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marx xxi

Voto di classe e sopravvalutazione del voto utile nelle ultime elezioni

Domenico Moro

1. Crisi della forma bipolare del sistema politico

Qui di seguito cercheremo di evidenziare le principali risultanze delle ultime elezioni per il rinnovo del Parlamento, che testimoniano di importanti novità politiche, a loro volta frutto di modificazioni nella struttura socio-economica del nostro Paese. Soprattutto, cercheremo di evidenziare come il <<voto utile>> abbia avuto un peso marginale e come si affermi la tendenza dei salariati ad indirizzarsi al di fuori della sinistra e verso l’M5S e l’astensione.

Il primo dato è costituito dalla crisi del bipolarismo, ovvero della modalità di governo che le élites capitalistiche sono riuscite ad imporre all’Italia dagli inizi degli anni ’90, sul modello anglosassone. In realtà in Italia, come in molti altri Paesi, l’affermazione del bipolarismo è stato frutto più di sistemi elettorali creati ad hoc (maggioritario, quote di sbarramento, elezione diretta di sindaci e presidenti di regioni, eccetera), che di uno spontaneo raggruppamento dell’elettorato in due poli. Ne è la prova l’alto tasso di astensionismo che caratterizza da sempre i sistemi maggiormente bipolari, come gli Usa, e l’emergere in tutta Europa, dinanzi alla crisi, di terze e quarte forze di varia coloritura politica.

Come possiamo vedere nel Graf.1, le elezioni del 2013, rispetto a quelle del 2008, hanno registrato un vero tracollo delle due principali coalizioni, di centrodestra e centrosinistra. Il centrosinistra ha perso circa 3,64 milioni di voti, pari al -26,6%. Il centrodestra ha perso addirittura oltre 7 milioni di voti, pari al -41,9%. Al sistema a due poli si è sostituito, almeno per il momento, un sistema a tre poli o a tre poli e mezzo.

Il Movimento5stelle è di fatto un terzo polo di dimensioni pressoché identiche ai due poli tradizionali. Riguardo al polo montiano il discorso è più complesso. Da una parte, Monti non ha sfondato e ha ottenuto un risultato ben al di sotto delle aspettative. Dall’altra, se lo confrontiamo con il vecchio centro di Casini, ha registrato un incremento del +75%, raccogliendo oltre 1,5 milioni di voti in più.



Uno degli aspetti più interessanti è l’alto incremento delle astensioni di 2,3 milioni, pari al +24%, come se alle ultime elezioni si fosse astenuta una città di poco meno delle dimensioni di Roma. Si tratta di un segno importante di sfaldamento del sistema politico, evidentemente da collegarsi al disfacimento del bipolarismo.

Come possiamo vedere dal Graf. 2, in cui mettiamo a confronto con il 2013 anche le elezioni del 2006, la crisi del bipolarismo si nutre della crisi dei partiti tradizionali, che perdono, in proporzione, più voti delle coalizioni. Infatti, il Pd, che è grosso modo stabile tra 2006 e 2008, nel 2013 perde quasi 3,5 milioni di voti, pari al -28,5%. Il Pdl, che tra 2006 e 2008 cresceva di quasi 4,6 milioni di voti (anche perché inglobava An), nel 2013 tracolla, perdendo 6,3 milioni di voti, pari al -46,2%. Una enormità, che mette in una prospettiva diversa e più corretta la tanto decantata rimonta di Berlusconi, evidentemente favorito più da altri fattori esterni (i limiti del Pd e il contesto europeo e della crisi) che dalla sua effettiva capacità di recupero.



Particolarmente interessante è vedere l’andamento del voto alla sinistra (Prc, PdCI e Verdi). Questa prosegue inarrestabilmente la sua tendenza al calo di consensi, anche se il crollo maggiore, come si vede chiaramente dal grafico, si colloca tra 2006 e 2008, cioè successivamente alla partecipazione al governo Prodi II. Infatti, tra 2006 e 2008 si registra una flessione del -71% dei voti, mentre tra 2008 e 2013 la flessione è del -31%. Pure impressionante è l’andamento delle astensioni che, in tre turni elettorali, aumentano di 4 milioni, pari al + 50,6%. Potremmo dire che il primo partito, nonché la prima coalizione, in Italia è di chi non partecipa al voto.


