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orizzonte48

V€rso la schiavitù: dall'ordoliberalismo al lavoro merce

Quarantotto

bzfpmoocyaez-gt.jpg-large1. Per parlare (ancora) dell'ordoliberismo vorrei prendere spunto dall'immagine-citazione qui accanto, tratta da un contributo su twitter.

La traduciamo così non ci sono equivoci:

"Non penso che sia una buona idea rimpiazzare questo metodo lento ed efficace - che solleva gli Stati nazionali dall'ansia mentre vengono privati del potere- con grandi balzi istituzionali ... Perciò preferisco andare lentamente, frantumando i pezzi di sovranità poco a poco, evitando brusche transizioni dal potere nazionale a quello federale. Questa è il modo in cui ritengo che dovremo costruire le politiche comuni europee...".

Rammentiamo così questa sintesi della natura strumentale dell'ordoliberismo:

"Ordoliberismo : veste €uro-attuale del neo-liberismo che, imperniata sull'obiettivo del lavoro-merce, prende atto dell'ostacolo delle Costituzioni sociali contemporanee (fondate sul lavoro), ed agisce divenendo "ordinamentale", cioè impadronendosi delle istituzioni democratiche per portarle gradualmente ad agire in senso invertito rispetto alle previsioni costituzionali."

Questa vicenda di gradualitànell'impossessamento delle istituzioni democratiche, per invertirne la direzione di intervento, cioè per portarle a tutelare e realizzare interessi di segno opposto a quello per cui vennero concepite dalle Costituzioni nate dalla caduta del nazifascimo, riposa su una precisa forma "etico-comunicazionale", il "pop", una precisa fase operativa che ne consente l'attuazione tecnocratica, ed una precisa ideologia economica di tipo restaurativo, come fine ultimo

 

2. Qui una ricostruzione

"...lo stesso instaurarsi del consumismo di massa in sè, indicava una via di reazione che il sistema conteneva già in sè e consentiva, quindi, un'evoluzione adattativa che restaurasse il modello capitalista auspicato (quello del famoso passaggio di Kalecki).

E questo nella coscienza che ciò potesse farsi con la dovuta gradualità necessaria per attendere sia il consolidarsi della imminente vittoria definitiva sul socialismo "reale", che lo sfaldamento della linea politico-elettorale incentrata su diversi livelli di concessione sul fronte del welfare (che pareva accomunare nella irreversibilità tutti i partiti in campo, nei limiti della funzionalità alla strategia di sedazione dell'avanzata dei partiti comunisti: inutile dire che era, specie in partiti come il Repubblicano USA, una linea "rebus sic stantibus" e tatticamente accettata obtorto collo. Lo stesso, poteva dirsi di settori della democrazia cristiana, come dimostra la vicenda dell'evoluzione delle posizioni sulla banca centrale da quella di Carli anni '70 a quella di Andreatta-Ciampi, primi anni '80)...".

 

3. Ora questa aspirazione alla restaurazione aveva già espresso, in Europa, cioè nel contesto in cui sarebbe stato connaturato cercare di applicarlo, un sistema di pensiero economico-politico, in sè compiuto.

Questo va identificato nella assoluta contiguità - storicamente attestata da prove inconfutabili (tanto che coloro che si identificano in questa "scuola" non intendono confutarlo ma semmai confermarlo) tra la scuola austriaca di von Mises e von Hayek, e la elaborazione della c.d. "terza via" di Roepke, cioè l'ordoliberismo in senso proprio (la distinzione attiene più alle biografie dei rispettivi protagonisti, cioè a fortune politiche e mutevoli sedi di insegnamento accademico, che ad una reale separazione politico-ideologica, come vedremo).

L'ordoliberalismo, infatti, fin dalla sua genesi, si pone come un tentativo linguisticamente e ideologicamente (nel senso della enunciazione dei valori perseguiti) mirato a rendere accettabile la sostanziale realizzazione - o "rivincita"- del liberismo, cioè del "governo del mercato" sull'intera società; e questo, conservando la facciata del soggetto, lo Stato strutturato (in una molteplicità di funzioni di pubblico interesse), che era visto come la principale interferenza contraria a tale realizzazione. 

