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La corruzione, il sogno europeo e lo "strano" caso MPS

di Orizzonte48

In varie sedi mediatiche si riporta questa dichiarazione di un "politico", riguardo al caso MPS: 

"Chiunque di noi (segue indicazione di un partito ma, come vedremo, è un sistema "europeo" applicabile teoricamente, ancora adesso, a qualunque formazione politica ndr.) avesse responsabilità amministrative, negli enti locali o nelle partecipate, dove ci sono voragini vere e proprie, sapeva di potersi rivolgere a Mps per le questioni più spinose. Esempio: c`era una azienda di un comune in crisi? I sindacati facevano casino e i lavoratori rischiavano il posto? Mps concedeva un finanziamento e la situazione si calmava. In campagna elettorale si dovevano effettuare 300-400 assunzioni in una partecipata? Mps concedeva il mutuo e il consenso lievitava. Ovviamente, la maggior parte di questi crediti non verranno mai incassati per assenza o inadeguatezza di garanzie. Quanti? Sarebbe interessante saperlo con precisione. Lo sanno tutti. Se spunta fuori l`elenco, è la fine..."

Questa eloquente sintesi di un meccanismo era stata abbondantemente anticipata in questo blog e, anzi, costituisce una sorta di bandiera, con la descrizione in dettaglio del fenomeno, nel post di gran lunga più letto. Ma anche altrove (in tema di costosità delle società pubbliche o "miste"), e più volte (in tema di crisi finanziaria e governance del sistema). 

La sintesi, cioè, proprio perchè tale, richiede una premessa: capire ciò che è stato fatto "in nome dell'Europa".  

E ciò significa che qualcosa di non dissimile accade anche negli altri paesi europei.


Solo che in quelli "core" - poichè hanno attivo della bilancia dei pagamenti, PIL non gravato da pesanti "output-gap"  o peggio da recessione via austerity, entrate statali non erose da ciò -, il dividendo dell'euro, (a favore della politica...del business), non si è trasformato in insolvenza e crisi del sistema bancario
(
il che non esclude che là la crisi bancaria possa verificarsi per motivi differenti).

I meccanismi, con precise premesse e esemplificazioni, sono esattamente quelli che vi abbiamo illustrati e qui sotto riprodotti per comodità.

Ma alla fine
il problema è l'insolvenza. Causata, però, dal vincolo monetario, così virtuoso e credIbile, che ha provocato crisi di liquidità, drenata dai deficit con l'estero, disoccupazione e...insolvenza. Il tutto, acuito dalla "austerità espansiva", cioè sempre dall'euro!  


Il paradosso è che l'austerità, e l'euro, sono tutt'ora sostenuti
(quand'anche, di recente, in forme "misteriosamente" attenuate) dagli stessi che ora si trovano a fronteggiare la responsabilità del sistema di cui credevano di potersi avvantaggiare (all'infinito).


Insomma, pare che abbiano sbagliato i calcoli. E siano incorsi in una nemesi della Storia.

Non è bastato creare il grande spazio informale (ed europeo) di connubio tra imprese "di area" e enti locali, in sè penalmente irrilevante, e dotarlo di un'assistenza finanziaria privilegiata da parte di un sistema bancario controllato da entrambi (politica e business di area). 

Ora il punto è (chissà perchè batto sempre su questo argomento): a chi interessa veramente FARE QUALCOSA PERCHE' "TUTTO QUESTO NON SI RIPETA PIU'?

Cioè quale proposta politica intende agire concretamente sui presupposti legali, normativi, stratificati essendone anche minimamente cosciente? 

Anche perchè la risposta a tutto ciò si compendia nella reintroduzione delle forme pubblicistiche della "azienda speciale"e nel recupero della sovranità fiscale e monetaria: quindi, uscendo dall'euro e riportando la politica monetaria alle decisioni dei governi democratici, con la reintroduzione di controlli preventivi di legittimità, ovviamente rafforzati (ma erano stati aboliti).  

Problemi del tutto assenti dall'intero dibattito politico incentrato sula "casta" intesa come Parlamento. Cioè su un dettaglio che le norme costituzionali già ora consentirebbero di riportare in condizioni di democrazia fisiologica. Ma è l'enorme contorno "in nome dell'Europa" che si è sovrapposto alla Costituzione e che, senza una precisa identificazione del problema, risulta difficilissimo smontare.


