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materialismostorico

Comunismo e/o marxismo? Note in margine a La questione comunista. Storia e futuro di un’idea, di Domenico Losurdo

di Luigi Alfieri (Università di Urbino)

SALVO HERO1.

È come filosofo politico che intervengo qui: toccherò quindi quello che in un’ottica filosofico-politica mi sembra il tema fondamentale proposto nel libro postumo di Losurdo.

Da un punto di vista filosofico-politico, direi che il punto centrale, sia per la sua obiettiva importanza intrinseca, sia per tutta una serie di conseguenze anche implicite ma comunque molto rilevanti che ha, è la polemica di Losurdo contro la teoria dell’estinzione dello Stato e in particolare contro le versioni anarcoidi e utopistiche recenti di questa teoria, il cui atteggiamento Losurdo, con un’espressione che mi piacerebbe rubargli, caratterizza come “gesto civettuolo” che maschera una posizione rinunciataria da slancio utopico1. E si riferisce a Badiou, a Negri, ad Asor Rosa, a Žižek, a coloro insomma che continuano a vedere nel marxismo essenzialmente una dottrina del superamento dello Stato, e quindi della politica, e quindi di ogni forma di potere2. Senza considerare abbastanza che il potere statale non è necessariamente soltanto strumento di oppressione, ma può anche essere strumento di garanzia, di protezione, di riconoscimento.

Mi sembra che a questo proposito Mimmo ragioni in un’ottica che è evidentemente, direi clamorosamente, hegeliana. Ci sono dei brani, dei capitoli interi di questo libro che potrebbero essere intitolati Hegel con- tro Marx3. Non c’è dubbio che la visione che Losurdo esprime dello Stato, in questo testo, è molto più hegeliana che non marxista. Anche se in verità Losurdo presenta la propria presa di distanza dalla teoria dell’estinzione dello Stato come conseguenza di un “processo di apprendimento” interno alla storia del marxismo, quindi come un almeno potenziale o incompleto autosuperamento del marxismo stesso:

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cumpanis

L’anti-positivismo rivoluzionario e il ruolo del partito nel pensiero di Lenin

di Alberto Sgalla*

IMG 20220821 200020Positivismo, Empiriocriticismo

Il Positivismo è un indirizzo filosofico che si è sviluppato a partire dalla prima metà del sec. XIX accompagnando l’organizzazione tecnico-industriale, capitalistica, della società. Il termine, coniato da Saint-Simon, fu poi adottato da Comte per designare lo stadio scientifico del sapere umano in contrapposizione agli stadi precedenti, teologico e metafisico. La scienza era posta come unico fondamento possibile della vita degli esseri umani, garanzia infallibile del loro destino, suo compito era scoprire le “leggi” dei fenomeni. Comte riteneva razionalmente inevitabile il progresso, cioè il perfezionamento incessante che la società umana subisce nella sua storia.

La scoperta di Darwin del principio dell’evoluzione biologica comportò una diffusione del Positivismo nella seconda metà del sec. XIX, con una conclusione ottimistica della dottrina darwiniana: l’evoluzione è il fatto fondamentale della natura e della storia, è ineluttabile il progresso anche biologico dell’uomo. Spencer, il maggiore esponente del Positivismo inglese, ritenne il principio evoluzionistico valido per ogni campo della realtà, la legge universale dell’evoluzione doveva essere applicato anche alla vita sociale e alla vita psichica. Lo sviluppo graduale della società era ritenuto possibile lasciando libero gioco al conflitto tra le classi sociali e vietando ogni forma di dirigismo pubblico, ritenuto contrario al progresso. Il Positivismo inglese, individualistico-liberale, fu tipica espressione della borghesia che vedeva il progresso nel pieno dispiegamento degli appetiti speculativi e della libera concorrenza nel mercato.

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sinistra

Proletari e dominio di classe

di Carlo Di Mascio

paris communeNikolai Alexandrovic,
si trova da me il compagno Ivan Afanasevic Cekunov, un contadino assai interessante, che propaganda a modo suo i principi del comunismo. Egli ha perso gli occhiali e ha pagato 15 mila rubli per una porcheria! Non lo si potrebbe aiutare a trovare dei buoni occhiali? Vi prego molto di aiutarlo e di pregare il vostro segretario di comunicarmi se ci siete riuscito.

Lenin, Al compagno Semascko

I

Lenin, in modo estremamente chiaro, affermava che in una società fondata sulla lotta di classe, in cui esistono dominanti e dominati, non può esistere una scienza imparziale, per cui anche la filosofia, che mira a giustificare e a ricucire il vecchio con il nuovo in funzione di un ordine minacciato1, destinata cioè a servire o a sfruttare le pratiche scientifiche, come sottolineava Althusser, non può in definitiva che rappresentare istanze di parte2. Si tratta quindi di schierarsi, di prendere posizione a favore o contro qualcosa o qualcuno, si tratta in buona sostanza di demistificare chi pretende di costruire ideologicamente la realtà per un obiettivo di classe, soprattutto quando questo obiettivo è finalizzato a controllare la conflittualità sociale e ad implementare massivamente il rapporto tra chi sfrutta e chi è sfruttato.

Il dominio di classe, dunque, quando si sente minacciato si difende, e per farlo ricorre ad ogni accorgimento, sapendo che tutto deve in ogni caso svolgersi all’interno dell’organizzazione del capitale che non è altro che organizzazione della società, sicché il suo sistema ideologico, filosofico e burocratico-giudiziario, non rappresenta altro che la condizione essenziale della dialettica dello sviluppo capitalistico-borghese, la quale si dipana violentemente tra imposizione al lavoro e riproduzione sociale del rapporto di sfruttamento.

