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quaderni s precario

Scenari dalla crisi globale: 2008-2014

Nuovi paradigmi della governance imperiale e della valorizzazione capitalistica*

di Andrea Fumagalli

AlbaL’intervento verte su due tematiche principali.

La prima intende presentare un tentativo (ancora embrionale) di periodizzazione della crisi che ha attraverso il sistema economico-finanziario dal 2007 a oggi.

La seconda discute, all’interno delle traiettorie geo-economiche che la dinamica della crisi ha delineato, delle diverse forme della valorizzazione capitalistica, tra estrazione di ricchezza e espropriazione del comune da un lato (dispossession) e evoluzione delle forme di sfruttamento sempre più riferite alla vita nel suo complesso, dall’altro.

 

Le traiettorie della crisi

Entrati, ormai, nel settimo anno della crisi economico-finanziaria, possiamo affermare che oggi la crisi non è la stessa che esplose nel 2007. A nostro avviso, si possono oggi individuare alcuni snodi fondamentali, che consentono di definire tre fasi principali. Tali passaggi possono essere in modo molto sommario i seguenti:

Fase 1. 2007-09: scoppio della bolla dei sub-prime e fine della convenzione immobiliare, che, dopo aver sostituito la convenzione internettiana dell’ultima decade dello scorso secolo, era diventata il motore dell’accumulazione finanziaria. L’epicentro della crisi è negli Usa e raggiunge il suo culmine nel settembre 2008 con il fallimento della Lehmann-Brothers.

Inizia l’era Obama con un deciso cambio di politica monetaria. L’ortodossia neo-liberista (un ottuso laisser-faire, sostenuto dall’ideologia che i mercati – e in primo luogo il mercato finanziario – siano in grado di autoregolarsi, selezionando le posizioni meno efficienti) lascia il campo a una politica monetaria espansiva (inizio del quantitative easing) accompagnata da una politica fiscale accomodante (aumento del debito Usa). L’intervento dello Stato nel salvataggio delle banche in difficoltà si estende anchealla Gran Bretagna, Olanda, Francia e Germania.

Fase B. 2010-12: mentre gli effetti negativi sull’economia reale, soprattutto europea, si intensificano, la speculazione finanziaria internazionale, favorita da un ulteriore processo di concentrazione bancaria e finanziaria, si indirizza verso due nuovi obiettivi: la speculazione sulle commodities (derivati future sul petrolio, soia, grano) che sostiene la ripresa dei paesi Brics (la speculazione sulle materie prime è sempre un ottimo modo per ottenere facili plus-valenze immediate) e la speculazione sui titoli di stato dei paesi europei, che vedono aumentare il proprio debito soprattutto a causa della forte recessione del 2009 (mediamente il Pil diminuisce di quasi il 5%). Parallelamente aumenta l’instabilità dei saldi commerciali, che iniziano a presentare dinamiche sempre più differenziate: Cina e Germania vedono aumentare il surplus, Usa e resto d’Europa vedono aumentare il deficit commerciale.

Iniziano così a manifestarsi traiettorie geo-economiche diverse tra aree del pianeta:

  1. gli Usa sulla base della forte iniezione di liquidità della Fed presentano una lieve ripresa, più che altro drogata appunto dalla politica monetaria espansiva, anche in funzione della rielezione di Obama del 2012;
  2. l’Europa entra nella spirale recessiva trainata dalle politiche di austerity imposte dalla Troika e procede a terminare il duplice progetto di smantellamento del welfare europeo verso forme sempre più rigide di workfare e di precarizzazione del mercato del lavoro;
  3. l’area asiatica del sud-est (Cina in testa, India con più difficoltà) procede: i. al rafforzamento del controllo sulle rotte della logistica internazionale e, ii. a rinsaldare la leadership tecnologica nei settori dei beni strumentali, pur in presenza (e a prezzo) di crescenti instabilità sia sul fronte del mercato bancario interno che sul piano del conflitto sociale;
  4. il continente sudamericano segnala un buon tasso di crescita, anche qui tuttavia caratterizzato da instabilità che cominciano a evidenziarsi soprattutto sul mercato delle valute e relativamente alla capacità politica di far fronte alle aspettative di un ceto medio sempre più desideroso di diritti sciali e reddito maggiore. Inizia farsi sentire la “trappoladel ceto medio” (cfr. Battaglia con riferimento alla Cina)

