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cumpanis

Comunisti: la nostra comprensione dei fenomeni si conforma al materialismo dialettico?

di Giannetto Marcenaro*

A margine dell’intervento del direttore Giannini, pubblicato nella ricorrenza della morte di Friedrich Engels

Immagine per interno articolo Marcenaro 554x420.jpgA margine del brillante intervento del direttore Giannini, pubblicato nella ricorrenza della morte di Friedrich Engels, nel quale si sottolinea con la dovuta insistenza quanto l’emarginazione della figura di Engels dal percorso intellettuale e filosofico di Karl Marx sia stata una tendenza promossa da «un vasto fronte politico e filosofico», in sostanza coincidente al cosiddetto “Marxismo occidentale”, possono essere di utilità alcune osservazioni sulle questioni acutamente sollevate da Giannini, in particolare riguardo all’importanza di evidenziare il ruolo cruciale avuto da Engels nello sviluppo del materialismo dialettico, e alla funzione scientifica inestimabile che tale concetto epistemologico porta con sé.

Fu Engels, infatti, nel suo progetto sulla “Dialettica della Natura”, a cercare in origine di dare un ordine intelligibile preciso a tale concetto, prima che Lenin ne esponesse, per quanto succintamente, e mai in modo sistematico, il principio generale e il carattere essenziale, che fu poi ulteriormente chiarito da Mao Zedong nella prima metà del 20° secolo.

Appare di estremo rilievo a riguardo l’osservazione del direttore Giannini, sulla scia del professor Domenico Losurdo, riguardo al «nesso tra le nette posizione engelsiane volte alla necessità storica della violenza rivoluzionaria e alla necessità della presa del potere [del] proletariato (e alla liceità della sua difesa con la forza) e il vasto tentativo di liquidare Engels» da parte «della filosofia borghese e del marxismo revisionista», e al fatto che si sia usata la «linea concreta» della «violenza rivoluzionaria, senza la quale mai si potrebbe scardinare il sistema borghese», sostenuta ne “L’ideologia tedesca”, ma appunto anche nel “Manifesto del Partito Comunista” – cioè due testi scritti a quattro mani da Marx ed Engels – per separare l’uno dall’altro, e imputare a Marx o una visione escatologica del processo storico, o una visione economicista della dinamica rivoluzionaria.

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perunsocialismodelXXI

Che cosa ho imparato da Mario Tronti

di Carlo Formenti

41H b3XIvWL. SX311 BO1204203200 Questo non è un necrologio. Odio questo genere letterario perché, avendo a lungo lavorato nella redazione cultura di un grande quotidiano, lo associo a quelli che in gergo giornalistico si definiscono “coccodrilli”, vale dire gli articoli “precotti” che ogni redazione conserva nel proprio data base, in attesa di sfoderarli per celebrare la morte di questo o quel personaggio famoso. Sono scritti che raramente si sottraggono alla retorica, all’abuso di luoghi comuni e al mix di distacco e artificialità che caratterizza un testo costruito “a tavolino”, privo cioè delle emozioni suscitate dall’evento reale della morte. Quello che segue è invece il tributo che sento di dovere al pensiero di un autore che ha contribuito non poco a indirizzare il mio lavoro teorico recente. Un tributo che non ha pretese di “oggettività” accademica, nella misura in cui ricostruisce il pensiero di Tronti enucleandone gli aspetti che più si avvicinano al mio punto di vista sul mondo attuale, mentre trascura quelli che sento meno affini.

 

1. Operai e capitale. Ovvero la difficoltà di sbarazzarsi di una eredità ingombrante

La biografia teorica e politica di Tronti è caratterizzata da un paradosso: benché l’avesse “rinnegata” non molti anni dopo averla scritta, Operai e capitale (1) è rimasta la sua opera di gran lunga più conosciuta, e ha continuato a esercitare una profonda influenza anche dopo che l’autore ne aveva preso le distanze, segnando il punto di vista che intere generazioni di militanti hanno avuto, e hanno tuttora, in merito alle chance di superare il modo di produzione capitalistico.

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lavocedellelotte

"Nell'antidogmatismo di Tronti c'è qualcosa di vitale per il marxismo contemporaneo"

Juan Dal Maso intervista Jamila Mascat

In questa intervista con Juan Dal Maso, Jamila discute le principali idee ed esperienze di Mario Tronti, così come l’importanza di un recupero critico della sua opera per la sinistra di oggi

entrevista mascat imagen interior 1 9faa6Mario Tronti è una figura chiave del pensiero politico di sinistra in Italia nella seconda metà del XX secolo. Come possono essere periodizzate la sua opera e la sua carriera?

Il lungo corso della traiettoria di Mario Tronti si snoda attraverso i tortuosi tornanti della seconda metà del Novecento. Toni Negri ha parlato recentemente dell’enigma Tronti, per sottolineare quella che a suo avviso è “la discontinuità profonda fra il Tronti di Operai e capitale e quello dell’autonomia del politico”1. In realtà, nonostante i cambiamenti di rotta puntualmente intrapresi nello sforzo di riconfigurare nella congiuntura l’orientamento della sua bussola politica, il percorso di Tronti presenta forti elementi di continuità. Uno per tutti, il primato dell’organizzazione, che è un nodo essenziale della sua esperienza politica nonché della sua riflessione teorica. Non mancano però i salti, cari a Lenin lettore della Logica di Hegel, che in Operai e capitale già definiscono la linea di condotta del metodo di Tronti.

Nel 1951 Tronti si iscrive alla Federazione giovanile comunista e nel 1954 al PCI, a cui resterà iscritto fino allo scioglimento del partito nel 1991. Nel 1956, però, prende posizione con altri giovani militanti e intellettuali a favore degli insorti in Ungheria. La vicenda ungherese segna sicuramente un punto di svolta e scombussola l’adesione ortodossa di Tronti al PCI, rivelando manifestamente ai suoi occhi e a quelli di una generazione le storture dello stalinismo di Togliatti. Parallelamente, sul versante della critica teorica, matura l’avversione di Tronti, influenzato dalla scuola di Galvano Della Volpe, nei confronti del marxismo gramsciano egemone in Italia in quanto filosofia ufficiale del partito.