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bollettinoculturale 

Sulla determinazione del valore dei beni capitali in un’economia moderna

di Andrea Pannone

treno merci faIl tema affrontato in questo scritto può sembrare astratto e di appannaggio riservato ai soli specialisti. In realtà, quello della valutazione dei beni capitali è un aspetto estremamente problematico sin dagli inizi della storia del pensiero economico e costituisce, più o meno esplicitamente, un fattore discriminante di tutte le teorie del valore.

Senza la minima pretesa di esaustività, nelle pagine seguenti procederemo come segue:

  1. forniremo brevissimi cenni su come le varie scuole economiche abbiano affrontato nel tempo il problema della valutazione dei beni capitali.

  2. forniremo gli elementi di un approccio alternativo alla determinazione del valore dei beni di capitale. Tale approccio, oltre a permettere di superare (almeno alcuni de)i principali limiti degli approcci esistenti in letteratura, risulta estremamente coerente con importanti aspetti dell’evoluzione tecnologica e finanziaria delle economie moderne.

 

La valutazione dei beni capitali lungo la storia del pensiero economico: alcuni cenni

Come ci ricorda Giorgio Gattei (2003), ad esempio, ai fini della validità della ‘legge’ del valore- lavoro – ossia del principio di origine Smithiana secondo cui le merci si scambiano sul mercato in base al rapporto tra le quantità di lavoro necessarie a produrle - è anche implicitamente richiesta l’ipotesi che nei processi produttivi delle due merci non venga impiegato alcun bene capitale. In caso contrario, anche la presenza di un solo bene capitale non consentirebbe più la semplificazione del valore di scambio al rapporto dei lavori contenuti.

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Imperialismo e sottoconsumo in Sweezy e Baran

di Bollettino Culturale

maxresdefaultuygbytresdPaul Sweezy, un marxista americano di grande importanza nel XX secolo, ha collaborato lungamente con Paul Baran, un marxista nato nell'ex impero russo, con l'obiettivo di evidenziare l'unicità dell'economia mondiale sotto la direzione del capitalismo monopolistico, nonché la centralità della categoria “surplus economico” come spiegazione delle crisi. Sweezy, ancor prima della sua collaborazione con Baran, stava già cercando di approfondire, con maggiore attenzione, il problema del mismatch tra produzione e realizzazione di merci nella sua opera più nota “Theory of Capitalist Development”, pubblicata negli anni ‘40. In questo opuscolo, Sweezy ha sottolineato che Marx non ha dedicato un'analisi del sottoconsumo nella produzione capitalistica, concentrando la sua attenzione sull'ambito della produzione in situ. Il cuore dell'analisi di Sweezy è il processo di circolazione del capitale, secondario ai cambiamenti nella composizione organica del capitale come principale fattore scatenante della crisi.

Sweezy ha evidenziato che il sottoconsumo esercita un'influenza preponderante sulle dinamiche dell'economia mondiale, essendo una dimensione inscindibile del funzionamento del capitalismo che contribuisce a due distinti sviluppi: crisi e stagnazione. La crisi deriverebbe dall'offerta aggiuntiva di beni di consumo al mercato, ovvero dallo squilibrio tra offerta potenziale e domanda di consumo potenziale, determinando una riduzione della capacità produttiva aggiuntiva. La stagnazione deriverebbe dall'incapacità del mercato di assorbire il volume potenziale dei beni di consumo. A proposito di quest'ultimo punto, Sweezy ha affermato che, poiché il capitalismo presenta sempre una capacità produttiva potenziale che viene utilizzata raramente, pena la sofferenza del sottoconsumo, il suo ritmo normale è quello della stagnazione.

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materialismostorico

L’economia politica fra scienza e ideologia

di Ascanio Bernardeschi

Parte prima

947996830259ca56eff14683b8bab0a9 XLPremessa

In una lettera a un operaio inglese, Karl Marx scriveva a buona ragione che l’opera alla quale stava lavorando avrebbe costituito il più terribile proiettile scagliato contro la borghesia. Non si tratta solo del fatto che Il capitale individua l’unica fonte del valore nel lavoro, mostrando come all’origine dei profitti e della rendita ci sia il lavoro non pagato. A questo risultato, sia pure in termini meno rigorosi, erano giunti anche i socialisti ricardiani e limitarsi a considerare questo solo aspetto sarebbe fortemente riduttivo della ricchezza della critica marxiana dell’economia politica. Per non dilungarmi troppo, indico qui solo alcuni spunti.

1. Occorre distinguere fra oggetti comuni ai diversi modi di produzione (beni, mezzi di produzione, lavoro utile ecc.) e forme sociali storicamente determinate in cui tali oggetti si presentano nel modo di produzione capitalistico (merci, capitale, lavoro astratto ecc.). A differenza di quanto sostengono gli economisti classici, il capitale è visto da Marx come un rapporto sociale storicamente determinato e non solo come un insieme di beni impiegati nella produzione, cosa necessaria e comune a ogni modo di produzione. Ciò comporta che il capitalismo non sia un orizzonte naturale, necessario ed eterno, ma corrisponda a una determinata fase della storia: non è esistito prima, non ci sarà una volta che l’uomo avrà superato questa fase della storia umana.

2. Il capitale costituisce la condensazione, l’accumulo di lavoro sfruttato in passato. Inoltre, i presupposti del capitale – la concentrazione della proprietà dei mezzi di produzione nelle mani del capitalista, l’esistenza di lavoratori spossessati di tali mezzi e l’esistenza di un vasto mercato delle merci – vengono continuamente posti dal capitale stesso, che riproduce su scala allargata le condizioni della propria esistenza.

