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Ho un Grillo per la testa

La comune a “cinque stelle” alla prova del XXI secolo

di Claudio Valerio Vettraino

La vittoria del MoVimento Cinque Stelle ha dimostrato due fatti decisivi per la politica italiana e non solo.

Innanzitutto ha decretato l’assoluta evanescenza (a seconda dei casi) dei partiti tradizionali, ormai ritenuti dalla schiacciante maggioranza della popolazione inutili ed inaffidabili. Dunque, l’euforia elettorale dei vari Bersani e Di Pietro  certifica la miopia di un sistema che non comprende o non vuole comprendere il suo ritardo, il suo elefantiaco spegnersi nel non rappresentare più nulla, se non il vuoto ideologico ed organizzativo del loro perpetuarsi. Ovviamente non bisogna confondere gli apparati dei partiti, la loro burocrazia, gli equivoci personaggi che bazzicano le loro sedi, con gli onesti e scrupolosi funzionari che lavorano e si sacrificano per un’idea, un progetto (qualora ce ne fosse ancora uno in grado di appassionare le masse e rendere vive le coscienze) di società, umanità ad venire.

E’ un liquefarsi sotto il cielo della politica e dell’incalzare dei movimenti civici e dei cittadini che dal basso, in piena autonomia, propongono un’idea diversa di gestione della cosa pubblica a partire dai loro bisogni concreti, solo apparente e non va perciò sottovalutato. L’esaurirsi politico dei partiti e, con essi, di un sistema di potere, viene mitigato e “compensato” dal mantenersi in vita dei partiti come centri di potere economico-finanziario. I partiti dunque sopravvivono alla loro estinzione non solo come rappresentanti di un forma di gestione del potere “obsoleta ”, ma come effettivi coaguli di intrecci d’impresa e finanza. I partiti sopravvivono riducendosi alla loro forma essenziale, alla loro elementarità economica di gestori pubblici (essendo però enti giuridici privati) di interessi affaristici.

I partiti sopravvivono come scheletri senz’anima a salvaguardia di un sistema che non risponde più ai loro comandi e alle loro indicazioni. Anzi, è il sistema che impartisce loro le direttive, le modalità della loro gestione, le forme, o meglio, le non forme organizzative, la loro assoluta disgregazione dal tessuto sociale e civile. Il rapporto però, e ciò va ribadito con forza, è dialettico. Politica ed economia sono due facce della stessa medaglia: il sistema capitalistico di produzione, le espressioni fenomeniche del divenire incessante della rivoluzione produttiva e finanziaria dell’Imperialismo mondiale. Sarebbe interessante fare una storia delle forze politiche, del “politico” nell’era del mercato mondiale e del potere neoliberista che da trent’anni amministra l’economia globale. Ma non è questo il contesto adatto. Ne riparleremo.

Il MoVimento Cinque Stelle ha denunciato tutto ciò e ha ridato la parola ai cittadini, alle loro idee e passioni civiche, facendoli di nuovo innamorare della politica, della cogestione orizzontale della cosa pubblica. E questo è un dato di non poco rilievo nella fase attuale. Certo, è un movimento che sconta, al di là dei toni demagogici e alle volte populistici del suo portavoce, una certa dose di ingenuità, di antagonismo cieco ad un sistema che non riconosce e che combatte strenuamente (ingenuità care anche alla prima Lega), che a mio avviso pagherà (è difficile dire ora in che termini) sul lungo periodo. Non si può fare l’opposizione a vita. Non si può, se si pretende di governare e dirigere i processi d’innovazione di un paese fermo da decenni, non farsi complice, ovviamente con modalità nuove, dello stesso sistema di cui ci si illude essere l’antidoto. Non basta affidarsi alle cosiddette “brave persone”, alle facce pulite, agli studenti, ai precari, all’umiltà lavoratrice e al buon senso del popolo. Occorre avere un’idea complessiva di società e di umanità da costruire. Avere un’idea di uomo su cui costruire un progetto, un’utopia di futuro su cui edificare e far sviluppare la strategia e la tattica conseguente. Non basta riformare, migliorare con la buona volontà di tutti un sistema malato fin nelle midolla, strutturalmente incapace ad evolvere progressivamente, avviluppato com’è in vertiginosa spirale esiziale. I sogni sono belli ma alla fine è necessario svegliarsi. Né basta, in un sistema politico come quello italiano, tradizionalmente legato al leader, un personaggio istrionico ed istintivamente portato a rappresentarsi come capo popolo come Beppe Grillo, in cui la fede cieca nelle virtù taumaturgiche della rete (la stessa di chi credeva nella magia rivoluzionaria della radio ai suoi albori), nella democrazia diretta, trasparente, orizzontale del forum in cui si intrecciano e si verificano le competenze individuali come panacea a tutti i mali del mondo, si connette con ingenuità ed eccessi verbali da cabaret, slogan altisonanti e spesso privi di quella responsabilità politica, di quel senso delle proporzioni e dei rapporti reali di potere, che un politico, o comunque, il rappresentante di un movimento che si è fatto politica, dovrebbe avere.

