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ilpungolorosso

Su un capolavoro di F. Engels (La situazione della classe operaia in Inghilterra) e una onesta ricerca sui “morti per disperazione” nell’Amerika di oggi

di Luca Bistolfi

“Morti per disperazione”: uno studio e un classico fanno riflettere sul sistema capitalistico. Che non aumenta il benessere, ma esalta disparità e dolore

engels giovaneQuesto bell’articolo di L. Bistolfi (che francamente conosciamo poco, o nulla) stabilisce un accostamento interessante tra il massimo capolavoro (forse) di Federico Engels, La situazione della classe operaia in Inghilterra (al 1844), appena ripubblicato da Feltrinelli – un libro da leggere e da rileggere ! -, e un’onesta ricerca di due accademici statunitensi su tre flagelli che imperversano negli Stati Uniti di oggi, e spingono i più disperati, in genere proletari o proletarizzati, verso la morte: l’alcool, la droga, il suicidio.

In tempi come questi, fatti di messaggi brevi, con tempi di lettura minimi e cronometrati (2, 5, 8 minuti), invitare alla lettura di libri e allo studio, ed in particolare allo studio dei nostri classici, è controcorrente. Lo sappiamo bene. E nondimeno invitiamo, incitiamo i frequentatori di questo blog a leggere i libri indispensabili (quello di Engels è tale) e, se si ha tempo, anche quelli utili a comprendere gli implacabili antagonismi del capitalismo.

* * * *

Bisogna elevare un grande plauso alla recente pubblicazione per i tipi di Feltrinelli della Situazione della classe operaia in Inghilterra, l’opera di Engels che lasciò ammirato Marx e che di fatto segnò l’inizio del loro sodalizio umano e politico. Un lavoro denso e preciso edificato sulla stampa e sulle relazioni delle commissioni dell’epoca e sulla diretta osservazione dell’autore, che schiude le porte dell’inferno sulla terra mostrando con spietatezza la realtà dei lavoratori e delle lavoratrici, bambini inclusi, a mezzo dell’Ottocento.

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centroriformastato

Il lavoro al tempo delle piattaforme

di Giulio De Petra

Intervento per la sessione “L’egemonia delle piattaforme" del convegno “Rileggere il Capitale”, organizzato da ARS e CRS

home office 4996834 1920 1 1536x854Un conflitto necessario

La traiettoria del capitalismo, delle sue crisi e dei suoi sviluppi, si intreccia inestricabilmente con quella del lavoro, della sua forma e delle sue lotte.

È la riorganizzazione continua del modo di produzione capitalista che determina la forma del lavoro, i modi e l’intensità dello sfruttamento, le caratteristiche della sua alienazione.

E, nello stesso tempo, sono i conflitti prodotti dall’organizzazione politica del lavoro a determinare i tempi e i modi dei passaggi della riorganizzazione del capitalismo.

Ed è un conflitto necessario, senza il quale il meccanismo di sviluppo del capitalismo rischia di avvitarsi su se stesso, di procedere per inerzia, proseguendo sulla propria traiettoria senza adeguata consapevolezza delle conseguenze sociali, economiche, ambientali che determina.

Questa reciproca implicazione di lavoro e capitalismo vede nell’utilizzo delle tecnologie storicamente disponibili la risorsa determinante, quella che consente determinate forme di produzione e quella che influenza l’organizzazione politica del lavoro.

La comprensione di come le tecnologie digitali, la forma attuale delle tecnologie di produzione e di organizzazione sociale, modificano e determinano la forma del lavoro è quindi centrale per comprendere la forma attuale del capitalismo.

Ma è centrale anche da un altro punto di vista, che è una delle motivazioni (la principale?) di queste due giornate di analisi e confronto.

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linterferenza

Appunti sulla cultura del lavoro tra liberalcapitalismo e postmodernismo

di Gerardo Lisco

industria Imagoeconomica 1525975 kFKB 1020x533IlSole24Ore WebLa proposta di Letta di istituire un’imposta patrimoniale per costituire un fondo a favore dei giovani, che dovrebbe servire per l’Università o per avviare un’attività imprenditoriale, è da inserire nel cambio di paradigma che vuole il lavoro non più un diritto ma un dovere, secondo la logica del Ministro Fornero. La proposta è stata respinta dal Presidente del Consiglio Draghi, la destra Conservatrice si è opposta alla proposta avanzata da Letta sostenendo la decisione del Presidente del consiglio. La destra conservatrice si è schierata a difesa dell’idea che solo riducendo il prelievo fiscale sui patrimoni e sui redditi alti è possibile liberare risorse utili al rilancio dell’economia, in sostanza la teorie del trickle-down rappresentata dalla curva di Laffer; la destra Liberale, il PD e il ceto di opinionisti e intellettuali che gravitano nella sua orbita si sono immediatamente affannati a sostenere la proposta di Letta come di sinistra e a sottolineare come essa fosse stata sostenuta da Liberali come Einaudi e Keynes.

