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centrostudieiniz

E se il lavoro fosse senza futuro? (IV Parte)

Perché la crisi del capitalismo e quella dello stato sociale trascinano con sé il lavoro salariato

Giovanni Mazzetti

Quaderno Nr. 6/2016 - Formazione online - Periodico di formazione on line a cura del centro studi e iniziative per la riduzione del tempo individuale di lavoro e per la redistribuzione del lavoro sociale complessivo

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Quiquiqui le parti precedenti.

 

Presentazione sesto quaderno di formazione on line

Dopo aver ricostruito la genesi della tesi della fine del lavoro e aver richiamato le critiche che le sono state rivolte, nei quaderni precedenti abbiamo analizzato lo sviluppo del rapporto di lavoro.  In particolare ci siamo concentrati sia sulla prima fase, corrispondente all’affermarsi dei rapporti capitalistici, sia alla seconda fase nella quale, sulla base delle politiche keynesiane ha preso corpo lo stato sociale moderno.  Nelle pagine che seguono, e in quelle del successivo quaderno ci soffermiamo invece sull’evoluzione recente del rapporto di lavoro salariato, quando né il capitale, né lo stato sociale si sono dimostrati in grado di riprodurlo sulla scala necessaria a garantire un livello fisiologico di occupazione.

Parte sesta

La caduta nel labirinto

Capitolo diciottesimo

Fenomenologia dello smarrimento sociale

“L’esigenza di abbandonare le illusioni sulla propria
condizione è l’esigenza di abbandonare una condi-
zione che ha bisogno di illusioni.” (Karl Marx 1843)

Iniziamo il nostro cammino esplorativo sul futuro del lavoro salariato riprendendo alcuni degli interrogativi che avevamo lasciato in sospeso.

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marxxxi

La riforma del lavoro francese, la Nato e la fine del ruolo del Ps

di Lorenzo Battisti

2048x1536 fit mouvement Dodici manifestazioni nazionali, milioni di lavoratori in piazza, duri scontri tra la polizia e i sindacati, con continue provocazioni e arresti arbitrari. Questo ha provocato la legge di riforma del codice del lavoro fatta dai socialisti. Con questa il Ps ha voluto inaugurare il suo ultimo anno alla guida delle Francia. Difficile non fare il confronto con la reazione nulla che i sindacati italiani ebbero quando il loro governo approvò prima la riforma Fornero e poi il Jobs Act di Renzi. A questo si aggiunge il ruolo sempre più importante giocato dalla Francia all'interno della Nato.

 

La legge sul lavoro: la distruzione del codice del lavoro francese

Proprio nelle settimane che hanno preceduto la presentazione della riforma del lavoro, tra censure più o meno esplicite, è uscito in Francia un documentario (sul genere di quelli di Michael Moore) che si chiama “Merci, Patron” (Grazie Padrone), dove si racconta la storia di una coppia che perde il lavoro a causa di una delocalizzazione in Polonia. Il documentario offre uno spaccato della Francia odierna e del dramma del lavoro al tempo della crisi capitalistica.

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conness precarie

Il regime europeo del salario 2

La loi travail e il governo della precarizzazione

di Lavoro Insubordinato

Regime del salario EU FRLo scorso 5 luglio Manuel Valls ha messo fine al dibattito parlamentare sulla loi travail con un atto di forza. Per scavalcare una peraltro timida opposizione, il governo ha fatto nuovamente ricorso all’articolo 49.3 della costituzione, una procedura d’emergenza che dovrebbe garantire l’interesse generale della nazione. Poco importa che negli ultimi quattro mesi milioni di uomini e donne abbiano scioperato e manifestato chiarendo che di quell’interesse generale non sanno che farsene. Un governo sotto assedio invoca lo stato d’assedio per stringere la morsa neoliberale sulla vita di quelle donne e di quegli uomini. Dopo che la Commissione europea ha imposto il suo diktat alla Grecia – cancellando senza esitazioni il risultato del referendum dello scorso luglio – e dopo l’imposizione del Jobs Act a colpi di fiducia in Italia, ora anche la Francia si adatta alla tendenza europea che pretende di stabilire il comando del potere esecutivo sul lavoro vivo. Invocando l’articolo 49.3, il governo francese non si libera soltanto di una patetica opposizione parlamentare, ma pretende anche di sovrastare il rifiuto espresso in questi mesi dalle piazze per imporre un incontrastato predominio del capitale. Definendo le condizioni politiche dello sfruttamento, di una completa disponibilità al lavoro e quindi un’estensione del comando capitalistico anche al di là del rapporto di lavoro salariato in essere, la loi travail è l’espressione nazionale del regime europeo del salario. La sollevazione francese degli ultimi mesi è però il chiaro segno che precarie, operai e migranti non sono affatto disposti a sottostare a un simile regime.

