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Qualche considerazione critica sull'enciclica francescana

Sebastiano Isaia

Papa2«Ciao vecchio Marx, è arrivato Francesco»: così titolava l’altro ieri l’articolo di fondo del Garantista; ovviamente il «vecchio Marx» non ha nulla a che fare, nemmeno in forma mediata, né con il giornale diretto da Piero Sansonetti, né col Papa né con i papisti di “sinistra”. Come si evince con solare chiarezza anche dai passi che seguono: «Oggi abbiamo scelto per aprire il giornale un titolo un po’ giocoso: “Ciao Marx, è arrivato Francesco”. Che però non è solo giocoso. Vogliamo dire questo: oggi il papa assume su di sé, sulla chiesa cattolica, sul mondo cattolico, il compito di dare guerra all’ingiustizia sociale, ai danni culturali e di coscienza provocati dal mercato inteso non come strumento dell’economia – da limitare, da governare attraverso la democrazia e la politica – ma come sistema di pensiero, anzi di pensiero unico, e come insieme di valori» (P. Sansonetti). Già concepire il mercato, nella sua connotazione “positiva”, «come strumento dell’economia» (capitalistica!), e non come espressione e sostanza di rapporti sociali di dominio e di sfruttamento, significa affermare quella concezione feticistica e apologetica del Capitalismo contro cui Marx non smise mai di polemizzare e ironizzare. Il fatto che si continui a tirare inopinatamente la barba del comunista di Treviri per coinvolgerlo nel salvataggio del Capitalismo dalle sue stesse contraddizioni, secondo la moda progressista di questi tempi, la dice lunga sulla cultura politica di ex, neo e post “comunisti”. Piuttosto, questi signori dovrebbero chiamare in causa il filosofo della miseria, quel «signor Proudhon» che «è dalla testa ai piedi filosofo ed economista della piccola borghesia» (Marx).

Il pensiero politico-sociale che informa l’ultima Enciclica papale (una «prolungata riflessione, gioiosa e drammatica insieme», intorno ai problemi posti dalla crisi ecologica e umana dei nostri tempi) non supera il livello medio del pensiero progressista dei nostri malandati giorni. Di qui, l’entusiasmo francescano dei papisti sinistrorsi – un esempio a caso: i “comunisti” del Manifesto: «Que­sta enci­clica rap­pre­senta un salto di qua­lità nella rifles­sione sull’ambiente».

Anche la delusione dei destrorsi appare scontata («La destra americana», scriveva l’atro ieri Matteo Matzuzzi sul Foglio, «da tempo è nella sua maggioranza schierata contro l’idea stessa che il Pontefice possa scrivere di ecologia»), ma almeno da quella parte si è ancora in grado di cogliere qualche contraddizione e qualche eccesso di banalità nel discorso benecomunista del Santissimo Padre. D’altra parte, il benecomunismo, di matrice laica o religiosa, molte volte fa rima con luogocomunismo. Di certo ha pure pesato sul giudizio fortemente negativo della “destra liberista” la consulenza che Leonardo Boff, massimo esponente della Teologia della Liberazione, ha fornito a Francesco proprio in vista della stesura della Sacra Lettera Ecologista. Sempre Matzuzzi informa che «Il senatore James Inhofe, presidente della commissione Ambiente del Senato, ha fatto sapere di non concordare “con la filosofia del Papa sul riscaldamento globale”, aggiungendo che l’enciclica “sarà usata dagli allarmisti per mettere in atto politiche che causeranno l’aumento delle tasse e colpiranno più duramente i poveri”». Da “destra” e da “sinistra” non si fa che pensare al benessere dei poveri: non è commovente tutto ciò?

Ambientalismo di vecchio (vedi Club di Roma) e di nuovo conio (vedi Al Gore ma anche Naomi Klein), egualitarismo (a quanto pare Piketty fa ancora “tendenza”), luogocomunismo male argomentato intorno al demoniaco dominio della finanza sulla cosiddetta economia reale (Ora et labora!), feticismo tecnocratico («L’umanità è entrata in una nuova era in cui la potenza della tecnologia ci pone di fronte ad un bivio»), benecomunismo a gogò («Il clima è un bene comune, di tutti e per tutti»: Amen!), ottimismo della ragione teologicamente orientata («La speranza ci invita a riconoscere che c’è sempre una via di uscita, che possiamo sempre cambiare rotta, che possiamo sempre fare qualcosa per risolvere i problemi») e molto altro ancora.

