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Da Bandung a Sirte

Elisabetta Teghil

 
“ Falsa ingenuità, fuga, malafede, solitudine, mutismo, complicità rifiutata e, insieme, accettata, è questo quello che abbiamo chiamato, nel 1945, la responsabilità collettiva. All’epoca non era necessario che la popolazione tedesca sostenesse di aver ignorato l’esistenza dei campi.” Ma andiamo” dicevamo, “Sapevano tutto!” Avevamo ragione, sapevano tutto, e soltanto oggi siamo in grado di comprenderlo: perché anche noi sappiamo tutto……..Oseremo ancora condannarli? Oseremo ancora assolverci?
(J.P.Sartre
“Vous étes formidables” Gallimard 1962 sulla guerra d’Algeria)

Dal 18 al 24 aprile del 1955 si svolse a Bandung, stazione climatica di Giava, in Indonesia, la conferenza che radunò i rappresentanti delle nazioni che, da allora, furono chiamate “terzo mondo”, conferenza che prese il nome proprio dalla città.


Alcuni partecipanti erano già al potere nei loro paesi come il cinese Chou En-Lai, lo jugoslavo Tito, l’egiziano Nasser, l’indiano Nehru e l’indonesiano Sukarno. Altri combattevano ancora per l’indipendenza come l’FNL algerino, il Neo-Destur in Tunisia e l’Istiqlal in Marocco. In totale, 29 Stati e trenta movimenti di liberazione nazionale, tutti territori che ,per molto tempo, erano stati solo macchie colorate sulle carte geografiche che rappresentavano gli imperi coloniali.


Un anno prima, con la vittoriosa battaglia di Dien Bien Phu, i popoli colonizzati avevano avuto la loro Valmy. Leopoldo Senghor parlò a tale proposito di “liberazione dai ceppi” e Nasser disse “ Cessa di chinare il capo, fratello mio, i tempi dell’umiliazione sono finiti”.


La conferenza di Bandung fu un’aurora per i popoli assoggettati.

Si entrava nell’era postcoloniale.


E’ di pochi giorni fa la conquista di Sirte da parte delle truppe inglesi e francesi, coadiuvate da quelle qatariote, con la cattura di Gheddafi da parte di unità speciali britanniche, la sua consegna agli ascari locali con relativo linciaggio ripreso dagli ufficiali inglesi e mandato in giro per il mondo a monito terroristico.



Da Bandung a Sirte l’epoca postcoloniale sarà caratterizzata da guerre civili, interetniche, religiose, promosse dai paesi occidentali, sarà rovesciato Thomas Sankara, ucciso Che Guevara e Ben Barka, saranno scatenati gli ascari locali con l’aiuto del Sudafrica contro il Mozambico e l’Angola, saranno fatti colpi di Stato in Cile, Argentina, Brasile………Ai popoli del terzo mondo non sarà risparmiato niente.


Ma, cosa fa dell’aggressione alla Libia e dell’imposizione di un governo guidato da un quisling filo occidentale, un evento nuovo?

Non certo la macabra messa in scena del vilipendio del corpo di Gheddafi da vivo e da morto.

Questo era già stato fatto con Patrice Lumumba.

Non certo il racconto denigratorio della sua cattura in un tombino.

Era già stato fatto con Saddam Hussein.

Non certo il suo rovesciamento ed il massacro della popolazione civile.

Era già stato fatto con il colpo di Stato contro Sukarno e l’uccisione di cinquecentomila indonesiani di etnia cinese, con motivazioni che ricordano i pogrom antisemiti in Europa: erano comunisti, commercianti e traffichini!


Allora, qual è la novità?

A Sirte nasce il neocolonialismo.


Per questo il rappresentante del CNT ci racconta che in Libia si stava meglio quando era una colonia italiana, omettendo, a piè pari, che furono uccisi seicentomila libici su due milioni di abitanti. Il resto della popolazione fu deportato e le terre più fertili furono date ai coloni italiani.

I ribelli catturati venivano stesi per terra sulla croce di sant’andrea, sulla piazza del mercato, ed evirati, davanti alla popolazione locale. E i soldati italiani fotografavano il tutto e mandavano le foto alle famiglie a casa. E, infatti, Sartre dice nella prefazione a” I dannati della terra” di F. Fanon che “l’essere indigeno è una nevrosi introdotta e alimentata dai colonizzatori fra i colonizzati con il loro consenso.”


