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Consigli (o sconsigli) per gli acquisti

Militant

Io cito sempre un episodio, che è stato raccontato in assemblea, di un anziano che si è alzato e ha detto: «io ho settantaquattro anni, oggi ero alla Maddalena, ho tirato due pietre contro le forze dell’ordine; una era la mia e una era di mio fratello, che era ricoverato in ospedale e mi aveva detto: “se vai, devi tirare una pietra anche per me”».
(dall’intervista a Giovanni Vighetti, p. 116)

È uscito da qualche settimana per DeriveApprodi A sarà düra. Storie di vita e di militanza no tav, a cura dei compagni e delle compagne del cs Askatasuna. Scopo del volume è quello di presentare una serie di riflessioni ed esperienze di militanti notav, osservando il movimento dall’interno, ragionando sulle sue difficoltà e sulle sue contraddizioni e, contemporaneamente, interrogandosi sul suo futuro e sulle prospettive che può aprire anche ad altre forme di conflitto. Un movimento di massa che ha trasformato e continua a trasformare in profondità la comunità in cui si è consolidato. Un movimento che, giorno dopo giorno, da oltre un decennio propone con sempre maggiore forza l’esempio di un’alternativa possibile al sistema di dominio attuale e che è sempre più convinto di poter vincere. Una sfida di un potere costituente al Potere costituito, «un esercizio di contropotere su un contesto circoscritto, passibile però di generalizzazione oltre gli angusti confini della Val Susa», l’incarnazione della «possibilità di un contro-soggetto (antagonista) collettivo» (p. 240): non è un caso se il ministro Cancellieri lo ha definito «la madre di tutte le preoccupazioni».

Lo diciamo come premessa: come del resto viene affermato anche nell’introduzione del volume (se ne può leggere una parte nella presentazione del volume su infoaut), non si tratta di un libro semplice ma le parti più ostiche e di contenuto più metodologico – per quanto siano, secondo noi, di fondamentale importanza – possono venire saltate. Si tratta, infatti, di un libro così importante sul conflitto notav – e sul conflitto sociale in generale – che abbandonarlo per le difficoltà di lettura incontrate nelle prime pagine sarebbe davvero un’occasione sprecata.

Il libro è diviso in quattro parti. La prima è una vera e propria introduzione metodologica, debitrice alle riflessioni e agli insegnamenti di Romano Alquati, a cui infatti è dedicato il libro. Scopo del volume è quello di costruire una «conoscenza nostra, di parte, da utilizzare immediatamente e concretamente nelle lotte, per lo sviluppo e l’allargamento dl movimento» (p. 10).

Gli strumenti identificati per farlo sono quello dell’inchiesta e quello della conricerca:

È bene intendere questi come due momenti differenti con propri scopi, significati, concetti, linguaggi ma anche modalità e metodo specifici. L’inchiesta produce conoscenza. La conricerca forma soggettività e definisce progettualità. Scopo dell’inchiesta – raccogliendo e ordinando informazioni, punti di vista, valutazioni – è di approfondire la conoscenza su di noi stessi come soggetti e come parte in conflitto. […] Scopo della conricerca è costruire confronto tra le persone impegnate nella lotta per accrescere le capacità di critica e di analisi autonoma, non tanto e non solo di idee e di posizioni, ma del fare, del cooperare, del ricomporre, del costruire conflitto e alternativa. (pp. 11-2)

Si tratta, dunque, di una conricerca sul conflitto e per il conflitto: il problema è infatti quello di capire come praticare la lotta e la contrapposizione, come sostenerle e farle crescere. Per questo il volume non può dirsi concluso, ma si presenta solo come la prima tappa di una costruzione in fieri.

Oggetto della riflessione è il «soggetto movimento: quella forza sociale che si è formata nel corso della lotta contro il Tav»:

Il lavoro di inchiesta e conricerca è sul conflitto, serve a capire, analizza il movimento, gli aggregati sociali che lo promuovono e lo sostengono; interroga i militanti, quegli individui che partecipano alla lotta, che sono critici, che dissentono e si oppongono. Ovvero soggetti collettivi e individuali contro. […] Uno degli aspetti più importanti della nostra ricerca sta nel voler capire e approfondire cosa è la militanza no tav e chiarire cosa esse produce. […] Il militante è attivista e ricercatore. […] Il militante è punto di riferimento, costruisce egemonia, lavora per unire ogni possibile forma di contrapposizione sia sociale sia politica, promuove nuovi legami sociali, costruisce cooperazione finalizzata al conflitto, organizza e rende stabili questi processi.  (pp. 22-3)

Le interviste ad alcuni militanti – una ventina di singoli, oltre al Komitato giovani Notav (Kgn) e all’Elogio del lavoro illegale, nome collettivo che racchiude le testimonianze di alcuni giovani che hanno partecipato, negli anni, ai momenti più altamente conflittuali in Valle – costituiscono la seconda parte del volume, che rappresenta il suo corposo nucleo centrale.

Si tratta di interviste a persone di estrazione ed esperienza politica diversa, realizzate tra il marzo e il settembre 2012, che cercano di rappresentare – in forma certamente non completa – la variegata composizione del movimento no tav. Vengono quindi intervistati tanto i portavoce più noti del movimento – Alberto Perino, Nicoletta Dosio, Lele Rizzo – quanto attivisti meno noti, almeno al grande pubblico, che vanno  dai compagni di Askatasuna a Gabriella Tittonel del gruppo Cattolici per la vita della Valle, da Luca Abbà – diventato tristemente noto nel febbraio scorso, quando cadde da un traliccio in seguito alla folgorazione dovuta all’inseguimento di un poliziotto – a Dario Catti, ex segretario leghista della sezione di Almese.

