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Una polemica con i Wu Ming

di Sergio Sinigaglia

In questi giorni si stanno inevitabilmente spendendo fiumi di parole dopo il voto del 24/25 febbraio. In particolare, sotto la lente di ingrandimento c’è  il risultato eccezionale del M5S. L’altra sera una cara amica legata alla vecchia militanza degli anni settanta mi ha detto: “Per la prima volta in vita mia ho vinto le elezioni, e ti devo confessare che sono molto felice”. Naturalmente alludeva alla sua scelta di votare 5 Stelle.

Tra le tanti analisi che si possono leggere sui giornali e internet ci sono quelle dei Wu Ming, espressione di una componente importante della sinistra sociale. In queste riflessioni il movimento grillino viene definito “criptofascista” (vedi l’intervista sulla Repubblica), si sottolinea come ampi settori dell’elettorato di centrodestra abbiano votato per M5S, e si fanno le pulci al movimento con dovizia di particolari. Bene, ritengo tutto questo molto reticente e, per certi, aspetti un po’ insopportabile.

E’ superfluo da parte mia evidenziare la scarsa simpatia nei confronti del duo Casaleggio-Grillo. In particolare la sottomissione, seppur sotto la veste di “garante”, da parte degli aderenti ai 5Stelle di fronte all’ex comico è sconcertante. Il tutto sembra coincidere pienamente con il ventennio berlusconiano. Un virus che in questi anni ha contagiato ampiamente la stessa sinistra radicale, oggi felicemente e direi finalmente defunta.

Ma torniamo ai grillini e ai giudizi liquidatori. E’ sicuramente vera l’ambiguità dei 5 Stelle su certe tematiche, come l’immigrazione. Così come sul piano sociale c’è una certa confusione, se si pensa alla rivendicazione del cosiddetto “reddito di cittadinanza”.

In una intervista su Italia Oggi l’amico Mauro Gallegati, professore universitario di Ancona, consulente di Grillo per quanto riguarda le tematiche economiche, ha in parte fatto chiarezza, descrivendo il presunto reddito di cittadinanza, in realtà, come un serio sussidio di disoccupazione, un salario sociale.

Ma, fatte queste considerazioni (e altre se ne potrebbero proporre), le critiche alla Wu Ming fanno pensare alla famosa favola della volpe e l’uva. L’impressione è di una certa invidia di fronte a chi è riuscito dove nel recente passato i movimenti ( e la sinistretta radicale) hanno fallito. Cioè riuscire a catturare il forte consenso di una parte dell’opinione pubblica nazionale nei riguardi della rabbia sociale nei confronti delle politiche liberiste. Un consenso che ora ha sfondato  sul piano elettorale.

Tralascio le considerazioni, che Pierluigi Sullo ha proposto anche dopo le elezioni su questo sito, se abbia  senso misurarsi sul piano del “governo nazionale”. In buona parte le condivido, ma non è questo il punto. Con tutto il rispetto che ho nei confronti dei Wu Ming e di altre componenti del “movimento”, oltre all’invidia nelle loro riflessioni mi sembra emergere, come dicevo, una certa reticenza. Sarebbe il caso infatti di chiedersi perché la rabbia sociale abbia oggi trovato nei 5 Stelle un punto di riferimento. Certamente l’effetto “personaggio famoso” ha avuto un peso enorme, ma non è una spiegazione sufficiente. Affermare che “i movimenti sono scomparsi” (come faceva anche Marco Imarisio qualche giorno fa sul Corriere della Sera) non penso sia una valutazione azzeccata.

Dopo il 2005 su Carta, il settimanale, scrivemmo che c’era un riposizionamento delle dinamiche sociali generali sui territori. Del resto, la conflittualità sociale ha sempre mostrato un andamento ciclico. Dopo alcuni anni di “onda lunga” arriva non il riflusso ma un ritorno alle dinamiche locali. La stessa sconfitta del lungo ’68 italiano non produsse solo clandestinità ed eroina. Non è un caso che proprio nella prima parte degli anni ottanta iniziò a svilupparsi il movimento ecologista. E, dopo il quinquennio 2000/2005, il conflitto ha avuto un’articolazione territoriale testimoniata dai tanti “cortili di casa nostra”. Le tante vertenze locali non hanno prodotto, di nuovo, un momento stabile generale, ma da qui sancire la scomparsa dei movimenti ce ne corre.