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maggiofil

Pane e tulipani, ovvero così non parlò Piero Sraffa

Cronache marXZiane n. 8

di Giorgio Gattei

Marx religiao opio do povo trier museu karl marx1. Con l’accumulazione del profitto realizzato in moneta viene messa in gioco la sorte del pianeta Marx. Ma come procedere per comprenderlo? Vale pur sempre la regola esposta dal suo primo “mappatore” per cui, davanti ad un fenomeno complesso, «si deve sempre partire dal presupposto che le condizioni reali corrispondano al loro concetto o, ciò che significa la stessa cosa, che le condizioni reali vengano esposte solo in quanto coincidano con il tipo generale ad esse corrispondenti» – insomma che il concetto sia adeguato all’oggetto secondo la sua necessità logica, mentre le altre condizioni, che sul momento sono state trascurate, potranno poi esservi aggiunte. Ciò vale soprattutto per l’argomento conclusivo da considerare, e cioè che il pianeta Marx, a differenza di ogni altro corpo celeste, ad ogni rotazione cresce di dimensione per l’accumulazione del profitto indirizzandosi verso un esito finale, una sorte o un destino che si possono almeno congetturare. Si sa che Marx ne aveva previsto la fine per la “caduta tendenziale” del saggio generale del profitto: essendo «il vero limite della produzione capitalistica il capitale stesso», esso entra «in conflitto con i metodi di produzione a cui deve ricorrere per raggiungere il suo scopo e che perseguono l’accrescimento illimitato della produzione, la produzione come fine a se stessa, lo sviluppo incondizionato delle forze produttive sociali del lavoro», cosicché «il modo di produzione capitalistico, che è un mezzo storico per lo sviluppo della forza produttiva materiale e la creazione di un corrispondente mercato mondiale, è al tempo stesso la contraddizione costante tra questo suo compito storico e i rapporti di produzione sociali che gli corrispondono».

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bollettinoculturale

La ricchezza improduttiva, l'"economia di carta" e la teoria del valore

di Andrea Pannone

images4erfvgbnjiPremessa

In un articolo su Bollettino Culturale del 2021 ho affrontato il problema della forma valore in Marx in modo esplicitamente non convenzionale rispetto a come il tema è stato affrontato nella letteratura economica marxista. La non convenzionalità, per essere chiari, è stata quella di raggiungere in modo formalmente rigoroso le stesse conclusioni raggiunte da Marx nel primo libro del Capitale - prima di tutto quella di ricondurre l’origine del profitto al pluslavoro, ossia a un rapporto di sfruttamento – facendo riferimento, però, a una rappresentazione dell’economia capitalistica piuttosto diversa da quella adottata dal filosofo di Treviri, almeno per ciò che attiene al modo di produrre e all’organizzazione dei mercati. Questi due aspetti, infatti, sono stati rappresentati nel nostro schema teorico in modo estremamente coerente ad un sistema economico moderno, anche ricorrendo, seppur solo parzialmente, ad alcune idee di autori molto distanti dal pensiero di Marx (in primo luogo Keynes). 

In questo scritto integrerò le assunzioni portanti del suddetto schema teorico con il meccanismo di circolazione monetaria proposto da Marx nel terzo libro del Capitale (vedi Marx 1894), opportunamente modificato per essere maggiormente coerente con la realtà de sistemi economici e finanziari moderni. Lo scopo è quello di spiegare – in modo fortemente compatibile con l’approccio da me seguito nel mio primo articolo su Bollettino - il fenomeno dell’enorme espansione dei guadagni (earnings) derivanti dal possesso di asset non riproducibili (come ad esempio titoli, azioni, beni immobili ecc.), che sta caratterizzando le economie capitalistiche da almeno 25 anni.

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sinistra

Diritto e metodo marxista in Pashukanis*

di Carlo Di Mascio

Prova HD 01 AltaIl pensiero come tale non può implicare mai e poi mai il processo di formazione del concreto stesso.
Karl Marx, Grundrisse

1. Il diritto quale costruzione storicamente determinata dalle condizioni della produzione capitalistico-borghese

L’eccezionale radicalità della critica marxista di Pashukanis, risiede principalmente nella tesi secondo cui quando si procede allo studio del diritto, prima di catturare il suo contenuto politico, occorre interrogarsi rispetto alla sua forma, e ciò in quanto, per il giurista sovietico, il diritto e il suo formalismo rappresentano il fondamento strutturale, e non meramente sovrastrutturale, del dominio dell’economico, nonché della sua assunzione a giustificazione universale della società moderna. Ora, interrogarsi sulla forma del diritto, come «disciplina teoretica autonoma»1 e non come prodotto ideologico, significa affermare che il diritto è un’astrazione che tuttavia non altera la verità concreta, per cui non va affatto confuso con un semplice meccanismo con il quale il dominante inganna il dominato, bensì identificato con «un principio realmente operante nella società borghese [che si fonda sulla merce] un processo reale di giuridicizzazione dei rapporti umani, che accompagna lo sviluppo dell’economia mercantile-monetaria (e, nella storia europea, lo sviluppo dell’economia capitalistica)»2. Questa premessa conduce Pashukanis ad assegnare al diritto, piuttosto che lo status di una mera categoria dell’ideologia borghese, quello di un vero e proprio «fenomeno sociale oggettivo»3 che opera concretamente nella società, indipendentemente da una volontà di classe, e comunque non con immediati obiettivi di falsificazione. Esso, contrariamente a come appare immediatamente, con le sue generalità e astrattezze, con i suoi principi eterni ed immutabili, non comanda se non all’interno di una relazione, che altro non è che una relazione di mercato tra possessori di merce, tra chi compra e chi vende, tra chi detiene i mezzi di produzione e chi solo la merce «forza-lavoro».

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sinistra

Prefazione a Karl Marx: Scritti di critica dell'economia politica

di Giovanni Sgrò

Karl Marx: Scritti di critica dell'economia politica, Pgreco/Filo Rosso, 2022

Visual Arts1. Presentazione dei testi

Il presente volume ripropone in veste invariata la raccolta di testi marxiani, allora veramente “inediti” in Italia, pregevolmente curata da Mario Tronti nel 1963. I testi sono i seguenti:

1) Il commento di Marx agli estratti, risalenti al 1844-1845, dalla traduzione francese del libro di James Mill, Elemens d’économie politique (Paris 1823).