Fase C. 2013-oggi: il 2013 a livello mondiale vede una forte crescita degli indici azionari di tutto il mondo, a riprova che il processo di finanziarizzazione è lungi dall’essere controllato e dal presentare difficoltà. In un’economia finanziaria di produzione ciò non stupisce. Tale processo è però lungi dal favorire la stabilità internazionale verso un sentiero più omogeneo di crescita. Siamo infatti in presenza di spinte centrifughe, che portano verso una decentralizzazione della struttura del potere imperiale, sia a livello militare, che economico e finanziario, prefigurando la possibilità di una nuova governance plurale (vedi più avanti).

L’Europa è ancora impastoiata dagli effetti recessivi delle politiche d’austerity. L’elezione di Juncker come commissario Europeo ribadisce la linea continuista dell’austerity. Può darsi, anzi appare sicuro, che si possano registrare degli “allentamenti” e un minimo di flessibilità nel vincoli posti dai patti di stabilità, ma la filosofia economica di fondo non pare, almeno nel breve periodo, soggetta a mutamenti. La Germania è stretta nella morsa tra gli effetti negativi della recessione europea del 2013 e della scarsa crescita nel 2014, un tasso di cambio dell’Euro sopravvalutato e la necessità di mantenere un surplus commerciale in grado di sostenere una minima crescita. Ma i tassi d’interessi negativi e lo spettro della deflazione non promettono nulla di buono. La politica monetaria della Bce, pur “non convenzionale” non produce gli effetti desiderati in termini di crescita della domanda aggregata (termine che nel discorso di insediamento di Juncker al parlamento europeo non è stato nominato neanche una volta a differenza di “deregolamentazione del mkt del lavoro per creare un clima imprenditoriale migliore”!). Si enfatizza la necessità di promuovere la crescita economica a livello europeo tramite un forte incremento degli investimenti, come il piano reso noto da Juncker il 25 novembre scorso sembra far trapelare. Ma in realtà i 315 mld promessi per il triennio 2015-2017 non sono altro che un altro tassello dell’”economia della promessa”. L’esborso effettivo infatti è solo di 5 mld (e ciò spiega perché la Germania non si oppone alla loro non contabilizzazione nel calcolo del rapporto deficit/Pil , vista l’esiguità della cifra) , a cui si aggiungono 16 mld, già stanziati (e quindi prelevati) dal fondo Horizon 2020, per un totale di 21 mld che dovrebbero costituite il fondo di investimento base per la Banca Europea degli Investimenti (BEI) . Se i mkt finanziari sono accondiscendenti e il clima di fiducia(quale?) invoglia gli investimenti privati, si dovrebbe creare un effetto leva pari a 15 (!!) ed ecco il risultato da prestigiatore: 21×15= 315 mld! Ancora una volta si fa escluso affidamento sulla dinamica speculativa dei mercati finanziari di “creare liquidità (privata)”.

