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Contraddizioni sull'Ilva e non solo

di Antiper

Qualche giorno fa il GIP Patrizia Todisco ha disposto il fermo di 6 impianti “a caldo” dell'Ilva di Taranto ipotizzando il rischio di un “disastro ambientale” consapevolmente prodotto “per la logica del profitto”

“Non vi sono dubbi sul fatto che tale ipotesi criminosa sia caratterizzata dal dolo e non dalla semplice colpa. Invero, la circostanza che il siderurgico fosse terribile fonte di dispersione incontrollata di sostanze nocive per la salute umana e che tale dispersione cagionasse danni importanti alla popolazione era ben nota a tutti...”

“... La piena consapevolezza della loro attività avvelenatrice non può non ricomprendere anche la piena consapevolezza che le aree che subivano l’attività emissiva erano utilizzate quale pascolo di animali da parte di numerose aziende agricole dedite all’allevamento ovi-caprino...”

“... Le sostanze inquinanti erano sia chiaramente cancerogene, ma anche comportanti gravissimi danni cardiovascolari e respiratori. Gli effetti degli Ipa e delle diossine sull'uomo non potevano dirsi sconosciuti...”

“... Non vi è dubbio che gli indagati, adottando strumenti insufficienti nell’evidente intento di contenere il budget di spesa, hanno condizionato le conseguenze dell’attività produttiva per la popolazione mentre soluzioni tempestive e corrette secondo la migliore tecnologia avrebbero sicuramente scongiurato il degrado di interi quartieri della città di Taranto...”


“... Chi gestiva e gestisce l'Ilva ha continuato nell'attività inquinante con coscienza e volontà per la logica del profitto, calpestando le più elementari regole di sicurezza...” [1]

Cosa sono, queste parole, se non la plastica rappresentazione di cosa sia il capitalismo, ovvero un sistema che distrugge la vita di molti per realizzare il profitto di pochi? L'Ilva non è l'eccezione, ma piuttosto la regola di un sistema costretto a scrivere leggi che poi non fa applicare, rendendo sostanzialmente inutile (oltre che discutibile) il richiamo alla legalità in un paese che vive da sempre nella “forbice” tra “costituzione formale” e “costituzione materiale”, tra lettera della legge e sua effettiva (non) implementazione. E questo, ovviamente, in una sola direzione: la direzione degli interessi di capitalisti come Riva, grazie ai suoi complici politici, sindacali e istituzionali.

Il Magistrato sembra fare il suo mestiere in modo “super partes” (e già questa sarebbe una notizia, sebbene “super partes” non siano di certo le leggi che intende far rispettare): di fronte all'evidenza di un reato che provoca tumori nella popolazione fa arrestare i responsabili e dispone l'apposizione dei sigilli.Non è una cosa usuale che capitalisti potenti come Riva vengano messi agli arresti, anche solo domiciliari. C'è di che rallegrarsi? Magari non più di tanto... la legge, certo, è quella che è, è legge del padrone, anche se evidentemente un Guariniello e un Carnevale la interpretano in modo piuttosto diverso. Ma tra non rallegrarsi e scatenarsi contro il Magistrato che ha fatto arrestare un padrone che ha provocato la morte dentro e fuori la fabbrica per anni e anni, di strada, ne corre. Ecco perché colpisce la reazione istantanea della maggioranza dei lavoratori contro l'ordinanza: sotto la minaccia del pericolo occupazionale (paventato ad arte) migliaia di lavoratori si sono riversati a bloccare la città (vittima dell'inquinamento dell'Ilva e ora anche di una mobilitazione artatamente indirizzata fuori affinché non si indirizzasse dentro). Ma sono usciti tutti? Beh, non proprio tutti; ne sono usciti abbastanza per creare problemi alla città e per poter parlare di “insurrezione operaia”, ma non abbastanza per creare problemi alla produzione che è infatti proseguita quasi regolarmente; contro l'ordinanza di fermo del Gip Todisco, per la continuità di profitto di padron Riva, questa la “linea”, come hanno fatto intendere enfaticamente i tre porcellini sindacali interpretando in modo straordinariamente ecumenico sia il diffuso sentimento di paura degli operai, sia quello di profitto del padrone.

Quella che si presenta a Taranto è una situazione difficile che non si può affrontare con la tattica dello “stare dentro” al movimento dei lavoratori in modo ambiguo per “essere unitari” e non alimentare la “frammentazione” cantando nel coro della “continuità produttiva prima di tutto” assieme ai 3 porcellini, al Governo [2], ai partiti di sinistra-centro-destra e alle istituzioni tutte. Né si può affrontare, d'altra parte, con la logica degli imbroglioni verdi, capaci di tuonare contro l'inquinamento di fabbriche come l'Ilva e poi di appoggiare Governi che bombardano con l'uranio impoverito fabbriche come la Zastava.