2. Schiacciante prevalenza del voto di protesta sul voto utile e voto dal Pd a Rc

Non pochi a sinistra hanno attribuito e continuano ad attribuire al <<voto utile>> una grossa responsabilità nel cattivo risultato di Rivoluzione Civile (e prima ancora di quello dell’Arcobaleno) nel fallimento della sinistra nel suo tentativo di rientrare in Parlamento.

In effetti, il sistema elettorale è studiato in modo da favorire la formazione di coalizioni e mettere in difficoltà chi non riesce o non vuole coalizzarsi. Tuttavia, l’importanza del voto utile nei fatti si dimostra quantomeno esagerata. Già nel 2008, quando Veltroni, con la fondazione del Pd, aveva puntato molto sull’effetto del voto utile, la quota di voti fluiti dai partiti dell’Arcobaleno ( Prc, PdCI e Verdi) verso il Pd era stata inferiore a quella andata al voto di protesta (astensionismo e voto a formazioni fuori dalle coalizioni). Secondo una analisi condotta dall’istituto Piepoli, e confermata da successive inchieste, dei voti della sinistra del 2006 andarono al Pd nel 2008 circa 1 milione di voti e 140mila all’Idv, mentre all’astensionismo andarono 900mila voti e 376mila voti a Pcl e Sinistra critica. Dunque il voto di protesta prevalse sul voto utile, sebbene non di molto1.

Alle elezioni del 2013, secondo le elaborazioni di due importanti istituti di ricerca politica, l’Ispos e il Cise dell’Università Luiss, confermati anche dall’Istituto Tagliacarne con studi parziali, il voto utile ha avuto una importanza ancora minore e, alla fine, marginale.



Come possiamo osservare nel Graf. 3, il flusso dei voti all’Arcobaleno nel 2008 verso il voto di protesta nel 2013 è pari al 52%, di cui il 21% alle astensioni e il 31% al Movimento5stelle. Invece, il voto utile, se condideriamo voto utile anche il voto a Sel, ammonta al 30%. Quindi, molto inferiore al voto di protesta. Ma, a mio parere, quello a Sel non è un voto utile <<puro>>, in quanto Sel eredita una parte del voto del Prc, essendone una scissione. È lecito pensare che parte dell’elettorato del Prc segua quella parte del gruppo dirigente del partito che si è separato dopo l’ultimo congresso, al di là dell’effetto del voto utile. Il vero voto utile è da considerarsi, più correttamente, quello dato al Pd. E questo è pari a solo il 16%, ovvero a una piccola parte del voto perso tra 2008 e 2013.

C’è, però, una ulteriore considerazione da fare (Tab. 1). In realtà, la sinistra non si limita a cedere voti al Pd. La cosa interessante è che, secondo l’Ipsos, prende anche voti al Pd del 2008. I voti che vanno dal Pd a Rivoluzione Civile, pur essendo di appena l’1% sul totale dei voti Pd del 2008, ammonta a 121mila voti, mentre i voti che dall’Arcobaleno vanno al Pd sono pari a 180mila voti. Quindi, al netto i partiti di sinistra che sostenevano Rc (Prc, PdCI e Verdi) hanno perso meno di 60mila voti.

Se consideriamo anche l’Idv, abbiamo delle conferme alle tendenze più importanti. L’Idv di fatto alle elezioni del 2013 si disintegra, probabilmente a causa dell’effetto comobinato del suo essere un partito <<personale>> e dello scandalo sui rimborsi che ha coinvolto di Pietro e che impatta maggiormente sul suo elettoralo, molto sensibile alla tematica. Tra gli elettori 2008 dell’Idv il voto di protesta è più alto ancora che nell’Arcobaleno, arrivando al 58%, quello a Sel è solo del 5%, e quello al Pd è del 20%, circa un terzo del voto di protesta.

