A sinistra l’euro diventa un dilemma
Carlo Clericetti
Il dibattito sulla possibilità di abbandonare la moneta unica comuncia ad accendersi anche nell’area della sinistra Pd: una sua nuova rivista ospita vari interventi. Ma un problema ancora più decisivo sarebbe un vero cambio di rotta della politica economica
La tesi che l’Italia debba uscire dall’euro per non subire danni irreparabili non ha avuto fino ad oggi molti sostenitori nel nostro paese. A livello politico due partiti di opposizione, 5Stelle (ma con una posizione altalenante e non del tutto chiara) e la Lega, alla ricerca di uno spazio politico dopo essere arrivata a un passo dalla scomparsa e sull’esempio del Front National di Marine Le Pen, con il quale è alleata in Europa. Tra gli economisti, pochi e per lo più eterodossi, con la ragguardevole eccezione di Paolo Savona che è stato forse il primo a porre con decisione il problema. La maggior parte degli economisti si è piuttosto dedicata a proporre soluzioni di politica economica che fossero in grado di far superare all’Europa questa crisi che sembra infinita.
Da qualche tempo, però, l’ipotesi di abbandono della moneta unica comincia ad essere discussa dall’area che fa capo alla sinistra Pd o ad essa contigua. Il primo politico di questa collocazione ad uscire allo scoperto è stato Stefano Fassina, che di fronte all’assenza di qualsiasi segno di un cambiamento di rotta delle politiche ha cominciato ad affermare che è necessario considerare l’alternativa di lavorare per un’uscita dall’euro concordata tra i paesi membri, in modo da ridurre al minimo i rischi che un passo del genere comporta e che sarebbero invece aggravati se si arrivasse a quel passaggio in maniera forzata, sotto i colpi di una nuova e incontrollabile crisi. Ora la discussione si allarga, proposta dal sito Idee controluce. Si tratta di una rivista on line nata da poco e diretta da due giornalisti che avevano incarichi di primo piano nel Pd pre-renziano, Claudio Sardo (direttore de L’Unità) e Chiara Geloni (direttrice di Youdem, la web-tv del partito).
Gli interventi finora pubblicati sono di Massimo D’Antoni, Vladimiro Giacchè, Salvatore Biasco e Claudio Sardo, a cui ne è stato aggiunto un altro di Vincenzo Visco (durissimo verso la Germania) uscito sul Sole24Ore. D’Antoni e Giacchè non escludono che si arrivi ad un’uscita, Visco vede una fine quasi inevitabile se non si cambia rotta. Per Biasco, invece, l’alternativa non esiste: la rottura dell’euro provocherebbe esiti catastrofici.
Dove siamo e come ci siamo arrivati
Le soluzioni capaci di imprimere una svolta all’economia europea, impantanata tra stagnazione e depressione, passano inevitabilmente per il livello unitario: nessun paese può riuscire da solo a rovesciare l’andamento della congiuntura, neanche la Germania che ha l’economia più grande dell’eurozona.
Questa linea politica cara alle tecnocrazie conservatrici si trova più o meno casualmente in sintonia con gli interessi del paese dominante in Europa, la Germania. L’”ideologia tedesca” non è precisamente omogenea a quella liberista. Quest’ultima mira per esempio a distruggere i sindacati, che invece in Germania hanno un ruolo fondamentale; ha il feticcio della concorrenza, che i tedeschi non mostrano di perseguire a tutti i costi e in tutti i settori; aborrisce l’intervento pubblico, che la Germania invece non disdegna. Insomma tra le due visioni dell’economia ci sono differenze importanti.
Gli aiuti serviti a permettere alle banche tedesche (e francesi) di rientrare dai crediti, aiuti a cui hanno contribuito tutti i paesi dell’euro, anche quelli in difficoltà, sono stati fatti passare come un generoso soccorso ai greci spreconi, così come i contributi ai Fondi salva-Stati (pagati da tutti anche quelli), come una sgradevole necessità provocata dal comportamento dissennato di quei paesi che per questo si trovavano sotto attacco. Dunque per loro colpa, e non per la colpa tedesca di aver imposto una gestione egoistica e dissennata della crisi greca, che come detto aveva scatenato quella generalizzata.