Anche la proposta di blocco delle attività produttive in attesa della bonifica degli impianti mantenendo il salario al 100% (il che dovrebbe ipoteticamente permettere di salvaguardare al tempo stesso la salute dei lavoratori e il profitto del padrone), che potrebbe sembrare un'ipotesi razionale, è invece ben difficile che possa realizzarsi tanto più se dovesse poggiarsi sui “cordoni della borsa” di Riva. Infatti, le risorse che il Consiglio dei Ministri ha stanziato per la bonifica (336 milioni di euro) non vengono dalle tasche di Passera, di Monti o di Riva, ma da quelle dei contribuenti che, come si sa, sono in larghissima parte lavoratori salariati. E questo vuol dire che Riva farà la bonifica (ammesso e non concesso che intenda farla) con i soldi dei lavoratori il che dovrebbe essere fonte quantomeno di riflessione, se non di vero e proprio scandalo - se si avesse ancora la forza di scandalizzarsi per quello che avviene in questo paese - e non certo di soddisfazione e di reciproche pacche sulle spalle per il mantenimento della “continuità produttiva” [3]; senza contare che il “bonifico” dello Stato all'Ilva spiana ulteriormente la strada alla generalizzata elusione delle norme sulla sicurezza e sulla salute nei luoghi di lavoro dal momento che le imprese potranno sperare, ancora più che in passato, si poter contare sui soldi dei contribuenti per pagare la “messa a norma”, ove pure un giorno la Magistratura dovesse sanzionarle.

Del resto, come ricorda l'ordinanza del Gip [4], non sarebbe la prima volta che l'Ilva fa operazioni di facciata a fronte di ingiunzioni da parte della Magistratura o delle istituzioni. Non è dunque per nulla remoto il rischio che parte dei 336 milioni finiscano nelle tasche della cosca Riva (a mo' di risarcimento per il temporaneo fermo) e che la bonifica si risolva nell'ennesimo “make up” per calmare le acque e “riconciliare l'Ilva con l'opinione pubblica” [5].

Certo, grazie alle disposizioni del Gip, oggi si è creata molta attenzione sull'azione inquinante dell'Ilva e forse si sarà costretti a fare qualcosina di più di qualche piccola operazione di maquillage. Ma alla fine il modo di produzione capitalistico funziona in una maniera (a favore dei capitalisti) e non può funzionare in un'altra (a favore dei lavoratori). Questa deve essere la stella polare di ogni nostra considerazione, tanto più in un'epoca di crisi economica in via di ulteriore approfondimento. E questa stella polare deve renderci consapevoli che non è nel capitalismo che vi può essere “giustizia” per i lavoratori o efficace difesa della loro salute e sicurezza.

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C'è una constatazione che va fatta, anche se può apparire amara: la prima reazione dei lavoratori, che tanto a vanvera ha fatto parlare gli irriducibili chiacchieroni dello spontaneismo a tutti i costi, è stata in larga misura diretta dal padrone contro Patrizia Todisco, attraverso le proprie “cinghie di trasmissione” (i capi e i sindacati di regime), anche se non è Patrizia Todisco che mette a repentaglio la vita e la salute dei lavoratori e dei cittadini di Taranto ma sono, ovviamente, Riva e l'Ilva.Una volta sarebbero stati i lavoratori - con le lotte - a tentare di costringere il padrone a mettere gli impianti a norma. Ora i lavoratori si mobilitano contro le ordinanze che intendono imporre la messa a norma o, quanto meno, sanzionare la mancata messa a norma. Anche questo è un segno dell'arretramento del movimento dei lavoratori i quali sembrano ormai rassegnati a pensare che l'unica cosa che possono fare per difendere il “posto di lavoro”, ovvero il posto in cui vengono quotidianamente sfruttati dal padrone, sia quella di lasciare mano libera al padrone medesimo. Quello che si è mostrato a Taranto non è, temiamo, un segno della forza dei lavoratori, ma un segno della loro debolezza. E inneggiare alla debolezza con vuote parole di rivolta, ribellione, esplosione... finisce per assumere il sapore della beffa.

Riva e la sua cosca politico-sindacale volevano una “insurrezione di popolo” dei lavoratori e della città contro chi aveva osato toccare il “mammasantissima”. Ed ecco allora che anche l'altro “amico degli amici” che siede alla Presidenza della Regione, il padrino del partito “ecologico”, il campione di slalom tra i casi della corruttela pugliese, si è affrettato a dichiarare che l'ordinanza non deve implicare la chiusura degli impianti e che bisogna in ogni caso “conciliare” salute e lavoro (dove “lavoro” va naturalmente tradotto in profitto, giacché senza profitto, nel capitalismo, non esiste alcun lavoro) e “riconciliare l'Ilva con l'opinione pubblica”, magari con i padri e le madri dei bambini che si sono ammalati di tumore per colpa di “padron Riva” e della sua volontà di profitto. L'Ilva sarà anche nociva per la salute dei lavoratori e dei cittadini, ma se fosse per il “sinistro” ed “ecologico” dandy che fa il baciamano al Vescovo e il baciaculo a Bersani-Casini, degno erede dell'altro imbroglione che presiedeva la Camera fino a qualche anno fa, si potrebbe proseguire. Ci mancherebbe: il profitto – pardon, il lavoro – prima di tutto.