2) La parte superstite (risalente al periodo settembre-ottobre 1858) del secondo e del terzo capitolo, dedicati rispettivamente al denaro e al capitale, del “testo primitivo” (Urtext) di Per la critica dell’economia politica (1859).

3) L’appendice sulla forma di valore per i lettori “non dialettici”, che Marx su consiglio di Friedrich Engels (1820-1895) e di Louis Kugelmann (1828-1902) preparò per la prima edizione del primo libro de Il capitale (1867). Nella seconda edizione (1872) Marx fuse poi insieme il primo capitolo della prima edizione e l’appendice per i lettori “non dialettici” nell’unica nuova versione del primo capitolo, che sarà alla base anche dell’edizione francese (1872-1875) e della terza (1883) e quarta (1890) edizione, pubblicate queste ultime due postume da Engels.

4) Le glosse, risalenti al 1881, alle parti della seconda edizione (1879) del Manuale di economia politica del “socialista della cattedra” Adolph Wagner (1835-1917), in cui erano contenuti riferimenti espliciti alla prima edizione del primo libro de Il capitale (1867).

5) L’inchiesta operaia preparata personalmente da Marx nel 1880 per il movimento rivoluzionario francese.

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la citta futura

La parabola dell’economia politica

Parte V: Marx, la crisi e le leggi di movimento del capitalismo

di Ascanio Bernardeschi

L’ultimo articolo su Marx riguarda la spiegazione della crisi economica e le leggi di movimento del modo di produzione capitalistico: concentrazione e centralizzazione dei capitali, finanziarizzazione, polarizzazione della ricchezza e impoverimento relativo dei lavoratori. Qui la parte I, qui la parte II, qui la parte III, qui la parte quarta

97570b1315a96c3f4a203c16a45c2b14 XLLe cause delle crisi

Ai tempi di Marx, gli economisti borghesi ortodossi erano convinti che la crisi non potesse esistere. Ciò vale non solo per l’economia volgare, ma anche per i primi, grandi economisti classici. Secondo Adam Smith, per esempio, i meccanismi del mercato sono perfetti: dobbiamo il nostro benessere all’egoismo degli operatori economici e alla mano invisibile del mercato, mentre lo Stato, per non compromettere questo idillio, dovrebbe limitarsi a svolgere alcune funzioni, pur importanti, quale l’istruzione, la difesa ecc., astenendosi dall’interferire nell’economia.

David Ricardo, da parte sua, aderisce alla cosiddetta legge di Say, o legge degli sbocchi, secondo cui le crisi generali di sovrapproduzione sono impossibili in quanto ogni offerta di prodotti crea la propria domanda. Possono esserci quindi solo sovrapproduzioni settoriali, non generali, e per i brevi periodi necessari al raggiungimento di un equilibrio tra domanda e offerta.

Nei precedenti articoli abbiamo avuto occasione di esporre la confutazione marxiana della legge di Say e quindi la possibilità della crisi.

Tuttavia essa, per Marx, non è solo possibile, ma necessaria, un dato fisiologico del modo di produzione capitalistico, è anche il modo violento con cui tale sistema economico risolve le sue contraddizioni. Quindi occorre esporre gli argomenti di Marx che spiegano come questa possibilità sia anche effettualità. L’argomento fondamentale è che il profitto, la valorizzazione del capitale, l’accumulazione di ricchezza astratta, è l’unico scopo perseguito dai capitalisti e che essi interrompono la loro attività, tolgono il denaro dalla circolazione, non lo reinvestono in attività produttive, lo tesaurizzano o lo investono in attività puramente finanziarie e speculative, quando non ci sono le condizioni per una sua sufficiente remunerazione, innescando effetti a catena per cui le disgrazie di qualche capitalista si ripercuotono con un effetto domino su altri capitalisti che vedono restringere la loro fetta di mercato.

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Marx, marxismi e decrescita

di Paolo Cacciari

andre amaral xavier tABAti6Qko4 unsplash 1320x1054Il problema che il mondo ha di fronte, dicono il pensiero femminista e quello ecofemminista, va oltre il capitalismo. In ogni caso, per cambiare l’ordine delle cose oggi non basta mettere in discussione il valore economico in una società di mercato: si tratta di immaginare, prendendo spunto da movimenti e pensieri diversi, un’economia ecologica post-crescita. «La possibilità che un futuro sempre più artificiale, distopico e autoritario non si realizzi – scrive Paolo Cacciari – non dipenderà tanto dal fatto che il capitale potrebbe implodere sbattendo nei “limiti planetari” della biosfera, ma dalla nostra (dell’umanità) capacità di opposizione, di ideazione, di progettazione e sperimentazione di sistemi socioeconomici diversi…». Abbiamo bisogno di costruire ponti tra l’ecologia politica e l’eco-marxismo. Appunti verso un prezioso seminario su Marx, marxismi e decrescita.

* * * *

“Non aduliamoci troppo tuttavia per la nostra vittoria umana sulla natura. La natura si vendica di ogni nostra vittoria. (…) Ad ogni passo ci vien ricordato che noi non dominiamo la natura come un conquistatore domina un popolo straniero soggiogato, che non la dominiamo come chi è estraneo ad essa ma che noi le apparteniamo con carne e sangue e cervello e viviamo nel suo grembo: tutto il nostro dominio sulla natura consiste nella capacità, che ci eleva al di sopra delle altre creature, di conoscere le sue leggi e di impiegarle nel modo più appropriato”
Engels (1876).