Tra le poche cose interessanti che ho trovato nella Lettera Enciclica Sulla cura della casa comune segnalo la critica francescana a un certo approccio malthusiano con i problemi posti dall’inquinamento e dalla povertà estrema, approccio che secondo il Papa fiancheggia la «cultura dello scarto» (vedi alle voci: aborto e anticoncezionali):   «Invece di risolvere i problemi dei poveri e pensare a un mondo diverso, alcuni si limitano a proporre una riduzione della natalità. Non mancano pressioni internazionali sui Paesi in via di sviluppo che condizionano gli aiuti economici a determinate politiche di “salute riproduttiva”. Però, se è vero che l’ineguale distribuzione della popolazione e delle risorse disponibili crea ostacoli allo sviluppo e ad un uso sostenibile dell’ambiente, va riconosciuto che la crescita demografica è pienamente compatibile con uno sviluppo integrale e solidale». In effetti i problemi afferenti alla sostenibilità ambientale, alla fame, alle malattie e a quant’altro affligge ancora vaste aree del pianeta non sono generati tanto dall’ineguale distribuzione della popolazione ma 1) dall’’ineguale sviluppo capitalistico (leggi anche, sul piano del processo storico-sociale, colonialismo/imperialismo) e 2) dall’esistenza stessa del Capitalismo sulla Terra. «La terra dei poveri del Sud è ricca e poco inquinata, ma l’accesso alla proprietà dei beni e delle risorse per soddisfare le proprie necessità vitali è loro vietato da un sistema di rapporti commerciali e di proprietà strutturalmente perverso». Mi permetto una brevissima aggiunta: «perverso», ossia contrario a un assetto umano della nostra vita, è il dominio capitalistico tout court che oggi sussume sotto le sue bronzee leggi l’intero pianeta, i «poveri del Sud» come i – supposti – ricchi del Nord.

Anche sulla scottante questione degli organismi geneticamente modificati Papa Francesco si smarca da un certo ideologismo manicheo NO-OGM che non ha alcun fondamento storico, scientifico ed economico, e che sbandierando il «principio di precauzione» finisce per sostenere acriticamente gli interessi di alcune multinazionali considerate “buone” contro quelli, altrettanto legittimi (ossia capitalistici), delle multinazionali giudicate “cattive” sulla scorta di parametri scientifici, economici ed etici che a un esame appena appena critico (o semplicemente informato) si rivelano essere  delle balle speculative che hanno molto a che fare con il pensiero magico. Scrive ad esempio Alice Pace: Su temi scivolosi come questo, dove ci sono mille forze e interessi in gioco, è facile che chi si scaglia senza se e senza ma contro il consumo di olio di palma sostenga che chi non lo fa sia asservito alle multinazionali che lo producono o che commercializzano i prodotti che lo contengono. Senza forse rendersi conto che il boicottaggio in toto di questo prodotto è al tempo stesso un asservirsi alle multinazionali degli oli concorrenti, come quello di soia e di colza, con le quali è in atto da anni una vera e propria guerra per il mercato. Insomma, paradossalmente coloro i quali si fanno paladini della lotta contro le multinazionali, se ne fanno a loro volta promotori» (www.wired.it). Le vie che menano all’inferno…

A pagina 103 dell’Enciclica si può leggere: «È difficile emettere un giudizio generale sullo sviluppo di organismi geneticamente modificati (OGM), vegetali o animali, per fini medici o in agricoltura, dal momento che possono essere molto diversi tra loro e richiedere distinte considerazioni. D’altra parte, i rischi non vanno sempre attribuiti alla tecnica stessa, ma alla sua inadeguata o eccessiva applicazione. In realtà, le mutazioni genetiche sono state e sono prodotte molte volte dalla natura stessa. Nemmeno quelle provocate dall’essere umano sono un fenomeno moderno. La domesticazione di animali, l’incrocio di specie e altre pratiche antiche e universalmente accettate possono rientrare in queste considerazioni. È opportuno ricordare che l’inizio degli sviluppi scientifici sui cereali transgenici è stato l’osservazione di batteri che naturalmente e spontaneamente producevano una modifica nel genoma di un vegetale».  Questo approccio “pragmatico” può anche soddisfare il “lato liberale” di Giovanni Sartori, tanto per citare un noto scienziato sociale, ma non può certo sorridere al suo “lato malthusiano”. Sartori è da tempo in polemica con i Sacri Palazzi Vaticani, accusati di voler ostacolare con ogni mezzo una razionale politica demografica. La catastrofe sociale ed ecologica è imminente; il Pianeta morirà di fame, di sete e di caldo: «Che fare? Io dico che la crescita demografica va fermata ad ogni costo. Ma nessuno osa dirlo; l’argomento è proibito. Tutti o quasi tutti invocano la tecnologia e le sue scoperte. Ma non c’è tecnologia che basti e che ci salvi con dieci miliardi di viventi» (Corriere della Sera, 15 Agosto 2011). E il poverino ha pure ragione: di sicuro la tecnologia non ci salverà! In ogni caso, «Secondo la Fao nel mondo si produce cibo per 12 miliardi di persone. La popolazione del pianeta è di 7 miliardi di individui e 842 milioni soffrono la fame» (S. Sileoni, Istituto Bruno Leoni, 19 giugno 2015). La progressione geometrica malthusiana fa acqua da tutte le parti, oggi più che al tempo in cui il noto ubriacone tedesco ne metteva in ridicolo, penetrandolo criticamente, il reazionario fondamento concettuale.