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Lo scopo della mobilitazione dei lavoratori era quello di creare le condizioni affinché il provvedimento del GIP venisse ritirato perché, come ha detto qualcuno pensando di dire qualcosa di molto profondo, se strangoli la fabbrica poi che lotta vuoi fare? Vero, se strangoli la fabbrica e la fabbrica chiude poi ogni lotta (nella fabbrica) finisce. Ma la fabbrica resta aperta solo se è garantita una condizione: il profitto. Per cui, quando i lavoratori lottano per tenere aperta la fabbrica, nei fatti lottano per mantenere il profitto del padrone. Non è, anche questa, una contraddizione?E d'altra parte il ragionamento “razionale” sulla lotta che finisce se finisce la fabbrica può essere coniugato anche in un altro modo: se l'operaio muore di cancro la sua lotta finisce anche se la fabbrica non viene strangolata. E dunque che senso ha lottare per tenere aperta una fabbrica che ti uccide? E perché i lavoratori che non hanno bloccato la città contro il disastro ambientale provocato dall'Ilva l'hanno invece bloccata contro il provvedimento che sanzionava tale disastro? Forse perché tutti sanno che la fabbrica fa venire il cancro a qualche lavoratore e a qualche bambino del quartiere, ma tutti sperano che tocchi a qualcun altro.Questo è un esempio di cosa vuol dire non essere classe. E quando i lavoratori non sono classe sono solo strumenti nelle mani del padrone, aldilà delle sempre più insopportabili chiacchiere retoriche sulla spontaneità delle lotte, sulla rabbia “degli 8000”, sull'esplosione annunciata, ecc...E' stata la borghesia, ancora una volta, a determinare il corso degli eventi: da un lato la Magistratura, dall'altro il padrone. In mezzo gli operai che senza guida oscillano tra un polo e l'altro senza capire che il loro compito, oggi, non è difendere Riva dalle ordinanze della magistratura e neppure sperare che sia la Magistratura a “mettere in riga” il padrone, ma alimentare il processo storico che spazza via i “Riva” ed impone il rispetto concreto della vita e della salute dei lavoratori; sfruttare ogni occasione per fare un passo in avanti sulla strada della liberazione dei lavoratori dalle catene del lavoro salariato.

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In questi giorni si sono susseguite moltissime prese di posizione, tutte dolenti per la contraddizione che i lavoratori sono costretti a subire tra salute e lavoro e qualcuno ne ha addirittura proposto la versione apocalittica - “morire di fame” o morire di cancro” [6] - senza rendersi neppure conto, estasiato dal suono delle proprie parole vuote, che se perdere il lavoro è morte allora nessuno sarà disposto a lottare e a rischiare il lavoro, come spesso accade a chi lotta. E quindi, proporre la dicotomia “morte o morte” finisce per escludere, consapevolmente o meno, la lotta.

Anche dire: “la colpa è del padrone e deve essere il padrone a pagare” – che può sembrare un'affermazione condivisibile - diventa però solo una frase vuota quando si pensi che sempre le colpe dei potenti ricadono sui non potenti, almeno fino a quando i non potenti non decidono che ne hanno avuto abbastanza.

Purtroppo non c'è nessuna via d'uscita che possa salvare “capra e cavoli” perché “più salute” per lavoratori e cittadini significa “meno profitto” per i padroni e non sono questi tempi in cui si abbia la forza di imporre tante riduzioni di profitto. E se invece a pagare per le inadempienze dei padroni devono essere i lavoratori con le proprie tasse allora che “capra e cavoli” è? Il lavoro paga per le inadempienze del capitale? Sai che novità... Il Governo, ai lavoratori, toglie le pensioni di anzianità e l'articolo 18; ai padroni che provocano il cancro, invece, regala i soldi per le finte bonifiche. E tutti giù ad applaudire e a darsi del “bravo” l'un con l'altro. Ma che bella mediazione “seria” e “rigorosa”...