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antiper

La sconcertante parabola dell’operaismo italiano

di Maria Turchetto

L'articolo Dall’operaio massa all’imprenditorialità comune: la sconcertante parabola dell’operaismo italiano, tratto da Intermarx, rappresenta una versione ampliata della voce “operaismo” destinata al Dictionnaire Marx contemporain, a cura di J. Bidet e E. Kouvélakis, PUF, Paris, 2OO1

boschi tronti 1Non è difficile, almeno in Italia, trovare un accordo linguistico sul termine “operaismo”. Non ci sono dubbi sulle principali riviste intorno a cui si è formato questo filone di pensiero negli anni ’60 e ’70 (Quaderni Rossi, Classe Operaia, Potere Operaio), né sugli autori che ne sono i principali esponenti (Raniero Panzieri, Mario Tronti e Antonio Negri hanno senz’altro una posizione di spicco sui molti altri che hanno dato contributi anche molto importanti [1]). Soprattutto, è impossibile non riconoscere un “operaista”, se ne incontri uno: a quasi quarant’anni dalla sua nascita (che ritengo sia lecito far coincidere con la pubblicazione del primo numero di Quaderni Rossi, nel giugno del 1961), l'”operaismo” si è sedimentato in “mentalità”, atteggiamento, lessico.

In effetti, nonostante sviluppi, correzioni, svolte e varianti abbiano ormai prodotto al suo interno una varietà di posizioni, l'”operaismo” ha mantenuto, se non un’autentica coerenza teorica, almeno una marcata fisionomia. Alcuni assunti di fondo, diventati nel tempo veri atteggiamenti mentali, l’uso di certi passi di Marx (l’arcinoto frammento sulle macchine dei Grundrisse [2], citazione ormai rituale), alcune “parole chiave” (general intellect, composizione di classe, autonomia) funzionano ancora oggi come un forte dispositivo di riconoscimento. Dispositivo forse più linguistico che teorico, più evocativo che realmente propositivo, e che tuttavia serve da riferimento a vari spezzoni di quello che è stato il “movimento” (altra parola chiave) degli anni ’70.

Di fatto, oggi l'”operaismo” italiano è soprattutto questo riferimento impoverito, questa raccolta di parole che tiene il posto di una teoria e che regala unità e identità apparenti a posizioni confuse, ostaggio di volta in volta delle mode culturali o delle nostalgie.

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rifonda

Un momento cruciale del marxismo italiano: il contrasto tra Panzieri e Tronti

di Rino Malinconico

Imagoeconomica 913119 1 690x362Dopo i fatti di Piazza Statuto del luglio ‘62, si avviò all’interno del gruppo–rivista dei Quaderni Rossi un dibattito serrato, che via via assunse toni aspri e alla fine determinò la rottura. Nel giugno del 1963 la contrapposizione si esplicitò plasticamente con due editoriali sul terzo numero. Il primo, firmato direttamente Quaderni Rossi è da attribuire a Panzieri. In esso veniva colta la progressione in avanti della coscienza operaia, ma mettendone in risalto anche le parzialità. Poi, a proposito del ciclo di lotte aperto dalla stagione contrattuale del 1962, si metteva in guardia dai pericoli di un’interpretazione immediatista delle potenzialità rivoluzionarie:

Un aspetto importante nella situazione di oggi è nel pericolo di scambiare in modo immediato la «feroce» critica verso le organizzazioni implicita, e spesso esplicita, nei comportamenti operai, o il grado più alto di consapevolezza che vasti gruppi di operai rivelano delle condizioni politiche delle lotte a livello di capitalismo organizzato e pianificato, per una immediata possibilità di sviluppo di una strategia rivoluzionaria globale, ignorando il problema dei contenuti specifici e degli strumenti necessari alla costruzione di tale strategia. Una strategia operaia non può essere preparata dall’accumularsi di una serie di rifiuti frammentari, non collegati tra loro in un disegno politico unitario virgola ma soltanto idealmente unificati in uno schema interpretativo del funzionamento del capitalismo contemporaneo. In tal modo diviene indifferente se l’esigenza operaia di «trascendere» il contenuto delle singole rivendicazioni si manifesti in forma anarchizzante, o nel senso di predisporre una linea anticapitalistica globale, secondo una dinamica controllabile.

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Mario Tronti anni Settanta 1A scrivere questo breve ricordo è un vecchio militante. Un ricordo brevissimo perché gli darò subito la parola. Non solo per comprensibile pudore, ma perché i testi consigliati parlano da soli. Raccontano di una sconfinata passione umana, intellettuale e politica. Sconfinata e sobria, sino alla fine.

Il primo è una sorta di autobiografia, recentissima e toccante, La saggezza della lotta edito nel 2021 da DeriveApprodi. Un breve profilo nel quale Mario Tronti ripercorre le tappe più importanti della sua formazione politica e teorica, traccia la sua personale interpretazione del Novecento, si interroga sulla “saggezza della lotta.” Lo trovate ancora agevolmente in libreria.

Il secondo, un testo praticamente introvabile ed è per questa ragione che abbiamo deciso di pubblicarlo integralmente. Si tratta dell’intervento ad una tavola rotonda tenutasi all’Università di Urbino il 21 ottobre 2010 in occasione del seminario Il nomos della Terra 60 anni dopo. L’Europa di Carl Schmitt nell’ambito dei seminari promossi da “Critica europea” e pubblicato nel numero 1-2 del 2011 nella Rivista “Teoria del diritto e dello Stato”.