Negli Usa, il quantitative easing è di fatto imposto dalla necessità di assecondare le convenzioni speculative che l’oligarchia finanziaria continuamente genera. Questo è il primo obiettivo. Se poi c’è anche un po’ di “trickle down” (sgocciolamento) sull’economia reale, meglio, ma non è l’aspetto importante. In tal modo si vuole ribadire che il cuore della valorizzazione sono i mercati finanziari e una “politica keynesiana” adeguata all’oggi è per forza politica di sostegno alla grande finanza. Ciò spiega il forte incremento dei titoli borsistici nel 2013, anche a rischio di scatenare una nuova bolla immobiliare soprattutto nel Sud America, in Cina, Filippine e Brics. Da qui la necessità di evitare che la bolla speculativa si gonfi troppo rapidamente e provvedere ogni tanto ad un “raffreddamento”. E’ quello che Greenspan negli anni 2000 chiamava”atterraggio sul morbido”, con i risultati che si sono visti. E’ in questo ambito che è cominciata una politica di riduzione nella creazione di moneta (il famoso tapering) e si vocifera a inizio del prossimo anno di un possibile aumento dei tassi d’interesse (anche in merito alla definizione del bilancio pubblico Usa in un contesto politico che vede l’intero congresso su posizioni repubblicana). E sappiamo che quando c’è instabilità, sono i più forti e i free-rider a comandare.

Tutto ciò avviene nel momento in cui si registra anche una crescita dell’instabilità valutaria, innescata dalla politica di svalutazione dello yen giapponese (Abenomics), seguita da forti iniezioni di liquidità, politica che ha costretto sia la Fed che la Bce ad adeguarsi, con grande gioia della speculazione finanziaria. L’esito di questa politica è stato soprattutto minare la stabilità valutaria dei paesi emergenti (dalla Turchia, India, Brasile, Argentina, ecc.) con effetti svalutativi e inflattivi e conseguente aumento dei tassi d’interesse sul debito.

E’ in questo quadro che appare interessante la decisione presa dai Brics nella riunione del 16 luglio 2014 di istituire per la prima volta un’istituzione finanziaria internazionale alternative a quelle, oramai decotte, di Bretton Woods: una sorta di Banca Internazionali degli Investimenti fuori dal controllo occidentale per finanziare infrastrutture con una dote iniziale di 100 mld di dollari. Una notizia che non ha fatto piacere ai principali quotidiani economici mainstream (che l’hanno di fatto snobbata) perché può segnare un cambio nella governance finanziaria mondiale. La governance finanziaria occidentale (unita dallo slogan: Keynes in casa, Smith al di fuori dei confini) rischia così di venire meno, dopo che è stata già persa la leadership economica.

All’interno di questo quadro, occorre poi prendere in considerazione l’aumentata instabilità geopolitica: dall’Ucraina all’indipendenza della Crimea (dove, guarda caso,passa il 70%del petrolio e del gas proveniente dal Mar Caspio – progetto Guam (Georgia, Ucraina, Azerbaigian e Moldavia) che ora dovrebbe chiamarsi Gkam, dove la U di Ucraina diventa la K di Krimea sotto diretto controllo della Russia, la grande esclusa dal Guam originale…), dall’Irak (possibile nascita di un califfato che controlla parte dei pozzi petroliferi) alla Siria, alle tensioni in Palestina.

In particolare appaiono evidenti ed emblematiche (un possibile modello?) le pressioni economiche sulla Russia di Putin di questi ultimi mesi. La decisione dell’Opec di non ridurre la produzione petrolifera anche a fronte di una diminuzione della domanda di greggio (a causa del rallentamento della domanda globale, sancito istituzionalmente anche dall’ultimo G20: + 2,1% nel 2016 rispetto al + 3,3% di oggi ) favorisce il calo dei prezzi del greggio, un calo probabilmente concordato anche alla luce della situazione geo-politica nel medio-oriente e funzionale pure alle economie del golfo. L’abbassamento del prezzo del petrolio al di sotto della soglia critica di 70$ per barile ha però impatti pesanti sull’economia russa, con perdite di quasi 100 mld $ stimati all’anno e un calo del PIl dello 0,8%, con il rischio di scatenare un nuovo vulnus di crisi. La conseguente svalutazione del rublo non favorisce però l’export bloccato dalle sanzioni europee e Usa ma piuttosto una crescente fuga di capitali verso le piazze finanziarie occidentali (e gli effetti sui tassi di interesse si sono fatti sentire, rinviando in avanti un loro possibile incremento da parte della Fed). Il dollaro si rafforza, il rublo crolla, l’economia russa rischia di andare in recessione con effetti domino su tutti i paesi BRICS. L’instabilità che si è così generata ha al momento bloccato l’ascesa delle borse, anche per consentire di capitalizzare i lauti guadagni del 2013 e presentarsi meglio attrezzati ad una nuova ondata speculativa di breve periodo.