Si può partire dalle dichiarazioni del consigliere di Blair, Robert Cooper “…la necessità di colonizzare è, oggi, altrettanto grande che nel XIX secolo” ( The Observer, 7 aprile 2002).

E da Gordon Brown che, in un luogo simbolo delle razzie coloniali, il British Museum di Londra, dichiara “Dovremmo essere fieri dell’impero”( Daily Mail, 14 settembre 2004).

E, ancora, Tony Blair riafferma “E’ tramontata l’epoca in cui la Gran Bretagna doveva scusarsi per la sua storia coloniale”. (Daily Mail, 5 gennaio 2005)

Per finire di nuovo con Robert Cooper “…un nuovo tipo di imperialismo accettabile per il mondo dei diritti umani e dell’opinione cosmopolita.” (Reordering The World, 2002)


In pratica, la socialdemocrazia ha portato in dote al neoliberismo, l’impianto teorico del ritorno al colonialismo che, una volta, verteva sulla diffusione della civiltà cristiana, del commercio e del progresso e, oggi, trova giustificazione nei diritti umani, nei mercati e nella democrazia.


La socialdemocrazia ha teorizzato e superato la fase postcoloniale ed ha aperto la stagione neocoloniale.

E’ questa la grande novità emersa dalle vicende libiche.


Nel 1999, in occasione del cinquantesimo della nascita della Nato, Tony Blair pronunciò a Chicago un discorso dal titolo “La dottrina della comunità internazionale” dicendo, fra l’altro “…il problema pressante con il quale ci confrontiamo a livello di politica estera è quello di individuare le situazioni in cui intervenire attivamente nei confronti di altri paesi.” Così recitava la sua relazione che veniva consegnata per iscritto.

Era nata la teoria della “guerra giusta”.

I risultati si vedranno di lì a poco in Iraq.

Mentre era in atto l’invasione dell’Iraq, dichiarerà ancora “ Ci saranno molti altri scontri prima che l’opera sia completata” non riferendosi alle vicende irachene, ma a futuri scenari di guerra.

Negli anni ’90 è stato ripristinato il concetto di protettorato, una parola che non si osava più pronunciare dagli anni ’50, tornata alla ribalta con il revisionismo storico che ha rivalutato il colonialismo.

Il debutto in società avviene con l’aggressione alla Jugoslavia, dal marzo al giugno 1999, non a caso con i governi inglese, francese, tedesco, e italiano a guida socialdemocratica, senza il mandato dell’ONU e senza l’approvazione dei rispettivi parlamenti e con la nascita della Bosnia e del Kossovo.

La concezione di protettorato è accompagnata dalla balcanizzazione degli Stati che vengono trasformati in basi statunitensi e/o Nato, guidati da governi mafiosi, crocevia di ogni traffico illecito, e dal diritto che si arroga l’Occidente di decidere chi può formare uno Stato e su quali basi.


E, infatti, Paul Johnson, nel Wall Street Journal del 9 ottobre 2001, ci dice “Nel 1900, un gruppo terrorista militante denominato i Boxer, prese d’assalto Pechino con la tacita approvazione del governo. Per riprendere Pechino fu allora istituita una forza internazionale che includeva, oltre a truppe europee, forze americane e giapponesi. Oggi, l’America e i suoi alleati si trovano nella situazione in cui devono, non solo occupare, ma amministrare Stati terroristi.”

Ed ancora, sempre Paul Johnson, nel New York Times del 18 aprile 1993, “E’ una missione del mondo civilizzato governare queste zone disperate e l’occidente avrà la soddisfazione di ricevere la gratitudine di milioni di persone che, grazie a questa rinascita altruista del colonialismo, troveranno l’unica via d’uscita possibile dalla loro miseria.”

Viene delineato un quadro apocalittico del Terzo Mondo, dove si combinerebbero fallimenti degli Stati, crescita demografica incontrollata, violenza endemica e disgregazione sociale.

Pertanto, i paesi del terzo mondo devono sottomettersi e conoscere una nuova era di colonizzazione.

Una dominazione coloniale è sempre caratterizzata dall’arroganza dei colonizzatori, convinti di far parte di una categoria superiore, più civilizzata, più progredita e dal disprezzo che questi hanno per i colonizzati, tanto che, a volte, arrivano a considerarli come non appartenenti al genere umano.