Nel corso della tavola rotonda dedicata al tema “Il nomos e il nuovo ordine europeo” Mario Tronti interviene due volte. Interloquisce con i promotori del seminario e gli altri partecipanti alla tavola rotonda (Antonio Baldassarre, Domenico Losurdo, Guido Maggioni, Stelio Mangiameli), cimentandosi con l’interrogativo tipicamente trontiano del perché oggi “non si pensa più l’Europa”. Una denuncia, una profezia, come era nel suo stile abituale.

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ilcovile

Merci++

Ovvero i feticci non sono più quelli di una volta

di Stefano Borselli

downloadni5dQuasi un anno fa, Il Covile № 646, pubblicai un te­sto sulla questione del feticismo delle merci inti­tolato «Marx e gli stalloni dello storpio» nel quale, tra l’altro, mi confrontavo criticamente con un brillante articolo sul tema di Daniele Vazquez (vedi in rete: L’anatra di Vaucanson, 4 aprile 2016). Successivamente, sul­la scorta del­le forse ora meglio comprese chiarificazioni, anche terminologiche, di Jacques Camatte, mi sono reso conto di alcune lacune. Con questo provo a colmarle.

* * * *

Jacques Camatte, nella sua opera Emer­genza di Homo gemeinwesen, separa con­cettualmente quello che chiama il movimento del valore, da quello, successivo, del capitale. Ciò, insieme ad altre importanti implicazioni che non tratteremo qui, gli per­mette di non fraintendere il celebre incipit del Capitale di Marx:

La ricchezza delle società nelle quali pre­domina il modo di produzione capita­listico si presenta come una «immane raccolta di merci» e la merce singola si presenta come sua forma elementare. Perciò la nostra indagine comincia con l’analisi della merce.

Il passo ha infatti dato luogo all’idea che la mercificazione sia caratteristica nuova e propria della società capitalistica. Idea pere­grina perché scambio, mercato, merci, equiva­lente generale, denaro, conio ecc. precedo­no di gran lunga l’af­fermazione del capitale. In effetti, a pensarci, quello che si presentava nelle agorà greche o nei fòri romani non era già una «immane raccolta di merci», dove ve­nivano «mercificati» alimenti, animali, uomi­ni? Il capitale, imponendosi, ha trasformato in modo a lui confacente non solo il lavoro1 (dalla ricca complessità di quello artigiano sussunto inizialmente nella manifattura, al­l’astrazione parcellizzata del lavoro mecca­nizzato della fabbrica moderna) ma pure la natura della merce, come vedremo. Scrive Ca­matte:

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carmilla

Siamo marxisti, oltre il produttivismo c’è di più

di Fabio Ciabatti

Kohei Saito, Marx in the Anthropocene: Towards the Idea of Degrowth Communism, Cambridge University Press, 2023, edizione Kindle, pp. 278, € 25,48

karl nel pratoIl rapporto tra ecologia e marxismo non è mai stato molto semplice. I verdi si sono spesso cullati nell’illusione di uno sviluppo sostenibile compatibile con il capitalismo o hanno pensato l’ambientalismo come una sorta di terza via tra capitalismo e comunismo. Ci sarebbe bisogno di una buona dose di critica dell’economia politica per svegliarsi da questi pallidi sogni, ma la diffidenza ha spesso prevalso nei confronti del pensiero di Marx perché considerato intriso di produttivismo e dunque una sorta di gemello diverso del moderno sviluppo ecologicamente devastante.

La domanda sorge spontanea: Marx era davvero un produttivista? La risposta potrebbe sembrare scontata perché per il materialismo storico, comunemente inteso, lo sviluppo delle forze produttive rappresenta il lato positivo della storia che, arrivato ad un certo punto, rompe la gabbia dei rapporti di produzione e consente di passare ad un modo di produzione più progredito. Questo è accaduto con il passaggio dal feudalesimo al capitalismo e lo stesso accadrà quando il capitalismo sarà soppiantato dal comunismo. È incontrovertibile che Marx abbia sostenuto queste posizioni. Ma è tutto qui?

Kohei Saito, marxista giapponese che ha goduto di una inaspettata fama tra il grande pubblico del suo paese, sostiene che oltre il produttivismo c’è di più. Nel suo Marx in the Anthropocene: Towards the Idea of Degrowth Communism, argomenta che nella biografia intellettuale del rivoluzionario tedesco è possibile trovare le tracce di uno sviluppo teorico che pone le premesse, come indica il titolo del libro, di un comunismo della decrescita. Una tesi senz’altro originale e radicale che vale la pena di conoscere, anche al di là dei suoi possibili aspetti problematici.

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maggiofil

“Ur dei Caldei” e il prestito del Tempio. Cronache marXZiane n. 12

di Giorgio Gattei

imageoibki6eyszas1. Dove eravamo rimasti? Che prima dei Babilonesi in quello stesso lembo di terra tra il Tigri e l’Eufrate avevano abitato i Sumeri e sono stati costoro ad aver dato il via, 5000 anni fa, ad una intera economia centrata sul prestito ad interesse. Insomma, ai Sumeri non spetterebbe soltanto quella “rivoluzione urbana” che ha attribuito loro Gordon Childe nel 1950 (a fare il paio con la successiva Rivoluzione industriale britannica del XVIII secolo), ma ben di più se, insieme alle città, essi avrebbero inventato addirittura la finanza (O. Bulgarelli, La finanza… esisteva già nel III millennio a. C.?, in Bancaria”, 2015, n. 12 e più in dettaglio Moneta ed economia nella antica Mesopotamia (III-I millennio a.C.), in “Rivista trimestrale di diritto dell’economia”, 2009, n. 3, supplemento). Le condizioni ambientali c’erano tutte: un territorio alluvionale particolarmente fertile per cereali e bestiame, una produttività del lavoro in aumento, una popolazione in crescita che progressivamente si trasferiva dall’insediamento sparso dei villaggi in agglomerati urbani in cui le attività economiche si specializzavano facendo coesistere le abitazioni private con le botteghe artigiane e commerciali. Storicamente la città più famosa ritrovata dagli archeologi è stata «Ur dei Caldei» (come viene impropriamente chiamata nella Bibbia) che, se non proprio la prima che sembra che sia stata Uruk peraltro non distante) è stata certamente la più importante e dove ha vissuto il patriarca Abramo prima di trasferirsi, con famiglia e mandrie al seguito, nel “paese di Canaan”, ossia in Palestina.