 

4. E' ovvio che, nella fase del nazifascismo, questa strategia si potè valere, certamente in Germania e, per certi innegabili aspetti in Italia, della coincidenza (transeunti, ma "eticamente" favorevole) dello Stato, avversario tout-court, con quello storicamente manifestatosi nel totalitarismo militarista e guerrafondaio di tale epoca (almeno nei luoghi di nascita dello stesso ordoliberismo).

La legittimazione, addirittura "pacifista", del liberismo compromissorio (nella sola fase iniziale) e strumentale (data la permanente mira alla restaurazione del modello liberista nella sua sostanza integrale), potè quindi godere di un'ambigua investitura "etica" di opposizione al totalitarismo.

In effetti, però, l'ordoliberalismo al totalitarismo non rimproverava affatto la soppressione di quelle libertà "attive" (contro cui si era sempre mobilitato) che contraddistinguevano la democrazia abbattuta dagli stessi totalitarismi: in altri termini, rispetto alla soppressione-negazione (eventuale) dei diritti c.d. sociali (ovvero di tutela del lavoro e del welfare), che erano considerati dai neo-liberisti di ogni "scuola" quali inaccettabili distorsioni del mercato (in particolare e soprattutto, di quello del lavoro), rimaneva in posizione neutra

La posizione ordoliberista sulla progressiva natura "interventista" dei totalitarismi, poi, divenne  inevitabilmente critica, in nome di un indistinto richiamo alla libertà, dato che i "fascismi", seppure con livelli quantitativi "non inflattivi" e compatibili con l'alleanza organica col capitalismo industriale nazionale, aderirono in vario modo all'idea rinnovata, (post crisi del '29), dell'erogazione delle "sicurezze" sociali alle masse governate come pure di una forte presenza pubblica nel settore bancario. 

Anzi, questo versante della critica al nazifascismo, è tutt'ora utilizzato dalla parte liberista più ostinatamente (e strumentalmente) ignara delle reali vicende storiche e dei relativi dati economici: estrapolando le politiche sociali dei totalitarismi come elemento caratterizzante principale (se non unico) degli stessi, propone la mistificatoria equazione tra i totalitarismi e lo stesso Stato democratico pluriclasse improntato al welfare (si tratta del fenomeno dell' Antistalismo libertario "liceale")

 

5. Questa confusione - se non altro su natura e reali ragioni dell'opposizione agli stessi totalitarismi, (determinata da un'equivoca contingenza storica), - non può certo dirsi casuale, dato che i totalitarismi fascisti si rivelarono come efficaci rimedi proprio al fallimento dei metodi di controllo sociale in precedenza predicati dall'imperante liberismo, quellodell'epoca del gold-standard, del colonialismo e dell'avversione al "monopolio" sindacale.

Quello stesso fallimento, poi, aveva semmai dato luogo, nelle sue più radicali conseguenze, all' "opposto" totalitarismo del comunismo sovietico, che era l'avversario comune sia del nazifascimo che del liberismo. Ma, notare bene, ciò avvenne più per la sopravvenuta sussidiarietà-alleanza del primo con il secondo, che per un'autonoma vocazione "ideologica" dello stesso nazifascimo nel concepire radicalmente lo scontro di classe (che veniva dissolto, piuttosto, nel concetto cooperativo e "corporativo" di popolo-ceto produttivo).

Nondimeno, questa militanza oppositiva, - determinata in ultima analisi dalla (consueta) insofferenza liberista verso mediatori "politici" estranei all'oligarchia liberista, e la cui stessa esistenza attestava la natura fallimentare della società (neo)liberista-, consentì ai liberisti di sedersi al tavolo della "ricostruzione" con un'insperata legittimazione.  

Ancorchè, quantomeno in Italia, gli stessi, in sede di Assemblea Costituente, risultassero recessivi; e parliamo proprio degli Einaudi, dei Nitti, e dei vetero-liberisti strettamente connessi, nella loro traiettoria culturale, proprio ai von Hayek-von Mises e ai Roepke. Cioè, pur nella dialettica delle posizioni su "come", - in tema monetario o di attuazione dell'internazionalismo dei mercati, paludato da "federalismo" europeo-, restaurare il mercato del lavoro perfettamente flessibile, che è il "core" del liberismo, Einaudi e, per certi versi (più politici), de Gasperi (e apertamente Sturzo), furono certamente  attratti dall'area ordoliberista.

