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Ecco lo sciopero generalizzato

Felice Mometti

Riuscita a Oakland la giornata di blocco del 2 novembre indetta non dai sindacati ma dall'assemblea Occupy. Bloccato il porto, le scuole, molti uffici, il traffico. Nonostante le leggi durissime e l'assenza del sindacato ufficiale

Non sono state le 54 ore consecutive di blocco della città dell’ultimo sciopero generale di Oakland, quello del dicembre del 1946, ma lo sciopero generale di mercoledì 2 novembre lascerà dei segni visibili nei luoghi del potere politico-economico, nel movimento che occupa le piazze e nel sindacato americano. Innanzitutto per la modalità di convocazione. Uno sciopero generale della città indetto da un’assemblea generale - e non dai sindacati - espressione di un movimento di soggetti plurali con tanto di votazione democratica rappresenta una novità assoluta negli Stati Uniti, ma crediamo lo sarebbe anche da altre parti.
L’organizzazione dello sciopero è avvenuta in soli 6 giorni con il coinvolgimento di tutto il movimento Occupy Oakland e con il sostegno, in varie forme, da parte dei movimenti delle altre città. Lo sciopero è stato inteso come una forma di conflitto che doveva attraversare tutti gli ambiti della società e non solo i luoghi di lavoro. La sfida era molto alta. La legge Taft-Hartley del 1947, ulteriormente peggiorata a livello federale nel 1959 e da una miriade di delibere, ingiunzioni delle amministrazioni locali, nei fatti vieta lo sciopero generale a qualsiasi livello e non riconosce alcun diritto a praticarlo. Le sanzioni sono pesantissime, dal licenziamento all’arresto. Occupy Oakland, nei pochi giorni di preparazione dello sciopero, ha fatto una campagna a vasto raggio illustrando i vari modi di partecipazione allo sciopero, garantendo la difesa legale in caso di provvedimenti disciplinari. Sono state usate le forme più tradizionali di comunicazione, come l’autoproduzione di volantini e manifesti diversi a seconda dei destinatari, ma anche quelle più innovative come il massiccio uso di social network e piattaforme audio-video del web 2.0. Fino agli incontri assembleari con i portuali di Oakland.

Le grandi centrali sindacali, come l’Afl-Cio e Change to Win, hanno cercato in un primo momento di boicottare lo sciopero invocando le clausole contrattuali antisciopero che avevano sottoscritto nei contratti delle singole categorie – come se non bastassero le leggi vigenti- e allo stesso tempo contestando la modalità di convocazione. Poi, viste le prese di posizione di alcuni importanti Local di Oakland (una specie di sezioni sindacali territoriali) degli insegnanti e dei portuali che pur non dichiarando sciopero appoggiavano la mobilitazione, hanno preferito non contrapporsi frontalmente. Solo la piccola e storica IWW e il Local 10 dei portuali, già protagonista nel 2003 del blocco delle navi cariche di armi destinate alle truppe in Iraq, hanno effettivamente organizzato lo sciopero sui luoghi di lavoro.

Occupy Oakland, consapevole dei rischi che correvano i lavoratori e i precari, aveva diffuso nei giorni scorsi le possibili modalità di partecipazione che andavano dallo sciopero effettivo, all’uso dei giorni di malattia ( come è stato fatto nella lotta di alcuni mesi fa nel Wisconsin), alla richiesta di permessi giornalieri, alla partecipazione prima e dopo il lavoro ai picchetti e alle manifestazioni previste in tre momenti diversi della giornata: alle 9 del mattino, a mezzogiorno e alle 5 del pomeriggio. L’obiettivo era di bloccare o rallentare il flusso delle merci e dei capitali facendo leva sull’imprevedibilità della dislocazione dei picchetti, del percorso delle manifestazioni che hanno visto la partecipazione di decine di migliaia di lavoratori, precari e studenti. Sono state bloccate e chiuse le sedi centrali delle principali banche, moltissime scuole, gran parte delle banchine del porto durante la giornata fino alla completa chiusura in serata, interrotto il traffico sulle principali vie di scorrimento della città e molte aziende hanno chiuso dopo poche ore per l’impossibilità ad avviare il ciclo produttivo. Si può dire che è stato uno sciopero che, se non ha proprio bloccato completamente, ha ostacolato fortemente l’intera produzione sociale della città.

Uno sciopero che ha suscitato molta preoccupazione nell’establishment politico, economico e finanziario americano perché legato alla protesta di un movimento sociale al di fuori delle regole di disciplina e controllo condivise da decenni con le grandi organizzazioni sindacali. E’ stato anche uno sciopero che può costringere altre esperienze, come Occupy Wall Street, ad uscire da una discussione tutta centrata sulle procedure da adottare negli ambiti decisionali e diventare soggetti che promuovono, e non solo registrano, il conflitto sociale.
Ma forse il messaggio più forte che proviene da Oakland è che la generalizzazione degli scioperi inizia dal modo in cui (e da quali soggetti) sono convocate e organizzate le mobilitazioni.

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