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perunsocialismodelXXI

Senza partito niente coscienza di classe. Senza classe niente partito rivoluzionario

di Carlo Formenti

manifestorgaeQuesta non è una recensione. Il nuovo libro di Visalli, Classe e partito. Ridare corpo al fantasma del collettivo (1), tratta troppi argomenti perché li si possa esaurire nell'angusto spazio di una recensione, ancorché corposa. In questo articolo mi limito quindi ad affrontare due temi teorici che reputo cruciali: la ridefinizione del concetto di classe (e il suo impatto sul concetto di partito) e il background "religioso" della civiltà capitalistica (e la sua capacità di "contaminare" il discorso socialista). Da queste pagine restano quindi fuori temi quali il lascito delle grandi rivoluzioni otto-novecentesche, nonché l'alternanza fra capitalismo di mercato e capitalismo politicamente regolato, associata all'alternanza fra fasi di crisi e fasi di ripresa economica, temi ai quali il lavoro di Visalli dedica ampio spazio.

 

1. Classe e partito: due questioni inscindibili

"Lo spettro che si aggira per l'Europa" evocato da Marx ed Engels nel Manifesto dei comunisti era in larga misura un'entità virtuale (decenni più tardi, al tempo della Comune, gli insorti saranno in larga misura garzoni di bottega e artigiani, più che operai in senso moderno), ma presentava già una consistenza materiale sufficiente a inquietare una borghesia timorosa di dover abbandonare il trono sul quale si era da poco seduta. Oggi, dopo che la controrivoluzione neoliberale ha espropriato il proletariato occidentale della propria identità sociale, culturale e politica, lo spettro di cui sopra sembra persino più evanescente di quello evocato un secolo e mezzo fa.

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antropocene

Il comunismo della decrescita: l'ultima svolta di Marx

di Peter Boyle

Marx in greenAnche se il marxista giapponese Kohei Saito non avesse scritto Marx in the Anthropocene: Towards the Idea of Degrowth Communism, la sinistra oggi dovrebbe ancora prendere sul serio l'idea della decrescita.

Questo perché, spiega l'economista e antropologo Jason Hickel in Less is More, «Sebbene sia possibile passare al 100% di energia rinnovabile, non possiamo farlo abbastanza velocemente da rimanere sotto gli 1,5°C o i 2°C, se continuiamo a far crescere l'economia globale ai ritmi attuali».

Non è solo la dipendenza dai combustibili fossili a mettere in pericolo il pianeta, ma la ricerca cronica della crescita economica da parte del capitalismo. Crescita illimitata significa maggiore domanda di energia. E una maggiore domanda di energia rende più difficile sviluppare una capacità sufficiente per generare energia rinnovabile nel breve tempo rimasto per evitare un riscaldamento catastrofico.

Questo è il motivo per cui la rilettura di Saito dell'opera di una vita di Karl Marx è cruciale per i socialisti di oggi. Come egli sostiene, l'ecologia non era una considerazione secondaria per Marx, ma al centro della sua analisi del capitalismo. E mentre si avvicinava alla fine della sua vita, Marx si rivolse sempre più alle scienze naturali e si convinse profondamente che una crescita illimitata nel capitalismo non poteva essere sfruttata per scopi umani o ambientali. Piuttosto, come spiega Saito, Marx capì che il comunismo avrebbe portato sia abbondanza che decrescita.

 

Altro che riscaldamento globale

Oggi, gli attivisti ambientali in genere si concentrano sul riscaldamento globale.

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intrasformazione

Relire Il Capitale

di Antonino Morreale

9419738 origCurato dall'infaticabile M. Musto, oggi uno degli studiosi più importanti di Marx, esce il volume Il Capitale alla prova dei tempi. Nuove letture dell'opera di Marx. (Allegre Roma pp.383)

Si compone di due parti, la prima sul Capitale, la seconda si estende, a partire da quello, ad alcune tematiche tra le più attuali, come l'ecologia, il genere, le periferie del mondo.

Una Introduzione molto estesa ed accurata di Musto apre il volume e ci aggiorna sulle risultanze ultime attorno alla biografia e alla produzione di Marx. Operazione indispensabile vista la mole e qualità dei nuovi elementi emersi dal lavoro della MEGA2.

È da quella iniziativa di pubblicare tutto Marx ed Engels, nata nel 1975 e giunta ormai alla conclusione, che occorre partire. Ci lasciamo dietro una storia cominciata a fine '800 col lavoro di editore di Engels e poi di Kautsky, e negli anni '20 di Riazanov, per iniziarne una nuova, su basi filologiche affidabili, all'altezza delle sfide di oggi.

Auspichiamo perciò che quanto prima si possa disporre, almeno, di una nuova edizione italiana dei libri II e III del Capitale perché molte e significative sono le novità rispetto alle edizioni di Engels di fine '800. Per il primo libro del Capitale il problema non si pone perché dal 2011 disponiamo del lavoro enorme e raffinato di Fineschi (nel volume del quale parliamo, invece, viene utilizzata la traduzione di Macchioro e Maffi della UTET).

Undici i saggi di specialisti di livello internazionale, appartenenti a diverse generazioni (dal “vecchio” Balbar al giovane Saito, e dagli USA a Francia, Italia, Giappone, etc.)