In sintesi, se applichiamo le percentuali dell’Ipos ai voti assoluti del 2006 e se consideriamo i flussi da Arcobaleno e Idv al Pd, al netto dei voti dal Pd a Rivoluzione Civile, il voto utile ammonta a circa 378mila voti, mentre il voto di protesta è quattro volte tanto, superando il milione e mezzo di voti, di cui 859mila voti a M5S e 650mila voti all’astensionismo. Comunque, anche se comprendessimo nel voto utile anche il voto andato a Sel, a mio parere in modo non corretto, il voto di protesta sarebbe di due volte e mezza superiore al voto utile.



Per chi avesse dei dubbi sui risultati dell’Ipsos abbiamo preso in esame anche i risultati di un altro importante cetro di ricerche, il Cise della Luiss, che ha analizzato il voto in tre delle più importanti città italiane, Roma, Torino e Palermo.

I risultati di Roma sono particolarmente interessanti non solo perché è la più popolosa città italiana e in genere le sue caratteristiche socio-culturali fanno sì che i suoi risultati elettorali spesso rappresentino la <<media>> del Paese, ma anche perché il Cise ci dice non solo i flussi in uscita tra 2008 e 2013 ma anche la composizione del voto a Rivoluzione Civile, il che ci da una idea del peso effettivo dei flussi in entrata2.

Nel Graf. 4, le tendenze nazionali, descritte dall’Ipsos, sono largamente confermate. Infatti, il flusso del voto di protesta, a Roma, ha un peso ancora maggiore, ammontando al 66% del voto dell’Arcobaleno, di cui il 37% al non voto e il 29% all’M5S. Alla coalizione di centrosinistra (in questo caso il dato di Sel e Pd non è scorporato) va appena il 17% del voto del 2008.

Ma la cosa più <<inaspettata>> è che, come si vede nel Graf. 5, se noi andiamo a vedere da dove vengono i voti di Rc del 2013 a Roma, la quota, come singolo partito, di gran lunga maggiore, ben il 34%, viene da chi votò Pd nel 2008, mentre la quota che viene da Arcobaleno e Idv insieme è di poco superiore (36%). Appena il 17% viene da Idv e il 19% dall’Arcobaleno. In sostanza, a Roma il voto utile ha funzionato sì, ma alla rovescia, penalizzando il Pd.



Sempre secondo il Cise, la situazione in altre città è simile a quella di Roma, sebbene con qualche differenza. A Torino, del voto dell’Arcobaleno 2008 alla coalizione di centrosinistra è andato il 30%, ma al M5S il 47%. A compensazione, però, il 3% del voto del Pd del 2008 è andato a Rivoluzione Civile.

A Palermo la situazione è ancora più simile a quella di Roma. Al voto di protesta è andato il 54% del voto dell’Arcobaleno del 2008, di cui il 48% a M5S e il 6% all’astensionismo. Alla coalizione di centrosinistra è andato il 22% del voto del 2008, ma a Rivoluzione civile è andato ben il 6% di quello del Pd 3 . Si tratta di un flusso in entrata che compensa quello in uscita, perché è ovvio che, se un partito è in termini di voti assoluti è dieci volte un altro, il suo 1% equivale, in voti assoluti, al 10% dell’altro.



Dunque, non solo i flussi in uscita dalla sinistra verso il voto utile (anche comprendendo insieme Pd e Sel) sono largamente inferiori a quelli verso il voto di protesta, ma il flusso di voti provenienti dal Pd compensa, o compensa in proporzione non piccola, a seconda dei casi, il flusso in uscita verso il Pd. Significativo è, inoltre, che i partiti che perdono di più verso l’M5S sono l’Idv (32%) e l’Arcobaleno (31%), seguiti dalla Lega (24%), dal Pdl (16%) e dal Pd (14%). Mentre i partiti che perdono verso l’astensionismo sono l’Idv (23%), seguito da Udc (23%), Lega Nord (22%), Arcobaleno (21%), Pdl (18%) e Pd (14%)4. Dunque, è l’elettorato di sinistra <<radicale>> ad essere più sensibile verso il voto di protesta (astensionismo e M5S).