Gli Stati Uniti, ad esempio, dominando tutte e cinque le sfere della potenza, politica, economica, militare, tecnologica e culturale vivono questo come uno specchio lontano, ma ossessivo, in analogia con la Roma antica: “Il fatto è che ,dai tempi di Roma, nessun paese è stato culturalmente, tecnicamente, militarmente tanto dominante. Dall’epoca in cui Roma distrusse Cartagine, nessun’altra grande potenza ha mai toccato le vette che noi abbiamo raggiunto.” (Washington Post).

L’aggressione ad un paese è sempre preparata da campagne di manipolazione dell’opinione pubblica, tanto palesemente infondate quanto i media occidentali fanno finta di crederci, come i bambini del Kuwait che sarebbero stati strappati dalle incubatrici e sbattuti contro il muro dai soldati iracheni.

Oggi, il battistrada sono le Ong così dette “umanitarie, a partire da “ Human Rights Watch” ( Soros) e “Amnesty International”, che hanno raccontato i bombardamenti aerei dell’aviazione di Gheddafi sulla popolazione civile e delle fosse comuni a Timisoara. Tutte notizie, poi, sommessamente, smentite. Naturalmente a giochi fatti.

L’ultima frontiera è la difesa delle diversità sessuali, quella che viene chiamata “pink washing”.

Nei paesi, in agenda da aggredire, ci sarebbero lesbiche e gay che, tramite i loro blog, chiedono aiuto al mondo occidentale, salvo poi scoprire che molti sono falsi e che dietro la lesbica o la femminista perseguitata , c’è un uomo, magari americano o canadese, con grave danno, oltretutto per i casi veri.

A proposito, la lesbica libica, per cui ci si è mobilitate/i, che fine ha fatto, e che fine farà soprattutto, e con lei tutte le altre lesbiche e le donne, con un governo che sta reintroducendo la sharia?

E, sempre a proposito, com’è la condizione delle donne nei paesi filo occidentali, a partire dagli Emirati Arabi e dall’Arabia Saudita? Sicuramente la loro vita vale meno di quella di un dromedario, nel senso letterale del termine.

L’oscenità della strumentalizzazione delle donne e delle diversità sessuali è altrettanto grande quanto l’uso che viene fatto in quei paesi, da parte delle potenze occidentali, di armi di distruzione di massa e di nuove tecnologie distruttive sperimentate su quelle popolazioni, come le mini bombe atomiche.

Vogliamo saper quale sarà il prossimo Stato da aggredire? Basta leggere, qui da noi, l’agenda delle manifestazioni davanti alle ambasciate dei “pacifisti a comando”: quella oggetto di maggiore attenzione è quella del prossimo paese “primo della lista”.

E che dire della Corte Penale Internazionale, Cpi, il cui unico compito è quello di sancire formalmente la liceità dell’aggressione?

Che Guevara è stato ucciso in un’altra stagione. Oggi sarebbe stato portato alla Corte dell’Aja.

Per non parlare dell’ONU e degli altri organismi internazionali, a conferma di quanto dice l’economista Zarko Papic “Le organizzazioni internazionali sono un elemento del problema e non la soluzione.” ( La Bosnie-Herzegovine L’Harmattan 2003)

E che dire dei costi economici?

Il solo intervento italiano, seppure marginale, paradossalmente di aiuto all’Inghilterra che ci ha sottratto la Libia, ha superato abbondantemente i settecento milioni di euro e non ci sarà nessun ritorno per le cittadine e i cittadini italiane/i, mentre il costo sarà scaricato su di loro.

Il colonialismo è stato il nazismo applicato diecimila volte.

Di tutti i crimini contro l’umanità commessi dai nazisti, nessuno è stato risparmiato ai popoli colonizzati.

Cosa ci ha colpito di più del nazismo?

I sei milioni dell’olocausto ebreo?

Solo nel 1943, nell’attuale Bangladesh, che allora era una delle regioni più ricche del mondo tanto adesso è una delle più povere, dopo che i britannici smantellarono di proposito l’industria tessile, morirono di fame sei milioni di persone.

L’efferatezza degli esperimenti sugli internati/e?

Solo nelle isole Andaman, sì quelle dello tsunami, all’inizio del XX secolo, ben ottantamila prigionieri politici detenuti nei campi di internamento, servirono da cavie ai medici dell’esercito britannico.

Le rappresaglie?

I soldati britannici ricevevano un premio di cinque scellini ogni volta che uccidevano un Kikuyu di sesso maschile e le loro membra squartate venivano inchiodate sui segnali stradali.

Non c’è crimine che non sia stato commesso dal colonialismo.

Non c’è anfratto dove i popoli locali si sono potuti nascondere.

