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L'attività lavorativa nel ciclio di accumulazione

Per inquadrare il tema occorre partire dal concetto di capitale come rapporto sociale, approfondendo l'analisi di come i rapporti di produzione assumono la forma merce e denaro.

Il plusvalore deriva dallo scambio tra forza lavoro e capitale, il ciclo di riproduzione capitalista impone altri scambi che si sovrappongono a questo.

La moneta e i prezzi hanno un ruolo principale nella distribuzione del plusvalore prodotto e realizzato.

Il rapporto di lavoro salariato impone che i lavoratori mettano la loro attività lavorativa a disposizione dei proprietari dei mezzi di produzione, i quali produrranno per il mercato.


Il pluslavoro e il plusvalore non sono una caratteristica dell'attività lavorativa, essi derivano da un rapporto sociale e dal costituirsi del processo produttivo come produzione di merce.

La forma valore della merce ha come condizione necessaria la trasformazione del lavoro concreto in lavoro astratto, lavoro umano in generale. Lo scambio DENARO-MERCE quando il salariato vende la forza lavoro è riferito non alla concreta attività lavorativa del singolo lavoratore, ma alla generica forza lavoro, al valore socialmente determinato di quest'ultima.


L'uso concreto dell'attività lavorativa in un processo di valorizzazione del capitale permette di ottenere un valore maggiore di quello scambiato nell'acquisto della forza lavoro.

Per il singolo capitalista la trasformazione del maggior valore in forma di maggior denaro, MERCE-D', è un evento necessario che sancisce l'utilità sociale riconosciuta al capitale privato.

La merce non venduta blocca definitivamente la possibilità per quel capitale di completare un ciclo e ricominciarne un altro.

Analizzando questi scambi possiamo distinguere più dettagliatamente come la produzione e distribuzione del plusvalore si presenti nella realtà come un processo produttivo che è anche un processo di valorizzazione mediato dallo scambio in moneta e dai prezzi (incluso il prezzo della forza lavoro).

Il mercato agisce tramite prezzi e moneta, il risultato degli scambi sarà tale che il capitale, (C+V), sarà remunerato al saggio medio di profitto, la forza lavoro riceverà una quantità di moneta sufficiente alla sua riproduzione, parte del plusvalore realizzato sarà sottratto all'accumulazione e destinato ai consumi dei capitalisti.

Per il singolo capitale l'attività lavorativa ottenuta dall'acquisto di forza lavoro produce un plusvalore se, attuato il processo produttivo/processo di valorizzazione, riesce ad ottenere una quantità di denaro D' maggiore della quantità D impegnata nel processo di produzione.

Occorre precisare che il capitale impiegato, C+V, può essere definito secondo una composizione in valore C/V diversa per ogni capitale.

Se si prescinde da prezzi che permettono saggi di profitto maggiori del saggio medio, per il capitalista singolo, il rapporto C/V è del tutto indifferente.

Il capitale sarà valorizzato al saggio medio di profitto: (C+V) (1+S.M.P.).

Il plusvalore ottenuto complessivamente sarà distribuito. Solo lo scambio con V permette un plusvalore mentre l'impiego in capitale costante genera un profitto di impresa che può consistere in plusvalore creato altrove.

Per il capitale complessivo lo scambio con V= somma dei Vi individuali permette la produzione di plusvalore.

Quest'ultimo sarà ripartito grazie ai prezzi di mercato secondo un parametro che definisce il saggio medio di profitto:

plusvalore totale/capitale totale = S.M.P..


Ogni capitale individuale riceverà (Ci+Vi) (1+S.M.P.) anche se Vi=0.

Una fabbrica di scarpe, ipoteticamente del tutto automatizzata, non produce plusvalore perché V=0, ma produce merce e partecipa alla distribuzione sociale del plusvalore, realizzando il proprio capitale al prezzo di produzione.

Anche se poniamo V>0, ma con C/V inferiore della media, il plusvalore ottenuto al prezzo di produzione è maggiore di quello prodotto.