3. La classe lavoratrice non vota la sinistra (e non da oggi)


In altre occassione abbiamo affrontato la tematica del voto di classe precedentemente alle ultime elezioni5. Ripartiamo, comunque, brevemente dalle variazioni tra 2006 e 2008.

Come vediamo nel Graf. 6, a perdere di più tra le due tornate elettorali 2006-2008 è proprio la sinistra, che si riduce ai due quindi del voto dei lavoratori dipendenti, passando dal 13,7% dei dipendenti totali ad appena il 5,4%. La sinistra è superata persino dall’Udc che, pure calando dall’8,7%, raccoglie il 6,3%. Pd e Idv perdono molto poco, appena l’1,4%, passando dal 38,3% al 36,9%. A guadagnare ben oltre dieci punti sono Pdl e Lega, che passano dal 34,2% al 45,8%. Un’altra ricerca ci fornisce le stime riguardanti separatamente i dipendenti pubblici da quelli privati. Innanzi tutto, c’è da notare una certa differenza nel comportamento elettorale tra i dipendenti privati, tra i quali è compresa la classe operaia tradizionale, e i dipendenti pubblici. Tra i dipendenti pubblici solo la Sinistra Arcobaleno perde, passando dal 13,1% al 5,4%. Tutti gli altri partiti guadagnano, in particolare il Pdl che incrementa di dieci punti (dal 17% al 27%), il Pd di quasi 8 punti (dal 20,8% al 28,1%) e la Lega (dall’1,7% al 3,5%).

Tra i dipendenti privati, solo la Lega guadagna consensi, passando dal 6,1% al 9,5% del totale della categoria. Il Pdl rimane stabile. Il Pd perde, ma di poco, passando dal 29,6% al 27,9%. Chi perde (e di molto) è la sinistra Acobaleno, che tracolla dal 10,4% del 2006 all’1,5% del 2008. Questo dato combacia sia con i dati sull’astensionismo che vedono il fenomeno aumentare fra i lavoratori privati (dal 22,1% al 31,3%) e diminuire tra quelli pubblici (dal 37,7% al 25,2%)6 sia con quello che dicevamo sopra riguardo all’importanza del flusso verso l’astensionismo dei voti (900mila) della sinistra tra 2006 e 2008.






In effetti, la Sinistra Arcobaleno perde più terreno proprio tra i dipendenti privati, che comprendono la classe operaia e i lavoratori esecutivi e che dovrebbero essere il suo primario referente politico. Tra i dipendenti pubblici la presenza dell’Arcobaleno si riduce a meno della metà, mentre tra i dipendenti privati si riduce addirittura a meno di un sesto di quella che era nel 2006. Se consideriamo che complessivamente i suoi voti si riducono di un terzo abbiamo l’immagine chiara del fallimento politico dell’Arcobaleno, dal punto di vista della rappresentatività di classe.



Passiamo al voto di classe nel 2013 (Graf. 8). Contrariamente a certa vulgata, il lavoro dipendente non privilegia il Pd, malgrado l’appoggio della maggioranza della CGIL. Sia tra i dipendenti privati che tra i pubblici il partito principale è l’M5S. Addirittura tra gli operai il distacco tra M5S e Pd è a prova di errore statistico, 29% (sul totale dei votanti della categoria) all’M5S e solo il 20% al Pd, che è superato anche dal Pdl con il 24%. Un risultato significativo di quanto il Pd sia ormai completamente un’altra cosa dal Pci, fino alla fine partito largamente maggioritario tra gli operai. Anche tra impiegati e insegnanti, la categoria che lo ha sempre preferito, il Pd questa volta, con il 25%, è superato dall’M5S, con il 31%. Non parliamo poi dei disoccupati, tra i quali la preponderanza dell’M5S è notevole, con il 33%, contro un misero 18% del Pd superato addirittura dal Pdl con il 25%. Evidentemente i cittadini che sono più in difficoltà e i più giovani (che hanno un altissimo tasso di disoccupazione o aspettative di impiego molto basse) sperano poco nel Pd. Come del resto, dimostrano anche gli studenti, fra i quali il 37% vota l’M5S e solo il 23% il Pd. La categoria dove il distacco tra M5S e Pd è meno ampio è quella degli imprenditori/dirigenti: 25% al primo contro 23% al secondo.