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centrostudieiniz

E se il lavoro fosse senza futuro? (III Parte)

Perché la crisi del capitalismo e quella dello stato sociale trascinano con sé il lavoro salariato

Giovanni Mazzetti

Quaderno Nr. 5/2016 - Formazione online - Periodico di formazione on line a cura del centro studi e iniziative per la riduzione del tempo individuale di lavoro e per la redistribuzione del lavoro sociale complessivo

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Quiqui le parti precedenti.

 

Presentazione quinto quaderno di formazione on line

Presentazione Parte III di “E se il lavoro fosse … senza futuro?”

Il limite della nostra forma di sapere è che pur parlando continuamente di cambiamento in realtà non abbiamo alcuna idea di come rappresentarlo. Dopo aver ricostruito la dimensione storica dell’ascesa del rapporto di lavoro salariato, affrontiamo in questi due capitoli il processo attraverso il quale si è, con lo Stato sociale keynesiano, avviato un rozzo superamento di quel rapporto. E’ la complessa storia dell’affermazione del keynesismo e delle sua implicazioni.

 

Parte quarta

L’inizio dell’incerto cammino al di là del rapporto salariato

Capitolo undicesimo

Alla frontiera del rapporto di merce

Qual è il limite del rapporto di merce, cioè l’aspetto che, dopo averne riconosciuto il ruolo storico positivo, come abbiamo fatto,  ci permette di esprimere nei suoi confronti una valutazione (anche) negativa?

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inchiesta

Riappropriarsi del tempo e ridurre l’orario di lavoro

Mario Agostinelli

Lo scopo del lavoro è quello di guadagnarsi il tempo libero (Aristotele).

salvador dali montre molle au moment de sa premiere explo1. Tempo e velocità hanno un limite

Il mondo non ha più tempo da perdere. Siamo nel mezzo della crisi energetica più rilevante nella storia dell’umanità. Se per gioco volessimo rappresentare con personalità conosciute le generazioni che succedendosi hanno “plasmato la memoria” su cui risiede la nostra civiltà occidentale – a scelta da Pitagora a Pericle a Cesare a Carlo Magno a Marco Polo a Napoleone a Marx, ad Einstein a Feynman, fino ad Obama – sarebbe sufficiente spalmare su un grande palco una novantina di illustri individualità – (90 personalità x 25 anni a generazione =2250 anni di storia). Ma se volessimo prevedere quanti nuovi personaggi potranno salire d’ora in avanti su quel palco, dovremmo riflettere che, almeno a detta del mondo scientifico più responsabile e accreditato, non potremmo andare oltre alle quattro o cinque unità, se i nuovi “leader” si limitassero a replicare il “business as usual”, con i conseguenti effetti irreversibili e devastanti sul clima e la temperatura del pianeta.

In pratica, la velocità di trasformazione e di sfruttamento delle risorse naturali e lavorative è giunta al punto tale da pregiudicare, con gli effetti di manomissione dei cicli naturali, il mantenimento della biosfera e la sopravvivenza della specie.

