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Bentornati al sud

L'Eterna Questione Meridionale

Scritto da Marco Palazzotto

6644088Da quando l’Italia è entrata in recessione con l’ultima crisi europea, dall’agenda politica nazionale è sparita quasi del tutto la questione meridionale. Si ha la sensazione che la Sicilia - e il resto del Meridione – sia condannata a un destino immodificabile a causa della sua atavica incapacità di mantenere il ritmo di aree più efficienti, più produttive, meno criminali.  Il quadro politico e sociale che è stato costruito intorno alla questione meridionale è ormai ultrasecolare ed il suo indirizzo è quello che oggi conosciamo.

Antonio Gramsci in questo articolo del 1926 trattava della questione meridionale evidenziando aspetti ancora molto attuali. Già allora l’ideologia diffusa era quella di un Mezzogiorno come “palla di piombo che impedisce più rapidi progressi allo sviluppo civile dell’Italia; i meridionali sono biologicamente degli esseri inferiori, dei semibarbari o dei barbari completi, per destino naturale; se il Mezzogiorno è arretrato, la colpa non è del sistema capitalista o di qualsivoglia altra causa storica, ma della natura che ha fatto i meridionali poltroni, incapaci, criminali, barbari, temperando questa sorte matrigna con l’esplosione puramente individuale di grandi geni, che sono come le solitarie palme in un arido e sterile deserto”.

La diffusione di questo pensiero era facilitata dal lavoro di alcuni intellettuali della rivoluzione liberale italiana, tra i quali Gramsci individua Giustino Fortunato e Benedetto Croce, che “hanno ottenuto che l’impostazione dei problemi meridionali non soverchiasse certi limiti, non diventasse rivoluzionaria…In questo senso Benedetto Croce ha compiuto una altissima funzione ‘nazionale’, ha distaccato gli intellettuali radicali del Mezzogiorno dalle masse contadine, facendoli partecipare alla cultura nazionale ed europea, e attraverso questa cultura li ha fatti assorbire dalla borghesia nazionale e quindi dal blocco agrario”.

Gramsci viveva una situazione ormai compromessa, a più di mezzo secolo dall’Unità d’Italia, grazie alla quale, nella vulgata corrente, il Meridione era stato liberato dall’usurpatore, si erano civilizzate le masse “barbare” ed offerte opportunità di sviluppo grazie all’unione con un nord più progredito. Dando uno sguardo alle statistiche notiamo tuttavia una realtà differente, in cui l’Italia unitaria non eredita affatto un sud molto sottosviluppato. Anzi fu proprio l’Anschluss del Meridione (il termine usato da Vladimiro Giacché per descrivere il processo di unificazione tedesca degli anni ‘90 del secolo scorso, e che ben si adatta al nostro caso) a dar luogo, nei decenni successivi, ad un indirizzo politico contraddistinto da una concentrazione geografica asimmetrica degli investimenti.

Ad esempio, in questo studio di storia economica pubblicato dalla Banca d’Italia nel 2010 viene offerta una fotografia datata 1871 che evidenzia una situazione non troppo disomogenea tra nord e sud. Città come Palermo, Agrigento o Napoli, negli anni successivi all’unificazione, presentavano indici di industrializzazione relativa non molto lontani dalle città del nord più progredite. Addirittura Napoli si trova tra le prime quattro città italiane e Palermo e Agrigento tra le prime 12. La tabella 1 dimostra come i governi di allora si comportarono nella gestione della politica industriale nazionale. Nel 1911 il processo di deindustrializzazione meridionale era quasi concluso.

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La tabella n° 3, elaborata con i dati dello studio sopra citato, ci mostra che nel 1871 i meridionali non fossero  affatto fannulloni o poco produttivi. Le quote di valore aggiunto dimostrano che la Campania era 3^ e Sicilia 5^ regione. Palermo era la 6^ città d’Italia per quota di valore aggiunto e Napoli la 3^, pur avendo quote di popolazione maschile al di sopra dei 15 anni di età inferiori rispetto alle città più industrializzate (per approfondimenti si rimanda alla Tavola 3 pag. 31 dello studio della BdI citato).

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La domanda sorge spontanea: come è possibile che a partire dal 1871, a pochi anni dall’Unità di Italia, il Meridione abbia subito un repentino declino industriale? Che i meridionali siano diventati fannulloni e criminali tutto ad un tratto? La contabilità nazionale ci offre spunti di riflessione interessanti.

Questo studio della Banca d’Italia del 2004 sulla contabilità nazionale nord-sud ci fornisce il dato della bilancia dei pagamenti, ed in particolare le partite correnti, che evidenzia come il mezzogiorno si sia andato indebitando con il centro-nord.

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L’istogramma di cui sopra mostra come al saldo delle partite correnti corrisponda simmetricamente un trasferimento unilaterale delle Amministrazioni Pubbliche, dei redditi e degli interessi (Redis nel grafico). In parole povere significa che il modello di sviluppo italiano, durante tutto il secolo e mezzo post unitario, si è basato sul finanziamento pubblico dell’indebitamento del Meridione sottosviluppato. Il debito del settore privato di famiglie e imprese meridionali, verso il centro nord, corrisponde in larga misura al saldo netto di beni e servizi prodotti dal centro-nord per il Meridione (e in parte per l’estero). E ancora, il miracolo economico italiano si è basato, per quanto riguarda la distribuzione geografica, su un sistema di compensazione delle eccedenze che mantiene sottosviluppata una parte del paese per permettere il progresso di un’altra. Un po’ il modello d’integrazione verticale al quale stiamo assistendo in questi anni nell’ambito dell’Euro-Zona.  Questo grafico ci offre una visione più generale:

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Il saldo delle partite correnti è stato negativo in media dal 1960 al 2006 di -17 punti di PIL. Ciò significa che il sud si è indebitato in media, privatamente, con il nord per il 17% della propria produzione, con punte negative che superano il 20% (succede nel 2004, per esempio, quando il Pil italiano era ancora positivo in periodo pre-crisi). L’andamento del tasso di interesse indica che la politica monetaria della Banca d’Italia prima e della BCE poi non è riuscita, anche in periodi di provvedimenti accomodanti, a modificare la tendenza all’indebitamento del Meridione e - successivamente all’introduzione dell’Euro - dell’Italia intera.

Ecco perché alcuni economisti individuano un processo di mezzogiornificazione in atto in Europa. Ovvero il modello asimmetrico italiano che si sviluppa nell’intera area Euro. Un centro-nord più progredito che rappresenta un’area di centralizzazione capitalistica e che controlla – grazie alla sua forza economica – la circolazione dei capitali e, di conseguenza, la politica economica dei paesi più periferici.

In conclusione l’Europa ha affidato all’Italia un ruolo simile a quello spettato al Meridione nostrano per un secolo e mezzo. Si badi bene che si parla di tendenza. L’Italia rimane ancora uno dei più importanti paesi manifatturieri del continente europeo, ma con un ruolo sempre più marginale e sempre più orientato alla committenza estera. Assistiamo ad un riposizionamento dal primo blocco (quando l’Italia era in compagnia di Francia e Germania) ad un secondo caratterizzato da delocalizzazione produttiva (sempre più vicino ai paesi dell’est).

E se oggi la questione meridionale non è più all’ordine del giorno dei governi nazionali (figuriamoci quelli europei), davvero non ci resta che piangere. 

 

 

 

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