Come fa notare Francesco Ramella sulla questione dell’inquinamento e del surriscaldamento «negli ultimi quarant`anni si è assistito a una radicale evoluzione di tale quadro: se nel 1971 le tre aree più ricche del Pianeta – America del Nord, Europa occidentale e Giappone – emettevano circa il 60% della anidride carbonica, negli anni seguenti si è registrata una progressiva riduzione della loro quota che nel 2011 si è attestata a meno di un terzo del totale. Pressoché l`intero aumento delle emissioni, che ha conosciuto un`accelerazione negli ultimi due decenni, è quindi da ricondursi allo sviluppo dei Paesi che partivano da livelli di reddito molto bassi, sviluppo che ha determinato, secondo i dati forniti dalla Banca Mondiale, una riduzione della popolazione mondiale che vive in condizioni di povertà assoluta dal 52% del 1980 al 21% del 2010. […] Negli Stati Uniti – e in molti Paesi ad alto reddito – la qualità dell`aria è radicalmente migliorata negli ultimi cinquanta anni. Oltreoceano, pur in presenza di un aumento della popolazione pari a 80 milioni di persone, la quantità di acqua consumata è diminuita rispetto al 1970, dal 1990 si è ridotto il consumo di plastica e quello di carta; il consumo pro-capite di petrolio è oggi inferiore del 25% rispetto al 1980. I problemi ambientali più gravi sono oggi correlati alla povertà, non alla ricchezza» (Il Fatto Quotidiano, 19 giugno 2015). Questo per dire della complessità del problema, che certamente non sfugge al Papa (magari ai papisti sì): «In attesa di un ampio sviluppo delle energie rinnovabili, che dovrebbe già essere cominciato, è legittimo optare per il male minore o ricorrere a soluzioni transitorie» (p. 128). Anche la Cina, che sta attraversando una drammatica crisi ecologica in diverse aree del Paese (basti pensare ai famigerati villaggi del cancro), sta cercando di correre ai ripari, ma non è facile promuovere in quella che rimane la più grande fabbrica capitalistica del mondo rivoluzioni tecnologiche e scientifiche in vista di macchine a risparmio energetico e a limitate emissioni inquinanti e un nuovo modello di sviluppo centrato sulla produzione di merci ad alto valore aggiunto e a – relativamente – basso impatto ambientale. Per innalzare quella che Marx chiamava la «composizione tecnica del capitale» ci vuole tempo, e soprattutto sono necessari molti investimenti. Insomma, nel “bene” come nel “male” è tutta una questione di sviluppo capitalistico, e di certo la «conversione ecologica» sostenuta anche da Bergoglio non sarà un pranzo di gala.