Il Pd è primo solo tra i pensionati, anzi solo la larghissima preferenza dei pensionati (37%), molto numerosi numericamente data la struttura demografica italiana, gli ha consentito di limitare le perdite assolute. Il Pdl viceversa predomina solo fra le casalinghe (29%). Se ne ricava che la parte più attiva (nel lavoro) e quella più giovane del Paese, cioè il presente e soprattutto il futuro dell’Italia, hanno voltato le spalle ai partiti tradizionali ed in particolare al Pd.


4. Breve conclusione


Il dato saliente che emerge è lo scollamento tra il lavoro salariato (in particolare i giovani e i disoccupati) e il sistema politico. L’enorme incremento dell’astensionismo e del voto ad una formazione che si pone al di fuori dei partiti tradizionali dimostra come la marginalità sociale e la marginalità rispetto al mercato del lavoro produca una marginalizzazione, più o meno accentuata, dal sistema politico. L’aumento della disoccupazione, della povertà, di una riserva di lavoratori che hanno un rapporto discontinuo con il lavoro (esercito industriale di riserva), e il calo del salario reale hanno un rapporto diretto con quanto avvenuto. Oggi, la prima forza politica in Italia è l’astensionismo.

Allo stesso modo ha un rapporto con quanto avvenuto il giudizio verso il governo Monti e verso le politiche di austerity che sono state imposte dalla Commissione europea e dalla Bce, e che hanno incrementato disoccupazione e impoverimento. Le elezioni del 2013 rappresentano una bocciatura clamorosa del governo Monti e soprattutto del Pd, che, come avevamo previsto più di un anno fa7, ha pagato più di altri l’internità alla maggioranza che ha sostenuto Monti.

Sempre come previsto, la decisione di Napolitano e di Bersani di non andare al voto dopo il novembre 2011, ha permesso a Berlusconi di superare il momento di crisi peggiore. Berlusconi, nonostante il declino che continua a subire (ne è prova la perdita di 6,3 milioni di voti come Pdl e di 7 milioni come coalizione), è riuscito a recuperare, sebbene in modo molto parziale. Questo recupero, oltre che alla mancanza di una qualunque volontà di Bersani e del Pd di sganciarsi dalle politiche europee, è stato dovuto alla denuncia da parte di Berlusconi, per quanto demagogica ed ipocrita essa sia stata, nei confronti dei diktat tedescoeuropei. Anche Grillo deve buona parte della sua notevole performance al suo <<euroscetticismo>>, tanto che Goldman Sachs, dopo una prima dichiarazione, scambiata da alcuni per una sorta di legittimazione, ha affermato che il vero pericolo per l’Europa e l’euro non è Cipro ma l’ascesa di Grillo in Italia8.

Di fatto, il risultato di queste elezioni è una bocciatura di Monti e soprattutto delle politiche europee. A perdere, almeno per il momento, è Confindustria e il capitale finanziario internazionale. Significative le prese di posizione di The Economist, autorevole voce del capitale finanziario internazionale e organo semiufficiale del Gruppo Bilderberg, da cui provengono Monti e Letta. Il settimanale britannico nell’editoriale del 16 febbraio scriveva: “Un governo guidato da Bersani e Monti sarebbe un buon risultato per l’Italia. Avrebbe la fiducia dei mercati finanziari e delle istituzioni internazionali, la cui approvazione è necessaria affinché il paese stia a galla.” Dopo la sconfitta dei suoi candidati (2 marzo), uno sconsolato The economist pubblicava una copertina in cui il titolo “Nelle mani dei clown” sovrastava l’immagine di Grillo e Berlusconi e nell’editoriale scriveva: “Questo risultato è un disastro per l’Italia e l’Europa. Circa due terzi degli italiani hanno rigettato non solo le misure di austerity imposte dalla Germania, ma anche l’intera agenda di riforme…maggiore liberalizzazione del mercato del lavoro e riforma del welfare.”