In conclusione, a 7 anni dall’inizio della crisi, diversamente da quanto successo all’indomani della crisi della net-economy del 2000, non si è ancora materializzata, anche figuratamente, una nuova convenzione finanziaria, in grado di individuare la traiettoria futura della valorizzazione economica. La green-economy rimane al palo, i processi di gentrification e di speculazione del territorio, seppur ripresi in grande stile negli Usa (meno) in UK (di più) e nel Sud-Est asiatico (Cina e Filippine, ancora di più) non sembrano essere in grado di ridiventare forza trainante della valorizzazione finanziarie. Il recente accordo Cina-Usa sul clima potrebbe essere forse un primo passo nella direzione della convenzione verde. Ma forse è ancora più di maggior attualità lo sviluppo di una convenzione finanziaria che vede nell’attività bellica frammentata e diversificata la nuova possibile base per la ricostruzione di un nuovo odine imperiale che al momento, nel contesto post-crisi, non riesce più a darsi. Si naviga a vista!

 

Le forme della valorizzazione capitalistica, tra espropriazione del comune, composizione organica del capitale e nuove forme di sfruttamento del bios

L’evoluzione della crisi ha confermato alcune intuizioni che già avevamo avanzato negli anni precedenti, all’interno del cd. “approccio post-operaista” o “marxistaautonomo”. Le riprendiamo in modo sommario:

  1. Con la fine del paradigma fordista-taylorista, il nuovo modello di accumulazione tende sempre più basarsi su due pilastri principali: da un lato la finanziarizzazione dell’intero ciclo di valorizzazione, con l’effetto del divenire rendita del profitto e di quote crescenti dei reddito da lavoro (a prescindere dalla sua remunerazione: salariale, autonoma, di compartecipazione, gratuita, coercitiva) , dall’altro la cognitivizzazione della prestazione lavorativa a seguito della mutata governance proprietaria, meno rivolta alla proprietà privata materiale (leggi mezzi di produzione) e sempre più finalizzata al controllo dei flussi di sapere e di tecnologia di tipo immateriale, nonché alla concentrazione del controllo dei flussi finanziari in poche mani. E’ infatti da tali ambiti che si manifesta quella cooperazione sociale e relazionale e quella riproduzione sociale che sono oggi, pur in modi differenti, la più rilevante base (in termini di generazione di plusvalore) dell’accumulazione capitalistica.
  2. Se il processo di finanziarizzazione è sino all’inizio della crisi sotto il controllo delle potenze imperiali dell’Occidente e ne rappresenta la sua fonte di valorizzazione principale, il processo di cognitivizzazione e di indirizzo del paradigma tecnologico tende sempre più a divenire policentrico e non più concentrato nel Nord-Ovest del globo. Si aprono nuove direttrici tecnologiche che da Nord interessano sempre più l’Est e il Sud del mondo. Non stupisce che dal 2006 la Cina sia diventata la nazione con la più elevata quota di export in prodotti high-tech e in brevetti. Prima della crisi abbiamo quindi una governance finanziaria ancora concentrata in mondo prevalentemente anglosassone, mente la governance dei saperi e della conoscenza tende a spostarsi ad oriente e quindi anche verso il Sud del mondo (Sudamerica e Sudafrica).
  3. Le diverse configurazione economiche attuali generate dalla crisi ci dicono che anche la governance finanziaria è diventata policentrica e imperiale su scala globale. E’ in questo passaggio che si attua ciò che abbiamo definito la crisi della governance finanziaria così come la avevamo ereditata da quasi trent’anni di neoliberismo occidentale. Ed è in questo passaggio che si registra la crisi del processo di valorizzazione in Europa e nei paesi anglosassoni. E’ solo il mantenimento unilaterale del potere militare e poliziesco su scala globale che consente agli Usa e ai suoi alleati di poter ancora influenzare i conflitti in corso, ma sempre con minor efficacia e successo.
  4. All’interno di questo quadro, il processo di accumulazione/valorizzazione capitalistica varia da area a area geografica perché diverse sono le caratteristiche e le soggettività del lavoro vivo di volta in volta interessate. Una nuova divisione internazionale del lavoro si sta definendo, una divisione del lavoro che, a differenza del passato, non si basa sulla diversa specializzazione (mansione) del lavoro all’interno di uno contesto produttivo tendenzialmente omogeneo (quello manifatturiero-materiale) ma su nuovi elementi che prescindono la condizione lavorativa stessa ma hanno che fare, da un lato, con il diverso grado di accesso alla conoscenza (divisione cognitiva del lavoro), dall’altro, con la messa a valore della vita (divisione vitale del lavoro) e del territorio (gentrification e spazio virtuale: divisione spaziale del lavoro).
  5. Il processo di valorizzazione si presenta oggi assai variegato e flessibile, pur se caratterizzato da alcuni elementi comuni:
  6. l’estrazione di plus-valore avviene tramite forme di “sussunzione formale” e non solo di “sussunzione reale” (come prevalentemente era nel fordismo).
  7. siamo in presenza anche di una nuova forma di sussunzione, che possiamo definire “sussunzione vitale”, la cui intensità dipende dal grado di divisione cognitiva e divisione vitale del lavoro. Per “sussunzione vitale”, intendiamo lo sfruttamento diretto della vita messa a lavoro (che va oltre la semplice sussunzione reale, perché si modifica il rapporto “bios/macchinico”) e non solo lo sfruttamento a valle della cooperazione sociale e relazionale degli individui (sussunzione formale). Il modo con cui la vita produce valore assume infatti diverse forme a seconda delle soggettività e dei contesti socio-produttivi e relazionali.

L’intensità dello sfruttamento nel bio-capitalismo cognitivo relazionale e finanziarizzato risulta di gran lunga superiore a quella presente nel capitalismo fordista, ma assume modalità e combinazioni diverse tra i tre tipi di sussunzione testé menzionati (“reale”, “formale” “vitale”). In altre parole, siamo di fronte alla compresenza di “espropriazione” (“dispossession”) e “sfruttamento” (“exploitation”).

L’accumulazione per “espropriazione” può essere letta in due diversi modi, alla Derrida o alla Harvey. Nel primo caso il fenomeno si riferisce essenzialmente ai processi di privatizzazione di beni pubblici e beni comuni (ad esempio, l’acqua), nel secondo caso si riferisce al saccheggio che i paesi occidentali compiono nei confronti di altri paesi, ricchi di materie prime o nuovi ambiti di realizzazione, come strumento di ridistribuzione del surplus produttivo che non riesce a essere realizzato dai paesi più ricchi, oggi in crisi. La crisi valutaria internazionale può essere anche analizzata alla luce di questi processi. In entrambi i casi, si tratta di forme di accumulazione originaria e quindi di sussunzione formale.

La differenziazioni di forme diverse di sussunzione evidenzia che la composizione organica del capitale non solo deve essere ridefinita in presenza di prestazioni lavorative n cui prevale l’antropogenizzazione del macchinico (vedi lavoro digitale, ad esempio) ma diventa a sua volta varia, a seconda del tipo di accumulazione prevalente in un dato contesto geo-economico. Non solo il lavoro si flessibilizza, ma anche il capitale. E’ questo il principale lascito della crisi attuale ed è anche questo il nodo teorico da sciogliere.