«Nel frattempo», incalza Francesco, «i poteri economici continuano a giustificare l’attuale sistema mondiale, in cui prevalgono una speculazione e una ricerca della rendita finanziaria che tendono ad ignorare ogni contesto e gli effetti sulla dignità umana e sull’ambiente. Questo comportamento evasivo ci serve per mantenere i nostri stili di vita, di produzione e di consumo. […] È quello che succede, per fare solo un semplice esempio, con il crescente aumento dell’uso e dell’intensità dei condizionatori d’aria: i mercati, cercando un profitto immediato, stimolano ancora di più la domanda. Se qualcuno osservasse dall’esterno la società planetaria, si stupirebbe di fronte a un simile comportamento che a volte sembra suicida» (p. 44). Senza entrare nel merito dei criticati «stili di vita, di produzione e di consumo», a me viene in testa una domanda abbastanza retorica: ma la benemerita «economia reale» non ha forse tutto l’interesse a sostenere e ad espandere quei vituperati stili di vita? I «mercati» cercano un «profitto immediato»? Che scandalo! Come si permettono i signori capitalisti a cercare il «profitto immediato»? Roba dell’altro mondo! O di questo (capitalistico) mondo? Se qualcuno osservasse dall’esterno la società planetaria dopo aver letto (e possibilmente compreso) Il Capitale di Marx si farebbe delle crasse risate su certe illusioni papiste e progressiste (due termini che oggi si equivalgono, a quanto pare) circa la possibilità di un Capitalismo “dal volto umano”.

La «cultura dello scarto» lamentata dal Papa è radicata in una prassi sociale orientata in modo sempre più stringente dalle esigenze economiche, ed è per questo che parlare di fratellanza umana («Gesù ci ha ricordato che abbiamo Dio come nostro Padre comune e che questo ci rende fratelli») senza mettere radicalmente in questione il fondamento classista dei fenomeni sociali che offendono e indignano la coscienza dell’opinione pubblica più “umanamente sensibile” e “culturalmente avvertita” (vedi, ad esempio, la cinica “questione immigrati”), significa di fatto alimentare la coazione a ripetere del Male – per civettare indegnamente anch’io con la teologia. Ma significa anche, su un terreno politico più contingente, lasciare che populisti e demagoghi d’ogni genere trovino abbondante materia prima nel disagio sociale degli strati più poveri della popolazione, notoriamente più esposti alle contraddizioni sociali. Io ho in testa un altro genere di fratellanza possibile (cioè da costruire partendo da zero!) a rapporti sociali invariati, ma non è il caso di parlarne adesso.

Checché ne dica l’entusiasta Raniero La Valle, il denaro di Francesco ha molto a che fare con il pensiero del «socialismo reazionario» à la Proudhon (quello che voleva la merce ma non, appunto, il denaro, il capitale ma non i capitalisti, il capitale ma non la finanza, il lavoro salariato ma non lo sfruttamento dei lavoratori, il “lato buono” del Capitalismo ma non il suo “lato cattivo”), e nulla a che vedere con «il capitale» di Marx, il cui concetto rimanda direttamente a un rapporto sociale di dominio e di sfruttamento che non permette di seguire terze o quarte vie alternative a quelle della conservazione (comunque declinata: “da destra” o “da sinistra”, dal campo liberista o da quello statalista, dai liberisti-selvaggi o dai benecomunisti) e della rivoluzione sociale: la sola «conversione umana», questa, che personalmente riesco a concepire. Ma le mie capacità, com’è noto a chi mi conosce bene, sono limitate, e di questo l’umanità dovrà pur tener conto. Per fortuna essa può contare sulla via luminosa indicata da Francesco, il Papa dei poveri. «Con que­sta enci­clica», continua infatti La Valle, «il gioco di far finta di non capire non sarà più possibile. Biso­gnerà stare o dalla parte di Fran­ce­sco o con­tro di lui, per­ché non sta facendo una pre­dica, sta chie­dendo una scelta. […] Papa Fran­ce­sco abbrac­cia vera­mente tutti (come ne sono figura essenzia­lis­sima per il cri­stiano le brac­cia di Cri­sto aperte sulla croce) e si pone non come capo di una Chiesa, e nem­meno come profeta dei cre­denti, ma come padre della intera uma­nità. Per­ché il mes­sag­gio è il seguente: non que­sta o quella Potenza o Isti­tu­zione, non que­sto o quello Stato, non quel par­tito o movimento, ma solo l’unità umana, solo la intera fami­glia umana giuridicamente costituita e agente come sog­getto poli­tico può pren­dere in mano la terra e assicurarne la vita per l’attuale e le pros­sime generazioni». Qui un bell’Amen! ci sta davvero bene.

Dal (cosiddetto) anticapitalismo radicale al papismo più rognoso: ovviamente chi conosce certi “comunisti” non può stupirsi di nulla. D’altra parte i sinistri, soprattutto quelli di casa nostra, non possono vivere senza il Che Guevara (o, per quelli più acculturati, il “pensatore critico”) di turno, e quindi non sarò certo io a «strappare dalla catena i fiori immaginari», ottenendo con ciò il solo risultato che il compagno «porti la catena spoglia e sconfortante». Non ho mai avuto un atteggiamento illuminista/ateista con le illusioni dell’umanità sofferente. Ma come si fa a gettare «la catena» e a «cogliere i fiori vivi»? Ne riparliamo un’altra volta, magari commentando una nuova epocale Enciclica francescana.