In preparazione dell’incontro di settembre a Venezia (www.venezia2022.iy), il prossimo venerdì 17, il gruppo dei Pensionati critici di Mestre ha organizzato un seminario su Marx, marxismi e decrescita (Decrescita e marxismi – Verso Venezia 2022 | 7-8-9 settembre 2022).

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la citta futura

La parabola dell’economia politica

Parte IV: Marx, la caduta tendenziale del saggio del profitto

di Ascanio Bernardeschi

Nella spietata competizione fra capitali, ognuno cerca di abbassare i propri costi per vincere la concorrenza introducendo innovazioni che risparmiano lavoro. Così facendo il capitale, che si può valorizzare solo attraverso l’eccedenza di lavoro, il pluslavoro, va incontro, sia pure fra alti e bassi, alla caduta del saggio del profitto e al proprio declino. Qui la parte I, qui la parte II, qui la parte III.

b61d1c0d95fe000c263f309c4d54cd77 XLIl plusvalore, che ha nel lavoro l’unica fonte, è limitato dal numero di lavoratori impiegati e dalla durata della giornata lavorativa, che ovviamente non può superare le ventiquattro ore; anzi dura molto meno, viste le ovvie necessità fisiologiche dei lavoratori. Se si rapporta questa grandezza, che ha dei limiti oggettivi, al lavoro incessantemente crescente già oggettivato in passato nel capitale impiegato, possiamo già intuire l’esistenza di una tendenza alla diminuzione del saggio del profitto che consiste proprio nel rapporto tra queste due grandezze (il plusvalore e il valore del capitale impiegato).

Marx evidenzia già nei Grundrisse che il capitale tende da un lato, con l’introduzione di metodi e tecnologie sempre più prestanti, a ridurre il tempo di lavoro necessario, mentre deve misurare il valore in termini di tempo di lavoro. In un passaggio profetico sul macchinismo, sottolinea come questa tendenza avrebbe ridotto il ruolo del lavoro a misera cosa rispetto alla potenza produttiva delle macchine. E tuttavia questa contraddizione fra la progressiva diminuzione del tempo di lavoro necessario in rapporto al capitale costante impiegato e il bisogno del capitale di estrarre plusvalore, di “succhiare” lavoro vivo, per valorizzarsi, avrebbe condotto al superamento della legge del valore e a una società in cui il benessere sia dato non dal tempo di lavoro, ma dal tempo libero di cui ogni uomo possa disporre grazie ai servizi delle macchine. Questo sbocco è tuttavia impossibile all’interno del modo di produzione capitalistico e infatti, dopo la parentesi di alcune conquiste della classe lavoratrice, la tendenza è quella di un inasprimento di orari e ritmi di lavoro, proprio per la fame crescente di plusvalore.

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Tra 1 abito e 10 braccia di tela: il problema dell'equivalenza

di Frank Grohmann

Lacan«È questo ciò di cui si tratta, ed è questo che voglio proporre oggi alla fine di questa lezione: gli è che la Metonimia, a rigor di logica, costituisce quel luogo dove noi dobbiamo posizionare qualcosa che è primordiale, e questo qualcosa è talmente primordiale ed essenziale nel linguaggio umano al punto che noi, qui, al contrario, lo assumiamo secondo la dimensione del senso. Voglio dire che, partendo dalla diversità di questi oggetti - che sono già costituiti a partire dal linguaggio, e in cui viene introdotto il campo magnetico del bisogno di ciascuno, con le sue contraddizioni - la risposta che ho introdotto precedentemente a questo qualcos'altro, che forse qui potrebbe sembrare paradossale, è stata quella della dimensione del valore.

E questa dimensione del valore, è per l'appunto qualcosa che possiede una sua dimensione di senso in relazione a esso. Si pone e si impone in quanto essere in contrasto, a partire dal fatto che si tratta di un altro versante, di un altro registro. Se qualcuno di voi ha abbastanza familiarità; non dico con tutto il Capitale - chi ha letto il Capitale! - ma con il primo libro del Capitale, che in generale hanno letto tutti, vi chiederei di andare alla pagina in cui Marx, nel formulare quella che, in una nota, viene chiamata la teoria della forma particolare del valore della merce, appare come un precursore della fase dello specchio. In questa pagina [N.d.T.: sulla forma di equivalenza del valore della merce] - in questo suo prodigioso primo libro, che ce lo mostra, cosa rara, nelle vesti di uno che tiene un discorso filosofico articolato - Marx fa questa osservazione eccessiva e sovrabbondante, egli fa la seguente considerazione: che prima di intraprendere qualsiasi tipo di studio delle relazioni quantitative di valore, come prima cosa è necessario presupporre che non può essere stabilito nulla, se non sotto forma dell'istituzione di una specie di equivalenza fondamentale che non si riferisce semplicemente ai tanti tessuti uguali, ma alla metà del numero degli abiti; cioè, esiste già qualcosa che va strutturato nell'equivalenza tela-vestito - vale a dire che gli abiti possono rappresentare il valore della tela, nel senso che essa non è, come un abito, qualcosa che può essere indossato; e che all'inizio dell'analisi c'è qualcosa per cui l'abito può diventare il significante del valore della tela.

