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Il debutto in società

di Elisabetta Teghil

La Jugoslavia, quando è stata aggredita, non aveva un ruolo strategicamente importante né con riferimento ai criteri del passato, cioè vantaggi militari, accesso al mare o ad un fiume navigabile, stretti, canali, alture……né a quelli odierni, cioè controllo di particolari ricchezze , petrolio, gas, carbone, ferro, acqua….

Per gli Stati Uniti, il Kosovo, che è stato il pretesto/occasione, non presentava e non presenta un interesse strategico nel senso passato e presente del termine.

Allora perché?

Per tre buoni motivi.

Il primo è la nuova legittimazione della Nato. Quest’ultima, concepita in funzione anti patto di Varsavia, una volta sciolto questo, non avrebbe avuto più motivo di esistere.L’aggressione alla Jugoslavia ha fornito agli Stati Uniti l’occasione per avviare il nuovo concetto strategico della Nato, e lo ha applicato alla nuora, la Jugoslavia, perché suocera intenda e cioè l’Europa, perché gli USA vogliono conservare ed accentuare la loro egemonia nel vecchio continente e non c’è spazio per un’organizzazione militare specifica dell’Europa occidentale.

Da qui, anche, la cooptazione nella Nato di paesi dell'Est europeo.

“La Nato deve esistere in quanto blocca lo sviluppo di un sistema strategico europeo rivale a quello degli Stati Uniti.”( William Pfaf -International Herald Tribune-maggio 1999)


Ed ancora.

“Gli Stati Uniti sono il solo paese che abbia interessi globali e, quindi, il leader naturale della comunità internazionale”.

Questa dichiarazione, così sfrontata, di chi poteva essere se non del segretario alla Difesa del presidente Clinton, William G. Perry?


Il secondo motivo è la balcanizzazione di tutti quegli Stati che, per densità demografica ed ampiezza del territorio, possono essere di un qualche ostacolo, soprattutto quelli non allineati alla politica statunitense e asimmetrici agli interessi delle multinazionali anglo-americane. Ce lo ricorda Ignacio Ramonet nel maggio 1999 “:

...la Serbia rifiuta di adottare il modello neoliberista imposto dalla globalizzazione. Perciò costituisce, a un tempo, un bersaglio ideale per la Nato e un pessimo esempio per alcuni dei suoi vicini dell'Europa dell'Est, sui quali pure grava pesantemente la crisi economica e politica.

Questa, in fondo, è la vera ragione dell'intransigenza della Nato mentre,sotto i nostri occhi, si sta instaurando un nuovo ordine mondiale.”


Si creano, così, piccoli Stati dove gli USA possono collocare enormi basi militari, Stati che sono il crocevia di tutti i traffici illeciti possibili, guidati da corrotte mafie locali e trasformati in “case chiuse” e in sentina dei capricci dei soldati della Nato.

Infatti, la più estesa concentrazione di prostituzione, non certo volontaria, si trova in Kosovo.


Il terzo è la trasformazione della Nato in polizia internazionale che interviene là dove i governi e i popoli hanno l'ardire di sottrarsi, o almeno di tentare, al dominio imperiale.

Ma, per fare ciò, era necessaria una costruzione semiotico-simbolica, cioè ideologica, che nobilitasse questo suo nuovo ruolo.

E, qui, è stata essenziale la socialdemocrazia che, trasformandosi in destra moderna e reazionaria, si è scoperta filo atlantica e ha debuttato in società mostrando la propria affidabilità all'impero proprio in occasione dell'aggressione alla Jugoslavia.


A Belgrado sono nati i giornalisti “embedded” e, contemporaneamente, le campagne di demonizzazione nei confronti di quelli non allineati come Regis Debray in Francia, Ennio Remondino in Italia, John Simpson in Inghilterra.

La Nato ha messo a punto un dispositivo teso a rendere la guerra invisibile e a porre la sua informazione come fonte principale per i giornalisti.

E i media, salvo alcune lodevoli eccezioni, si sono resi complici nel commentare un'immagine nella quale erano completamente assenti l'aggressione e le conseguenze sulla popolazione civile.

Con un'operazione di marketing, a Belgrado come a Damasco, si personalizza l'avversario mettendo in pessima luce familiari e rapporti personali: la moglie di Milosevic era un'anima nera, quella di Assad spende e spande in piena guerra.

La semplificazione delegittimante che riguardava a Belgrado il comunismo e il nazionalismo, a Damasco diventa il regime e il totalitarismo .

La macchina mediatica riporta una sfilza di parole-prova. Si autocita una pseudo fonte iniziale che si perde nei successivi rimandi, accompagnata da qualche condizionale che, domani, di fronte ad eventuali smentite, servirà da polizza assicurativa. La smentita diventa parte integrante della conferma.