Tutto questo nel quadro di una globalizzazione che ha messo sotto ricatto i lavoratori dei paesi di più antica industrializzazione, di una finanziarizzazione incontrollata che ha messo sotto ricatto gli Stati, della definitiva affermazione di protagonisti come le mega-corporation, i cui bilanci sono più grandi di quelli della maggior parte dei paesi sovrani del mondo e il cui potere è grande di conseguenza.
Una prima conclusione
Questa lunga premessa serve a trarre una prima conclusione. L’euro non è di per sé negativo e distruttivo nei confronti dei paesi europei oggi in difficoltà. Ad essere distruttiva è la politica europea. Se domani miracolosamente l’Unione decidesse la mutualizzazione dei debiti pubblici e una massicia emissione di Eurobond per rilanciare gli investimenti, cancellasse le regole demenziali su deficit, riduzione del debito e pareggio di bilancio, accettasse l’ipotesi di trasferimenti fiscali interni all’area (cioè che, quando è necessario, i paesi più forti aiutano quelli più deboli, come avviene tra regioni di uno stesso Stato), non limitasse l’azione della Bce, la crisi finirebbe rapidamente, l’euro non sarebbe più un problema.
L’obiezione è ovvia: questo non accadrà. E’ vero, ma bisognerebbe aggiungere: “nelle attuali condizioni politiche”. Che non è detto che siano immutabili. Le forze di opposizione a questa politica sono in forte crescita in tutta Europa. Non sono omogenee, e questo permette ai moderati di destra e di sinistra (chiamiamoli così per comodità: i Popolari, i Socialisti e i Liberali) di ottenere ancora la maggioranza facendo blocco. Ma domani potrebbe non bastare. Secondo i più recenti sondaggi in Spagna Podemos è il primo partito, e il Psoe sembra disponibile ad una eventuale coalizione di governo. Syriza è in testa in Grecia e alle ultime elezioni amministrative che hanno coinvolto la metà della popolazione si è visto che potrebbe ottenere addirittura la maggioranza assoluta. In Francia è in testa il Front National, e Marine Le Pen potrebbe essere il prossimo presidente, In Italia 5Stelle e Lega valgono circa il 30%, ma ad essere più o meno saldamente omogeneo alla dirigenza europea è solo il Pd con il contorno di qualche partitino. Fuori dall’euro l’Ukip insidia il governo inglese.
Ma il tempo stringe
Un mutamento delle condizioni politiche dunque non è impossibile. Ma è improbabile che sia domani. Domani, invece, potrebbe scatenarsi un’altra fase acuta della crisi. Per questo il “piano B” è necessario. Ma anche se non arriverà un’altra tempesta ogni giorno che passa in queste condizioni continua a deteriorare la nostra economia, le imprese continuano a chiudere, la disoccupazione rimane a livelli insopportabili, il debito pubblico continua ad aumentare rispetto al Pil, perché il Pil non cresce e non crescerà. Le ultime previsioni Ocse hanno già ridotto allo 0,2% la stima per il 2015, un terzo del pur misero 0,6 dei nostri documenti economici. Verosimilmente ci avviamo al quarto anno consecutivo di recessione e il governo è impegnato essenzialmente in giochi di illusionismo come gli 80 euro o il Tfr in busta paga.
Un “mr. Thatcher” di sinistra non solo impedirebbe di danneggiare ulteriormente l’Italia, ma probabilmente potrebbe riuscire a chiudere nell’angolo gli egoismi tedeschi e a raccogliere una maggioranza di paesi favorevole a un cambio non solo di linea, ma anche dell’architettura europea che sta distruggendo l’Unione, visto che ormai i paesi in difficoltà sono più di quelli che ancora si salvano. Purtroppo di un personaggio del genere non si vedono tracce, e se qualcuno aveva dubbi il semestre di presidenza italiana, ormai agli sgoccioli, non può che averglieli tolti.
E allora?
E dunque, che cosa si può ragionevolmente fare? Non moltissimo, se questa è la situazione. Magari studiare strade come quella tentata con il referendum “anti-austerità”, che non è riuscito ad arrivare in porto, ma era una buona idea, anche se non risolutiva. Ci sarà nei trattati o negli statuti delle istituzioni qualche cosa da impugnare, investendo magari la Corte di giustizia europea? Possibile che solo la Germania riesca a farlo per i suoi scopi? E poi, certo, continuare a denunciare l’assurdità di questa politica, sperando che l’opinione pubblica arrivi a convincersene e smetta di seguire i pifferai che la portano ad affogare.