La crisi rende il capitale eterogeneo ma anche le modalità di estrinsecazione del comune (la sua composizione viva, si potrebbe dire) sono anch’esse eterogenee.

E’ comunque possibile cercare di individuare una mappa della valorizzazione del capitale, a seconda del peso di alcune tipologie di lavoro, sulla base del contenuto di cognitività/apprendimento, relazionalità e cura della prestazione lavorativa.

Ad esempio, il lavoro digitale può essere soggetto sia a forme di sfruttamento “classiche”, riconducibili a processi di sussunzione reale del lavoro al capitale, che a forme di “spossessamento” (per usare un termine caro a David Harvey: “accumulation by dispossession”), caratterizzate dalla cattura a valle dell’attività lavorativa autonoma della cooperazione sociale e quindi più riducibili a processi di sussunzione formale.

In effetti, come numerose ricerche evidenziano, il lavoro digitale finalizzato a produzioni tendenzialmente immateriali (che comunque possono essere parti di una filiera anche materiale) è caratterizzato dalla simbiosi di processi di apprendimento e di rete, che acquistano “valore” (in senso capitalistico) solo nel momento stesso che si socializzano. Apprendimento e relazione sono i fattori costituenti della prestazione lavorativa, veri e propri fattori produttivi che si muovono sul crinale che vede da un lato il manifestarsi di un processo di autonomia e di autovalorizzazione, dall’altro l’acuirsi di processi di controllo, governance (più indiretta che indiretta) e eterodirezone. Da questo punto di vista, il lavoro digitale è espressione del comune (commonwealth), che è già di per se stesso valore d’uso potenziale ma non per questo è immediatamente valore d’uso effettivo. Laddove ciò si verifica, siamo allora in presenza di processi di autovalorizzazione – come in alcuni casi nel lavoro artistico o nel lavoro affettivo o nel lavoro simbolico quando viene svolto per la propria realizzazione (e qui è corretto riferirsi al work) – e la traduzione in valore di scambio, se avviene, si attua principalmente tramite processi di espropriazione del comune socializzato.

Ma contemporaneamente, proprio per l’intensità d’uso delle nuove tecnologie linguistico-comunicative, il lavoro digitale testimonia anche l’esistenza di immediata valorizzazione capitalistica nel momento in cui si svolge e non esclusivamente ex-post, a valle. Siamo, cioè, in co-presenza di processi di sussunzione reale e formale, la cui linearità spesso si traduce in non-linearità e interdipendenza dinamica. Per questo si può parlare, sinteticamente di processi di sussunzione vitale del lavoro digitale al capitale, intesa non semplicemente come somma, a seconda delle modalità e della tempistica, di sussunzione reale e formale, ma come fattore di cumulabilità, in cui non solo l’uno si fa in due, ma l’uno più uno fa più di due.

Diverso contesto è quello che caratterizza il lavoro di cura e di riproduzione sociale, dove il processo di estrazione/espropriazione (tramite salarizzazione) si verifica più ex post che nel momento della prestazione e lo stesso si può dire per il lavori artistico.

Ma spesso e volentieri le filiere di produzione anche su scala internazionale sono costituite da una multiformità dei processi di sussunzione.

Su questi temi si dovrà cominciare a interrogarsi. Anche perché se è vero che oggi la valorizzazione capitalistica si fonda su più paradigmi di accumulazione che rimandano a diverse modalità di sussunzione e a composizioni organiche del capitale non più definibili in modo omogeneo, ciò implica che siamo in presenza di composizioni tecniche del lavoro altrettanto differenti, ancora oggi da indagare con più precisione. E qui che interviene il tema delle soggettività multiple che regolano più sul un piano micro che macro il piano della contrattazione individuale.

*Intervento al convegno: “La crisi messa a valore: i luoghi, i soggetti e la riconfigurazione globale del lavoro, del potere e delle lotte”, Milano, 29-30 novembre 2014
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