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marxdialectical

Appunti su A. Mazzone, Per una teoria del conflitto. Scritti 1999-2012

di Salvatore Tinè

Copertina MazzoneAl centro della riflessione di questi saggi raccolti in un volume significativamente e giustamente intitolato Per una teoria del conflitto è il tema gramsciano dell’egemonia che Mazzone riprende e sviluppa sulla base di una interpretazione della teoria marxiana del modo di produzione capitalistico come «modello di processo», ovvero come base economica e materiale ma anche nello stesso tempo parte e momento per quanto centrale e fondamentale del più vasto e concreto processo storico di quella che lo studioso marxista definisce «riproduzione sociale complessiva». Si tratta di una nozione centrale nella riflessione di Mazzone. A partire da essa, egli riformula infatti in una chiave non più economicistica o materialistico-volgare il rapporto tra base economica e sovrastruttura ideologico-politica su cui si basa la dottrina marxista sia come critica dell’economia politica che come concezione materialistica della storia. Mazzone intende infatti per «riproduzione sociale complessiva» proprio il complesso di tutte quella attività umane vitali non solo lavorative che costituiscono la cosiddetta sovrastruttura, senza le quali non potrebbe realizzarsi la riproduzione di quei rapporti di produzione nel cui ambito soltanto operano e si trasformano le forze produttive del lavoro umano associato. È questo nesso inscindibile, sempre storicamente determinato, tra produzione e riproduzione, questo blocco storico per dirla con Gramsci tra struttura e sovrastruttura, che Mazzone identifica con la stessa egemonia, intesa perciò sempre come lotta per l’egemonia, come rapporto di forze mai statico ma sempre in sviluppo e dinamico tra le classi fondamentali della società in lotta tra loro, capitalisti da un lato e lavoratori salariati dall’altro.

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perunsocialismodelXXI

Samir Amin: una spallata contro l'eurocentrismo

(Ma occorre essere ancora più radicali)

di Carlo Formenti

9788882925529 0 536 0 75Premessa

Samir Amin è, con Giovanni Arrighi e Gyorgy Lukács, uno dei tre autori che più hanno indirizzato i miei sforzi di rileggere il marxismo alla luce dell'attuale realtà storica (1). I testi raccolti sotto il titolo Eurocentrismo e pubblicati da La Città del Sole (tradotti da Nunzia Augeri e introdotti da Giorgio Riolo) sono di estrema importanza, sia perché consentono di approfondire alcuni temi di fondo che Samir Amin aveva affrontato in lavori precedenti, sia perché permettono di valutare, assieme al suo decisivo contributo alla critica del marxismo occidentale, anche alcuni limiti intrinseci a tale critica. Limiti che gli hanno impedito, come cercherò di dimostrare qui di seguito, di sbarazzarsi del tutto del più tenace dei pregiudizi della tradizione teorica con cui pure ha polemizzato per tutta la vita: mi riferisco all'idea secondo cui spetterebbe al socialismo realizzare le "promesse mancate" della modernità borghese. Ma procediamo con ordine. Prima di entrare nel merito degli argomenti trattati nel volume, è il caso di premettere le definizioni che Samir Amin dà di alcuni concetti fondamentali che ricorrono nel testo.

Culturalismo. Qualsiasi teoria, in apparenza coerente, che si vorrebbe olistica, fondata sull'ipotesi di invarianti "culturali" che avrebbero il potere di persistere oltre le trasformazioni apportate dai sistemi economici, sociali e politici (pag. 31).

Modernità. È l'affermazione che l'essere umano, individualmente e collettivamente, può e deve fare la propria storia (pag. 37).

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resistenze1

La malsana tentazione del "marxismo occidentale"

di Greg Godels*

mbvvfywLa storia del marxismo trova un'immagine speculare in quella dell'anti-marxismo - le correnti intellettuali che si presentano come vero marxismo.

Prima ancora che il marxismo venisse a costituire un'ideologia coesa, Marx ed Engels dedicarono una parte sovente trascurata del loro Manifesto Comunista del 1848 alla demolizione delle ideologie rivali che aspiravano a rappresentare il vero socialismo.

Via via che il movimento operaio andava faticosamente alla ricerca di un sistema di pensiero in grado di ispirare la sua reazione al capitalismo, le idee di Karl Marx e Friedrich Engels conquistarono progressivamente gli operai, i contadini e gli oppressi. Non si trattò di una vittoria facile. Il liberalismo - l'ideologia dominante della classe capitalista - aveva coadiuvato la lotta degli operai e dei contadini contro la tirannide assolutista.

Una volta che il capitalismo e le istituzioni liberali si furono consolidati, l'anarchismo - l'ideologia della piccola borghesia delusa - iniziò a contendere al marxismo la guida del movimento operaio. Gli anarchici - che in modo contraddittorio professavano un individualismo estremo e una democrazia utopistica ricavata dal capitalismo, ma al tempo stesso manifestavano un acceso odio nei riguardi delle istituzioni e delle strutture economiche del capitalismo - non furono tuttavia in grado di offrire una via d'uscita praticabile dalla pesante oppressione capitalista.

Con la conquista del potere da parte del bolscevismo, nel 1917, il movimento operaio si trovò di fronte un esempio di socialismo autentico ed esistente guidato da marxisti autentici e dichiarati - un potente faro che indicava la via nella lotta contro il capitalismo.

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antropocene

Engels e il secondo fondamento del marxismo

di John Bellamy Foster

MR giu23Nella pagina iniziale di The Return of Nature, ho fatto riferimento al «secondo fondamento» del pensiero socialista in questi termini:

«Per la teoria socialista come per l'analisi liberale – e per la scienza e la cultura occidentali in generale – la nozione di conquista della natura e di esenzione dell'uomo dalle leggi naturali è stata per secoli un tropo importante, che riflette l'alienazione sistematica della natura.