Da notare che il saggio medio di profitto è lo stimolo, per il capitalista singolo, a ridurre il tempo di lavoro contenuto nell'unità di una merce.

Questo comporta che egli apporterà quelle innovazioni e investimenti in capitale costante, che permettono una riduzione di lavoro vivo impiagato maggiore dell'investimento in capitale costante: |ΔC|<|ΔV| (ΔC e ΔV in modulo).

Il mercato permetterà un plusprofitto finché l'innovazione e la concorrenza non avranno socializzato il risparmio di tempo di lavoro. Alla fine di questo processo, per la società nel suo insieme, il lavoro necessario, cioè il lavoro contenuto nei beni salario, sarà ridotto, permettendo un maggior plusvalore relativo.

Quindi il produttore di scarpe dell'esempio prima considerato fa progredire l'accumulazione, non estorce plusvalore agli altri settori, ma per così dire, viene ricompensato per la sua capacità.

I capitali che non sono in grado di adeguarsi escono dal mercato. Sappiamo che questo modo di operare della concorrenza determina una riduzione tendenziale del saggio medio di profitto.

Quanto fin qui esposto, mette in evidenza come la produzione del plusvalore vada riferita necessariamente al capitale complessivo e in quanto tale è una astrazione che deriva dai rapporti di produzione e scambio capitalisti.

Il capitale complessivo, opera in un processo produttivo e di valorizzazione suddiviso in compartimenti, definiti da una suddivisione della produzione sociale in unità distinte, queste ultime al loro interno riproducono una divisione delle attività lavorative della forza lavoro. Avremo quindi, operai e impiegati, addetti alla spedizione o alla movimentazione interna etc.

Volendoci per il momento concentrare esclusivamente sulla produzione di merci tangibili, corporee (cioè di merci che risultano da un processo di produzione a cui il processo di valorizzazione sociale attribuisce un valore oggettivato come prezzo unitario di prodotti destinati al consumo o all'investimento), possiamo asserire che il plusvalore ottenuto dalla trasformazione in denaro di queste merci può essere maggiore del plusvalore prodotto nel processo produttivo.

Può avvenire anche il contrario, soprattutto in periodi di crisi, in cui la convalida sociale della realizzazione del capitale investito viene meno, per cui non avviene la trasformazione della merce in denaro.

Già in un ambito così ristretto dell'analisi, emergono aspetti del processo di riproduzione del capitale che impongono accurate definizioni per poter distinguere fra lavoro produttivo e lavoro improduttivo.

Un primo passo da fare è riferire il lavoro ad un generale processo il cui risultato finale è la produzione e distribuzione di plusvalore.

Come abbiamo anticipato, il processo produttivo consiste nel concreto verificarsi di singoli processi produttivi giuridicamente variamente connessi. Dove non esiste una gerarchia interna le unità hanno solo relazioni esterne di mercato e prezzo.

La dislocazione geografica dei luoghi della produzione determina la necessità della movimentazione delle merci finite e dei semi-lavorati che saranno consumati o usati come fattore della produzione.

Nello schema da tutti conosciuto: (DENARO-MERCE...PRODUZIONE-MERCE'-DENARO') si fa astrazione della necessità per la produzione e realizzazione di trasferire nello spazio e o giuridicamente il possesso delle merci.

Se ci si riferisce allo schema del ciclo di riproduzione allargata, l'attività lavorativa della forza lavoro impegnata nel commercio e nella logistica sono necessarie affinché il ciclo sia possibile.

Questo discende dal fatto che produzione e circolazione del capitale sono unificati nel processo unico di valorizzazione. Il plusvalore prodotto deve essere realizzato, se non realizzato non esiste neanche come plusvalore prodotto e non partecipa ad un nuovo ciclo di accumulazione.

Non è possibile quindi limitarsi alla produzione per investigare l'attributo produttivo di una attività lavorativa, che può produrre pluslavoro che non si converte in plusvalore.

