Print
Hits: 2194
Print Friendly, PDF & Email
alfabeta

Nel tempo della minorità

Lelio Demichelis

WebMobile2La vittoria dei no al referendum in Grecia aveva dimostrato che l’uomo in rivolta di Camus esiste, che se vuole è capace di dire no e anche di dire sì. L’uomo in rivolta greco ha detto sì all’europeismo dicendo no a questa Europa dell’austerità, della colpa, dell’egoismo, dei mercati, della cancellazione scientifica dei diritti sociali, dimostrando che un agire politico è ancora possibile. Fine della rassegnazione? No, sappiamo com’è andata a finire, la rassegnazione è stata imposta a forza alla Grecia, ma quel no che era un sì rimarrà comunque nella storia. Anche se si conferma, senza se e senza ma come il capitalismo sia strutturalmente conflittuale con la democrazia.

Di più: sono morte le ideologie del Novecento, ma anche le utopie e persino le idee; la lotta di classe l’hanno vinta i ricchi e si è azzerata ogni capacità (specie a sinistra) di innovazione politica, mentre si è dominati dall’imperativo dell’innovazione tecnologica – e l’unica immaginazione al potere è oggi quella di dover diventare uomini economici la cui vocazione (beruf) deve essere quella di adattarsi al mercato e di connettersi in rete, mentre «la flessibilità deve entrare nel Dna delle persone» (Mario Draghi). Condizione esistenziale tristissima e devastante per società e democrazia.

Qui parliamo allora di tre libri, diversi ma tutti importanti per comprendere la nostra condizione (dis)umana nell’epoca del capitalismo tecnologico globalizzato. Pubblicati da Laterza nella nuova e benvenuta collana «Solaris».

Con Stato di minorità di Daniele Giglioli, ritorniamo a Kant. Per il quale la minorità era l’incapacità degli uomini di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro: una condizione che è imputabile solo a se stessi se dipende non da un difetto di intelligenza ma dalla pigrizia o dalla viltà. Purtroppo – ammetteva Kant – è così comodo essere minorenni e avere qualcuno che pensa e decide per noi: un libro, un direttore spirituale, un medico, purché io sia in grado di pagare non ho bisogno di pensare. Mai Kant avrebbe però immaginato che la minorità potesse discendere oggi dalle tecnocrazie, dai social network e dal mercato (dove appunto, basta pagare). Di più: dire che i mercati procedono in automatico (ancora Draghi) è la sublimazione del non dover pensare più, perché tutto si è fatto auto-poietico e auto-referenziale.

Giglioli ci porta a ragionare (Kant: sapere aude!) sul perché oggi l’agire politico sia percepito «come qualcosa di impossibile, non perché proibito ma perché ineffettuale, senza esito, svuotato di ogni concretezza». Obiettivo di Giglioli è l’elaborazione di un lutto. Ricordandoci che «compito della critica non è solo dire la verità, ma contribuire a trasformarla». Ovvero, ci chiama all’impegno per il cambiamento, per uscire dal nostro ennesimo stato di minorità. Nell’idea di cittadinanza, infatti, oggi «si è aperto un vuoto»; mentre – come ricordava Hannah Arendt, citata da Giglioli – l’umano è davvero tale solo se ha la possibilità di agire politicamente tra altri esseri umani, altrimenti si diventa meno umani e la vita è solo metabolismo, una mera condizione animale – e oggi (aggiungiamo) economica, ciascuno dovendo attivare in sé gli spiriti animali del capitalismo.

«L’assunto di questo saggio è mostrare ciò che accade quando l’azione è inibita. Che lo sia qui e ora è evidente. Che sia perfino un bene è un’opinione che circola. Qui si enfatizzerà il negativo del fenomeno». E Giglioli lo fa usando magistralmente il Saggio sulla lucidità di José Saramago, favola amara sul potere dove governo e popolazione «restano chiusi nella loro impotenza speculare» e dove un esercizio di libertà, come ritirare la delega al governo votando scheda bianca, finisce male. Saramago descrive come nasce questa impotenza attraverso i dispositivi che la producono. Un concetto foucaultiano – il dispositivo – poi ripreso da Deleuze e da Agamben (e, riassume Giglioli, il dispositivo dice: «ecco il posto dove devi stare e non muoverti di lì»).

E dunque: il dispositivo del terrorismo (il terrorismo è «un delirio di onnipotenza cui sottende una condizione di impotenza radicale»); il dispositivo del trauma («C’è trauma dove non è possibile l’azione; il trauma è una condizione di minorità. E quando una società ha paura del conflitto ha paura di se stessa»); il dispositivo vittimario, «la principale fonte di riconoscimento nelle società odierne» («e chi non si istituisce a soggetto finisce prima o poi per essere una vittima», ma vi è anche «la tentazione di passare per vittima onde avere ragione»); quello della miseria simbolica («la perdita di partecipazione alla produzione di simboli»); e il dispositivo dello stato d’eccezione (dove «l’economia ha preso il posto del sovrano; e se di solito non decreta lo stato d’eccezione è perché lo incarna già»).

Certo, molti errori sono stati commessi, riconosce Giglioli citando una poesia di Brecht. Ma ammettere gli errori è già un recupero di capacità di agire, di agency. Evitando così che l’unico agire ammissibile sia quello di coloro «che impiegano buona parte della loro agency a far sì che altri non possano». Dunque, serve tornare a pensare l’azione sotto la specie della nascita, intesa come distacco, separazione, nuovo inizio. Nuova politica.