Ad  ogni modo (tratto dal mitico post), questo è quello che hanno "montato" i sognatori dell'Europa:


a) si è deciso di introdurre la società di capitali come forma prevalente di gestione dei servizi pubblici, specie locali (ma non solo, e non solo servizi).

b) si è introdotta l'idea che ciò avrebbe evitato (non si sa perché) ulteriore corruzione, specialmente se si fosse sviluppato il partenariato pubblico-privato: il privato porterebbe, sempre, non si sa bene perché, un'esperienza “vincente” che avrebbe fatto abbassare i costi e le tariffe;

c) per agevolare la "efficienza", dando la colpa della corruzione (che in sé non è detto che sia legata alla inefficienza, in termini di rapidità decisionale, anzi) alla burocrazia, si sono aboliti i controlli preventivi di legittimità sugli atti principali che comportano una spesa (svolti dalla Corte dei conti, nonché dai co.re.co e dagli organi statali che la esercitavano sugli atti regionali). Così, costituzione di queste società, capitalizzazioni, scelte dei soci e metodi relativi, decisioni di spesa, tipo bandi di gara e susseguenti procedure, sono stati sottratti a controllo preventivo, proprio quando irrompeva la super-regolazione di derivazione UE in materia (regolazione a ondate, sempre più stratificata), cioè quando più forte si poneva l'esigenza di verificare il rispetto delle più complesse regole;

d) tale disciplina europea, anche se in crescente finalizzazione "apparente" alla logica concorrenziale, in realtà, ponendo una serie inestricabile e sempre più complicata di parametri, requisiti, standard, certificazioni legittimanti, forme associative tra imprese, si risolve in generale nel privilegiare le imprese più "grandi" e quelle che già godevano di rapporti pre-instaurati con la pubblica amministrazione (imprese spesso coincidenti tra loro);

e) si è privatizzato il sistema bancario, rigorosamente in nome dell'Europa e dello Stato-cattivo, ma al tempo stesso si è creata una componente fondamentale e spesso decisiva di controllo azionario-bancario mediante il sistema delle fondazioni, “influenzate” a loro volta, in intrecci solidali tra le fondazioni stesse, dagli enti pubblici territoriali mediante i soggetti amministratori da questi nominati; ciò, in aggiunta, senza alcun controllo sulle relative nomine, non solo preventivo, come s'è visto abolito, ma anche sul rispetto di labili parametri legali di individuazione dei "nominati" da parte della politica;

f) si è proceduto (tradendo le roboanti affermazioni iniziali post-tangentopoli) a rendere fortemente dipendenti dalla politica i dirigenti pubblici in posizione decidente della spesa pubblica, e ciò con incidenza, principalmente, a livello locale, per le spesa conseguente a scelte di pianificazione territoriale e di politica industriale, area decisionale che, a sua volta, conduce a costituzione di società, a scelta dei soci, ed all'aggiudicazione di un sistema di appalti proiettati su fronti crescenti di attività in precedenza pubbliche (dalla gestione delle ex aziende pubbliche di servizi, alla "esternalizzazione" di segmenti di attività amministrativa, affidata a "privati" come diretti erogatori di servizi “interni” alla p.a.: informatizzazione, contabilità e gestione del personale, servizi di pulizia ecc.);

g) si è, contemporaneamente, provveduto a amplificare, prima a livello legislativo, poi costituzionale, la sfera operativa e funzionale di regioni e enti locali, trasferendo ad essi il potere di spesa e di assunzione del personale relativo (il tutto sempre nella simultanea abolizione dei controlli preventivi di legittimità sugli atti corrispondenti).

«Il meccanismo è perfetto. Si vuole creare una società per gestire lo studio delle problematiche tecniche di certe opere pubbliche, a livello regionale o di grande comune; si trova il dirigente (politicamente scelto a ampissima discrezionalità) che ne approva lo schema tecnico, la giunta che lo delibera, i capitali forniti dalla banca vicina alla fondazione a sua volta "vicina" alla maggioranza che delibera...e induce nei tecnici pubblici dipendenti le scelte a valle, et voilà...

Avrò capitali, controlli limitatissimi (al massimo a posteriori e in termini di efficienza, ma sprovvisti di vera sanzione ostativa del disegno), libertà di aggiustare – spesso con trattative private determinate da urgenze divenute insindacabili, ovvero con bandi su misura- la scelta dei soci privati, dei destinatari degli appalti (dato che la società tenderà a calibrare studi di fattibilità e bandi sulle caratteristiche, politicamente e inevitabilmente "volute", del soggetto creato ad hoc tra imprese amiche e prestanome dei politici).