Un movimento tanto variegato e composto da anime con vedute tanto differenti che forse è meno unitario di quanto si potrebbe pensare dall’esterno, ma che ritrova compattezza e unità di intenti grazie alle mosse della controparte: perché, come spiega efficacemente Luca Abbà, a tenerlo unito «è la consapevolezza diffusa dell’indispensabilità reciproca per vincere questa battaglia in modo definitivo» (p. 83). Un movimento, dunque, capace di costruire unità al suo interno e contrapposizione verso l’esterno, permettendo a tutti di esporre il proprio punto di vista e le proprie proposte.

Particolarmente ricca di spunti è, a nostro avviso, l’intervista a Ermelinda Varrese, femminista militante dagli anni ’80 nell’area antagonista torinese. Due sono i nuclei di riflessione della sua testimonianza che ci sembrano particolarmente importanti: quello sul protagonismo «molto concreto, reale» delle donne al movimento, «un protagonismo femminile non-femminista», estraneo ai discorsi sul genere, «non ideologico ma pratico» (p. 143) all’interno della lotta notav; e quello sulla capacità del movimento di superare certi sterili discorsi sugli anni ’70. Spiega, infatti, Ermelinda che

All’interno del movimento notav sono presenti uomini e donne che negli anni Settanta militavano in organizzazioni armate e che oggi sono presenti tra noi, perché figli di questa valle. […] Spesso citati strumentalmente dai mass-media per tentare di dividere e criminalizzare il movimento, queste persone hanno oggi la possibilità di uscire dal pantano degli «anni di piombo» e vivere una storia nuova, quella di questo movimento. (p. 146)

Nella terza parte, vengono messi in luce alcuni noti tematici delle interviste precedenti: il movimento notav come espressione non di una categoria sociale, ma di una comunità e l’importanza del concetto di valsusinità – e quindi del radicamento territoriale – al suo interno; il ruolo dei tecnici – tra cui anche i ferrovieri – che hanno permesso al movimento di costruire un sapere tecnico e scientifico specifico, un sapere sociale diffuso, da usare contro quello dominante; il rifiuto sempre più forte dalla contrapposizione, propugnata dai media e dalla classe politica, tra buoni/pacifici e cattivi/violenti e il contemporaneo rifiuto per il concetto di «legalità», a cui viene contrapposto quello di «legittimità», in un contesto in cui il potere non viene più riconosciuto; il rapporto tra il tempo della vita e quello della militanza, che tendono a sovrapporsi pur lasciando la seconda tutto lo spazio alla prima; il rapporto tra spontaneità e organizzazione; il legame tra la lotta notav e altre lotte che, nello stesso contesto geografico, l’hanno preceduta (la Resistenza, le lotte operaie, la battaglia persa contro l’autostrada e quella vincente contro il mega-elettrodotto); il superamento del discorso sui beni comuni in nome di una più avanzata soggettività politica.

La quarta parte del volume contiene un’intervista a Infofreeflow, focus group nato all’interno del Laboratorio Crash di Bologna, sui media come campo di battaglia e alcun riflessioni dei curatori del volume su come estendere la conricerca, e quindi la ricomposizione e la partecipazione politica, oltre la Val Susa.

Nella stimolante intervista a Infofreeflow, viene innanzitutto messa in luce da un lato la capacità del movimento notav di utilizzare internet e i social network – ma anche la radio, come dimostra l’importanza delle corrispondenze di Radio Blackout nelle giornate del 27 giugno e del 3 luglio 2011 – per una «produzione autonoma, partigiana e in tempo reale di rappresentazioni e narrazioni mediali proprie» (p. 289). In secondo luogo, viene analizzata la narrazione della lotta notav da parte dei media mainstream intorno ai due frame del «non c’è alternativa, il progresso è necessario» e dei «black bloc» descritti come alcolizzati, spiantati, violenti, fuori dal tempo.

Nelle ultime riflessioni si ragiona su come estendere la ricomposizione, fondandola sulla partecipazione e sullo scontro, sulla capacità di rispondere con un rifiuto alle ricette neoliberiste con cui si vorrebbe far fronte alla crisi, su come costruire un radicamento, su come riappropriarsi di altre forme di partecipazione politica contro partiti e istituzioni, su come costruire nuove forme di cooperazione sociale e ricercare nuovi saperi. Ovviamente, il movimento notav non viene presentato come una ricetta valida per tutti i contesti, ma viene evidenziata la sua specificità. Quello su cui ci si interroga è, semmai, il modo in cui estendere i risultati raggiunti da esso: «Costruire percorsi di conflitto che mettano in discussione il sistema politico e le sue decisioni di governo può produrre risultati importanti, ma questi non si daranno spontaneamente. La storia ha sempre bisogno di una spinta» (p. 315).

Si tratta, a nostro avviso, di un volume veramente fondamentale, tanto per la comprensione del movimento notav quanto per il valore metodologico e politico utile per ogni militante. Si tratta, inoltre, di un ipertesto che continua sul sito saradura.it dove è stato raccolto, oltre ai testi integrali delle interviste contenute nel volume e di molte altre, anche abbondante materiale fotografico e audiovisivo e opuscoli e riflessioni prodotti dal movimento.

Scrivendo queste righe, non possiamo inoltre non ricordare che venerdì 8 il movimento notav ha portato a termine nuova azione a Chiomonte (video): centinaia di militanti hanno tagliato le recinzioni del cantiere illegittimo e illegale presso la Maddalena e sono penetrati nel suo interno, danneggiando una torre faro e altro materiale. Perché la rassegnazione non è di casa lì in valle

Solidarietà e complicità con Cristian e Lele, i due militanti notav arrestati per l’azione.

A sarà düra. Storie di vita e di militanza no tav / Centro sociale Askatasuna (a cura di) /DeriveApprodi/ 18 euro

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