 

6. Tutti i passaggi finora accennati possono trovare, senza grandi sforzi bibliografici, un'agevole conferma sia storica che contenutistica, nelle vicende e nelle biografie che contrassegnarono i protagonisti prima del dopoguerra (ri-costruzione), poi della stessa "costruzione europea", nelle sue fasi "comunitarie" e, successivamente "federal-unioniste".

Per semplificare questa conclusione consigliamo la lettura integrale di questo paper che, sul principale teorico dell'ordoliberismo e della "terza via", cioè di quella che sarà poi la struttura fondamentale del Trattato di Maastricht

Va peraltro precisato che lo stesso Roepke non proponevala definizione di "terza via" :

"Röpke non disegna una terza via tra l'economia di mercato e l'economia collettivista. Lo dice lui stesso in forma esplicita nel già citato importante scritto del 1961 (L'anticamera del collettivismo): “Chiunque tema il rimprovero d'aver ignorato i segnali della storia mondiale si guarderà bene dal parlare ancora di un “sistema misto”, come se ci fosse una terza possibilità , atta a risparmiare la scelta, spesso scomoda, fra economia di mercato e collettivismo quali principi dell'ordine economico”.

Ma questa esplicitazione semmai conferma la natura "cosmetica" dell'uso del termine sociale da parte dell'ordoliberalismo, in quanto strumentalmente agevolativo di una restaurazione del libero mercato tout-court, (senza particolari concessioni che non siano, appunto, la mera aggiunta del termine "sociale").

Curiosamente, a conferma di quanto per questa restaurazione occorra tener conto di esigenze di marketing politico-comunicazionale, elemento principe della strategia di "costruzione europea", vediamo come, non casualmente, da parte della sinistra filo-europeista si ponga invece un'enfasi prioritaria sulla "terza via"; e ciò specialmente suggerendo una presunta attenzione di "social-lavoristica" di Roepke (ed Einaudi), legata alla sua enunciazione pro-concorrenziale della tutela dei consumatori, (legittimati in realtà solo come "produttori"); in qualche modo, politicamente e mediaticamente, si ritiene vantaggioso lasciar vivere l'equivoco che la tutela dei consumatori equivarrebbe ad una più moderna, ed inevitabilmente "nuova", tutela dei "lavoratori", laddove questa preoccupazione non aveva alcuna cittadinanza nella visione di Roepke.

"Il pensiero di Röpke è stato profondamente segnato da alcuni eventi storici come la Prima Guerra Mondiale, la crisi economica degli anni ’30, la nascita di movimenti nazionalistici e socialisti, la Seconda Guerra Mondiale, il secondo dopoguerra e dalla sua esperienza personale in particolare il servizio militare prestato durante la prima Guerra Mondiale e l’autoesilio.

Significativa è stata anche la sua partecipazione nel 1938 al Colloque di Walter Lippman, famoso tra gli intellettuali di indirizzo liberale dell’epoca; l’incontro con Luigi Einaudi nel 1944, che diventerà un suo grande amico e con il quale condividerà ampiamente il suo pensiero e le sue teorie: sarà Einaudi ad applicare la teoria della “terza via” di Röpke in Italia per la rinascita economica del secondo dopoguerra; ed infine il periodo passato a Graz (1928-1929), dove entra in contatto con la Scuola di economia austriaca, rappresentata da von Hayek e von Mises. L’Ordoliberalismo nasce quindi come espressione di due scuole di economia: quella austriaca (Friedrich von Hayek, Ludwig von Mises) e quella friburghese (Walter Euken , Eugen von  Böhm-Bawerk , Alexander Rüstow e Wilhelm Röpke) rappresentata da eminenti intellettuali, considerati i padri dell’economia sociale di mercato...

