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Grilli parlanti, spettri e burattini animati…

Una vicenda italiana

di EffeEmme

Le recenti elezioni italiane, precarie nei loro risultati, confuse nella loro determinazione, possono essere ricordate come quelle del “grillo parlante” e del “Pinocchio” tricolore. I due simpatici personaggi sono i protagonisti della arci-nota fiaba di Collodi. Il Grillo parlante, che nelle avventure di Collodi rappresenta la “voce della coscienza”, il daimon hillmaniano in grado di indicare le retta via al burattino immaturo, perennemente nei guai. E Pinocchio, il burattino animato; fondamentalmente buono, grossolano e facilone, un po’ bugiardo ma non cattivo; crede che il mondo sia semplice, immediato, reale; è, come tanti ragazzini, affetto da una ben nota patologia che spesso coarta gli spiriti giovani: l’immaturità. Per questo, nella fiaba, Collodi gli pone accanto un  'daimon', il 'demone' che ciascuno di noi riceve come compagno prima della nascita e che, secondo Hillmann, è il battistrada per un’esistenza etica. Pinocchio è, per certi versi, il picaro alla ricerca della verità, dell’Uno, dell’Assoluto, di ciò che solo lo può riconciliare con la pienezza dell’esistenza, per questo quella di Collodi può ben essere identificata come una parabola di formazione, una storia entro cui si dipanano le vicende esistenziali che conducono verso una maturità in cui tutti ci possiamo rispecchiare.   Pinocchio, al pari del popolo italiano (connotazione vaga, lo so), corre e si ficca nei guai andando inconsapevolmente dietro ad una fantasia inconscia, quella di una verità ultima che lo riconcili con il suo passato di burattino. Lacan, nel Seminario VII, ha chiarito come la nostra esperienza nel mondo, la rappresentazione che ce ne facciamo (Vorstellung), altro non è che la ri-presentazione sempre mancante della Cosa (Das Ding).

Il soggetto, al pari di Pinocchio, cerca la verità perduta dell’infanzia e trova un mondo; quest’ultimo, però, viene esperito come mancanza ed è per questo il movente di una ossessiva ricerca di la soluzione. A sua volta, questa, essendo sollecitata da una fantasticheria può essere concettualizzata nei termini di illuzione, una soluzione illusoria che non esiste; come i fantasmi di James anima una ricerca nostalgica che evita il mondo in favore di un qual-cosa che non c’è mai stato ma grazie al quale un mondo viene alla luce.

Lacan rimarca così un primato del simbolico che non è altro che l’incidenza del potere causativo della faglia, della mancanza, nella produzione di un mondo per il soggetto. Questo, in quanto soggettività, è il risultato di istanze individuali, collettive e istituzionali: «I fattori soggettivi hanno sempre svolto un ruolo rilevante nella storia»[1] . Le rivendicazioni sociali che muovono la storia sono, infatti, animate dai carichi affettivi e pulsionali delle diverse soggettività in relazione. «Tuttavia, i grandi movimenti di soggettivazione non si svolgono necessariamente in senso emancipatorio» [2] . Specie quando i processi entro i quali si coagulano le tensioni sociali trovano canali espressivi reattivi. Nietzsche ha chiarito in modo esaustivo come non esista un nichilismo ma diverse declinazioni di un fenomeno: reattivo, passivo o creativo. In tutti i casi le soggettività cercano di fare i conti con lo stato pre-depressivo conseguente l’implosione di una certa congiuntura, sociale o individuale. La variante sta nel tipo di risposta che in un caso si delinea come ripiegamento passivo; in un altro come difesa reattiva, quella del chihuahua che abbaia con intensità inversamente proporzionale alle sue dimensioni; infine, la soluzione creativa data dal riposizionamento del senso e dei valori: l’invenzione di nuovi Universi di referenza, per dirla con Guattari.

