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marx xxi

Club Bilderberg e classe capitalistica transnazionale

di Alexander Höbel

Sul Gruppo Bilderberg e organismi affini è fiorita in questi anni una letteratura di taglio “complottistico” che, per quanto attraente per molti lettori, di fatto non favorisce una reale comprensione del fenomeno. In una direzione diversa va invece il libro di Domenico Moro (Club Bilderberg. Gli uomini che comandano il mondo, Aliberti 2013), che colloca la questione in un quadro più ampio, quello dell’attuale fase della storia del capitalismo e delle dinamiche della lotta di classe; Moro insomma affronta il problema da un punto di vista marxista.

Se il titolo e il cuore del libro riguardano il Club Bilderberg (cui si aggiunge la più giovane Trilateral), sullo sfondo ci sono questioni più complessive, il ruolo delle élite (e del “ritorno delle élite” parla anche l’ultimo libro di Rita di Leo), i caratteri dell’attuale oligarchia capitalistica trans-nazionale, le forze di classe in campo e gli scontri in atto sul piano globale, la questione della democrazia e della sua crisi.

Se partiamo da quest’ultimo punto, non possiamo che partire dalla straordinaria avanzata della “democrazia organizzata”, della partecipazione popolare e dei partiti di massa, che riguardò molti paesi e l’Italia in modo particolare negli anni Sessanta e Settanta.

Fu allora che la domanda sociale crescente trovò sbocchi politici e anche legislativi nella costruzione del Welfare State e in quelle riforme (riforme vere, ben diverse dalle controriforme degli ultimi decenni) che determinarono il progresso sociale e civile, tra gli altri, del nostro paese. La costruzione dello Stato sociale – forma peraltro del salario indiretto – e le conquiste salariali vere e proprie, accanto al generale spostamento nel rapporto di forza tra le classi nella società, nella politica e nelle istituzioni rappresentative (dunque nello Stato stesso), misero dunque in allarme le classi dominanti, che proprio negli anni Settanta (apice della loro difficoltà sul piano mondiale) avviarono la loro micidiale controffensiva, dotandosi di strumenti nuovi, quali appunto la Commissione trilaterale. E non a caso, uno dei primi documenti di questa struttura, fu quel testo sulla “crisi della democrazia” che Domenico Moro cita ampiamente, opera di quel Samuel Huntington che diventato famoso in anni recenti per la sua pseudo-teoria dello “scontro di civiltà”, e di Michel Crozier, il quale individuava il pericolo principale nei partiti comunisti, a partire da quelli europei, “le sole istituzioni rimaste nell’Europa occidentale la cui autorità non venga messa in dubbio” (p. 119).

Da allora, nel dibattito pubblico, la governabilità iniziava a prendere il posto della rappresentanza, fino a sostituirla quasi del tutto, giungendo a quello svuotamento delle istituzioni rappresentative e alla conseguente apatia politica di massa che oggi sono davanti ai nostri occhi.

Il libro di Moro, peraltro, mostra come quella controffensiva fosse iniziata ancora prima, negli anni Cinquanta; gli anni più duri della guerra fredda, quelli della nascita di Gladio e della rete Stay-behind, e appunto del Club Bilderberg, fondato nel 1954 da esponenti del grande capitale come David Rockefeller. E non a caso, l’anticomunismo e la lotta al blocco sovietico sono al centro dei primi incontri del Club. Ma che cosa è dunque il Gruppo Bilderberg? Secondo la definizione che ne dà Domenico Moro, è “il luogo dove il capitale finanziario si incontra con la politica internazionale” (p. 72), e infatti al suo interno troviamo finanzieri, proprietari e dirigenti di corporation, grandi manager privati e pubblici, uomini politici, accademici, giornalisti. Ed è molto interessante il meccanismo descritto nel libro, quello delle “porte girevoli”, per cui un ministro (o, nel caso degli USA, un segretario di Stato) si ritrova poi al vertice di una multinazionale, o magari ne aveva fatto parte prima (tipici i casi di Dick Cheney, Donald Rumsfeld e molti altri esponenti dell’amministrazione Bush), mentre grandi manager pubblici come Romano Prodi dopo aver portato avanti massicce privatizzazioni si ritrovano presidenti del Consiglio o ai vertici dell’Unione europea, o ancora uomini come Mario Draghi passano da presidente del Comitato economico e finanziario del Consiglio della UE a direttore generale del Ministero del Tesoro italiano, per poi diventare vicepresidente della Goldman-Sachs, infine governatore della Banca d’Italia e infine presidente della Banca centrale europea.