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manifesto

I terminator del lavoro

Giuseppe Nicolosi e Fabrizio Fassio

Nel futuro la disoccupazione sarà generalizzata. È la previsione che segue le analisi sull’automazione delle attività produttive. Una tesi che ritorna ciclicamente, da oltre cinquant’anni, ogni volta che viene annunciata qualche innovazione tecnologica

cyber angel by franz85Lo scorso anno ha provocato un certo scalpore in Italia un articolo del saggista britannico John Lanchester pubblicato dalla London Review of Books e tradotto in italiano da Internazionale intitolato Il capitalismo dei Robot. Il testo di Lanchester consta di una documentata analisi della situazione planetaria del lavoro sotto la pressione dello sviluppo tecnologico e dell’automazione. Tra i dati più spettacolari presentati da Lanchester spiccano la netta vittoria di Watson, ultimo software Ibm in materia di intelligenza artificiale, al gioco a quiz televisivo Jeopardy!, i successi del traduttore di Google e l’annuncio di Terry Gou, fondatore di Foxconn, della sua intenzione di sostituire il milione di dipendenti della celebre azienda elettronica con dei robot. Come scrive Lanchester: «Se mettiamo insieme tutte queste cose, possiamo iniziare a capire perché molte persone pensano che sia in arrivo un grande cambiamento basato sull’influenza dell’informatica e della tecnologia sulla nostra vita quotidiana».

Che molte persone pensino qualcosa del genere è senz’altro vero, basti citare titoli di grande successo come Postcapitalismo di Paul Mason (Il Saggiatore) o altri importanti lavori pubblicati recentemente come Rise of robots di Martin Ford. Sul palco delle Ted Conference, seguite da centinaia di migliaia di persone sui canali video di Youtube, si susseguono giovani e brillanti pensatori che, nel nome del reddito di cittadinanza, snocciolano grafici e tabelle che rivelano impietosamente il trend progressivo e inesorabile della fine del lavoro sotto la pressione dell’automazione.

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conness precarie

Precarity save the Queen! Il salario minimo della Corona

Il regime europeo del salario 1

di Lavoro Insubordinato

Regime del salario EUQuando si tratta di lavoro Buckingham Palace è come McDonald’s. Entrambi i palazzi, quello della regina e quello del fast food più globale del mondo, assumono con «contratti a zero-ore». Insomma, «che mangino brioche!», o meglio, hamburger. È noto infatti che il Big Mac Index inventato dall’Economist a metà degli anni ’80 è diventato uno strumento per misurare non solo il potere d’acquisto, ma anche il salario minimo, o meglio quello che il Regno Unito chiama ormai living wage, un modo di tagliare indiscriminatamente i servizi di welfare in cambio della mera sopravvivenza. La Burgernomics è il segno dei tempi, la nuova Realpolitik del lavoro che riduce il benessere al rapporto tra il lavoratore e il suo hamburger.

 

Un salario di sopravvivenza

Il contratto a zero ore non è una novità e già nel 2013 se ne contavano più di un milione. Ѐ il cavallo di troia con cui nel 1998 la Gran Bretagna ha introdotto, con il National Minimum Wage Act, la precarietà: si tratta di lavoro a chiamata, senza garanzie, senza orari di lavoro prefissati, senza malattie, senza ferie, un po’ come i voucher nostrani.

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conness precarie

Il «sogno cinese» alla prova della classe. Un’intervista a Pun Ngai

di Giorgio Grappi e Devi Sacchetto

Chinese dreamIl Parlamento Europeo discute se la Cina debba essere considerata o no un’economia di mercato, moltiplicando le critiche all’interventismo dello Stato cinese negli affari economici. Sono tuttavia molte le imprese anche europee che in questi anni hanno approfittato dei rigidi regimi del lavoro imposti da Pechino. Altrettante sono quelle che sperano nell’imminente arrivo di investimenti cinesi per rilanciare il loro fatturato. Dopo aver ricoperto il ruolo di «fabbrica del mondo» per mansioni a basso valore aggiunto, oggi il ruolo della Cina sta drasticamente cambiando. Il protagonismo delle aziende cinesi, insieme alla strategia nota come Nuova via della Seta, che promette ingenti investimenti nel settore delle infrastrutture, fa gola a molti attori in ogni angolo del globo. Nell’epicentro dell’Europa colpita dalla crisi, la vicenda del porto del Pireo, oggi controllato dalla cinese Cosco grazie ad una concessione trentennale che ne ha rilanciata la posizione globale, è solo il più importante esempio di come la Cina sia più che mai vicina. Sappiamo però poco delle trasformazioni in atto nel paese.

