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Pensioni, la manina che ha premiato i ricchi

Maurizio Benetti

Sul Corriere della Sera una denuncia di cui E&L aveva dato conto già nel 2012: Uno degli effetti della legge Fornero ha attribuito vantaggi ad alcune categorie (tra le quali magistrati e docenti universitari) con un costo di 2,5 miliardi in 10 anni. In origine nella legge si specificava che quei vantaggi non sarebbero scattati, ma in Parlamento qualcuno ha cassato proprio quelle righe

tutto sulle nostre spalleLo scorso 11 novembre Gian Antonio Stella sul Corriere della sera ha pubblicato un articolo su di un comma “sparito” nella legge Fornero di riforma del sistema pensionistico (L. 214/2011), legge, ricorda Stella, che si riprometteva secondo la Fornero di “togliere ai ricchi per dare ai poveri”. Nel suo articolo Stella sostiene che l’eliminazione di quattro righe dalla formulazione definitiva della legge Fornero ha prodotto un regalo per le pensioni più ricche, in particolare di magistrati, professori universitari, altri burocrati pubblici, che costa alle casse dell’Inps-Inpdap circa 2,5 mld nell’arco di un decennio.

Questo specifico tema era stato rilevato e denunciato da E&L nel marzo del 2012 (Se 51 anni vi sembran pochi) sottolineando che “In definitiva le uniche categorie che possono sentirsi soddisfatte dalla riforma sono professori universitari e magistrati” in contrasto con quelli che Fornero indicava come “i principi ispiratori del provvedimento, l’abbattimento delle posizioni di privilegio e la presenza di clausole derogative soltanto per le fasce più deboli e le categorie dei bisognosi”.

La denuncia di E&L rimase inascoltata anche se portata a conoscenza di sindacati e giornali e temiamo che resterà inascoltata anche la denuncia-rivelazione di Stella, anche se è stato annunciato un emendamento in proposito. Vediamo cause ed effetti macro e micro del problema.

Con la legge Fornero dal 2012 tutti i lavoratori passano, pro rata, al contributivo. Nulla cambia sotto quest’aspetto per chi già stava nel contributivo o nel misto, cambia invece per i lavoratori che avevano almeno 18 anni di contribuzione al 31.12.1995 che fino alla legge Fornero erano interamente nel sistema retributivo. Era un’innovazione ormai marginale dato che chi aveva 18 anni di contribuzione nel 1992 aveva ormai raggiunto nel 2011 i 34 anni di contribuzione e quindi gli effetti di questa misura restrittiva sull’importo delle pensioni dal punto di vista micro e macro era molto limitato. La norma secondo la Relazione tecnica che accompagnava la legge di riforma “ha un impatto contenuto sia sul piano finanziario che soggettivo” e il risparmio prodotto dalla misura era stimato in 24 milioni netti nel 2013 con una crescita successiva fino a un massimo di risparmio di 216 milioni nel 2018, a fronte di un risparmio complessivo a quella data di oltre 14 miliardi di euro prodotto dall’insieme degli interventi sul sistema pensionistico.

Unitamente a questa estensione la legge Fornero introduceva anche la possibilità di posticipare il pensionamento fino a 70 anni prevedendo di conseguenza il calcolo dei coefficienti di trasformazione del montante in rendita, fino allora limitati all’intervallo 57-65, fino ai 70. Poteva sembrare l’introduzione di una misura di flessibilità, sia pure per età elevate, ma in primo luogo la misura era esplicitamente non applicata al pubblico impiego, in secondo luogo produceva un effetto particolare.

Nel sistema retributivo il massimo di pensione si raggiunge al 40° anno di contribuzione con l’80% della retribuzione pensionabile. Se si rimane al lavoro per altri anni, la percentuale non muta e la pensione può crescere solo se aumenta la retribuzione pensionabile. Nel vecchio sistema, quindi, tutti coloro che restavano al lavoro oltre i 40 anni di contribuzione non avevano particolari vantaggi pensionistici. Era una situazione che riguardava in modo particolare magistrati e docenti universitari che avevano un’età di pensionamento di vecchiaia dai settanta anni in su e che quindi superavano facilmente i 40 anni di contribuzione (poco diffuso in queste categorie è, infatti, il riscatto ai fini pensionistici degli anni di laurea dato il rischio di pagare per non avere alcun vantaggio). Il passaggio pro rata al contributivo muta la situazione poiché per tutti coloro che al 2011 hanno raggiunto i 40 anni di contribuzione, gli anni a partire dal 2012 non sono più inutili ai fini pensionistici ma diventano utili per un’ulteriore, e nuova, quota di pensione. All’80% precedente si affianca ora una parte contributiva di pensione. Questo ovviamente riguarda tutti i lavoratori che sono nel contributivo, ma certamente i vantaggi sono diversi a seconda delle carriere e dei vantaggi (di reddito e di status) offerti da una lunga carriera lavorativa.