La proposta avanzata da Letta non molto tempo fa è l’altra faccia della medaglia rispetto all’idea avanzata da Renzi di un referendum per abrogare il reddito di cittadinanza. Entrambi gli istituti vanno inquadrati nel contesto economico e sociale nel quale devono operare. Come spiegano Van Parijs e Vanderborght [1] l’idea di introdurre strumenti quali reddito di base, nel caso specifico il reddito di cittadinanza, o una dotazione di base secondo la proposta avanzata da Letta sono rintracciabili a partire dalla fine del XVIII secolo interessando sia la destra che la sinistra ( solo per memoria le categorie politiche di destra e sinistra nascono proprio sul finire del 700 durante la Rivoluzione francese). I due autori, per inciso, appartengono alla schiera di coloro che da Sinistra sostengono la necessità di introdurre istituti quali il reddito di cittadinanza.

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officinaprimomaggio

Tra conflitto e pratica dell’obiettivo

Riccardo Emilio Chesta intervista la Tech workers coalition italiana

external content.908785g74Anche in seguito alla crisi da Covid-19 da circa un anno in Italia si è costituita una sezione della Tech workers coalition (Twc), rete transnazionale dei lavoratori delle aziende Ict. Li abbiamo incontrati dopo un evento pubblico online di presentazione delle loro attività. Composta di lavoratori qualificati nel settore informatico, grafico, che include progettisti e sviluppatori, la Twc è un soggetto che cerca di parlare a diverse realtà lavorative investite dagli attuali processi di digitalizzazione e innovazione tecnologica. Si propone di coinvolgere nelle proprie iniziative non solo chi le tecnologie digitali le programma e sviluppa ma anche chi le esperisce nel proprio lavoro, come i rider delle piattaforme di food-delivery o i magazzinieri della logistica, tentando dunque di gettare ponti che leghino i lavoratori più tecnicamente qualificati con i lavoratori manuali sempre più coinvolti dai processi di digitalizzazione. Da un lato la Twc si pone obiettivi specifici e settoriali – è composta in prevalenza da lavoratori e lavoratrici del settore informatico – ma ritiene che possano essere un mezzo attraverso cui coinvolgere nella propria organizzazione tanto lavoratori manuali quanto figure tecniche ibride, a cavallo col lavoro culturale, come i grafici e i designer.

Già l’adozione del termine “coalizione” li identifica come un soggetto aperto, non corporativo che tenta di andare oltre un’opera pur necessaria di sindacalizzazione e organizzazione, ponendosi come obiettivo un’opera più generale di acculturazione all’azione collettiva e alla costruzione di solidarietà tra i lavoratori tech, in primis sul proprio posto di lavoro ma anche al di là, invitando a riflettere sui legami tra la propria professionalità e le implicazioni più generali in società.

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la citta futura

L’utopia della de-mercificazione della forza-lavoro

di Domenico Laise

La mercificazione della forza-lavoro è una condizione necessaria per l’esistenza del modo di produzione capitalistico. Di conseguenza, la “de-mercificazione” della forza-lavoro è incompatibile con il modo di produzione capitalistico. È, cioè, la sua negazione

7e4a56645e0956469242b759988ca5b2 XLDal tempo in cui Marx scriveva il Capitale ad oggi sono mutati molti aspetti nel modo in cui il lavoro viene organizzato ed erogato. L’introduzione di tecnologie come le piattaforme digitali, per esempio, ha generato quello che, da molti autori, viene chiamato il “capitalismo digitale”. Ma, nonostante queste “mutazioni”, alcuni aspetti essenziali del modo di produzione capitalistico non hanno subito modifiche sostanziali. Uno di questi aspetti è la “mercificazione della forza-lavoro”, ovvero la riduzione della forza-lavoro a merce. Da questo dato di fatto occorre ripartire per dare solide basi teoriche anche alle analisi delle forme moderne di erogazione e organizzazione tayloristiche del lavoro. Da questo incontestabile dato di fatto occorre ripartire per illustrare scientificamente l’esistenza dello sfruttamento del lavoro umano, anche nel capitalismo digitale

Per illustrare la natura di alcune forme moderne del lavoro conviene prendere le mosse da un caso concreto e abbastanza noto: il lavoro con piattaforma digitale del food delivery. Attraverso l’uso di algoritmi di ottimizzazione, la piattaforma digitale Deliveroo è in grado di gestire le attività di un’ampia rete di lavoratori (una rete di fattorini o rider), disponibili just in time. Altri noti esempi di lavoratori impiegati e coordinati su piattaforme digitali sono gli autisti di Uber e i lavoratori dei magazzini di Amazon.