Forse nella parabola umana di Beppe Grillo si inscrive il movimento a cui si rifà. Oppure no. Staremo a vedere. Bisogna però avere sempre ben presente che il rapporto tra il MoVimento Cinque Stelle e il suo deus ex machina, è destramente complesso e intrinsecamente dialettico. Secondo me la sinistra, o buona parte di essa, sbaglia, o meglio, fa un errore di valutazione, di calcolo, nel ridurre la portata storica di un movimento, che ha davvero del rivoluzionario in Italia, con il suo istrione. Sono due realtà che a mio avviso andrebbero distinte e studiate, nella loro portata generale, separatamente per poi ricongiungerle a sintesi avvenuta. O forse, invece il legame c’è ed è troppo stretto, asfissiante per poter produrre fruttuosi e virtuosi risultati in campo amministrativo, soprattutto locale.

Ma è ancora troppo presto per fare bilanci. Certo la trascorsa vittoria di Parma è significativa e lancia un segnale a tutte le forze, o meglio, alle non forze politiche. Grillo sarà utile o darà noia alla sua stessa creatura? Come può un movimento che dal basso, “silenziosamente” intende ricostruire una sovranità costituente libera ed autonoma, fare i conti con un leader carismatico accentratore e verbalmente anarchico che non ha e non vuole avere “una misura” politica, una mentalità sottile atta a governare i processi piuttosto che criticarli e annichilirli? Su questo punto sono d’accordo con Cacciari: Grillo non vuole il governo. A lui basta essere l’altoparlante del nuovo, di un nuovo “mai visto” né sentito, di un linguaggio informatico roboante e modaiolo che in Europa ha già vinto da tempo e che solo in Italia (dove i giovani sono pochi e male organizzati, male collegati) stenta a prendere piede.

L’ingenuità sta tutta qui. Nel credere che basti un click con un mouse, che basti far dialogare pontificati premi nobel come Stiglitz con i giovani economisti nostrani (ed è curioso constatare come chi polemizza accanitamente contro tutte le istituzioni internazionali piene zeppe di professori e tecnici legati a doppio filo con le banche e i poteri forti, dia incondizionato valore al premio nobel, uno dei premi più influenti dell’establishment mondiale, ideato da chi ha oltretutto inventato un’arma micidiale come la dinamite), per bypassare la burocratia, i filtri ideologici e le lungaggini parlamentari, l’elefantiaco divenire di decisioni che non arrivano mai, prescindendo inoltre dalla necessaria riflessione sulle relazioni di potenza a livello mondiale, alla nuova fase strategica che stiamo vivendo (spostamento dell’asse economico-politico dall’Atlantico al Pacifico, dal G8 al G20, dall’Occidente al BRIC), sull’oggettività inaggirabile dei rapporti di produzione e di sfruttamento che reggono la società capitalistica.

Una realtà che livella ed uccide la qualità e le differenze, reifica tutto ciò che è umano e organizza l’intera nostra società alla logica ferrea del profitto, della valorizzazione del capitale globale. Se non si parte da questo, è difficile trovare il bandolo della matassa e comprendere i fenomeni sociali. Solo così si può comprendere che non è una faccenda di persone ma di sistema. In un sistema strutturalmente corrotto, in cui il denaro è moneta di scambio e d’interesse, la luce che acceca (direbbe Marx), anche l’uomo più onesto e votato alla causa può essere corruttibile, può divenire alfiere involontario di quel potere che aveva combattuto fino al giorno prima.

Basta guardare il disastro leghista di oggi o le tragiche vicende di una brava persona dalla faccia pulita che entrò in politica per fare il bene delle brave persone dalla faccia pulita come Piero Marrazzo, per capire che quando si entra in quel sistema o si è minoranza tutta la vita o, se si diventa maggioranza, il rischio di complicità e corruzione si fa sempre più concreto. Non sono le persone il problema ma il sistema economico capitalistico nel suo complesso. La potenza demiurgica del denaro di cui parlava Marx. Il delirio di onnipotenza del potere che ti fa dimenticare chi sei e da dove vieni; il perché sei entrato in politica e quali interessi avresti dovuto difendere e valorizzare. Tante belle utopie dell’armoniosa società degli eguali, dall’autogestione della produzione alla partecipazione dell’utili dell’azienda da parte degli operai, in questi ultimi trecento anni hanno dovuto fare i conti con la tragicità di quello che Freud chiamava il “principio di realtà”, con la disumanità dei rapporti di produzione capitalistici, le necessità immanenti al processo circolare di valorizzazione del capitale, che muove tutta la nostra società e cristallizza le relazioni mercificate ed alienate degli uomini tra di loro e con la natura che li circonda. Tanti uomini degni e integerrimi si sono dovuti piegare, loro malgrado, alla sua crudele e cinica spietatezza.

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