...E’ importante precisare che l’Ordoliberalismo ha dato i natali a quella “terza via” che si imponeva come opzione tra il  liberalismo economico e la pianificazione economica, generando quello che è oramai conosciuto come economia sociale di mercato, dove lo Stato assume un ruolo di regolatore al fine ultimo di realizzare il benessere della società in un contesto di libero mercato attraverso i punti programmatici fondamentali dell’economia sociale di mercato

Questi puntii programmatici, nella versione dei padri fondatori dell’ordoliberalismo, si possono sintetizzare così:

• un severo ordinamento monetario;

• un credito conforme alle norme di concorrenza;

• la regolamentazione della concorrenza per scongiurare la

formazione di monopoli;

• una politica tributaria neutrale rispetto alla concorrenza;

• una politica che eviti sovvenzioni che alterino la

concorrenza;

• la protezione dell’ambiente;

• l’ordinamento territoriale;

• la protezione dei consumatori da truffe negli atti d’acquisto."

 

7. Si può dunque senza particolare sforzo riconoscere che questi "punti fondamentali", non soltanto sono ritrovabili con esattezza quasi compilativa nei trattati sull'Unione Europea, ma, di più, essi hanno la "accortezza" di non parlare direttamente, come appunto gli stessi Trattati, dei riflessi IMMANCABILI che la loro attuazione, in termini di regole dominanti nella società interessata (in pratica, quella dei paesi aderenti all'UE), avrebbe avuto sulla restaurazione del mercato del lavoro perfettamente flessibile che è, poi, in sostanza, l'unica irrinunciabile rivendicazione del liberismo.

Al momento in cui, come abbiamo visto sopra, maturarono le condizioni per passare dalla fase difensiva (cioè dalle mere reisistenze in sede Costituente e nell'attuazione della Costituzione) alla fase "operativa", l'ordoliberismo si affidò a uomini come Mitterand, soprattutto, lo stesso Amato e Carli in Italia, Tony Blair, Olof Palme.

Con ciò era saldata, adeguandosi ai tempi (di una minaccia "comunista" che si andava dissolvendo, fino alla caduta del Muro di Berlino), la tradizione "cristiano-democratica" con quella "socialista-liberale", essendo la seconda molto più in grado, per la sua pregressa legittimazione pro-welfare, di far accettare con immediatezza il "TINA" insito nella restaurazione.

Quest'ultima però veniva, ed è tutt'ora, proposta come "nuovo", reso necessario da una liberalizzazione dei capitali e dei movimenti di forza lavoro e non solo più delle merci, che veniva simultaneamente propugnata e costruita. 

Sul piano della comunicazione politico-economica, quindi si andava creando una sorta di petizione di principio, euristica: cioè la causazione artificiale - e "a posteriori", rispetto alla sua stessa enunciazione- della "necessità senza alternative" che andava giustificando l'affidamento di eccezionali poteri sovranazionali erosivo delle sovranità nazionali. Quelli di cui parla appunto Amato nell'incipit. 

 

8. Ci sarebbe da interrogarsi sulle mutazioni politico-internazionali che condussero a tale saldatura. 

L'auto-proposizione dell'ordoliberismo come "terza via", (nominale e tattica più che sostanzialmente differente dal liberismo),  rese quasi naturale ciò per un processo transitivo di "interpolazione": se occorreva configurare un'alternativa di riequilibrio tra capitalismo sfrenato, in quanto socialmente inaccettabile nell'evoluzione del conflitto di classe nel corso del '900, ed ogni forma di economia pianificata e tendente al "collettivismo" inefficiente, quest'ultimo polo della "triade" compromissoria, - via via che si dissolveva, implodendo, il socialismo reale -, finì per essere identificato col modello economico-misto delle Costituzioni democratiche del welfare.

La costruzione europea attraverso l'ordoliberismo, dunque, come implicano le stesse parole rivelatrici di Amato, si rivelò come occasione di rigenerazione dei partiti socialdemocratici (o riqualificatisi tali)  in funzione antitetica al "costituzionalismo": si considera eticamente "correct" superare la sovranità costituzionale nazionale in nome della "efficienza" sovranazionale (il "vincolo esterno"), ed inizia, segnatamente in Italia, la grande stagione della "revisione" delle Costituzioni basate sulla rigidità dei principi sottostanti ai diritti sociali. 