Ecco un passo dell’Enciclica assai proudhoniano, che certamente è destinato a mandare in visibilio uomini di buona volontà come Piketty e Varoufakis: «Il salvataggio ad ogni costo delle banche, facendo pagare il prezzo alla popolazione, senza la ferma decisione di rivedere e riformare l’intero sistema, riafferma un dominio assoluto della finanza che non ha futuro e che potrà solo generare nuove crisi dopo una lunga, costosa e apparente cura» (p. 144). Nel Capitalismo in generale e nel Capitalismo giunto nella sua «fase imperialistica» in particolare lo Stato cerca di salvare «ad ogni costo» le banche «facendo pagare il prezzo alla popolazione»: che brutta cosa! La storia del Capitalismo è la storia del piagnisteo piccolo-borghese intorno ai “lati cattivi” del sistema, il quale secondo gli uomini di buona volontà intenti a versare lacrime benecomuniste non andrebbe spazzato via una volta per sempre così da permettere l’apparizione sulla Terra di una umanità degna dell’alto concetto elaborato dai migliori umanisti d’ogni tempo – compresi non pochi profeti biblici –, ma “semplicemente” rivisto e riformato. Gran bella Chimera, non c’è che dire! Mi tengo allora la mia Utopia, tanto più che non mi va di venir rubricato fra gli uomini di buona volontà.

Nella Laudato si’ di teologicamente significativo c’è forse il tentativo francescano di rispondere ad una vecchia accusa «lanciata contro il pensiero ebraico-cristiano: è stato detto che, a partire dal racconto della Genesi che invita a soggiogare la terra, verrebbe favorito lo sfruttamento selvaggio della natura presentando un’immagine dell’essere umano come dominatore e distruttore. Questa non è una corretta interpretazione della Bibbia come la intende la Chiesa. Anche se è vero che qualche volta i cristiani hanno interpretato le Scritture in modo non corretto, oggi dobbiamo rifiutare con forza che dal fatto di essere creati a immagine di Dio e dal mandato di soggiogare la terra si possa dedurre un dominio assoluto sulle altre creature. È importante leggere i testi biblici nel loro contesto, con una giusta ermeneutica, e ricordare che essi ci invitano a “coltivare e custodire” il giardino del mondo. […] La Bibbia non dà adito ad un antropocentrismo dispotico che non si interessi delle altre creature» (pp. 53-54). Naturalmente sulla scorta della Bibbia, come di ogni altro Testo Sacro, è possibile fare qualsivoglia deduzione concettuale e dimostrare una cosa e il suo esatto opposto. E difatti Francesco non dimentica di precisare che «È importante leggere i testi biblici nel loro contesto, con una giusta ermeneutica. […] Inoltre la Chiesa Cattolica è aperta al dialogo con il pensiero filosofico, e ciò le permette di produrre varie sintesi tra fede e ragione» (p. 50). Qui si può forse apprezzare il lascito teologico di Benedetto XVI, il cui tentativo di assorbire il pensiero scientifico occidentale nel seno della concezione ebraico-cristiana del mondo si coglie molto bene nella famosa – e per molti famigerata – Lezione Magistrale tenuta da Ratzinger all’Università di Ratisbona il 12 settembre 2006.

D’altra parte il moderno pensiero ecologicamente corretto più che con la biblica Genesi ama prendersela con Cartesio e con Galilei, accusati di aver fondato quella concezione antropocentrica e meccanicistica del mondo che sarebbe la vera responsabile delle magagne che oggi squassano il nostro bel pianeta. Secondo Paolo Scroccaro, dell’Associazione Eco-filosofica, «Se la scienza moderna avesse seguito Leonardo, invece di seguire Galilei e Cartesio, molto probabilmente anche la direzione della civiltà sarebbe stata molto diversa» (cit. tratta da Decrescita, autori vari, Sismondi ed., 2009).  Ideologia alla stato puro, avrebbe detto Marx. Invece Fritjof Capra, teorico della cosiddetta «ecologia profonda», la pensa esattamente come l’eco-filosofo italiano: «Ritengo ragionevole pensare che la scienza occidentale si sarebbe sviluppata in modo diverso se i famosi Quaderni di Leonardo (che sono rimasti nascosti per oltre due secoli dopo la sua morte nel 1519) fossero stati studiati dai suoi contemporanei» (ibidem). Vedete quanto la storia del mondo dipende dal caso? Altro che «determinismo economico»! E allora, via Cartesio e Galilei e largo a Leonardo: ecco compiuta la «rivoluzione culturale» che (forse) ci salverà dall’autodistruzione.