Non c’è dubbio che gli italiani, nella recente tornata elettorale, abbiano sancito un vincitore: il M5S. Questo è apparso a molti come il collettore più idoneo per un’indignazione che non ha trovato altri, forse più creativi, canali di sfogo. Oltre la metà degli italiani ha stabilito con quest’affermazione inedita il rifiuto delle illusorie politiche di austerità del governo transnazionale dei banchieri. Lo tsunami Grillo è riuscito a convogliare il dissenso di una generazione sacrificata sull’altare di un capitalismo che non riesce più a trovare valvole di sfogo alle quali far pagare il costo del plusvalore. Se Monti, con la sua agenda, si è fatto portavoce delle velleità più reazionarie di un governo transnazionale di banchieri e finanzieri che ritengono finito un certo modello sociale, Grillo & C., con il loro successo, hanno mostrato che in Italia l’austerity è rigettata.  E i mercati finanziari, seppur con circospezione, lasciano trasparire una paura che è quella di un sistema che vuole mantenere invariato lo stato di cose: l’Impero non è disposto ad accettare politiche di rottura come quelle di Grillo. Sì, perché il M5S una serie di proposte condivisibili (controllo del sistema bancario, tutela dell’ambiente, eliminazione dell’immunità parlamentare, riduzione del 70% degli emolumenti dei politici…) le ha pur prodotte; il problema è che il loro carattere è assolutamente vago, confuso, aleatorio: non vengono illustrate le  fasi necessarie per allocare le risorse in maniera tale da raggiungere gli obiettivi. Allora, il dubbio  che emerge è che questo sia solo un programma di rottura con il fine di sancire la differenza con tutti gli altri  abitanti della galassia "casta".

Che il programma di Grillo sia vago è accertabile analizzando uno qualsiasi dei settori nevralgici per lo stato, ad esempio le proposte relative all’universo scuola che, cosa nota, è stata oggetto di un processo di sistematica decostruzione che ne ha minato le fondamenta costituzionali. Il continuo prelievo di risorse, le classi pollaio, la mancata assistenza per gli alunni disabili, sempre più affidati all’opera benefattrice di insegnanti-infermieri, il blocco degli stipendi di docenti pagati quanto i netturbini (con tutto il rispetto per questi ultimi), un precariato che raggiunge l’età della pensione senza aver conosciuto il fatidico “contratto a tempo indeterminato”, strutture fatiscenti e, soprattutto, una continua opera di delegittimazione per l’azione educativa del personale scolastico hanno reso quasi proibitiva la missione didattica. Grillo, a questo sfacelo oppone la sua ricetta[3] :  più internet (il vero mantra grillino), abolizione della legge Gelmini, abolizione dei finanziamenti alla scuola privata, abolizione del valore legale del titolo di studio, valutazione degli insegnanti da parte degli studenti. Le illuzioni non affrontano, anzi non nominano neanche, nessuno dei problemi sul tappeto mostrando una visione superficiale che ben poco serve alla scuola e al governo del Paese. Provocazioni populiste senza alcuna valenza costruttiva, insomma: aria fritta. Ma è proprio quest'aria fritta a rappresentare il carburante di riferimento per tutti quei movimenti che fanno della postura, dell'immagine, della rappresentazione il loro "nocciolo" costitutivo.

L’ingovernabilità non è altro che la logica conseguenza di un progetto politico che mira ad accrescere il proprio serbatoio di voti utilizzando la clava dell’utopia in un momento in cui quest’ultima è particolarmente allettante. La crisi non è il nemico da combattere ma la situazione da sfruttare al fine di realizzare un consenso di massa. Ma scegliere di non governare significa congelare lo status quo posto in essere dal governo dei banchieri, proiettarne gli effetti sul medio-lungo periodo, potenziandone oltremodo le ricadute nefaste. Se Mario Draghi, ancora nel febbraio del 2012, si affannava a precisare che «il modello sociale europeo è un ricordo sbiadito»[4] e che era necessario deregolamentare il mondo del lavoro, abbassando i costi d’occupazione e i salari, decidere scientemente di non governare significa reificare lo stato di cose permettendo ad un’ulcera grave di generare in cancrena. In tale ottica il M5S, al di là delle dichiarazioni di intenti, serve soprattutto la causa dell’Impero. La guerra all’art. 18 dello statuto dei lavoratori, i tentativi di eliminare il precariato scolastico attraverso l’aumento delle ore in classe, il blocco degli stipendi e dei contratti pubblici, l’obbligo costituzionale del pareggio di bilancio, sono i sintomi di un processo di ampio respiro attraverso il quale si sta perpetrando la demolizione delle vestigia dello stato sociale così come eretto in due secoli di lotte sociali. Agire, disattivando il dissenso potenzialmente produttivo attraverso la retorica dell’utopia, in questo momento, rischia di far il gioco di chi ritiene la democrazia, rappresentativa o partecipativa, incompatibile con la governance mondiale del debito. In tale ottica il M5S rischia di imbrigliare il flusso deterritorializzante del dissenso creativo circuendolo e riducendolo alle istanze più elementari, banali e assolutamente inutili del “tanto peggio tanto meglio”. Un procedere reattivo che mima la rivoluzione ma implementa la reazione.