Ed è inquietante il dato – documentato da Moro – per cui per il Club Bilderberg sono passati tutti i ministri delle Finanze italiani degli ultimi anni, due governatori della Banca d’Italia e almeno due presidenti del Consiglio, tra cui quello attualmente in carica.

La commistione e lo scambio continuo tra settori diversi dell’oligarchia è a sua volta il riflesso di un intreccio sempre più stretto fra grandi corporation, Stati e organismi sovranazionali. Quella che compare sulla scena è dunque una nuova classe dominante, quella che Leslie Sklair chiama “classe capitalistica transnazionale”, una definizione ripresa in Italia da Luciano Gallino (La lotta di classe dopo la lotta di classe, Laterza 2012) e che anche Domenico Moro fa propria e sviluppa, descrivendo attraverso alcuni dei suoi principali esponenti una classe, che oltre che nel Club Bilderberg e nella Trilateral trova luoghi di coordinamento e “camere di compensazione” anche in altri organismi, come il World Economic Forum di Davos.

Questa classe – il libro lo mette bene in luce – ha vari punti di forza: la grande omogeneità ideologica, una forte capacità di egemonia attraverso think-tank e mass-media, e infine appunto quel carattere trans-nazionale che ha spiazzato il movimento operaio. E però ha anche rilevanti punti deboli. Come osserva l’Autore, infatti, la complessità del quadro e la stessa molteplicità della sua composizione e dei suoi interessi pongono seri limiti “alla sua capacità di controllare il processo sociale complessivo e soprattutto di organizzare un ordine mondiale” stabile (p. 131). Non a caso, la potenza ancora egemone, quella statunitense, attraversa una crisi grave, che ha finora superato grazie al signoraggio del dollaro e alla sua stessa collocazione nel mercato mondiale; ma non è più in grado di svolgere il suo ruolo, e quindi è sempre più spesso indotta all’uso della forza militare, attuando quello che alcuni studiosi hanno definito un “dominio senza egemonia”, per non parlare della crisi di legittimità che si è aperta ormai esplicitamente. E non a caso il restringimento degli spazi democratici continua, all’interno degli Stati nazionali e grazie alle cessioni di sovranità ad organismi sovranazionali privi di ogni legittimazione.

D’altra parte, Moro osserva come questa classe abbia potuto portare avanti il suo programma anche grazie alla globalizzazione, alla mondializzazione del ciclo produttivo, dei mercati e dell’economia in generale, che ha messo in seria difficoltà il movimento dei lavoratori, che fino ad allora aveva contrastato l’avversario sul terreno nazionale, ottenendo risultati non irrilevanti.

Se questo è vero, è chiaro che i versanti su cui agire sono almeno due: la difesa degli spazi di sovranità nazionale rimasti e la ricostruzione di spazi di sovranità popolare sulle decisioni più rilevanti; l’internazionalizzazione della risposta, dell’organizzazione e della strategia del movimento operaio che incredibilmente – nato internazionalista – proprio su questo terreno è rimasto indietro. Su entrambi i fronti – e su quello di una nuova lotta per la democrazia – il fronte che si può costruire è molto ampio, a patto che ci si doti degli strumenti di analisi e controffensiva ideologica e culturale, e di organizzazione politica e sindacale, adeguate; in sostanza a patto che il movimento dei lavoratori riacquisti una sua autonomia strategica. Lo slogan “voi 1%, noi 99%” sebbene ingenuo e per certi versi sbagliato, segnala che si sta facendo strada una nuova consapevolezza della contrapposizione di interessi tra la stragrande maggioranza della popolazione e oligarchie sempre più ristrette, uno dei punti essenziali della riflessione di Marx.

Su questa strada, i comunisti e gli anticapitalisti in generale hanno praterie davanti a sé, o se si preferisce un oceano dentro al quale devono reimparare a nuotare. Per farlo devono però tornare a orientarsi attraverso un serio lavoro di analisi. Il libro di Domenico Moro offre in tal senso un contributo importante.

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