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la citta futura

La parabola dell’economia politica

III. Marx, la trasformazione del plusvalore in profitto, interesse e rendita

di Ascanio Bernardeschi

I capitalisti commisurano il plusvalore estratto non al solo capitale variabile, ma a tutto il capitale: in tal modo il plusvalore si trasforma in profitto. Avvicinandoci alla complessità del reale e alla concorrenza fra diversi capitali si vede che il plusvalore viene ripartito fra i capitalisti di tutti i comparti, produttivi e improduttivi, in ragione all’incirca proporzionale al capitale anticipato. I prezzi che ne scaturiscono differiscono dai valori, ma è la legge del valore a determinarli con le opportune mediazioni. Qui la parte I, qui la parte II

d7d4debeacc031b761decd6f6d9d20bb XLLa trasformazione del plusvalore in profitto, del saggio del plusvalore in saggio del profitto e dei valori in prezzi di produzione

Dal punto di vista dei capitalisti il risultato economico, che sappiamo scaturire dal solo plusvalore, corrispondente al lavoro non pagato, deve essere valutato in rapporto all’intero capitale anticipato e non al solo capitale variabile. Lo scopo del capitale è la sua autovalorizzazione, e la si misura confrontandola con tutto il capitale. Diviene perciò, da quel punto di vista del capitale, cruciale il saggio di incremento del capitale, ΔD/D. Il plusvalore, in quanto rapportato all’intero capitale prende così la forma di profitto e l’efficienza delle imprese è misurata dal saggio del profitto, cioè il rapporto fra i profitti realizzati e tutto il capitale anticipato. Tale rapporto è espresso dalla seguente relazione

r=pv/(c+v) (1)

dove r è il saggio del profitto, c il capitale costante, v il capitale variabile, e il profitto in questa fase dell’analisi viene identificato con il plusvalore, pv. Questa relazione produce l’illusione che tutto il capitale, e non solo la forza-lavoro, contribuisca a produrre profitti.

Essendo questa la misura del rendimento di un capitale, i capitalisti cercheranno di investire i loro capitali nei settori che consentono di realizzare il maggiore saggio del profitto, che comporta, a parità di valore del capitale anticipato, anche maggiori profitti assoluti. Questa tendenza fa sì che accresca la competizione fra i capitali allocati nei settori maggiormente profittevoli, con un conseguente aumento dell’offerta di prodotti di quei settori, determinando una tendenza alla diminuzione dei valori di mercato dei rispettivi prodotti e quindi dei corrispondenti profitti e un aumento in quelli dove invece la competizione va diminuendo.

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la citta futura

La parabola dell’economia politica

II. Marx, il processo di circolazione del capitale

di Ascanio Bernardeschi

I presupposti dell'accumulazione del singolo capitale non coincidono con i presupposti dell'accumulazione per l'intera società. Questi ultimi non possono essere assicurati dalla mano invisibile del mercato ma vengono realizzati solo al prezzo di crisi e fallimenti. Qui la parte I

383a36c17eafaeefd59fc7a88edd42c7 XLLa rotazione del capitale

Il secondo libro del Capitale tratta del processo di circolazione. Parlando della metamorfosi del capitale, D-M-D’, abbiamo visto che la circolazione, per esteso D-M(Fl,Mp)...P...M’-D’, è interrotta dal tempo di produzione, P. Tale tempo a sua volta si suddivide in tempo di lavoro, tempo di pausa (le notti, le festività, le interruzioni ecc.) e tempo occorrente perché si sviluppino processi naturali, come nel caso delle colture agricole, delle fermentazioni, delle trasformazioni chimiche ecc. Il tempo di circolazione a sua volta si suddivide in tempo d’ordine, tempo di consegna e tempo di pagamento e si riferisce sia alla fase D-M, l'acquisto di mezzi di produzione e forza-lavoro che alla fase M'-D', la vendita del prodotto.

La sommatoria di tutti questi tempi costituisce il tempo di rotazione del capitale, cioè il tempo che trascorre dall'anticipazione del denaro per acquistare i fattori produttivi D-M(Fl,Mp) fino al ritorno, con la vendita del prodotto, di una somma di denaro maggiore di quello anticipato, M'-D’. In uno stesso capitale tuttavia i tempi di rotazione delle singole componenti differiscono. La materia prima “ritorna” come denaro dopo l'unico solo ciclo di circolazione in cui viene acquistata, trasformata e venduta; invece una macchina che cede gradualmente il suo valore al prodotto, via via che si logora, viene in genere interamente rimpiazzata dopo un certo numero di cicli produttivi e per ognuno se ne determina, sotto la voce “ammortamento” l’entità della sua perdita di valore, coincidente con il valore trasferito al prodotto. Astraendo per semplicità dal capitale fisso, quanto più breve è il tempo di rotazione, tante più rotazioni effettua un determinato capitale nel corso dell’anno.

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la citta futura

La parabola dell’economia politica dalla scienza all’ideologia

Marx, il salario e l'accumulazione

di Ascanio Bernardeschi

Il salario appare come il compenso per il lavoro ma è la forma fenomenica con cui si manifesta il valore della forza-lavoro. Il capitale e la sua accumulazione poggiano interamente sullo sfruttamento del lavoro. La legge fondamentale dell'accumulazione capitalistica prevede la presenza di un esercito industriale di riserva. L'accumulazione originaria è basata sulla rapina. Qui la prima parte

ceee4096d5685eeea05189db7dc04044 XLLa funzione della teoria del valore in Marx

La teoria del valore, nell’analisi di Marx, è uno strumento per indagare i rapporti sociali e le caratteristiche specifiche delle società contemporanee e le sue “leggi di movimento”.

Nelle comunità primitive, così come avviene all'interno di una famiglia, gli uomini organizzavano il lavoro e lo ripartivano fra i vari obiettivi (per la produzione dei beni di consumo ritenuti maggiormente utili, per realizzare degli strumenti di lavoro, per la cura della prole ecc.) in base a una pianificazione, sia pur elementare, così come nella futura società comunista il lavoro verrà distribuito in base a un piano consapevole dei “produttori associati”. Nella società capitalistica, invece, l’allocazione del lavoro e la sua ripartizione fra i vari rami produttivi avviene in base alla legge del valore e al criterio di massimizzazione dei risultati individuali da parte dei singoli capitalisti. Il risultato complessivo è dato dalla somma di queste azioni non coordinate a priori e la smithiana “mano invisibile del mercato” non sempre funziona al meglio.