Nel corso degli ultimi anni lo sviluppo economico cinese pare aver imboccato una nuova strada, con delocalizzazioni verso l’interno del paese e all’estero, mentre alcuni commentatori hanno sottolineato l’emergere di un’ampia classe media.

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Requiem per il tempo libero

di Salvatore Cavaleri

Appunti a voce alta dopo la lettura di "24/7. Il capitalismo all'assalto del sonno", di Jonathan Crary

1454444083 12593812 925827734164984 1001664142758161366 oGeneralmente la mattina faccio colazione davanti al computer. Controllo se la puntata che avevo messo a scaricare si è completata, apro Facebook, guardo la mailing list con cui facciamo i passaggi di consegne tra colleghi di lavoro, accendo Radio 3e altre banali attività che ormai vanno in automatico. Poi, dopo la sigaretta, vado in bagno, faccio una partita ad un videogioco online e mentre faccio la doccia attivo la riproduzione casuale di Spotify. La seconda colazione la faccio al bar con Giro e gli altri genitori vicino la scuola dei nostri figli. Ogni mattina escono fuori due o tre idee che ci faranno svoltare definitivamente - tipo brevettare il passeggino per adulti o mettere su una band rocksteady – poi ci si saluta e si va a lavorare.

Il lavoro che faccio comprende alcune attività che atterrebbero generalmente alla normale vita quotidiana, tipo passare del tempo a parlare con dei ragazzi, pranzare insieme, giocare alla Play Station e anche dormire durante i turni di notte. Per i contatti con i vari servizi con cui ho a che fare, poi, vado in giro, mando qualche mail, ricevo un po' di messaggi via fax e passo diverse ore al telefono con i colleghi.

La sera, prima di andare a casa, passo dal negozietto bangla che per fortuna fa orario continuato e compro quelle due cose che sono terminate all'ultimo momento.

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E se il lavoro fosse senza futuro? (II Parte)

Perché la crisi del capitalismo e quella dello stato sociale trascinano con sé il lavoro salariato

Giovanni Mazzetti

Quaderno Nr. 4/2016 - Formazione online - Periodico di formazione on line a cura del centro studi e iniziative per la riduzione del tempo individuale di lavoro e per la redistribuzione del lavoro sociale complessivo

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Qui la parte precedente.

 

Presentazione quarto quaderno di formazione on line

Proponiamo qui la seconda parte del testo “E se il lavoro fosse … senza futuro?  Perché la crisi del capitalismo e dello Stato sociale trascina con sé il lavoro salariato” (qui la prima parte). Per ragionare su questo interrogativo bisogna, ovviamente, non avvicinarsi al lavoro in modo ingenuo. Mentre nella sezione precedente abbiamo collocato il lavoro salariato in un prospettiva storica, e cioè abbiamo ricostruito l’evoluzione della sua recente affermazione nella storia dell’umanità, qui cerchiamo di individuare le trappole nelle quali il senso comune normalmente cade, nel ragionare sulle prospettive delle possibilità di sviluppo di questo rapporto sociale.

 

Parte Terza. Il lavoro salariato al di là del senso comune

Capitolo Sesto

Uno dei maggiori contributi di Gramsci alla comprensione di come le forme del pensiero non siano mai univoche e non abbiano lo stesso valore riguarda, com’è noto,  la sua critica del cosiddetto “senso comune”, cioè della rappresentazione di sé come organismo sociale che di volta in volta finisce col prevalere nella società. Normalmente, questa rappresentazione soffre, a suo avviso, di gravi limiti.  Innanzi tutto si fonda quasi sempre su un pensiero disgregato,  privo di unità, con convinzioni sconnesse, che spesso non hanno alcuna coerenza e rigore logico.