La società e la natura sono state spesso trattate dualisticamente come due regni completamente distinti, giustificando l’espropriazione della natura e, con essa, lo sfruttamento della più ampia popolazione umana. Tuttavia, diversi pensatori di sinistra, molti dei quali appartenenti all'ambito delle scienze naturali, le quali costituiscono una sorta di secondo fondamento del pensiero critico, e altri nelle arti, si sono ribellati a questa concezione ristretta del progresso umano, generando una più ampia dialettica dell'ecologia e un materialismo più profondo che ha messo in discussione le depredazioni ambientali e sociali della società capitalistica».[1]

Le origini e lo sviluppo di questo secondo fondamento del pensiero critico nella filosofia materialista e nelle scienze naturali e il modo in cui esso ha influenzato lo sviluppo del socialismo e dell'ecologia costituiscono la storia centrale raccontata in The Return of Nature. La sfida iniziale di un'analisi di questo tipo è stata quella di spiegare come il materialismo storico, nella concezione dominante del XX secolo in Occidente, sia stato inteso come strettamente confinato alle scienze sociali e umane, dove era avulso da qualsiasi autentica dialettica materialista, in quanto tagliato fuori dalla scienza naturale e dal mondo fisico-naturale nel suo complesso.

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contropiano2

ChatGPT, valore e conoscenza. Un approccio marxista

di Guglielmo Carchedi

chatgpt ABBGFUGR87G37GFG3gadgw377rg763g6In un commento al post di Michael Roberts sull’intelligenza artificiale (IA) e le nuove macchine per l’apprendimento del linguaggio (LLM), l’autore e commentatore Jack Rasmus ha sollevato alcune domande, che mi sono sentito in dovere di riprendere.

Jack ha detto: “l’analisi di Marx sulle macchine e il suo punto di vista secondo cui le macchine sono un valore del lavoro condensato che viene trasferito nella merce quando si deprezza, si applicano completamente alle macchine basate su software AI che hanno la capacità crescente di auto-mantenersi e aggiornare il proprio codice senza l’intervento del lavoro umano – cioè di non deprezzarsi?“

La mia risposta alla legittima domanda di Jack presuppone lo sviluppo di un’epistemologia marxista (una teoria della conoscenza), un’area di ricerca che è rimasta relativamente inesplorata e poco sviluppata.

A mio avviso, una delle caratteristiche principali di un approccio marxista è la distinzione tra “produzione oggettiva” (la produzione di cose oggettive) e “produzione mentale” (la produzione di conoscenza).

La cosa più importante è che la conoscenza deve essere vista come materiale, non come “immateriale”, né come un riflesso della realtà materiale. Questo ci permette di distinguere tra mezzi di produzione (MP) oggettivi e MP mentali; entrambi sono materiali.

Marx si è concentrato principalmente, ma non esclusivamente, sui primi. Ciononostante, nelle sue opere ci sono molti spunti su come dovremmo intendere la conoscenza.

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maggiofil

Solo una divagazione? Dal “dono” di Mauss al Codice di Hammurabi. Cronache marXZiane n. 11

di Giorgio Gattei

Senza titolongvb1. Insomma, sul pianeta Marx, questo inedito corpo astronomico comparso nel cielo dell’economia politica sul finire del XVIII secolo, si producono sia grano che tulipani e la loro contemporanea presenza ne modifica in maniera indelebile il paesaggio. Ma dettagliamo: mentre il grano è “merce-base” (secondo la nomenclatura introdotta da Piero Sraffa) perché serve alla produzione di ogni altra merce essendo l’alimento dei lavoratori impegnati nelle loro produzioni, il tulipano è invece “merce non-base” dato che non vi partecipa (a che serve un tulipano se non a rimirarlo?) e che noi considereremo, facendo nostra una esagerazione sraffiana, che non entri nemmeno nella produzione di se stesso, così da «non trovarsi fra i mezzi di produzione di nessuna industria». E a questo proposito Sraffa ha fatto il caso, in una corrispondenza privata, degli elefanti bianchi, mentre in Viaggio di merci per merci pubblicato nel 1960 ha indicato le uova di struzzo e i cavalli da corsa (cfr. H. D. Kurz, Neri Salvadori, White elephants and other non-basic commodities: Piero Sraffa and Krishna Bharadwaj on the role and significance of the distinction between basics and non-basics, “The Indian Economic Journal”, June 3, 2021). Però a me è piaciuto prendere il tulipano a tipo ideale di “merce non base”, anche perché nel XVII secolo in Olanda è stato fatto oggetto della prima speculazione finanziaria della storia moderna (vedi l’immagine ch ho posti in apertura: Il trionfo di Flora/Tulipano di Hendrik Pot, circa 1640). E a chi venisse da sorridere su simili esempi strampalati, basterebbe ricordargli che anche gli armamenti sono “merci non base” e che un carro armato non serve alla produzione di alcunché, men che meno di se stesso, eppure lo si produce e fa danni.

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lanatra di vaucan

Alcuni punti essenziali della critica del valore

di Anselm Jappe

Pubblichiamo qui, nella traduzione di Afshin Kaveh, l’appendice presente a chiusura del libro La société autophage di Anselm Jappe, éd. La Découverte, 2017, ancora inedito in Italia

la societe autophage e1685899043548Il sistema capitalista è entrato in una grave crisi. Quest’ultima non è soltanto ciclica, ma finale: non nel senso di un crollo imminente ma come disintegrazione di un sistema plurisecolare. Non è la profezia di un evento futuro, ma la constatazione di un processo divenuto visibile agli inizi degli anni Settanta e le cui radici risalgono all’origine stessa del capitalismo.

Non assistiamo al passaggio a un altro regime d’accumulazione (come nel caso del fordismo), né all’avvento di nuove tecnologie (come nel caso dell’automobile), né a un trasferimento del centro di gravità verso altre regioni del mondo, ma all’esaurimento della fonte stessa del capitalismo: la trasformazione del lavoro vivo in valore.

Le categorie fondamentali del capitalismo, quelle che Karl Marx ha analizzato nella sua critica dell’economia politica, sono il lavoro astratto e il valore, la merce e il denaro, che si riassumono nel concetto di “feticismo della merce”.

