati in modi irrazionali.

Se non altro perchè una svalutazione post euro-exit ed un ipotetico instaurarsi di rappresaglia commerciale da parte tedesca non solo influirebbe scarsamente nel peggiorare un (immaginario) volume italiano di export verso la Germania, che già le sue attuali politiche hanno continuato fino ad oggi di a reprimere deliberatamente (in conformità di consolidati principi del mercantilismo in atto), ma deve anche tenere conto che la stessa esportazione di semilavorati italiani verso la Germania (nelle filiere da essa dominate) risulterebbe più conveniente per la stessa, la quale non avrebbe quindi alcuna convenienza ad aggravare la propria struttura dei costi in una fase di rivalutazione della propria moneta.

8. Detto questo (sperando di non aver tralasciato nulla di importante), occorre focalizzare alcuni fatti-nozioni che caratterizzano lo scenario.

Partiamo dalla conseguenza di quanto detto finora: l'euro-exit concordata, alle condizioni di scenario attuali, è improbabile. Quanto (o quasi) una modifica virtuosa, - se pure esiste un suo modello praticabile-, dei trattati stessi.

Ma questa è la situazione attuale, sul piano rebus sic stantibus delle condizioni politiche internazionali.

L'euro-break sarà, infatti, necessariamente un "processo", diacronicamente configurabile e non un effetto "uno actu". Muovendo dallo scenario fin qui delineato (se è esatto ovviamente), occorre un punto di partenza politico-economico su cui fare leva. E questa leva non può essere altro che il ripristino della legalità costituzionale perseguita, questo è l'importante, attraverso una rivendicazione concorde delle forze politiche impegnate nel ripristino della sovranità, sostenuta da un significativo e crescente consenso elettorale.

9. Abbiamo più volte evidenziato come i trattati, a partire da Maastricht, si pongano in genetico contrasto con principi fondamentali e inderogabili della Costituzione , e come la correzione di questo squilibrio sia pregiudizialmente risolutiva delle asimmetrie che determinano l'insostenibilità dell'euro e dell'assetto fiscale imposto dal "vincolo esterno". 

Se poniamo queste violazioni sul piano della sovranità dobbiamo rammentare che questa è, nelle democrazie contemporanee, caratterizzata dalla tutela pubblica dei diritti fondamentali e di conseguenza del loro acme democratico consistente nella tutela del lavoro (artt.1, 4 , 3 cpv., 36, 41 e 47 Cost: per citare solo il principale tema, senza voler essere esaustivi e rinviando ad altri post e a "Euro e(o?) democrazia costituzionale").

10. Da ciò traendo le conseguenze vincolate della premessa di "legalità" suprema:

a) l'uscita dalla moneta unica e dalla vincolatività delle altre limitazioni di sovranità che gli si accompagnano (ad effetto spiralizzato: ESM, FC, Redemption Fund) diventa oggetto di un obbligo gravante, in base ai principi fondamentali della Costituzione, sugli stessi organi interni di indirizzo politico (governo e parlamento);

b) questo obbligo è un fatto emergenziale di sopravvivenza della democrazia "necessitata" quale immaginata dai Costituenti e, - in assenza dell'affermazione consolidata di un "altro" Potere Costituente
(inconfigurabile, allo stato, nella forzatura-sospensione sine die dell'impianto della Costituzione ad opera del vincolo esterno) che abbia sostituito quello ancora oggi operante e vincolante-, costituisce l'elemento propulsivo indispensabile per poter portare all'interno del quadro delle relazioni internazionali l'estrema e irrinunciabile forza residua della sovranità democratica 
 