Badiou afferma che quest’epoca si caratterizza per essere sprovvista di mondo[5] , l’orizzonte capitalista si è ormai dispiegato nei termini della sostanza spinoziana: attributi e modi non sono che punti di vista, istanze, dell’unica realtà. Qualsiasi fare, qualsiasi  illuzione non intacca l’orizzonte entro il quale si dispiega. Il Pinocchio italiano, corre dietro la sua Das Ding, con barba e baffi, rincorre le sue rappresentazionie la promessa messianica di un’apertura definitiva dei cieli con il conseguente instaurarsi di una basileia [6] ordinata secondo il principio trascendente del Bene (internet, ecosofie, lotta alla casta). Pinocchio, come tanti in Italia, corre dietro ad una fantasia: quella manichea di una possibile soluzione definitiva al problema del capitalismo attraverso illuzioni pensate più per congelare lo stato di cose che per cambiarle; di fatto si rinviano ad un domani escatologico i micro-interventi necessari per modificare le diverse contingenze biopolitiche: scuola, sanità, precariato e mondo del lavoro in primis.

Grillo, novello guru di una web-decrescita, molto banalmente, funge da significante padrone; al pari del celeberrimo Grillo parlante, il daimon della Casaleggio & C., sgrida, ordina, dirige, impersonando la voce della coscienza che cerca di orientare Pinocchio verso la “salvezza”; rappresenta la soluzione all’annoso dilemma di doversi far carico del proprio destino. Lacan ci ha ammonito sul fatto che la nostra vita è orientata da una fantasia fondamentale che in ultima istanza tende verso la pulsione di morte. Solo la presa in carico, con il conseguente attraversamento dello spettro, permette al soggetto di orientare eticamente il proprio desiderio. Il grillo parlante, in quest’ottica, non è la soluzione ma il sinthome di un incistamento della fantasia fondamentale.  E’ la deriva di un’impossibilità fattasi cancro che prova ad ergere il proprio fantasma a guida, a pilota automatico. E’ il tentativo di rintracciare nell’Unto le qualità ideali in grado di orientare la ricerca di Das Ding; è la fantasia primordiale legata alla madre che soddisfa le istanze dell’infante. Ma, come dicevamo, questa è una illuzione che non può che nutrire spettri. L’alternativa è la presa di coscienza relativa alla mancanza di soluzioni a buon mercato; quindi, la martellata al grillo parlante che pone fine alle direttive superegoiche dietro le quali si anima il godimento ossessivo di un elettorato che si affanna per evitare, una volta di più, il confronto con la delusione della realtà.



[1] Cfr. F.Guattari, Caosmosi, Costa & Nolan, Genova 2007, pp. 19-20.
[2] Ibidem.
[3] Cfr Girolamo De Michele, La scuola del M5S all’indirizzo: http://www.carmillaonline.com/archives/2013/03/004653.html#004653
[4] Cfr, F.Raparelli, Rivolta o barbarie. La democrazia del 99 per cento contro i signori della moneta, Ponte alle Grazie, Firenze 2012, p. 29.
[5] Cfr. A.Badiou, Logiques des mondes, Seuil, Paris 2006, pp. 442-445.

[6] Cfr. H.Merklein, La signoria di Dio nell'annuncio di Gesù, Paideia, Brescia 1994.

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