Una critica morale, fondata sulla denuncia dell’“avidità”, non coglierebbe il punto essenziale.

Non si tratta di essere marxisti o postmarxisti, o d’interpretare l’opera di Marx o completarla con altri apporti teorici. Piuttosto, si deve ammettere la differenza tra il Marx “essoterico” e il Marx “esoterico”, tra il nucleo concettuale e lo sviluppo storico, tra l’essenza e il fenomeno. Marx non è “superato”, come dicono i critici borghesi. Anche se manteniamo innanzitutto la critica dell’economia politica, e al suo interno soprattutto la teoria del valore e del lavoro astratto, essa costituisce sempre il contributo più importante per comprendere il mondo in cui noi viviamo.

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antropocene

I quaderni ecologici di Marx

di Kohei Saito

MR mag23Karl Marx è stato a lungo criticato per il suo cosiddetto “prometeismo” ecologico, per la sua eccessiva attenzione riservata alla produzione industriale, indipendentemente dai limiti naturali. Questo punto di vista, sostenuto anche da alcuni marxisti, come Ted Benton e Michael Löwy, è diventato sempre più difficile da accettare dopo una serie di analisi attente e stimolanti degli aspetti ecologici del pensiero di Marx, elaborate sulle pagine della «Monthly Review» e altrove.

Il dibattito sul prometeismo non è una mera questione filologica quanto fortemente pratica, poiché il capitalismo affronta crisi ambientali su scala globale, senza soluzioni concrete. Qualsiasi soluzione del genere potrà provenire probabilmente dai vari movimenti ecologisti emergenti in tutto il mondo, alcuni dei quali mettono esplicitamente in discussione il modo di produzione capitalistico. Ora più che mai, quindi, la riscoperta di un'ecologia marxiana è di grande importanza per lo sviluppo di nuove forme di strategia di Sinistra e di lotta contro il capitalismo mondiale.

Eppure non c'è un accordo univoco nella Sinistra sulla misura in cui la critica di Marx può fornire una base teorica per queste nuove lotte ecologiche. Gli «ecosocialisti della prima generazione», secondo la classificazione di John Bellamy Foster, come André Gorz, James O'Connor e Alain Lipietz, riconoscono in una certa misura i contributi di Marx riguardo alle questioni ecologiche, ma allo stesso tempo sostengono che le sue analisi del XIX secolo sono troppo incomplete e datate per essere di reale attualità. Al contrario, gli «ecosocialisti della seconda generazione», come Foster e Paul Burkett, sottolineano il significato metodologico contemporaneo della critica ecologica di Marx al capitalismo, fondata sulle sue teorie del valore e della reificazione.[1]

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rizomatica

Pensiero e umanità

di M. Parretti

Fumetto VecchioLibraio 11A metà del 1800, Marx ritenne che fossero maturi i tempi per sostituire la filosofia con la scienza, anche nella conoscenza del pensiero umano giungendo alla geniale formulazione del paradigma del materialismo storico. Al tempo stesso formulò il criterio per distinguere la filosofia da quella che d’ora in avanti sarebbe stata la scienza, e lo identificò con la capacità di cambiare consapevolmente la realtà.

La sintesi marxiana fu dunque che la politica, cioè l’attività umana che cambia le stesse relazioni sociali, dovesse d’ora in poi basarsi sulla “scientificità”, cioè fare i conti con i cambiamenti sociali, che l’umanità avrebbe potuto realmente produrre, in relazione al livello effettivo di produttività raggiunto e non sulla “ideologia” dell’antropos di se stesso, cioè sulla “utopia”. Per questo sostenne l’idea di un comunismo “scientifico”, contrapposto a quello “utopistico” di quelli che ritenevano che gli esseri umani fossero capaci, per natura, di cooperare tra loro.

L’opera di Giovanni Mazzetti rivela gli elementi comuni delle analisi economiche di Marx e di Keynes, entrambe basate sulla produttività e, al tempo stesso, riprende il paradigma del materialismo storico, ne ridefinisce con precisione i contorni evidenziando la simultaneità tra i processi di “formazione delle (nuove) relazioni sociali produttive e riproduttive” e la “autodeterminazione del pensiero”. Con questa operazione culturale, Mazzetti riporta lo storicismo dall’ambito filosofico a quello scientifico e lo ripropone come chiave dell’analisi dello sviluppo della civiltà umana.

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cumpanis

La funzione dialettica del “Manifesto del Partito Comunista” nel processo storico

di Giannetto Edoardo (Nanni) Marcenaro

IMMAGINE PER HOME ARTICOLO MARCENARO«La lotta contro la frantumazione della classe operaia è al tempo stesso la lotta contro il pregiudizio nazionale o razziale» (Losurdo, Introduzione, “Manifesto del Partito Comunista”, p. XXIV)

1. Introduzione

Il 175° anniversario della pubblicazione del Manifesto del Partito Comunista cade in un’epoca nella quale lo sviluppo del processo storico, da una parte, ha dimostrato come – a dispetto dei trionfali proclami dei liberali all’indomani del dissolvimento dell’Unione Sovietica – il socialismo e l’ideologia Marxista-leninista siano ben vivi e abbiano acquisito più forza e ricchezza di quanta mai ne avessero creata prima, soprattutto nella Repubblica Popolare della Cina, e dall’altra parte, invece, ha segnato in Occidente l’inizio di una profonda crisi di credibilità, diffusione, e radicamento nelle popolazioni dei vari Stati europei, per quegli stessi movimento e pensiero.

Gli ultimi trent’anni hanno visto un ridimensionamento, non distante da una completa cancellazione dal panorama politico nell’Occidente capitalistico, delle formazioni comuniste o socialiste la cui influenza sulla società e sulle culture nazionali, nonostante il continuo deterioramento delle condizioni di vita e di lavoro, si è sempre più ridotta, sotto l’attacco costante e sistematico del revisionismo storico e delle incessanti ondate contrarie dei prodotti culturali di massa.