L’impero coloniale, ora riabilitato e riesumato, è stato la disumanizzazione di popolazioni intere, razionalmente motivata, inculcata, accettata o tollerata, il terrore assoluto, fino a rendere vana l’idea stessa di resistenza, esercitato in piena impunità da criminali psicopatici, ma anche da “buoni padri di famiglia”, la partecipazione forzata delle vittime alla propria distruzione, lo sfruttamento fino alla morte della loro forza lavoro e la cupidigia sfrenata degli aguzzini.

Come ha raccontato la scrittrice nera colombiana, Rosa Amelia Uribe, nel suo libro “La férocité blanche”, quello stesso meccanismo, di cui erano state vittime gli ebrei, era in atto da secoli in particolare nei confronti degli indiani/e d’America e degli africani/e.

Ed ancora, Aimé Césaire “ Ciò che il borghese del XX secolo, tanto distinto, tanto umanista e tanto cristiano, non riesce a perdonare a Hitler, non è il crimine in sé, l’umiliazione dell’uomo in sé, ma il crimine contro l’uomo bianco, il fatto di aver applicato all’Europa procedimenti colonialisti, riservati, fino a quel momento, agli arabi d’Algeria, ai coolies dell’India e ai neri africani.” ( Discours sur le colonialisme-1955)

La rilettura del colonialismo ed il suo rilancio è il risultato di un’operazione teorica, parte del progetto neoliberista, e ci conferma che quest’ultimo è una visione complessiva del mondo ed è, pertanto, un’ideologia.

Non a caso viene elaborata una mistica che sia di sostegno e di conforto a questa scelta.

Si riattiva la dimensione moralista e puritana della tradizione imperialista, si denuncia il “ lassismo” della nostra società, erigendosi contro il flagello della micro criminalità e della promiscuità sessuale degli adolescenti, predicando i valori della famiglia, proponendo misure severe di ristabilimento dell’ordine pubblico, la prigione per i giovani e il coprifuoco per gli adolescenti, inneggiando ad una presunta armonia e collaborazione sociale, rimuovendo le nozioni di lotta e di conflitto sociale come sorpassate ed obsolete.

Il neoliberismo è presentato come un evento della natura, come una necessità storica con la conseguenza che bisogna , perciò, accettare senza riserve il dominio del capitale globalizzato, con il recupero del concetto di nazionalismo imperiale e dei valori vittoriani, a partire dall’ambito dell’ordine morale per arrivare ai valori religiosi.

Tutto ciò incrementa il razzismo che se, in prima battuta, viene esercitato nei confronti dei popoli del terzo mondo e delle persone dalla pelle non bianca, poi, per un naturale trascinamento, si manifesta nei confronti di chi viene percepito/a diverso/a o più debole, con un aumento esponenziale della violenza delle istituzioni nei confronti dei popoli del terzo mondo, ma anche nei confronti della propria popolazione, trasformando aree geografiche, etnie, ambienti… in colonie interne.

Ancora Aimé Césaire ne “La cancrena” (Einaudi 1959) ci dice “Sarebbe necessario studiare, innanzitutto, in che modo la colonizzazione opera per privare della sua civiltà il colonizzatore, una regressione universale che si attua, una cancrena che si insedia, un focolaio di infezione che si estende sempre più”

Altresì, si scatena la violenza nella società con un’impennata di aggressioni, femminicidi, omicidi e suicidi……

Quando si fa una guerra, sul fronte esterno e sul fronte interno, si mette in preventivo l’omicidio di massa, l’impoverimento della popolazione ed una miriade di conseguenze negative.

La Libia è stata sottratta alla sfera d’influenza dell’Italia. Per la prima volta nella storia di questo paese, un partito , il PD, non sposa la causa di una frazione della borghesia nazionale, ma quella delle multinazionali anglo-americane, trasformandosi in un’organizzazione politica ad uso degli interessi di queste ultime e dei circoli atlantici. Da questo scontro in atto uscirà rafforzato il duopolio statunitense-inglese e l’Italia, da paese a sovranità limitata diventerà governatorato anglo- americano.

Il primo governatore che ci hanno mandato si chiama Mario Monti.

Questo è il senso della guerra che è in atto fra gli Stati e le multinazionali per la ridefinizione dei rapporti di forza. Non ci sono effetti collaterali sgraditi o non messi in preventivo, non ci troviamo di fronte ad una crisi del capitale, ma alla manifestazione della sua forma compiuta attuale.

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