Per la sinistra la conclusione più importante da trarre, sulla base di quanto abbiamo evidenziato, è che continuare a parlare di voto utile per rispolverare la possibilità di una alleanza con il Pd (o con pezzi di esso) vuol dire semplicemente tapparsi gli occhi davanti alla realtà. La sinistra, con Rivoluzione Civile, ha ottenuto un risultato pessimo, fallendo il rientro nel Parlamento, non perché non si è alleata con il Pd, ma perché non è stata capace di operare in modo da essere percepita come una forza di alternativa reale e credibile. I dati sulla larghissima prevalenza dei flussi dall’Arcobaleno all’astensionismo e a Grillo su quelli verso il voto utile lo dimostrano inequivocabilmente. È inutile andare a rincorrere il voto utile quando è il voto al Pd o alla coalizione di centrosinistra (che perdono rispettivamente 3,5 e 3,6 milioni di voti) ad essere considerato inutile dai lavoratori in generale, in particolare dal nostro elettorato e da quelli che, per ragioni culturali e sociali, sono il nostro referente sociale.

Il nostro compito deve essere quello di elaborare una proposta di alternativa e soprattutto di assecondare tale proposta con un comportamento politico credibile e coerente, in modo da recuperare il voto andato all’astensionismo e all’M5S. Ciò significa che la sinistra anticapitalista e i comunisti devono ridefinire un loro profilo, che sia chiaro e non ondivago, e che esprima una alternativa alle politiche europee e al capitale finanziario. Il che di conseguenza comporta porsi come alternativi anche nei confronti del Pd, che di quelle politiche si è fatto esecutore durante il governo Monti e che non appare intenzionato ad abbandonare, preoccupato più di apparire affidabile ai centri di potere economico che della decadenza del Paese e del peggioramento delle condizioni dei suoi cittadini.

La situazione economica e sociale italiana ed europea è cambiata drasticamente e sta cambiando ancora ed in peggio. Non è più possibile cincischiare con formule basate su alleanze elettorali o di governo che, fra l’altro, neanche in tempi meno cupi hanno portato a buoni risultati. Lo spazio politico a sinistra dei partiti tradizionali e del Pd è ampio. Sta a noi occuparlo e contenderlo alle altre forze politiche, a partire dall’M5S.

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1 Domenico Moro, Un risultato elettorale maggioritario, aprile 2008. http://www.sinistrainrete.info/politicaitaliana/211-un-risultato-elettorale-qmaggioritarioq.html

2 Matteo Cataldi e Aldo Paparo, Le elezioni a Roma attraverso i flussi elettorali, Cise-Luiss.
http://cise.luiss.it/cise/2013/03/06/le-elezioni-a-roma-attraverso-lanalisi-dei-flussi/

3 Roberto d’Alimonte e Lorenzo de Sio, Grillo prende voti da tutti i partiti, <<Il sole24ore>>, 27 febbraio 2013.

4 Luca Comodo, Dal Pd voto “last minute” per Grillo, <<Il Sole24ore>>, 10 marzo 2013.

5 Domenico Moro, Il voto di classe secondo le analisi sociologiche, <<Marxventuno>>, n.1 2013.
http://www.marx21.it/italia/quadro-politico/7963-il-voto-di-classe-in-italia-secondo-le-indagini-sociologiche.html

6 Elezioni politiche 2008. Il voto del lavoro dipendente e dei pensionati. Quaderni, 16 -supplemento al n.1/2008 di Quale stato.

7 Domenico Moro, Monti e le pericolose implicazioni dello stato d’emergenza, <<Marx XXI>>. Novembre 2011.
http://www.marx21.it/italia/quadro-politico/372-monti-e-le-pericolose-implicazioni-dello-qstato-demergenzaq.html

8 http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/03/29/goldman-sachs-ci-ripensa-ascesa-di-grillo-e-problema-numero-1-per lue/546068/
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