In modo del tutto astratto si potrebbe dire che ciò che attiene alla circolazione delle merci non attiene alla loro produzione, quindi non si ha plusvalore ma solo realizzazione e trasferimento di valore altrove incorporato nella merce.

Però è una definizione che non dice altro che si ha pluslavoro e plusvalore là dove avviene la trasformazione fisica dei fattori della produzione in merce, tutte le altre attività lavorative saranno improduttive.

Da questo punto di vista la società è paragonabile ad una fabbrica, in cui molte attività lavorative non comportano un maggior numero di prodotti, anche se chi le compie percepisce un salario e quindi fornisce un pluslavoro.

Occorre precisare che i tempi morti di un operaio, compresi gli scarti, rientrano in questa casistica.

Si potrebbe arrivare alla conclusione che maggiore è l'attività lavorativa produttiva, nel senso su indicato, rispetto all'attività improduttiva, maggiore sarà il plusvalore prodotto.

Questa affermazione è vera solo se riferita ad una situazione idealmente isolata in cui a variare sono solo le due tipologie di lavoro. Nel momento in cui si considera il capitale e l'accumulazione nello svolgersi dinamico della valorizzazione le cose cambiano.

Supponiamo di assistere alla esternalizzazione di una funzione di una fabbrica che permette una riduzione del tempo di lavoro contenuto nell'unità merce che costituiva il risultato della funzione esternalizzata. Per esempio i componenti in plastica di una fabbrica automobilistica. E' possibile che in seguito a questa riorganizzazione il tempo di lavoro necessario per la produzione di un'auto sia diminuito, anche se il lavoro della logistica è aumento comparativamente a prima.

Quindi avremo, per quella fabbrica, a parità di auto, un C+V minore e costi di trasporto maggiori.

Il plusvalore prodotto sarà minore perché V si è ridotto rispetto a C non perché l'attività lavorativa di trasferimento di merci tramite la logistica è aumentato.

Socialmente il lavoro necessario è diminuito e il plusvalore relativo è aumentato.

Possiamo generalizzare quanto su descritto riferendoci all'organizzazione del commercio al dettaglio. Questa permette, in modo del tutto analogo, una organizzazione della produzione sociale tale da ridurre complessivamente il tempo di lavoro necessario alla produzione e consumo.

Il problema per il capitale, quindi, non consiste nell'aumentare del lavoro improduttivo ma nel fatto che questo deriva dalla riduzione del tempo di lavoro contenuto nella merce, il che comporta una sempre maggiore composizione organica del capitale e una riduzione del saggio medio di profitto.
Analogamente molte attività lavorative che permettono l'erogazione di servizi alle imprese, sono riferibili ad una riduzione del tempo di lavoro oggettivato nelle merci. Un aspetto molto importante è costituito dal capitale costante impiegato come fattore della produzione nel settore dei servizi, della logistica e del commercio riferito sempre alle merci/prodotto.


Di fatto quel capitale è da considerare come impiego di denaro, derivante dalla distribuzione sociale del plusvalore, che permette la realizzazione del plusvalore contenuto nelle merci del settore dei beni di investimento.


Il plusvalore prodotto ha senso solo se avviene la trasformazione in D', che in questo caso è possibile perché capitale investito in “attività improduttive” acquistano merci nel settore produttivo. Ma questo, non va confuso con un ipotetico realizzo improduttivo del plusvalore, che il capitale metterebbe in atto per ovviare ad un problema di realizzo della sovrapproduzione.

E' solo il modo di realizzare socialmente un maggior plusvalore relativo che necessariamente comporterà un aumento della composizione organica del capitale.

In seguito alla crescita della produttività, la quantità di merci che interessa il ciclo del plusvalore aumenta. Quindi sia D-M sia M'-D' saranno caratterizzati da un crescente volume di merce.

Data la divisione sociale del lavoro il trasferimento spaziale e il possesso giuridico della merce subirà una trasformazione adeguata alla produzione. Questo fenomeno è sintetizzabile nella constatazione che un aumento del volume della produzione è accompagnato da un maggiore plusvalore e profitto assoluto che amplia il flusso fisico di merci e l'attività lavorativa improduttiva ad esso collegata.