Una prima difficoltà che emerge nell’analisi del lavoro del food delivery è quella di individuare la natura del lavoro del driver che consegna il cibo. Sorge il seguente quesito: il driver è un lavoratore subordinato, etero-diretto dalla piattaforma, oppure è un lavoratore autonomo che sceglie quando e quanto lavorare e che si auto-dirige come un imprenditore di sé stesso?

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coniarerivolta

Confindustria attacca il lavoro, i sindacati confederali applaudono

di coniarerivolta

grandeaccordoNonostante l’Italia si trovi ancora in una profonda crisi occupazionale, con il numero di lavoratori occupati calato di circa 800 mila unità tra febbraio 2020 e giugno 2021 e con un tasso di disoccupazione aumentato dal 9,5% di fine 2019 al 10,5% di maggio 2021, la scadenza del blocco dei licenziamenti è arrivata. Con il decreto-legge n. 99/2021 il Governo pone fine, a partire dal 1° luglio 2021, al blocco dei licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo introdotto nel marzo 2020, escludendo dallo stop solo il comparto della moda (ritenuto uno dei settori che più ha subito la crisi per effetto delle misure di contrasto alla pandemia) e la filiera produttiva ad esso collegata come calzature, pelletteria e tessile.

A corredo della misura governativa, martedì 29 giugno Governo, sindacati confederali (CGIL, CISL e UIL) e Confindustria hanno siglato un accordo. Si tratta, in realtà, di una mera presa d’atto di cui non si comprende il valore giuridico e l’effetto vincolante che potrà esercitare, ma che il segretario della CGIL Landini non ha esitato a definire un grande risultato per tutto il Paese. Nell’accordo si afferma testualmente quanto segue: “le parti sociali alla luce della soluzione proposta dal Governo sul superamento del blocco dei licenziamenti, si impegnano a raccomandare l’utilizzo degli ammortizzatori sociali che la legislazione vigente ed il decreto legge in approvazione prevedono in alternativa alla risoluzione dei rapporti di lavoro”.

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la citta futura

Lo smart working sopravviverà alla pandemia?

di Domenico Laise

Cos’è lo smart working? È una formula organizzativa che i capitalisti utilizzano per accrescere lo sfruttamento dei lavoratori (plusvalore). È la finalizzazione dello smart working allo sfruttamento del lavoro che va combattuta e non la formula dello smart working in quanto tale

aFArrbYqd8yGZo783XkntnIn questa nota si sosterrà che ci sono validi motivi per ritenere che lo smart working sopravvivrà oltre il tempo della pandemia. Esso, è, infatti, uno strumento a disposizione dei capitalisti per “destrutturare, frammentare e atomizzare” la residua resistenza della classe dei lavoratori proletari, nella lotta per la difesa delle conquiste che essi hanno realizzato nel passato [1].

La pandemia, dovuta al virus Covid-19, ha incentivato il ricorso allo smart working. Ciò, come è noto, è dipeso, principalmente, dal fatto che lo smart working può essere svolto senza vincoli stringenti di spazio e di tempo, permettendo il distanziamento richiesto per ridurre il rischio di contagio.

Ora, all’interno della disputa sui vantaggi e gli svantaggi dello smart working ci si domanda: “dopo la fine della pandemia lo smart working continuerà a svilupparsi oppure ritornerà ad essere un fenomeno relativamente marginale come nel passato?”

Per dare una risposta a questo quesito, bisogna analizzare nel dettaglio la natura dello smart working [2].

Nel dibattito tra gli “addetti ai lavori”, alcuni autori, di orientamento neo-liberista, sostengono che lo smart working si svilupperà ancora di più nel post-pandemia, poiché esso è uno strumento che soddisfa il bisogno naturale e primario di auto-organizzazione del lavoratore, bisogno che il lavoro tradizionale (taylorista-fordista) non è in grado di soddisfare perché è etero-organizzato dal capitalista.

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