Caratteristica di questo modo di produzione, in cui predomina l’accumulazione di valore astratto, è che il processo lavorativo con cui si producono oggetti utili non è altro che il mezzo per tale accumulazione, mentre il fine è il processo di valorizzazione del capitale. La produzione, la realizzazione e l'accumulazione di plusvalore divengono fine a sé stessi. Vengono prodotti beni utili solo in quanto ciò è un mezzo per valorizzare il capitale. Il lavoro interessa solo come produttore di plusvalore, sorgente unica della valorizzazione del capitale, e la sua attitudine a produrre determinati beni utili, di valori d’uso, è solo una necessità per raggiungere lo scopo della valorizzazione del capitale.

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letture

“La logica del capitale. Ripartire da Marx”

intervista a Roberto Fineschi

Roberto Fineschi: La logica del capitale. Ripartire da Marx, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici Press, 2021

a94dfff6f328b3b3fb36c05ac1dc4c87 XLProf. Roberto Fineschi, Lei è autore del libro La logica del capitale. Ripartire da Marx edito dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici: quali condizioni consentono oggi una nuova lettura dell’opera di Karl Marx?

Le condizioni sostanziali sono due. La prima è di carattere scientifico: la nuova edizione storico-critica delle opere di Marx ed Engels (la seconda Marx-Engels-Gesamtausgabe, MEGA2) sta mettendo a disposizione per la prima volta nella storia della ricezione marxiana una serie di testi fondamentali prima inaccessibili. Essi hanno cambiato la faccia di alcune delle opere fondamentali di Marx come i cosiddetti Manoscritti economico-filosofici del ‘44, L’ideologia tedesca e, soprattutto, Il capitale. Il Marx che possiamo leggere oggi non è quello che è stato letto fino ad oggi.

La seconda è di carattere storico-politico. Senza esprimere sommari giudizi sulla storia novecentesca, è un dato di fatto che qualunque movimento politico organizzato ha bisogno di una dottrina certa e immutabile su cui basare la propria azione. Il marxismo inevitabilmente aveva ingessato il pensiero di Marx. L’ortodossia sovietica aveva poi finito per influenzare anche le posizioni anti-sovietiche o eclettiche. Al di là della valutazione che si voglia dare di queste esperienze (e sarebbe insensato liquidarle con sufficienza), è evidente che il venir meno di questo contesto nel suo complesso ha senz’altro permesso un più libero approccio al testo di Marx.

 

Quali nuove interpretazioni un’analisi filologicamente rigorosa della teoria marxiana?

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lanatra di vaucan

Introduzione a “Il capitale mondo”

di Massimo Maggini

capitale mondo page 0001La fase terminale volge sempre in farsa,
anche se, in ultima analisi, in una farsa sanguinosa
Robert Kurz

Con la pubblicazione de Il capitale mondo esce finalmente in Italia uno dei libri più interessanti ed importanti di Robert Kurz.

Kurz, insieme a pochi altri (fra cui Roswitha Scholz, Norbert Trenkle e Ernst Lohoff), è stato il fondatore della corrente di pensiero chiamata Wertkritik (Critica del valore),1 una rilettura del pensiero marxiano che privilegia gli aspetti rimasti in ombra nella ricezione di Marx da parte del marxismo classico. Quest’ultimo, infatti, ha focalizzato l’attenzione sulla lotta di classe, sulla soggettività operaia e sulla richiesta di una più equa distribuzione del prodotto e della redditività sociale – tutti temi sicuramente presenti nell’opera marxiana – trascurando però quasi completamente, tranne qualche insufficiente e temporanea eccezione, una parte altrettanto presente ed importante, se non anche più dell’altra, che analizza la struttura di fondo del sistema del capitale e ne rintraccia le contraddizioni interne e i limiti invalicabili, verso i quali questo sistema è necessariamente indirizzato per un proprio moto interno ineludibile.

Non è un caso, infatti che Kurz parli di un “duplice Marx”,2 distinguendo fra un Marx “essoterico”, quello appunto della “lotta di classe” (un “rampollo e dissidente del liberalismo, il politico socialista della sua epoca ed il mentore del movimento operaio, che si limitava ad esigere diritti di cittadinanza e un ‘equo salario per una giornata di lavoro equa’ ”, come lo definisce Kurz),3 dove il capitale non è letto come un rapporto sociale storicamente determinato ma viene “ontologizzato”, e l’obiettivo principale diventa il rovesciamento dei rapporti di potere, non del sistema nelle sue fondamenta, e quello “esoterico”, critico impietoso della struttura capitalistica e del suo ottuso feticismo, della forma-valore, che presiede al movimento del capitale, e del tanto osannato – specie dai paladini del marxismo classico – “lavoro astratto” che ne è, diciamo, l’“esecutore materiale”.4

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intrasformazione

Marx, Il Capitale, I, (5-9). Una guida per principianti

di Antonino Morreale

AO2kzM4gzN5gDO4cTONel primo libro del Capitale, col capitolo 4, la “trasformazione del denaro in capitale”, Marx ha chiuso la sua vacanza “logico-deduttiva”, “hegeliana”, per scaraventarsi nel mondo. Il “denaro” si è trasformato in “capitale”, grazie al casuale ritrovamento di qualcosa di particolare, la forza-lavoro che lo ha fatto crescere. Una volta afferrato il concetto del capitale è possibile riconoscerlo nella storia ed esporne lo sviluppo. La logica ha guidato la ricerca storica. Giunti a questo, il capitale ormai non si può più permettere di lasciare ai ritrovamenti casuali del plusvalore “assoluto” il proprio destino storico, perciò ha creato il proprio presupposto, il proprio plusvalore specifico, unico “relativo” a sé. Ha provato a chiudere il cerchio per garantirsi un’esistenza eterna, circolare, una “circulata melodia”. Da adesso, è di questo che Marx si occuperà.