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lanatra di vaucan

Il Manifesto invisibile di Marx

di Alastair Hemmens

ManifestePubblichiamo la prefazione di Alastair Hemmens all’ultima edizione francese del Manifesto contro il lavoro, nella traduzione di Afshin Kaveh. Il Manifesto contro il lavoro è un testo partorito dal Gruppo Krisis ed uscito in Germania la prima volta nel 1999. In seguito è stato ripubblicato in quel paese altre tre volte, l’ultima nel 2019 in occasione del ventennale della prima pubblicazione (è possibile leggere la postfazione di Norbert Trenkle a questa edizione qui).

Tradotto in molte lingue (fra cui appunto quella francese), questo testo uscì in Italia nel 2003 per i tipi di DeriveApprodi. Anche nel nostro paese è in gestazione la sua ripubblicazione, arricchita con altri testi. La nuova edizione apparirà con ogni probabilità entro l’anno, quindi anche in questo caso in occasione del ventennale, però dell’edizione italiana.

Il Manifesto contro il lavoro è da sempre un testo con fortune alterne: amato, odiato, vilipeso o venerato, sembra sfugga le mezze misure. La sua importanza, tuttavia, sia dal punto di vista concettuale che come “provocazione” a fronte delle miserie della sinistra mondiale attuale, non può essere misconosciuta. Lo prova, sia pure indirettamente, l’impatto che ha avuto e sta avendo in Francia, per esempio in occasione degli scioperi in corso in risposta al progetto di aumento dell'età’ pensionabile da parte del governo Macron, scioperi che spesso si sono trasformati in vere e proprie manifestazioni contro il lavoro. Persino un ex-ministro come Luc Ferry si è scomodato, in un paio di articoli apparsi su Le Figaro, ad esprimere un parere un po’ preoccupato sui contenuti del Manifesto e sulla loro diffusione, indicando peraltro alcuni dei “responsabili” di questo “misfatto” (tra cui proprio Alastair Hemmens, l’autore dello scritto che qui presentiamo).

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machina

Karl Marx e l'inchiesta operaia. Storia, ricezione e prospettive politiche

di Clark McAllister

0e99dc 9ce319ccb914445d8719432080c23a04mv2Pubblichiamo la trascrizione riveduta dall’autore, Clark McAllister, della relazione tenuta in occasione della presentazione del suo volume Karl Marx’s Workers’ Inquiry. International History, Reception, and Responses, Notes from Below, London 2022 a Bologna (gennaio 2023). In questo testo, McAllister ricostruisce l’immediata ricezione dell’Enquête ouvrière pubblicata da Karl Marx nel 1880, sulla rivista «La Revue Socialiste». La maggioranza degli studiosi ritiene che il progetto politico dell’inchiesta operaia si fosse rivelato un completo fallimento derubricandolo, così, ad una semplice curiosità dell’ultimo Marx. McAllister, falsificando questa lettura tendenziosa, dimostra la fortuna della proposta politica dell’inchiesta all’indomani della sua pubblicazione. La presentazione del testo, organizzata dal centro di ricerca «Officine della formazione», ha interrogato l’inchiesta marxiana tentando di attualizzarne le prospettive. Il testo si può scaricare gratuitamente al seguente indirizzo: https://notesfrombelow.org/issue/karl-marxs-workers-inquiry.

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Oggi, il capitale imperversa in una tremenda crisi che getta le nostre vite e il nostro futuro in un'incertezza sempre maggiore. Chi detiene il potere scarica gli effetti della crisi sulle spalle dei lavoratori, su chi già sopporta il peso e la fatica del lavoro. Nel Regno Unito, ad esempio, il governo sta cercando di fare passare una legge che criminalizza le azioni di sciopero. Questa è la risposta alle lotte della classe lavoratrice e alla ripresa esplosiva, nell’ultimo anno, del conflitto contro i padroni e contro il governo.

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machina

Suzanne De Brunhoff, Karl Marx e il dibattito sulla moneta

di Andrea Fumagalli

0e99dc fba40afff97a4a49918b884405660ffamv2Nell'articolo che pubblichiamo oggi, Andrea Fumagalli fa un ritratto di Suzanne de Brunhoff. Nel ricostruire l'importanza e l'originalità del suo pensiero, Andrea Fumagalli ripercorre il dibattito sulla moneta che l'economista francese ebbe con il gruppo di lavoro sulla moneta di Primo Maggio.

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1. Suzanne De Brunhoff e Marx

Suzanne De Brunhoff è stata un intellettuale engagée a tutto tondo, testimone delle varie ingiustizie che hanno caratterizzato il Novecento, contro le quali ha sempre combattuto a viso aperto. Fatto, oggi, più che raro, così presi della performatività dell’apparire.

Come scrive Riccardo Bellofiore a un anno della sua morte:

Le esperienze giovanili del nazismo e del razzismo, e poco dopo del colonialismo francese in Indocina e Algeria, ne fecero una combattente tenace per l’eguaglianza nei diritti politici e sociali [1]

In quanto donna, la sua carriera all’interno dell’università fu assai ostacolata. Dopo una laurea in Filosofia alla Sorbona, non ebbe l’aggregation, nonostante le sue qualità di ricercatrice fossero ampiamente riconosciute. Sarà solo dopo aver ottenuto un dottorato in Sociologia e in Economia, riuscì a entrare al CNRS (Centre National de la Recherche Scientifique, l’equivalente più o meno del nostro CNR), dove divenne, con non poche difficoltà, direttora di ricerca.

La sua ricerca teorica si è sempre mossa all’interno del pensiero marxista. Il suo primo libro fu Capitalisme financier public, pubblicato nel 1965, con il sottotitolo Influence économique de l'État en France (1948-1958) che analizza criticamente il ruolo economico dello Stato in Francia dal 1948 al 1958.