Dunque questo è l'elemento necessario e sufficiente che, se consapevolmente recuperato, configura la forza negoziale e al tempo stesso la legittimazione di ogni azione che possa portare ad un mutamento delle condizioni attuali; 
 
c) questo recupero legittimo e irrinunciabile degli obblighi (non delle mere facoltà) derivanti dalla Carta prefigura, al tempo stesso, il superamento del, pur comprensibile, dilemma "uscita da destra o uscita da sinistra". Questo punto va spiegato (nei limiti delle mie capacità comunicative):
 
    c.1) l'uscita dall'euro, posta sul piano "necessitato" qui suggerito, si incentra sul tema della contemporanea violazione, da parte del "vincolo esterno", di due principi che sono l'essenza della predetta legittimazione e quindi condizionano in radice la stessa legittimazione italiana sul piano negoziale internazionale (quali che siano i passi tecnicamente da intraprendere): la tutela e quindi il conseguente assetto del lavoro, nelle sue connessioni inverse col problema della mera lotta all'inflazione cui si riduce il vincolo monetario, ed il conseguente ruolo dello Stato al sostegno dell'economia e della domanda in genere, appunto configurati come obblighi primari delle istituzioni repubblicane in base alle indicate norme-chiave della Costituzione;
 
    c.2) qualsiasi azione di qualsiasi forza politica, se correttamente intrapresa in questo quadro di legittimazione "necessitata" (dalla sovranità democratica in senso moderno) non potrebbe dunque che procedere nella direzione del recupero della tutela del lavoro e dell'intervento dello Stato nella politica monetaria, fiscale e industriale precedenti all'irruzione del vincolo esterno 
 
Questo è il senso del recupero della legalità costituzionale e a ciò nulla toglierebbe la naturale esigenza di riattivare queste prerogative della sovranità legale non (tanto) nelle esatte forme legislative e organizzative anteriori alla stessa introduzione dello SME, (per dare un riferimento sintetico ma di valore altamente indicativo), sebbene adattandole alla realtà attuale caratterizzata, se non altro, dal trascorrere di tre decenni di alterne vicende, comunque compressive delle politiche dell'occupazione e dell'intervento pubblico nell'economia;  
 
    c.3) qualunque forza politica, comunque prima, ed anche attualmente, contrassegnata rispetto all'asse destra-sinistra, se prendesse una chiara posizione "euro-exit" si troverebbe automaticamente nella situazione di dover utilmente invocare la propria legittimazione anzitutto giuridica, e quindi politica e negoziale-internazionale, collocandosi su piano del ripristino necessitato della legalità costituzionale, sapendo che, in alternativa, sarebbe praticamente impossibile avviare un'azione che ritragga una legittimità condivisa e spendibile fuori e dentro l'ordinamento nazionale. 
 
    c.4) la conseguenza è che, in nome della Costituzione e del suo modello socio-economico ancora cogente, ogni forza politica comunque coinvolta dovrebbe simultaneamente rivendicare la propria condivisione di un recupero del perseguimento prioritario della piena occupazione, mediante gli strumenti costituzionali di tutela del lavoro e mediante la ri-attivazione delle specifiche forme di intervento nell'economia che la Costituzione affida alle istituzioni democratiche.

11. A questo punto, sull'auspicabile presupposto che ciò sia compreso e condiviso, parrebbe evidente che il destra-sinistra dell'uscita perde molto della sua discussa attitudine ostativa al raggiungimento di un'unità di intenti tra tutte le forze politiche impegnate nel rivendicare la sovranità democratica: in definitiva, ed è importante sottolinearlo, perde di "identità" lo stesso concetto tralaticio e inerziale che distingue il destra-sinistra. Quest'ultimo, infatti, di fronte al "respingimento" dell'euro e delle limitazioni della sovranità contra-constitutionem, non ha più il suo riferimento nella presunta diversità, passivamente accettata, del presunto atteggiamento rispetto a problemi come il mercato del lavoro e la struttura dello Stato e dei suoi poteri tributari e di spesa

Accettando che la violazione dei principi fondanti della Costituzione sia la base della legittimazione dell'azione politica interna e internazionale, non sarebbe infatti coerente credere di poter mantenere una "preferenza" per forme di flessibilizzazione e deflazione del lavoro , nonchè di privatizzazione e svendita delle funzioni e assets pubblici che si rivelano tutti insieme null'altro che il portato del liberismo rappresentato dall'euro.

