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M5S: una lezione salutare?

Leonardo Mazzei

Cosa ci dicono le elezioni amministrative di domenica

Non perdiamoci in troppi fronzoli: pur con tutte le attenuanti del caso il M5S ha registrato un clamoroso flop. E' questo il dato principale del voto amministrativo di domenica scorsa. Gli altri elementi da considerare sono invece rappresentati dall'evidente insuccesso della destra (Pdl e Lega), dall'insperato recupero del centrosinistra (Pd in primis), da un astensionismo montante che promette vette stratosferiche ai ballottaggi.

Partiamo da questi ultimi aspetti, prima di concentrarci sulle ragioni della sconfitta del movimento di Grillo che è la questione che più ci interessa.

La fortissima crescita dell'astensionismo è spiegabile, a mio avviso, con tre ragioni: la prima consiste nel fatto che i temi amministrativi riscuotono oggi assai meno interesse che nel passato, dato il prevalere dell'attenzione sui temi politici ed in particolare sulle grandi questioni della politica economica, nazionale ed europea.

La seconda ragione, che rafforza evidentemente la prima, risiede nella penosa condizione delle amministrazioni locali, le cui scelte sempre più dipendono dai vincoli nazionali ed europei (Patto di stabilità interno, tagli alla spesa, eccetera).

Per quali ragioni i cittadini dovrebbero appassionarsi più di tanto alle vicende di comuni le cui scelte sono in larga parte predeterminate da questi vincoli?

La terza ragione si intreccia invece proprio con le vicende del M5S. In due sensi: nel senso che elettorato tendenzialmente astensionista ed elettorato "grillino" in parte coincidono, e nel senso che molti elettori che non hanno inteso rinnovare il loro voto di febbraio al M5S non hanno comunque ritenuto, astenendosi, di spostare la propria preferenza su altre liste.

Ma abbiamo detto, ed anche questo dato è palesemente uniforme su tutto il territorio nazionale, che da un voto segnato dall'astensionismo è emersa una sconfitta della destra ed un successo del centrosinistra. E' avvenuto cioè l'esatto contrario di quanto ci si poteva forse attendere dalle vicende politiche di primavera.

Un Pd dilaniato dalla spaccatura sul nome di Prodi, giunto a rimangiarsi - con il governo Letta - il no all'alleanza con il Pdl, con un segretario dimissionario ed un incredibile ectoplasma assurto al ruolo di "traghettatore", esce vincitore dalle urne. Mentre il partito berlusconiano, rilanciato dal voto di febbraio, rilegittimato come forza di governo, dato in crescita nei sondaggi elettorali, alla fine si è ritrovato clamorosamente sconfitto.

Come mai questo strano ribaltamento della situazione? Certamente, le elezioni politiche sono una cosa e quelle amministrative un'altra. E' questa una ben nota ovvietà, che però in sede di analisi va pur sempre ricordata. Ma c'é naturalmente dell'altro. Chi scrive non ha mai creduto allo sfondamento berlusconiano. I berluscones hanno fatto probabilmente il pieno a febbraio, il loro capo è sì in grado di far cadere il governo, ma da qui ad entusiasmare il vecchio "popolo di destra" ce ne corre. Insomma, il Berlusconi in versione "larghe intese" non piace.

Con un M5S in grave difficoltà, ed una destra rifocillatasi a febbraio ma spenta nella palude del governo Letta, il Pd ha potuto così conseguire un risultato nel quale probabilmente non speravano neppure i dirigenti del partito. Gli elementi decisivi che hanno consentito questo risultato sono due: il primo è rappresentato dal ritorno a casa di buona parte di quella fetta di elettorato che alle politiche si era spostato dal centrosinistra a Grillo; il secondo dal ritorno in auge dell'antiberlusconismo, come riflesso condizionato prodotto proprio dalla riemersione del Caimano.

Se queste sono state le dinamiche di fondo del voto amministrativo, quali sono le ragioni più specifiche del flop del M5S? E quali potrebbero essere le conseguenze sul movimento di Grillo?

Tutti sapevano che Il M5S non avrebbe potuto ripetere sul terreno amministrativo l'exploit delle politiche, così come abbiamo già parlato dell'indubbia incidenza di un astensionismo che potrebbe tornare ad alternarsi con il voto a Grillo anche in futuro. Ma, fatte queste premesse, il risultato delle liste del M5S non si presta ad equivoci: si tratta di una sonora sconfitta da capire a fondo, per avviare un processo di riflessione che porti alle necessarie trasformazioni del movimento.