I media rimuovono l'informazione, di cui si dicono paladini, e sposano la causa della comunicazione al servizio dell'impero.

Questa comunicazione non è un'idea innocente, non funziona senza disinformazione e senza l'uccisione simbolica dei giornalisti indipendenti attraverso la caricatura, l'epiteto infamante e l'insinuazione.

La gerarchizzazione e la selezione delle fonti, effetto perverso del dominio unilaterale dell'informazione, produce una comunicazione autointossicata.

Oggi non si utilizza più la vecchia censura. E', invece, un fiorire di immagini e scene cariche di forte emotività. Peccato che siano manichee e si ometta di dire chi le ha promosse e perchè.

Una radio francese:

”...centinaia di ragazzi sarebbero utilizzati come banche del sangue viventi, migliaia di altri sarebbero obbligati a scavare fosse e trincee e le donne sarebbero sistematicamente stuprate...”


Una televisione statunitense:

“..secondo un responsabile degli Stati Uniti decine di migliaia di persone sarebbero state giustiziate...”


Una televisione francese:”

....tra cento e cinquecentomila sarebbero stati uccisi....”


Nessuno saprebbe dire a chi e a cosa siano riferite queste dichiarazioni, se alla Jugoslavia, se alla Siria, se alla Libia o all'Iraq.

Il rapporto di forze sul piano militare tra la Nato e la Jugoslavia era talmente impari che, di fatto, è improprio parlare di guerra.

In realtà, è stata una “punizione”. Anche questa una novità che sarà ripetuta successivamente.

Belgrado è stato il primo passo verso Bagdad, Tripoli e, ora, Damasco.

A Belgrado come a Damasco si insiste a parlare di “comunità internazionale” per designare le potenze occidentali. La Cina, la Russia, l'India, l'Africa , l'America Latina... non ne fanno parte. In Jugoslavia come in Siria, si è fatto e si fa un grande uso della parola genocidio con la conseguente banalizzazione dell'olocausto ridotto alla stregua di un marchio itinerante con cui bollare sistematicamente il nemico del momento. I primi segni delle conseguenze negative dell'uso strumentale di queste parole sono lo straniamento della violenza a distanza.

Grazie a questo mutato rapporto geopolitico, a questa dittatura ideologica vissuta in regime di monopolio, finalmente potrà realizzarsi il progetto statunitense, raccontato nel settembre del 2005 dal The Guardian:

“Al fine di agevolare l'azione delle forze di liberazione, ridurre la capacità del regime siriano di organizzare operazioni militari, contenere al minimo le perdite e le distruzioni e ottenere i risultati perseguiti nel più breve tempo possibile, si rende necessaria un'azione speciale per eliminare un certo numero di dirigenti chiave. La loro rimozione dovrà essere portata a termine fin dall'inizio della sollevazione dell'intervento. Dovrà apparire che sia Damasco a sponsorizzare i complotti, i sabotaggi e gli atti di violenza contro i governi vicini. La Cia e la sua omologa britannica utilizzeranno tutte le loro capacità, sia nel campo psicologico che in quello dell'azione, per accrescere la tensione.”


Ed ancora, Alain Gresh, su “Le monde diplomatique” del dicembre 2005:

“Il rovesciamento del regime passa, inoltre, per il finanziamento di un comitato per una Siria libera e per la fornitura di armi a varie fazioni politiche con capacità paramilitari.”


Occuparsi di quello che è successo a Belgrado e, oggi, a Damasco, non è secondario, non è marginale, ma fa tutt'uno con le vicende europee e di casa nostra.

Tanto è vero tutto questo che ieri si aggredivano a voce e per iscritto Regis Debray , Ennio Remondino, John Simpson e, oggi, Marinella Correggia, Manlio Dinucci e Fulvio Grimaldi.

Allora il silenzio su queste vicende è ingiustificato e sconcertante.

Se,poi, alla base, c'è paura, questa è lecita ,perchè c'è da avere paura. E' stato impostato un apparato repressivo violento, vendicativo e privo di scrupoli.

Ma dalla solidarietà,almeno da quella, non dovremmo sottrarci.

Sempre che non si debba e, purtroppo è il caso, sottoscrivere le parole di Antonio Savino:

“.....perchè questo è l'epilogo della lunga quaresima della sinistra, da tempo senza storia e senza memoria.

Delle colpe vanno date anche all'”intellighenzia di sinistra” ancellare, tutta orientata a fare mercato, a vincere premi letterari, ai passaggi in TV e a raccontare il re.”


Il fatto che Savino si riferisca alle vicende dell'ILVA di Taranto e chiuda il suo discorso dicendo “...e si è totalmente dimenticata di questa Italia profonda, di questa vandea operaia, dei sudditi del sud”, non toglie niente al fatto che le sue riflessioni possano essere applicate anche fuori dal campo del suo intervento.

In politica non ci sono compartimenti stagni.

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