E' per ricatto che i lavoratori subiscono peggiori condizioni di sicurezza e di salute, si sa. E chi non lo pensa dovrebbe spiegare perché sicurezza e salute diminuiscono man mano che ci si sposta verso i lavori pagati peggio. Ma allora questo significa che con l'approfondirsi della crisi i lavoratori saranno costretti ad accettare il peggioramento delle condizioni di salario, di sicurezza e salute sui luoghi di lavoro, che la “contraddizione tra salute e lavoro” non solo non si risolverà, ma tenderà probabilmente ad approfondirsi ulteriormente. Ecco perché il dilemma dei lavoratori dell'Ilva di Taranto non è che il dilemma di tutti i lavoratori, dal momento che se cadi da un'impalcatura o rimani attaccato alla rete elettrica o ti butti dalla finestra per lo stress o ti viene il cancro per l'amianto non è che, alla fine, faccia poi tutta questa gran differenza.

Il punto non è: rassegnamoci alla mancanza di sicurezza, salute, lavoro, salario, diritti... che tanto siamo nel capitalismo e non c'è niente da fare. Il punto è precisamente l'opposto: non rassegnamoci né al capitalismo, né alle sue “bronzee” leggi. Rovesciamo la causa per non dover subire la conseguenza. E' facile? No. E del resto, se fosse stato facile, lo avremmo già fatto da un pezzo. Non è facile, però è necessario.

La questione dell'alternativa alle produzioni nocive non è un problema dei lavoratori di una singola fabbrica o dei cittadini di una singola città; è un problema di alternativa globale al modo di produzione capitalistico, un'alternativa comunista. E' questa l'unica vera soluzione della contraddizione tra salute e lavoro perché questa è, in realtà, contraddizione tra capitale e lavoro e il comunismo è il mondo in cui smette di esistere il capitale e resta solo il lavoro.

Note

[1] Ordinanza del GIP di Taranto Patrizia Todisco.

[2] Il governo, attraverso il Ministro Clini ha dichiarato: “Lo stabilimento non va bloccato. L’Ilva di Taranto non va fermata. Il giudizio sui rischi connessi ai processi industriali dello stabilimento va attualizzato”.

[3] Cfr. ilfattoquotidiano.it, 3 agosto 2012: Ilva Taranto, il Consiglio dei ministri approva il decreto. Al via la bonifica. “Potranno essere applicate le misure d'urgenza già sottoscritte il 26 luglio scorso. Il presidente della Puglia Nichi Vendola: 'Ringrazio le forze politiche parlamentari e la deputazione pugliese che con serietà e rigore hanno accompagnato la Regione a costruire un percorso all'altezza della drammaticità della situazione'”. Oplà.

[4] Cfr, Ordinanza Gip: “è stato chiaramente ribadito che tutte le misure introdotte si sono rivelate, a tutto concedere, un’abile opera di maquillage, verosimilmente dettata dall’intento di lanciare un 'segnale' per allentare la pressione sociale e/o delle autorità locali ed ambientali – ma non possono essere considerati il massimo in termini di rimedi che si potevano esigere, nel caso concreto, al cospetto della conclamata inefficacia dei presidi in atto ad eliminare drasticamente il fenomeno dello spolverio”.

[5] Cfr, la Repubblica, Bari, 2 agosto 2012. Dice Vendola: “Un'interlocuzione avviata da lungo tempo e relativa non solo ai processi di ambientalizzazione che devono essere spinti e radicali, ma legata anche a quel monitoraggio in continuo nell'intero perimetro dello stabilimento industriale, che sono necessari non soltanto per dare a noi un quadro preciso ed esaustivo, ma anche per riconciliare l'Ilva con l'opinione pubblica”. Dunque Vendola, mentre riconosce che non c'è un sufficiente monitoraggio e che quindi nulla si può concludere sugli sforzi che l'Ilva avrebbe fatto per “ambientalizzare” la fabbrica (sforzi che, secondo il Gip, sono stati prevalentemente operazioni di maquillage), decide di riconoscere “a priori” lo sforzo di “ambientalizzazione” dell'Ilva.

[6] Cfr. Il blog di Beppe Grillo, Taranto: meglio morire di tumore o di fame? Da segnalare le numerose – e incredibili - prese di posizione all'interno del movimento “comunista”, “antagonista”, “anticapitalista”, ecc, ecc... che suonano più o meno nello stesso modo in cui suona la presa di posizione grillina la quale afferma: “La scelta, drammatica, per i tarantini è tra la disoccupazione e l'emigrazione o la morte per tumore. E' sconvolgente. A gridare "il re è nudo" è stata ancora una volta la magistratura, che va ringraziata. La politica è morta e Taranto è il suo cimitero”. Non c'è bisogno di dire che i grillini vedono tutti gli scenari meno uno: quello in cui non esistono più assassini sfruttatori come Riva. Come Passera, che dice: “Occorre evitare la chiusura, se si chiudono quegli impianti non si riaprono più". Ed aggiunge che l'alternativa pane-veleno 'é inaccettabile'”, Tiscali notizie, 7 agosto 2012.
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