Uscire dall'euro, dunque, non può che essere una revisione ed un'inversione di rotta rispetto a tali linee imposte dall'euro stesso, senza spesso averne la piena consapevolezza politica e culturale (che si spera ora acquisita, almeno nella parte sana della politica italiana), e che dell'euro costituiscono in definitiva la vera essenza.

12. Sarebbe infatti insanabilmente contraddittorio respingere l'euro ma accettarne ed ancora sostenerne il modello di società che sacrifica lo sviluppo alla stabilità monetaria-finanziaria, perpetuando per altra via le stesse linee di "riforma" sociale.

Il far ciò, inoltre, lo ripetiamo, priverebbe la forza politica che si limitasse ad un indistinto proclama anti-euro del poter seriamente ed oggettivamente rivendicare lo stesso fatto legittimante fondato sulla sovranità costituzionale (cioè di suprema validazione giuridica), e perciò autoesplicativo e strutturato in sè. 

Una tale forza politica minerebbe alla base la propria legittimazione e la stessa efficacia di ogni tentativo di modificare autonomamente dei rapporti di forza internazionale; tale tentativo, infatti, dovrebbe ricercare una "ragion d'essere" diversa, non solo avulsa dalla Costituzione e dal sostegno decisivo del Potere Costituente, ma dalla stessa sovranità intesa in senso contemporaneo.

La legittimazione di tale forza politica "incoerente", rimarrebbe affidata al puro dispiegarsi dei rapporti di forza tra attori internazionali che hanno immense capacità di condizionamento nonchè alle mutevoli "correnti" del sostegno mediatico, mosso da questi stessi interessi economico-finanziari, correnti che non potrebbero consentire la libertà espressiva e la piena coerenza nel rapporto diretto con la base elettorale.

E, va particolarmente sottolineato, questo è ciò che, allo stato, Marine Le Pen pare aver compreso molto bene (al di là di qualsiasi precomprensione ideologica del fenomeno).

13. Supponendo che questo punto sia chiaro, e sufficientemente avvertito dai protagonisti italiani della Liberazione dal vincolo esterno (e dalla sua intrinseca visione autorazzista), ne scaturisce che la prospettiva di euro-exit, in qualsiasi paese europeo, passerà probabilmente per una prima fase autolegittimante basata sulla sovranità che, per il suo stesso affermarsi elettorale e culturale, riaprirà le condizioni per una seguente ed ulteriore fase di trattativa

Ma sarà una trattativa che avrà già in sè realizzato il presupposto dell'eliminazione di ogni tatticismo e di ogni ipocrisia: non solo gli Stati si ricomporrebbero nella loro veste "sovrana" a tutela della democrazia, ma nel far ciò si ricollocherebbero, per necessità di sopravvivenza e responsabilità verso le rispettive comunità sociali, su un piano di parità con una Germania il cui chiaro atteggiamento è sempre stato quello di rivendicare la propria veste di Stato sovrano come prevalente su quello di Stato-membro, rafforzando con ciò una posizione che "sconta" proprio il giocare con le mani (volontariamente) legate degli altri governi che credono utile dirsi prima di tutto europeisti.

E questo, come detto in precedenza, configura un processo che si svolge nel tempo: soltanto da una chiara riaffermazione del principio di sovranità, autonomamente fondata sul supremo diritto interno delle Costituzioni, potrà scaturire una seconda fase in cui, ripristinata legalità sostanziale e rispetto reciproci, si potrà giungere ad una soluzione concordata.

14. Come ha affermato Lapavitas in un discorso affrontato e commentato in un precedente post :

"I governi di Grecia e Portogallo non possono cambiare la struttura dell’Unione Europea, peró possono intervenire in Grecia e Portogallo. Naturalmente il mio non è un argomento nazionalista. In certe occasioni si possono usare i meccanismi di uno Stato Nazione per creare una corrente internazionale".

Lo stesso vale in Italia e per la salvezza,  democraticamente concordata, della stessa Europa.

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