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The Jobs Act Effect, dall’Europa all’Italia e ritorno

di Lavoro Insubordinato

Jobs Act effectL’«entusiasmo» per il presunto aumento dell’occupazione e della stabilità dei rapporti di lavoro prodotto dal Jobs Act è durato ben poco. Nel primo trimestre del 2016 i dati rivelano un netto calo di assunzioni in coincidenza della riduzione degli sgravi fiscali. L’aumento delle assunzioni è infatti meno del 33,4% rispetto al primo trimestre del 2015. Dati alla mano è evidente che la crescita occupazionale è stata solo un temporaneo abbaglio. Se lo scorso anno l’esonero contributivo era pari al 100% per i primi tre anni, da gennaio 2015 è del 40% per soli due anni. Insomma, le assunzioni o le trasformazioni contrattuali sono strettamente legate alla consistenza dell’incentivo ma, laddove non c’è più risparmio totale, il contratto a tutele crescenti chiaramente non è più appetibile. Del resto, un’alta percentuale dell’aumento rilevato consiste nella conversione di contratti a tempo determinato in contratti a tutele crescenti, dovuti agli sgravi fiscali previsti per il primo periodo della loro introduzione. Gli sgravi sono infatti riservati alle cosiddette «nuove assunzioni», di nome ma non di fatto. I cosiddetti «furbetti del Jobs Act» sono stati smascherati qualche mese fa, quando l’INPS si è accorto che molti lavoratori erano stati licenziati per poi essere riassunti in un secondo momento, affinché le aziende potessero godere della decontribuzione. In alcuni casi, il giochetto messo in pratica consisteva nell’indurre i lavoratori a licenziarsi, per assumerli poi con un’altra azienda o cooperativa creata ad hoc e operativa nello stesso luogo di lavoro.

Il passaggio da contratti a tempo determinato al contratto a tutele crescenti viene venduto come un successo ma, oltre a non costituire un aumento reale dell’occupazione, non garantisce nessuna crescita della stabilità del lavoro.

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E se il lavoro fosse senza futuro?

Perché la crisi del capitalismo e quella dello stato sociale trascinano con sé il lavoro salariato

Giovanni Mazzetti

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Parte prima. Il posto del lavoro salariato

Chi, tra venti o trenta anni, cercherà di descrivere la fase storica che noi, individui del mondo sviluppato, stiamo attraversando oggi si troverà di fronte un fenomeno apparentemente inspiegabile.  La grande industria ha da lungo tempo raggiunto e superato il culmine della sua fioritura, e viene sempre più sostituita dai servizi come pilastro dello sviluppo1.  Dunque un fenomeno preconizzato da Marx agli albori dell’industrializzazione - quando aveva sostenuto che l’espansione dell’industria sarebbe inevitabilmente sfociata in una situazione nella quale “la creazione della ricchezza reale sarebbe venuta a dipendere sempre meno dal tempo di lavoro e dalla quantità di lavoro impiegato e sempre di più dalla potenza degli agenti messi in moto nel lavoro”, e cioè dalla qualità di quest’ultimo - si è concretamente avverato.  Il fattore determinante della produzione, come tutti ormai riconoscono, è infatti diventato “lo sviluppo della scienza ed il progresso della tecnica”.  Ma tutto ciò non si è accompagnato ad un mutamento sociale che, sempre ad avviso di Marx, avrebbe dovuto intrecciarsi con quello tecnico, e avrebbe dovuto riguardare il modo in cui viene sperimentato l’arricchimento e viene reso possibile l’ulteriore sviluppo.  Se la ricchezza aggiuntiva viene a dipendere sempre meno dalla quantità di lavoro, è infatti evidente che “il tempo di lavoro erogato non può più essere ciò che la misura”. 

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operaviva

L’etica della sfiga

Alberto De Nicola, Augusto Illuminati

Claire Fontaine Arbeit Macht Kapital 2012Partiamo da un assunto generale. Essere lavoratori produttivi non è una fortuna, ma una sfiga (kein Gluck, sondern ein Pech) ­ affermava Marx ­ e questo vale sia nel lavoro fordista che in quello postfordista, sia per l’operaio di fabbrica tradizionale che della sharing economy, sia per partite Iva che per altre figure. Si tratta infatti di produttività non in senso materiale, di oggetti fisici, ma di plusvalore comunque estratto.