Ma ha poi un fondamento storico e filosofico contrapporre Leonardo a Cartesio e a Galilei? Naturalmente no. Non vi fidate del mio giudizio? Allora leggete uno che in fatto di storia del pensiero scientifico la sapeva assai più lunga del sottoscritto: «Porre l’inizio della meccanica al tempo di Galilei e di Descartes significa non prendere in considerazione almeno 50 anni di ricerca scientifica […] È certo che Leonardo nelle sue ricerche ha impiegato metodi quantitativi esatti e che ha sottolineato la generale applicabilità della matematica. [… ] Egli pose i principi di una compiuta immagine meccanicistica del mondo» (H. Grossmann, Le basi sociali della filosofia meccanicistica e la manifattura,1935). Insomma, checché ne dicano i filosofi dell’ecologia profonda, alla ricerca di capri espiatori filosofici in grado di salvare (non lo sanno, ma lo fanno!) la capra dei rapporti sociali capitalistici e i cavoli del rispetto ambientale, Leonardo si colloca al centro della genesi del pensiero scientifico moderno, prodotto e – al contempo – fattore della genesi (con la g piccola!) del moderno Capitalismo (con la c grande!). Mi scuso per la digressione “storico-filosofica” e mi avvio rapidamente alla conclusione.

«C’è uno scontro di civiltà tra cristiani e barbari», proclama il neo-crociato Sansonetti: «La civiltà della quale il papa è testimone e rappresentante non è la stessa di Grillo, di Salvini, di Bush, dei leader ungheresi. C’è una distanza abissale tra questi due modi di pensare e di vivere. C’è uno scontro di civiltà difficilmente ricomponibile. O vince il papa o vincono i reazionari. E così mi succede di sentire un sentimento che non credevo mai di poter provare. La simpatia per l’esercito del papa. E mi viene da dire una frase impronunciabile: c’è uno scontro di civiltà tra cristiani e barbari. E io sto con i cristiani…». Su questo non avevo dubbi, conoscendo l’origine “comunista” del simpatico giornalista, una volta militante di quel PCI pieno di “cattocomunisti” e di teorici del “compromesso storico” con le «forze progressiste e democratiche» del cattolicesimo italiano. Dall’antifascismo militante allo scontro di civiltà: se non è zuppa, è pan bagnato.

Alla devastante avanzata del «paradigma tecnocratico» non si possono opporre, secondo Francesco, «una serie di risposte urgenti e parziali»: «Diversamente, anche le migliori iniziative ecologiste possono finire rinchiuse nella stessa logica globalizzata. Cercare solamente un rimedio tecnico per ogni problema ambientale che si presenta, significa isolare cose che nella realtà sono connesse, e nascondere i veri e più profondi problemi del sistema mondiale. È possibile, tuttavia, allargare nuovamente lo sguardo, e la libertà umana è capace di limitare la tecnica, di orientarla, e di metterla al servizio di un altro tipo di progresso, più sano, più umano, più sociale e più integrale» (p. 88). È «l’ecologia integrale, che comprenda chiaramente le dimensioni umane e sociali» (p. 107), che sta al centro dell’Enciclica del Papa. Non è possibile salvare la natura dallo sfruttamento sempre più intensivo da parte del Capitale (di cui il denaro è solo una necessaria quanto fondamentale «forma fenomenica») senza mettere l’uomo al riparo dai vigenti rapporti sociali di dominio e di sfruttamento. Più che ecologica, o astrattamente antropologica, la conversione invocata da Francesco dovrebbe essere umana, ma nell’accezione più radicale (sociale) del concetto. Si tratta, per dirla in breve, di organizzare umanamente il mondo, affinché l’uomo, «che non è ancora un essere umano» (Marx), possa agire e riconoscersi come uomo: è la “mia” rivoluzione integrale, che ovviamente non contrappongo al Santissimo Padre, ma alla disumana vigenza del Dominio – ho scritto Dominio, Franciscus, non Demonio!

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