Il profitto del capitale impiegato nella logistica e nelle attività commerciali si pone quindi come ulteriore vincolo alla valorizzazione del capitale.
L'applicazione di metodi che permettono la riduzione del tempo di lavoro contenuto nell'unità di merce/prodotto, anche se fa crescere il profitto assoluto riducendo il valore unitario della merce è necessariamente associato ad una riduzione del saggio di profitto. Inoltre la maggiore produttività nella produzione deve accompagnarsi ad un crescente plusvalore percepito dal capitale investito in attività di commercio e trasporto delle merci, questa partecipazione al plusvalore sociale costituisce un ulteriore vincolo allo sviluppo dell'accumulazione.

Abbiamo precedentemente visto come queste attività del capitale consentano la crescita del plusvalore relativo.

L'apparente contraddizione dell'analisi fin qui svolta è un ulteriore affermarsi delle contraddizioni insite nel processo di produzione capitalista di merci, nella produzione e realizzazione del plusvalore cioè nell'accumulazione del capitale.

L'attività lavorativa che non comporta trasformazione fisica dei fattori della produzione in merce vendibile, permette un ampliarsi del plusvalore relativo.
La mediazione necessaria del flusso di merci tramite queste attività lavorative, non comporta una crescita di volume delle merci e quindi è una partecipazione al plusvalore sociale che necessariamente si trasforma in un limite dell'accumulazione.

Quanto fin qui esposto è stato riferito alla produzione di merce/prodotto, cioè di merce il cui consumo è legato alle caratteristiche fisiche e chimiche insite nella merce.

Proviamo adesso ad ampliare la nostra analisi considerando la produzione e consumo di merce salario e merce fattore produttivo che si caratterizzano maggiormente per un contenuto semplicemente mediato da un contenitore fisico e chimico della merce fino ad arrivare alla prestazione di servizio che comporta la simultaneità fra erogazione della attività lavorativa e il consumo della merce (per consumo intendiamo anche l'utilizzo dei fattori della produzione).

Siamo restii a usare il termine immateriale, l'immaterialità è un concetto filosofico religioso, che nasconde il fatto che l'oggettività e materialità del mondo delle merci e delle leggi che governano l'accumulazione di capitale sono il risultato di altrettanti oggettivi e materiali rapporti sociali di produzione che diventano evanescenti nella trasformazione feticista operata dal mercato.

La materialità della merce è solo riconducibile ai rapporti di produzione, i valori d'uso sono più o meno riconducibili all'immediato godimento delle caratteristiche fisiche e chimiche del prodotto.

Inoltre la cosiddetta immaterialità di alcune merci è semplicemente un travisamento della realtà. Innanzitutto nasce dalla focalizzazione della descrizione di merce come il valore d'uso di questa, escludendo il processo produttivo che ne realizza tutti i componenti fino a giungere ad una decontestualizzazione sociale tale da non cogliere il processo di valorizzazione e di divisione sociale del lavoro. Un esempio fra tanti è la musica, in ogni forma sociale di fruizione. E' immateriale? Gli strumenti musicali sono prodotti come altri, i congegni di riproduzione lo sono altrettanto, i luoghi di fruizione sono immobili, gli spartiti sono su carta o digitali, l'estro dell'artista è il risultato della divisione sociale del lavoro che fa di alcuni artisti e di altri liutai e di altri manovali. Due amici che usciti dall'osteria cantano ubriachi non fanno merce. Per concludere il suono non si propaga nel vuoto perché necessita la deformazione elastica della materia. L'unica immaterialità della musica consiste nel fatto che un compositore famoso guadagna in un anno quello che un netturbino guadagna in cinque? Dieci?..fate voi. Per cui qualsiasi supporto fisico alla immateriale creatività del compositore ha un prezzo irrisorio, ma la divisione sociale del lavoro non è fatto immateriale.