Quindi, come ieri eravamo contro l’ideologia e l’etica del lavorismo fordista, oggi dobbiamo stare in guardia contro l’etica dei nuovi lavori postfordisti. Se ieri (ma in certi ambienti ancora oggi) si cercava di nobilitare lo sfruttamento industriale socialista o capitalista con la partecipazione morale degli sfruttati, oggi è in corso un tentativo insidioso di sua legittimazione ideologica in forma di auto-inganno, quel lavoro precario e intermittente che sta diventando la regola in tutti i campi. Ciò avviene proprio in quei settori che funzionano da battistrada e parametri della precarietà generalizzata: in primo luogo l’industria culturale e l’Università, modelli di autoimprenditorialità e autosfruttamento in nome dell’eccellenza, del merito e del riconoscimento. Gli altri settori seguiranno, quale che sia il loro grado di durezza materiale.

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operaieteoria

Diritto del lavoro, il diritto del più forte

La sentenza di Nola contro gli operai FCA

di Andrea Vitale

padrone che batte servoSempre più frequenti e numerose diventano le sentenze con cui la magistratura conferma il licenziamento di lavoratori, rei di aver violato il cosiddetto “obbligo di fedeltà”. Tale orientamento investe tutti i diversi livelli della magistratura, dai tribunali, alle corti di appello, alla cassazione. Fra tutte queste sentenze, quella che risulta più emblematica e significativa è quella del tribunale di Nola del giugno 2015 (tribunale di Nola, n. 18203/2015 del 04/06/2015, rg. n. 5996/2014). In essa viene confermato il licenziamento di ben cinque fra i più conosciuti e combattivi operai di avanguardia della FCA di Pomigliano, sanzionando direttamente con la massima punizione possibile, quella espulsiva, i comportamenti e le critiche che costoro hanno rivolto all’azienda di cui erano dipendenti, critiche, per giunta, espresse all’esterno dello stabilimento e non in orario lavorativo. La chiarezza con cui il giudice illustra nel dispositivo della sentenza le ragioni della sua grave decisione rendono questa sentenza una sorta di manifesto dell’attuale orientamento della magistratura. Ecco perché nel nostro ragionamento avremo come principale riferimento ed oggetto di critica proprio questo singolo provvedimento.

 

Essenziale premessa

Per chiarezza di esposizione e per rendere più comprensibile al lettore il nostro discorso, ricostruiamo sommariamente gli episodi che hanno portato al licenziamento dei cinque operai, con l’avvertenza però che la nostra attenzione si concentrerà sugli aspetti più generali ed emblematici della vicenda e della sentenza.

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sbilanciamoci

Il nuovo fordismo individualizzato

Lelio Demichelis

Davvero siamo felicemente usciti dal fordismo del 900? Oppure siamo semplicemente dentro a una nuova fase della Grande Narrazione tecnica e capitalista?

fordismDavvero il lavoro è cambiato, oggi, in tempi di terza (o già di quarta, con la digitalizzazione) rivoluzione industriale, rispetto alla prima di fine Settecento? Davvero siamo felicemente (e finalmente!) usciti dal fordismo greve e pesante del ‘900 per approdare al post-fordismo leggero, flessibile e virtuoso, alla produzione snella, all’economia della conoscenza e all’era dell’accesso, alla new economy degli anni ’90 e ora alla sharing economy e agli smart jobs – e qualcuno (Paul Mason) immagina persino un favoloso post-capitalismo? Oppure siamo semplicemente (e drammaticamente) dentro a una nuova fase della Grande Narrazione tecnica e capitalista?

Se carattere tipico e definitorio del fordismo era la produzione industriale di massa basata sull’impiego di lavoro ripetitivo e generalmente senza particolari qualifiche e specializzazioni («Io» – diceva Henry Ford – «non riuscirei mai a fare la stessa cosa tutti i giorni, ma per altri le operazioni ripetitive non sono un motivo di orrore. L’operaio medio desidera un lavoro nel quale non debba erogare molta energia fisica, ma soprattutto desidera un lavoro nel quale non debba pensare»), il post-fordismo si caratterizzerebbe invece per l’adozione di tecnologie e criteri organizzativi che pongono una particolare enfasi sulla specializzazione e sulla qualificazione del lavoro e delle competenze nonché sulla flessibilità dei lavoratori.