Secondo saggio. I destini generali di Guido Mazzoni rovescia la lettura di Giglioli, proponendo una malinconica presa d’atto dell’impossibilità di agire: «Non ho nulla di politico o di reale da opporre a tutto questo. Ho solo una forma di disagio». Troppo poco. Il saggio contiene però e comunque un aggiornamento utilissimo di quella mutazione antropologica che Pasolini aveva analizzato da par suo tra il 1973 e il ’74. Mazzoni dichiara però subito l’inefficacia, oggi, delle categorie con le quali si cercava di interpretare, ieri, la realtà perché «chi è stato lettore di Marx, di Adorno, di Benjamin, di Bloch o di Fortini sente che i concetti con cui ha provato a capire la realtà, oggi non lo aiutano più» – e qui dichiariamo subito il nostro totale disaccordo, Marx, Adorno e Benjamin (e magari anche Marcuse e Fromm) sono ancora imprescindibili.

Vero è invece che «negli ultimi cinquant’anni la vita psichica delle masse occidentali ha subito una metamorfosi senza precedenti», legata allo sviluppo ulteriore del capitalismo come forma oggi globale (ma lo era anche ai tempi di Marx e di Engels) di organizzazione della vita psichica prima che economica delle persone, perché il capitalismo «è personale, sovrapersonale e intrapersonale» (e Mazzoni rilegge il discorso del capitalista di Lacan). L’American way of life è oggi diventata Western way of life, una struttura psichica compatta e unitaria e globale al di là delle sue apparenti differenze. Dove i legami si sciolgono. Dove evapora il padre. Dove si spezza e si frammenta il tempo o scompare nella rete, depotenziando il passato e il futuro. Dove i legami etico-politici si sciolgono e i soggetti collettivi si segmentano. Per un processo di individualizzazione che produce quell’etica (Mazzoni) del «non me ne frega un cazzo, che è il compimento dell’individualismo», o meglio (integriamo) dello pseudo-individuo già secondo Adorno. Alla fine, anche per Mazzoni «ciò che scompare non è soltanto l’utopia ma, prima ancora, l’idea che gli esseri umani siano animali fondamentalmente politici, che la politica sia ciò che può dare senso alla vita modificando l’esistente per produrre un mondo nuovo». Trionfa l’adattamento («una forma profonda di saggezza»).

Ma questo – aggiungiamo ancora – è ciò che vogliono il neoliberismo e l’ordoliberalismo: tutto deve essere economia; solo il capitalismo dà un senso alla vita. Come dimostra la seconda parte del saggio, sulla trasformazione commerciale post 1989 di Berlino, città che forse più di ogni altra è stata rimodellata «da quella forma di vita sorta attorno alla figura dell’individuo privato e consumatore», dove un’immagine pubblicitaria dell’iPad sovrastava il Memoriale per gli ebrei, nella normalità blasfema del capitalismo.

Il Novecento si chiude così – riaprendosi sul nuovo secolo – «nella medietas antitragica delle nostre vite solo private». «Liberati dalle trascendenze religiose e laiche, gli uomini non vogliono l’uscita dalla minorità o la creazione di un mondo più giusto». Trionfa, scrive Mazzoni, un modo di vita meno grandioso di quanto immaginato dalle grandi utopie del passato, ma anche «meno elitario» (in effetti è vero il contrario), «più immanente» (ma il capitalismo è esso stesso una religione, diceva Benjamin) «e più autenticamente popolare» (ma è un popolo senza potere).

Terzo libro, Sottofondo italiano di Giorgio Falco. Diverso dai precedenti per forma e per struttura, e nel raccontare la condizione (ancora) di minorità in cui siamo caduti – la sinistra e il sindacato in particolare. «Il sottofondo c’è sempre, anche quando non vogliamo sentirlo. Scava nell’intimo di ognuno di noi. Diventa la vita». La prende, la produce, la replica. «Non so quali istituzioni abbiano più influito nell’educare all’inerzia collettiva, alla sottomissione», scrive Falco, ma le parole d’ordine erano: «Stai tranquillo. Non immischiarti. Fatti gli affari tuoi. Pensa solo a te stesso e all’affermazione della tua individualità o al tuo gruppetto di amici».

Erano gli anni in cui – cattiva maestra Margaret Thatcher – ci si convinceva che la società non esiste ma esistono solo gli individui. Anni che Falco attraversa con stile, dalle BR alla marcia dei 40mila all’egemonia del modello aziendalistico che genera una nuova forma di «irresponsabilità totalitaria» (dove ciascuno dice: io faccio solo quello che mi dicono di fare – ancora una condizione di minorità); dai governi che cambiavano le leggi sul lavoro a favore degli imprenditori e delle multinazionali ai sindacati il cui unico obiettivo era (al più) una «sconfitta di misura» davanti a un’impresa che voleva invece stravincere.

È un’altra fotografia, questa di Falco – da leggere (è un consiglio) dopo Giglioli e Mazzoni –: impietosa descrizione, da dentro il sindacato, della mutazione antropologica che il capitalismo ha prodotto. Dove mutazione, ovviamente, non significa evoluzione. Né progresso.

Giorgio Falco
Sottofondo italiano
«Solaris» Laterza (2015), 81 pp.
€ 14
Daniele Giglioli
Stato di minorità
«Solaris» Laterza (2015), 101 pp.
€ 14
Guido Mazzoni
I destini generali
«Solaris» Laterza, 2015, 107 pp.
€ 14
Web Analytics