Lo sviluppo delle forze produttive permette il consumo di merci salario sempre più complesse e diversificate. E' inevitabile quindi che il valore delle forza lavoro e la sua riproduzione abbia un contenuto che varia con lo sviluppo delle forze produttive e l'accumulazione. Anche la merce forza lavoro subisce questa evoluzione richiedendo crescenti capacità del lavoratore di interagire in un mondo tecnologicamente avanzato.

Il consumismo genera stili di vita più opulenti e autodistruttivi a cui si affiancano privazioni e stenti. In questo contesto la riproduzione della forza lavoro e l'accumulazione del capitale incontrano un ulteriore conflitto legato al valore d'uso della merce.

Per comodità chiamiamo le merci fisiche prodotto e le rimanenti prodotto/servizio.

I salari monetari saranno scambiati con prodotti e prodotti/servizi, così come, il denaro si trasforma in capitale nell'acquisto di prodotti, prodotti/servizi e forza lavoro. Esuliamo momentaneamente dal ruolo dello Stato.

Il plusvalore complessivo è quindi frazionato in tanti valori d'uso, solo idealmente si può riferire ad  una quantità unica di lavoro sociale disponibile per il capitale e riconoscibile nella sua unitarietà/omogeneità solo nella forma denaro.

Lo sviluppo della produzione per l'accumulazione, comporta anche la diversificazione dei valori d'uso (involucro di valore sociale) e la creazione di nuovi bisogni.

Abbiamo già trattato dei prodotti/servizi acquistati con capitale, portiamo adesso la nostra attenzione ai prodotti/servizi acquistati con denaro salario.

L' utilità per la fisiologia umana  non è un carattere distintivo dei prodotti rispetto ai prodotti/servizi. Non si possono ritenere delle sedute di ginnastica posturale (servizio), o le cure odontoiatriche o un corso di lingua straniera in dvd o un cd musicale meno utili di caramelle hot dogs e alcolici.
La riproduzione della forza lavoro avviene tramite una diversificazione dei valori d'uso fino ad arrivare ad un consumo di servizi prima non disponibili.
Lo sviluppo di questi valori d'uso erogato come risultato di un processo produttivo che usa forza lavoro e capitale costante, sono a tutti gli effetti il risultato di una attività lavorativa produttiva che è legata alla produzione dei beni salario che costituiscono il lavoro necessario.

Un aumento di questi valori d'uso è possibile solo in seguito ad un aumento dei salari. La compressione del lavoro necessario se non fosse accompagnata da un maggior numero di valori d'uso disponibili per il consumo dei salariati causerebbe un'impossibilità alla prosecuzione dell'accumulazione.

La crescita della composizione organica del capitale, fermo restando i valori d'uso salario, comporta una riduzione tale del lavoro vivo rispetto al lavoro oggettivato in capitale costante da rendere possibile un ulteriore sviluppo del plusvalore tramite l'introduzione di nuovi valori d'uso. Questi ultimi determinano un maggior livello di lavoro necessario ma anche di pluslavoro sociale.

La continua tensione del capitale alla riduzione del lavoro necessario in seguito allo sviluppo dell'accumulazione perviene all'espulsione di forza lavoro sostituita da capitale costante.

E' insito in questo processo la creazione perenne di un esercito industriale di riserva che in quanto tale è il vero lavoro improduttivo.

L'improduttività di questo lavoro porta alla creazione di un (fardello sociale), e può raggiungere livelli quantitativi tali da trasformarsi in incapacità per molti proletari di riprodurre la propria forza lavoro.

L'introduzione di nuovi valori d'uso permette al capitale di ampliare l'accumulazione impiegando più capitale variabile (V) per la valorizzazione del capitale complessivo (C+V).

Naturalmente questo è possibile solo finché l'aumento del  lavoro necessario è accompagnato da un maggior pluslavoro. In questo caso il profitto aumenta e l'accumulazione progredisce, portando tuttavia la composizione organica del capitale (C/V) ad un ulteriore sviluppo che inevitabilmente riproporrà una carenza di plusvalore.