I politici saranno soci (azionisti), mediante prestanome o colleghi di secondo piano, o "tecnici" di area (senza selezione che non sia la vicinanza politica) dello stesso ente che forma la società. Soci espressione di grandi imprese diverranno anch'essi parte della compagine e sosterranno quella parte politica: se l'andamento della società è in deficit, gli stessi soci potranno liquidare a condizioni vantaggiose le loro partecipazioni, lasciando ai bilanci, incontrollati nelle forme pubbliche ormai abolite, di aggiustare valori e stime degli assets e delle prospettive di redditività.

I debiti contratti per capitalizzare e i deficit saranno ripianati, indirettamente o direttamente, prima o poi, dal centro (lo Stato), -sotto la pressione del ricatto sul "paventato collasso" dei servizi per anziani e infanzia-, da amministratori centrali parte della stessa cricca politica che controlla le nomine nella società, o a cui viene dato il potere di farne per partecipare alla spartizione, garantendosi comunque anche la continuità del credito effettuato dagli amici banchieri in cordata con le fondazioni bancarie (controllate dalla stessa politica locale e centrale).

Il meccanismo ha applicazioni multiple e variate. L'abilità sta proprio nella convergenza delle leggi verso questo obiettivo di sistema. La corruzione diviene un fatto conforme alle regole: solo gli sprovveduti e gli arroganti incorrono negli strali della magistratura.

I più abili giungono a controllare, tramite profitti da aggiudicazione di appalti e di servizi pubblici locali, vere e proprie holding. Solo la Corte dei conti ogni anno lamenta l'andazzo fallimentare per i soldi pubblici (strutture e finanziamenti immessi nel circuito, ripianamenti delle perdite) e per l'aumento delle tariffe. Intanto, decine di migliaia di consiglieri di amministrazione, direttori generali e figure varie costituiscono una classe paraprivata di gestori e fruitori di emolumenti e potere decisionale che si esprime in pilotaggi di appalti e assunzioni senza concorso nelle strutture di nuova creazione.

La rendita da monopolio "locale" e i patti di liquidazione, soddisfano gruppi privati "partner", e li legano sempre più alla complicità con le parti politiche autrici del disegno.

La commistione di forme private e pubbliche, la demenziale complicazione delle regole di scelta europee, consente una facciata impenetrabile di "regolarità" al tutto e le vecchie mazzette vanno in pensione, trasformandosi in decisioni di scambio di favori: il figlio del tizio-dirigente o assessore (in consonanza tra loro) viene assunto di qua, o fa carriera (magari universitaria ) di là, dato che magari un tizio ulteriore, che controlla le decisioni di carriera, è stato nominato nel cda della società stessa in quota "x".

Le holdings, al riparo dalla concorrenza sostanziale, e sotto l'egida della "aggiustata" concorrenza europea, prosperano e si rafforzano; le imprese tagliate fuori vanno sempre più in difficoltà, rimanendo in crescente difficoltà creditizia sia per...l'Europa (euro) sia perché non facenti parte del cerchio magico...delle linee di credito erogate dalle banche (con dentro le fondazioni). Le applicazioni, una volta consolidate le posizioni, sono infinite; soggetti di questo tipo, anche se le gare vengono rese formalmente più rigorose, hanno un vantaggio schiacciante in termini di requisiti di qualificazione e di standards di legittimazione professionale e finanziaria richiesti dai successivi bandi.»

Insomma, se da una parte politica si chiude un occhio su tutto questo, evitando di smontarlo e anzi votandolo quando si presenta in parlamento, dall'altra, si contraccambia lasciando all'altra parte, che so, una situazione di monopolio nel settore dell'informazione televisiva e non.


Fin qui quello che avevamo già detto: questo sistema, lo constatiamo, sta crollando sotto il peso della sua insostenibilità. Ma è un "crollo" delle persone che lo hanno finora incarnato, non dell'indirizzo politico generale sottostante: manca in tutte indistintamente le forze politiche, lo ripetiamo, la stessa enunciazione di introdurre una disciplina correttiva che agisca veramente sulle storture (che includono aspetti anche introdotti nello sciagurato nuovo Titolo V della Costituzione). Al più si prospettano ambigui pateracchi in nome della lotta a "casta-corruzione": cioè "cosmesi" da dare in pasto al "popolo" per tacitarne la protesta, ma senza eliminare la funzionalità essenziale del meccanismo.

E questa totale mancanza di "offerta politica" sulle vere cause della crisi si riflette anche su aspetti strutturali che, contrariamente a quanto afferma la comune, persistente, "vulgata" anti-Stato, richiederebbero, specialmente e proprio in caso di euro-exitinterventi legislativi ancora più importanti: il ruolo della banca centrale e l'assetto del mercato del lavoro.

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