Se parlo di reticenza è piuttosto perché onestà politica e intellettuale vorrebbero che lo sguardo si posasse sui limiti e le miserie delle componenti organizzate presenti nei movimenti. Se a Genova avevamo stipulato un patto per cui si mettevano le proprie strutture (piccole o grandi che fossero) al servizio del movimento, quel patto di condivisione si è velocemente perso per rifluire spesso in dinamiche che, a chi come me ha qualche anno di troppo, hanno ricordato gli aspetti più tristi degli anni settanta.

Basta pensare a cosa sono stati certi social forum, in particolare nelle città più grandi. Per non parlare di una manifestazione enorme come quella del 15 ottobre 2011,  brutalmente mandata al massacro per un contrasto che aveva come posta il grado di “antagonismo” (presunto) da esibire. Tanto per intenderci, arrivato a Roma e appena sceso dal pullman, un compagno mi disse: “Non siamo riusciti a trovare un accordo, può succedere di tutto …”.

E allora di cosa stiamo parlando? Qui non si tratta della “sinistra” compromessa con il liberismo (cosa ovviamente vera), non si tratta dell’ambiguità dei grillini, né della demagogia da baraccone di Grillo (altrettanto veri). Dovremmo fare uno sforzo e ripensare agli errori che sono stati commessi e capire che, a volte, la logica di apparato non sta solo dentro i partiti ma anche tra noi.

Infine, qualche parola sul consenso di un’ampia fetta dell’elettorato di centrodestra nei confronti dei 5 Stelle e sul principio “né di destra né di sinistra”. Vorrei ricordare che a Genova, nel 2001, uno degli slogan era “Voi G8 noi sei miliardi”. Penso sia superfluo evidenziare come si volesse sottolineare che gran parte dell’umanità subiva (e subisce) le conseguenze delle scellerate politiche globali da parte dei  potentati globali. In buona parte di quei sei miliardi (oggi quasi sette) c’era e c’è di tutto. Anche persone di destra. Anche persone che sono distanti mille miglia dal nostro modo di pensare. Eppure sono queste le persone che dobbiamo “convincere” e coinvolgere. Chi ha vissuto l’esperienza dei comitati territoriali  ambientalisti ha verificato come si tratta di ambiti dove ci si può trovare a fianco di uomini e donne distanti dai nostri convincimenti. Con punti di vista sgradevoli. Eppure è anche grazie a questa “contaminazione” che è possibile poi su temi difficili come quelli dell’immigrazione e della devianza sociale provare a cambiare le posizioni spesso becere della gran parte dell’opinione pubblica (anche di sinistra).

E sul né/né proclamato dai grillini e dai loro “garanti” anch’io, venendo da una stagione politica in cui schierarsi era d’obbligo, provo disagio e non condivido. Ma come si fa a non tenere conto che in nome della sinistra sia nel mondo che a casa nostra si sono fatte nefandezze inqualificabili?  Già agli inizi degli anni ottanta ricordo un convegno sul “Concetto di sinistra” perché sin da allora iniziava a farsi strada la consapevolezza di quanto fosse inadeguato utilizzare certi schemi.

In definitiva, forse dovremmo guardare a ciò che sta accadendo con umiltà e senso autocritico. Nella consapevolezza, comunque, che per la prima volta, forse, l’assetto politico tradizionale sta crollando. Non siamo stati “noi” a provocare il terremoto, ma possiamo sempre provare a stare dentro il cambiamento. Senza presunzione e ricette facili. Per ascoltare, capire e imparare. Non è sempre il tempo di pontificare.

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