Quest'andamento del lavoro necessario legato alle esigenze dell'accumulazione fa sì che i consumi dei proletari siano subordinati alle esigenze dell'accumulazione.

Con il progredire dell'accumulazione il capitale impegnato nel settore dei beni salario subisce una crescita della composizione organica e un recupero di produttività tale da rendere possibile una crescita dei salari associata alla crescita del plusvalore.

L'attività lavorativa nella produzione di questi valori d'uso, siano essi prodotti o prodotti servizio, è quindi direttamente condizionato dai metodi produttivi messi in atto per la riduzione del lavoro necessario e il conseguente aumento di pluslavoro tramite una maggiore produttività.

L'introduzione di nuovi valori d'uso resa necessaria per lo sviluppo dell'accumulazione ne diventa un limite quando l'aumento della produttività non compensa la crescita della composizione organica del capitale.

Possiamo concludere che lo sviluppo di  prodotti/servizi, per il consumo dei salariati, è conseguenza della diversificazione merceologica resa possibile e necessaria dalla compressione del lavoro necessario e comporta un aumento dello stesso lavoro necessario che scaturirà in una crisi dell'accumulazione a causa dell'aumento della composizione organica del capitale.

Prendiamo adesso in considerazione l'intervento dello stato nell'economia capitalista. Questo tema potrebbe costituire un argomento da sviluppare a parte, affronteremo solo alcuni aspetti. L'analisi svolta da P. Mattick in Marx e Keynes e i limiti dell’economia mista, è di per sé esaustiva nel dimostrare come la crisi, ricollegabile alla caduta tendenziale del saggio di profitto, non sia risolvibile con l'intervento dello stato. Lo stato si limita a prelevare salario e profitto, tramite tasse o tramite l'emissione di titoli del debito pubblico. In ogni caso si tratta di una sostituzione del titolo di proprietà del denaro, nel caso del prelievo fiscale si sostituisce al capitale privato o al consumo dei salariati, nel caso del debito pubblico crea anche un'ipoteca sul plusvalore futuro.

Merita una menzione a parte il settore militare che non costituisce salario indiretto ne' produzione di infrastrutture, ma è a tutti gli effetti una spesa improduttiva che trasferisce plusvalore creato altrove.

Per il salario indiretto resta valido quanto esposto circa la diversificazione del valore d'uso dei beni salario.

Istruzione, sanità, trasporto pubblico, costituiscono una opportunità di realizzare plusvalore per i settori produttivi di beni di investimento. Una crescita dei consumi del salario indiretto è possibile solo escludendo il consumo diretto, cioè l'acquisto di altri valori d'uso dal mercato ed è associata ad una crescita del lavoro necessario che quindi è possibile solo nelle fasi di espansione del capitale. Non ci meraviglia quindi come le manovre di riduzione di debito pubblico e di tagli alle spese siano portate avanti tanto tenacemente da tutti i governi in questa fase di crisi del capitale.

Un'ultima considerazione va fatta in merito agli scambi internazionali. Come si è accennato precedentemente, la moneta e i prezzi permettono il trasferimento di plusvalore da un settore o da un capitale singolo ad altri. Il commercio estero permette di consumare grazie alla produzione di plusvalore creato all'estero e introdotto nel consumo/produzione nazionale al seguito di scambi vantaggiosi, cioè ad un livello del prezzo di esportazione maggiore del prezzo di produzione ad un saggio medio di profitto “locale”.

La possibilità di intercettare plusvalore prodotto all'estero è subordinata sia al titolo di proprietà di capitale monetario, sia alla capacità di fornire merci che realizzano un plusprofitto. La non produttività dell'attività lavorativa grazie all'ampliarsi degli scambi internazionali può subire un notevole sviluppo, come il settore finanziario e bancario degli Stati Uniti o la speculazione collegata alle opportunità generate da variazioni nei prezzi slegati dal ciclo di accumulazione reale del capitale. In tutti questi casi il denaro che può provenire o meno da un ciclo di accumulazione reale acquisisce la proprietà di plusvalore passato e/o prodotto altrove.

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