Perché dunque il M5S, in questa occasione, ha perso? Certo, senza dubbio avranno inciso diversi aspetti (le candidature, i difetti di comunicazione, l'aggressione mediatica subita in questi mesi), ma c'è una ragione ben più importante: non si può rimanere a discutere per settimane - di fronte al disastro economico del paese, davanti alla disoccupazione dilagante, in presenza di una tragedia sociale senza fine - di auto blu, scontrini fiscali, rimborsi e caffè alla bouvette. Né si può affrontare una campagna elettorale come questa mettendo al centro una serie di obiettivi minimalisti di tipo municipalista ed amministrativo.

Non che queste cose non contino. Non che le ruberie della casta bipolare (oggi ricompattasi attorno al governo Letta) non siano una cosa importante. Ma la colpa peggiore di questa casta è quella di essere parte di un blocco dominante che, in combutta con le oligarchie finanziarie euroatlantiche, vuol continuare a scaricare tutti i costi della crisi sul popolo lavoratore.

E' a questa politica criminale che bisogna reagire. E' contro questa politica criminale che il M5S ha preso i voti a febbraio. Ma ora la denuncia della casta e della corruzione non è più sufficiente, occorre una linea chiara da contrapporre al blocco dominante sulle grandi questioni dalle quali dipende lo sviluppo della crisi: l'euro e l'Unione Europea, il debito, il fiscal compact, la nazionalizzazione del sistema bancario, eccetera.

Non è che su questi temi il movimento di Grillo sia muto. Di certo lo è assai meno di quella che si vorrebbe ancora "sinistra radicale" - a proposito: brillante il 2,22% di Sandro Medici (con tre liste e quattro partiti) a Roma - ma il fatto è che queste questioni finiscono sempre in secondo piano nel messaggio "grillino".

Questo è il problema. A febbraio Grillo ha preso 8 milioni e mezzo di voti anti-sistema. Qualche precisino dirà "confusamente" anti-sistema. Certo, ma come poteva non esserci confusione nel turbinio di una simile ascesa? Il problema, oggi, è che quel messaggio anti-sistema ha bisogno di misurarsi sulle questioni veramente decisive per le condizioni di vita di decine di milioni di persone.

Questo è il salto richiesto. Dalla capacità o meno di rispondere a questa esigenza dipenderà il futuro del M5S. Tanti sinistrati hanno già iniziato ad intonare il de profundis per un movimento che vedono come fumo negli occhi. Noi, al contrario, ci auguriamo che i militanti del M5S sappiano trarre dalla sconfitta gli insegnamenti necessari per rettificare gli errori di questi mesi.

A stasera, purtroppo, i segnali non sono positivi. Sul blog di Grillo si impreca contro gli elettori che "vivono di politica", tra i quali si ha il coraggio di inserire indistintamente 4 milioni (ma in realtà sono meno) di dipendenti pubblici, nonché 19 milioni (ed anche questi sono meno) di pensionati. Così, senza distinguere le pensioni da fame da quella di un Giuliano Amato, né lo stipendio di un lavoratore medio da quello dei boiardi di Stato.      

Grillo vuol dirci che ha vinto un sistema che vive in larga parte di clientele? Scoperta geniale, come quella di chi, di tanto in tanto, ci ricorda che esiste la mafia. Ma mafia e clientele non esistono a corrente alternata. E non abbiamo mai sopportato i giornalistucoli de sinistra che per decenni ci hanno parlato - alternativamente, appunto - di sconfitta della mafia magari per la vittoria di un Orlando a Palermo, per poi piangere a dirotto sulla forza della mafia capace di consegnare 61 collegi siciliani su 61 a Berlusconi.

Così come il popolo (in senso stretto l'elettorato) non può essere mafioso un anno sì e l'altro no, non si può dare con faciloneria del "corrotto" a milioni di persone che ti hanno dato il voto tre mesi prima. Corrotti, anch'essi, a corrente alternata? Non scherziamo, non può essere questo il modo di ragionare.

Ben altri sono infatti i problemi. Chi scrive pensa che la battuta d'arresto di queste elezioni possa anche essere salutare per il M5S. Conosciamo la passione del grosso degli aderenti e la loro onestà intellettuale. La situazione è in movimento ed è possibile raddrizzare la barra. A condizione che si riconoscano i problemi, che non ci si illuda più sull'autosufficienza, che si comprendano i limiti della forma che il M5S si è dato finora.

E soprattutto a condizione che si costruisca un programma con al centro le grandi questioni economico-sociali, da collegare alla battaglia democratica ed alla lotta senza quartiere contro un sistema politico marcio, indissolubilmente legato alle oligarchie finanziarie oggi strette a difesa del "sistema dell'euro".

Non pensiamo che una simile battaglia possa esaurirsi nelle istituzioni. Al contrario, crediamo che la vera strada sia quella della sollevazione popolare. Una sollevazione che ha bisogno di un fronte ampio, di cui un forte M5S dovrà essere una componente essenziale.

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