In generale, in tutta Europa inizia l'offensiva (OCSE-led) delle "riforme", variamente proposte come soluzioni parificate ad una grund-norm dinamica addirittua sovra-costituzionale; una proposizione che tende a fardimenticare ogni passato collegamento con il marxismo e  che "nova" la sinistra filo-europea da pro-labor a "progressista", legittimata dunque, dall'idea di "progresso", a derogare o sospendere l'applicazione dei fondamenti costituzionali del dopoguerra.

 

9. Questa conclusione sul ruolo dell'ordoliberismo (alquanto lineare per un osservatore non superficiale) può trovare un'autorevole interpretazione autentica nelle stesse complessive parole di Draghi:

- sia nella qualificazione della natura della BCE

"In this context, it is worth recalling that the monetary constitution of the ECB is firmly grounded in the principles of ‘ordoliberalism’, particularly two of its central tenets:

- sia nel costante e significativo invito all'effettuazione di riforme strutturali che altro che non sono che il completamento del mercato del lavoro auspicato come "essenza autosufficiente" della rivendicazione liberista.

 

10. E sul punto specifico, poi, come già ci ha dimostrato questo bel post di Arturo, non esiste un fondamentale dissenso tra, più o meno rivendicate, posizioni ordoliberiste "di sinistra" e posizioni più prettamente "conservatrici": entrambe condannano la tutela collettiva dei lavoratori, sia che fosse vista come miope perseguimento di "interessi sezionali" forieri addirittura del conflitto tra le Nazioni, sia che fosse, come oggi, sanzionata come principale caso di monopolio "avversario del funzionamento del magico "sistema dei prezzi" di mercato, tanto più se legittimato dal deprecato riconoscimento normativo dello Stato.

Le dispute al riguardo, semmai, confermano che, come in tutte le realizzazioni di un programma politico-ideologico, possono esistere diversi punti di vista sulla miglior via di realizzazione del programma stesso, per lo meno per quanto riguarda la suddetta rivendicazione irrinunciabile.

E che questa realizzazione abbia, per l'Europa, utilizzato come perno la "costruzione federalista" - salvo poi rinnegarla de facto, ma nel modo tecnico-paludato e mimetico dei trattati, quando si è trattato di realizzare l'altro caposaldo (più che mai tattico) ordoliberista, quello della moneta unica-, è un fatto storico su cui, il crescendo culminato nei fatti odierni, non dovrebbe lasciare più alcun dubbio.

 

11. L'ordoliberismo, quindi, per la sua natura tattica (cioè di compromesso o "terza via", apertamente postulati, per rendere accettabili i suoi fini ultimi) è uno strumento ideologico-politico più efficace della dura teorizzazione anti-keynesiana e darwinista sociale di Hayek, perlomeno assunta al suo stato più puro: questi è portato ad ammettere apertamente la preferenza per la dittatura rispetto ad una democrazia (evidentemente "sociale", cioè pluriclasse e non oligarchica) che ostacoli la Grande Società del mercato.

L'ordoliberismo invece svuota gradualmente dall'interno la democrazia, predicando il riduzionismo "idraulico-sanitario" della democrazia già definito da Hayek, ma preferendo farlo in una cornice di apparente conservazione del quadro istituzionale, tale da consentire lo svuotamento della democrazia sostanziale ("necessitata") del secondo dopoguerra, con un'alternanza di gradualità ed accelerazioni sostenute da una forte cornice morale accuratamente proclamata: quest'ultima la fa "assomigliare" all'ordinamento democratico, naturalmente imperniato sui valori solidaristico-umanisti, eliminando così, almeno ad un primo impatto, il senso di minaccia per le comunità sociali coinvolte. Almeno fino a quando  la minaccia non sia stata tradotta in un risultato acquisito ed irreversibile.

Il che ci riporta direttamente al "metodo" teorizzato da Giuliano Amato all'inizio di questa trattazione .

Ma ciò conferma anche il senso dello "stile" della tecnocrazia rivestita da slogan moralistici pop, quale ci descrive il famoso brocardo di Juncker, che riassume in tutta la sua efficienza la tattica politica ordoliberista:

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