Ulteriore elemento da considerare è il fatto che in seguito all’innalzamento dell’età pensionabile e alla possibilità di lavorare fino a 70 anni i coefficienti di trasformazione sono ora calcolati fino ai 70 anni. Il calcolo dei coefficienti fino ai 65 anni costituiva (solo in prospettiva per i lavoratori nel misto e nel contributivo) uno strumento punitivo/redistributivo ai danni di chi sarebbe andato in pensione dopo i 65 anni con il sistema misto o contributivo. Questi lavoratori avrebbero, infatti, avuto un coefficiente di trasformazione inferiore a quello derivante dalla loro teorica attesa di vita. Il calcolo fino ai 70 anni cambia la situazione e comporta per chi va in pensione a 70 anni un aumento del 20% del coefficiente rispetto a quello dei 65 anni.

Il risultato dal punto di vista macro di queste misure è, secondo i dati riportati da Stella, un aggravio di spesa per le casse di Inps-Inpdap di 2,5 miliardi nel decennio 2014-2024. Dal punto di vista micro possiamo fare questo calcolo. Prendiamo una retribuzione di 100.000 euro di un soggetto che nel 2011 abbia raggiunto i 40 anni di contribuzione. La sua pensione retributiva resta quella precedente ma a essa si aggiunge un nuovo pezzo contributivo frutto dei contributi versati dal 2012 in avanti. Il versamento annuale è di 33.000 euro, che diventano 66.000 (tralasciamo per semplicità la rivalutazione annua) dopo due anni, 99.0000 dopo tre anni, fino a 165.000 dopo 5 anni. Di quanto aumenta la pensione con un’uscita a 70 anni e con un coefficiente pari a 6,541%? Dopo un anno l’incremento di pensione sarebbe pari a 166 euro lordi (95 netti), dopo due anni 332 euro lordi (189 netti), dopo tre anni 498 euro lordi (284 netti), dopo cinque anni 830 euro lordi (473 netti).

Questo in termini micro è il cadeau che la legge Fornero ha fatto in primo luogo a magistrati e professori universitari e, in generale, a tutti coloro che possono avvantaggiarsi da queste norme. Da notare che nessuno dei tanti docenti universitari che in questi anni hanno criticato la legge Fornero ha mai fatto accenno a questo problema. Del resto nemmeno i rappresentanti dei lavoratori lo hanno sollevato.

Stella ci rivela un particolare. Le conseguenze della norma non erano ignote a chi l’ha scritta: ci dice infatti che era accompagnata originariamente da alcune righe in cui si affermava che “in ogni caso il complessivo importo della pensione alla liquidazione non può risultare comunque superiore dall’applicazione delle regole di calcolo vigenti prima dell’entrata in vigore del presente comma”. Solo che queste righe nel testo presentato alle Camere e poi approvato non ci sono. Di chi la manina che le ha fatte sparire? Sarebbe interessante sapere l’opinione in proposito della Fornero e di Monti, ma anche di tutti quelli che hanno approvato la legge.

Un’ultima domanda può, infine, essere rivolta alla Ragioneria generale. Nella Relazione si dice esplicitamente che i calcoli sui risparmi prodotti dall’estensione pro rata del contributivo e dal ricalcolo dei coefficienti fino a 70 anni tengono conto sia di una “stima delle riduzioni percentuali medie del trattamento complessivo lordo” derivanti dal passaggio di alcuni anni al contributivo, sia anche “dei maggiori importi (oltre i 40 anni di contributi) riconosciuti sulla base della nuova normativa nonché degli effetti conseguenti all’estensione del coefficiente di trasformazione fino all’età di 70 anni”, senza esplicitare tuttavia gli effetti disgiunti delle due operazioni. Naturalmente la Rgs conosce questi dati, sarebbe utile sapere come mai non sono stati dettagliati come quelli di altre misure e se, per caso, coincidono con quelli resi noti da Stella.

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