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Mi raccomando, i fagiolini

di Augusto Illuminati

Art 18 Fornero amaroSenza dubbio, i licenziamenti selvaggi sono stati arginati. L’art. 18 varrà per i partiti, reintegrati nel posto fisso dopo la bocciatura nei sondaggi e nei messaggi imperiali da Pechino. E avranno per sovrappiù gli indennizzi, cioè i rimborsi allegri per Trote, spaghettini all’astice, ristrutturazioni edilizie all’insaputa dei beneficiari. Altri risultati dell’epocale riforma del lavoro non se ne vedono –e non è che non li veda io, pare che non li vedano neppure gli onniscienti mercati, stanti gli spread e l’andamento delle borse. Sorridono ABC (come i reparti militari addetti alle armi Atomiche, Biologiche e Chimiche), un po’ meno sindacati operai e padronali, si è “rasserenato” il Presidente Napolitano, che molto ha interferito sulla trattativa, distraendosi dai Mentre i nodi della precarietà (complice una certa miopia sindacale) restano irrisolti e anzi si aggravano in modo palese, come testimoniano ogni settimana i dati Istat, mentre l’economia europea va a rotoli e si annuncia una nuova ondata di fallimenti e di ulteriori misure di contenimento a effetto recessivo, i dissestati partiti italiani tirano un sospiro di sollievo, illudendosi di contare qualcosa o almeno di sottrarsi per un attimo alla loro progressiva insignificanza. Questa morte procrastinata ci costa molto più dello sperpero di tesorieri infedeli e del resto era molto meglio la dispersione privata dei Lusi e Belsito che non un corretto investimento in macchine di partito che producono solo guasti. In realtà la “rinascita” dei partiti è strettamente vincolata all’ossequioso consenso alle politiche di Monti, anzi alla promessa di proseguirle (con rinnovo della delega oppure in prima persona) anche dopo le elezioni del 2013. A riprova, quando un partito si azzarda a opporsi sul serio (lasciamo perdere perché), viene stroncato con fulminea durezza, come è accaduto alla Lega, distrutta nel giro di un giorno sotto la pressione concomitante dei servizi, della magistratura e dei dissidenti interni. Esempio mirabile di dissuasione, cui non è mancato l’invito del Presidente impiccione a un maggior controllo sui finanziamenti pubblici ai partiti. Chi ha orecchie per intendere, intenda. ABC hanno inteso.

L’impopolarità delle componenti di una virtuale GrosseKoalition a sostegno di Monti e l’incombere del double dip della crisi rendono fragile il successo “epocale” – aggettivo che usato in combutta da Fornero e Bersani fa solo che ridere – della riforma del mercato del lavoro, il cui iter assomiglia a quello delle precedenti misure salvifiche: imposizione dall’alto, bisticci, intervento presidenziale, inciuci, maxi-emendamento e voto di fiducia. In questo caso, con l’aggravante di sottrarre il tema alla consueta concertazione con le parti sociali, sostituita da una consultazione a prendere e lasciare. In apparenza i partiti si sono sostituiti nella trattativa alle parti sociali, in realtà hanno fatto finta di trattare e hanno scambiato il proprio fittizio riconoscimento con il supporto cieco alle misure governative, recidendo ancor di più le loro (opposte) radici di classe e dando ragione a chi vuole gestire direttamente i propri interessi, scavallando la rappresentanza politica. Ciò che riesce molto bene ai poteri finanziari forti e ad alcune corporazioni, molto meno ai residui nuclei operai dell’industria e dei servizi e alla galassia sformata dei non sindacalizzati e dei lavoratori precari. Tanto che Pdl e Confindustria si sono riservati la possibilità di ulteriori peggioramenti (con la benedizione ultraliberista di Alesina e Andrea Ichino), mentre Bersani si è consegnato ai bocconiani mani e piedi legati e Casini ride contento: dentro ABC coalizzati non è più l’ago della bilancia ma la mamma ha fatto i gnocchi...

Ben poco c’è da aggiungere alla valutazione che della riforma del mercato del lavoro e del penoso cedimento della Cgil hanno fatto i dirigenti della Fiom. Lo spacchettamento delle occorrenze di giusta causa ha reso irrilevante nell’art. 18 il residuale accenno al reintegro ormai applicabile, per dirla con il sarcastico Monti, a “fattispecie estreme e improbabili”, mentre il ricattatorio meccanismo di conciliazione preventiva dissuade i licenziati da vertenze giudiziarie e li induce ad accettare qualsivoglia indennizzo (il cui tetto è stato peraltro abbassato, in attesa di ulteriori riduzioni alla spagnola). Alla faccia dell’oscena retorica sui ggiovani, sono rimasti tutti i 46 regimi di precariato più la pessima disciplina interinale europea e non si prevede nessuna allocazione universale di risorse per l’occupazione, né un reddito incondizionato di inserimento, anzi si rafforza il carattere assicurativo del sistema di ammortizzatori sociali (cui corrisponde analoga tendenza nel campo del Welfare e della sanità). La neonata ASpI peggiora la precedente indennità di mobilità, fissando per di più un’alta soglia di accesso (52 settimane) che resta un sogno per i precari, dei quali solo i più fortunati e tenaci riusciranno ad acchiappare la sparuta versione Mini. In generale l’effetto della riforma sarà di diminuire i salari nominali di fatto, in aggiunta alla falcidia operata dall’inflazione e dal venire meno del sussidio welfaristico. Un contrattacco non potrà che riproporre, a fianco del reddito di cittadinanza, l’intera questione dei livelli salariali, dell’orario di lavoro, del modello di sviluppo e di formazione dell’occupazione. Un compito perfino eccedente quello tradizionale e in gran parte compromesso dei sindacati.

I partiti hanno sostituito con le loro trattative segrete la concertazione sindacale, ridotta a frettolosa consultazione di facciata, con il bel risultato di ammazzare il ruolo dei sindacati senza rianimare quello dei partiti. C’è solo da sperare che il conseguente crollo di legittimazione, insieme ai morsi della crisi, renda a breve ineffettuale il successo politico conseguito dal governo tecnico con la riforma.

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