 

Cap.5 Processo lavorativo e processo di valorizzazione

“L’uso della forza-lavoro è il lavoro stesso. Il compratore della forza-lavoro la consuma facendo lavorare il venditore di essa. Per tale via, quest’ultimo diviene actu forza-lavoro che si attua, lavoratore, ciò che prima era solo potentia”1.

Anche se, come si vedrà, è faticoso e poco lineare, questo capitolo ha una importanza speciale. Marx vi svela il sorgere del “plusvalore assoluto”.

Processo lavorativo

Ripartiamo da lì, dal finale del cap. 4; dal teatrino messo in scena dal capitalista. Da una parte l’acquisto di forza-lavoro da parte del “sorridente e significativamente compiaciuto”, “possessore di denaro”, che “marcia in testa come capitalista”; dall’altra, “il possessore della forza-lavoro”, “timido, riluttante” che “non ha da aspettarsi altro che la -concia”2.

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la citta futura

La parabola dell’economia politica dalla scienza all’ideologia

di Ascanio Bernardeschi

1159f95dad2c700aebdcc3993541e6d0 XLI. La fisiocrazia

Questa prima parte è dedicata ai fisiocratici e in particolar modo al Tableau économique di Quesnay

Anche se già nell’antichità non mancarono riflessioni sull’attività umana volta a produrre e riprodurre la società, come per esempio con Aristotele che tese a distinguere fra economia e crematistica, quest’ultima intesa come accumulazione di ricchezza misurata in denaro e considerata attività innaturale, Marx aveva ben chiaro che si può parlare di economia politica come scienza autonoma solo con l’affermarsi del modo di produzione capitalistico. Nelle società precedenti, infatti, la riproduzione sociale era governata da regole fisse, i rapporti di dipendenza erano rapporti personali stabiliti per legge o per volontà divina e inderogabili e lo sfruttamento era ben visibile, senza la necessità di dotarsi di una scienza: 

“La corvée si misura col tempo, proprio come il lavoro produttore di merci, ma ogni servo della gleba sa che quel che egli aliena al servizio del suo padrone è una quantità determinata della sua forza-lavoro personale. La decima che si deve fornire al prete è più evidente della benedizione del prete” [1].

Con l’affermarsi del modo capitalistico di produzione, i rapporti sociali perdono la caratterizzazione di rapporti di dipendenza personale, gli uomini sono tutti liberi e uguali di fronte alla legge e occorre la scienza per indagare come, sotto la superficie di rapporti paritari nel mercato, sussista la dipendenza di carattere economico e lo sfruttamento. Per questo motivo gli albori dell’economia politica coincidono con l’affermazione di questo modo di produzione.

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lordinenuovo

La critica marxiana del misticismo logico hegeliano e la critica antirevisionista del feticismo democratico

di Eros Barone

marxcop 660x4002xLa fortuna del giovane Marx e il suo uso revisionista

Gli opportunisti del nostro tempo ripetono cose che i revisionisti della Seconda Internazionale avevano già scoperto. Per questo le critiche che Lenin fece ai Kautsky, ai Vandervelde, agli Otto Bauer, colpiscono giusto anche oggi. Anzi, come oggi il riformismo ha accentuato la sua funzione di agente del capitalismo e dell’imperialismo in seno alla classe operaia, nel senso che questo legame è diventato diretto e immediato, così ha perso in gran parte quella capacità teorica che distingueva pur sempre i revisionisti dell’epoca di Lenin. Oggi la mistificazione della essenza rivoluzionaria del marxismo è più grossolana e assai meno ‘dialettica’ di un tempo.

Per quanto concerne le opere giovanili di Marx e, segnatamente, la Critica della filosofia hegeliana e i Manoscritti economico-filosofici del 1844, occorre rilevare innanzitutto che esse sono state edite soltanto nei primi decenni del ventesimo secolo, cioè in un periodo in cui il marxismo si identificava praticamente con l’Internazionale Comunista e con la dittatura del proletariato in Unione Sovietica. Immediatamente, fin da quegli anni, e poi ancora più clamorosamente in séguito, il “giovane Marx” ebbe una fortuna insospettata in Europa occidentale e particolarmente in Germania. Intorno al 1930 il giovane Marx fu preda degli intellettuali socialdemocratici e non marxisti, che lo usarono in funzione anticomunista e antisovietica. Accadde così che per combattere la concezione, allora dominante (grazie alla grandiosa opera di Lenin e, poi, di Stalin) del marxismo come scienza e del socialismo come movimento rivoluzionario tendente ad instaurare la dittatura del proletariato, fu “scoperto” un Marx “umanista”, “democratico”, “storicista”, “moralista”. Il terreno favorevole a questa operazione, del resto, era già stato inconsapevolmente preparato con successo negli anni Venti dall’“ultrasinistrismo” di filosofi (“piccolo-borghesi”, secondo il giudizio di Stalin) come György Lukács e Karl Korsch, che avevano teso a sottolineare gli aspetti soggettivistici, volontaristici, antipositivistici, del pensiero marxiano.

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machina

Lavoro e tempo di lavoro in Marx

di Franco Piperno

Dopo aver analizzato la nozione di tempo nel pensiero di Aristotele, Franco Piperno si rivolge ora a un'indagine sullo sviluppo del rapporto tra tempo e lavoro nelle opere di Marx

0e99dc 9f02e60675fb4041a65888fbbe1252f7mv2I) Cento anni dopo

A più di un secolo dalla morte, Marx viene trattato, tanto nell’opinione quanto nell’accademia, come «un cane morto». La situazione è quindi ottima per riprendere lo studio dei suoi testi, per rifare i conti con lui. Procedere su questa strada, comporta,in primo luogo, sgombrare il terreno dall’ovvio, rifiutare la relazione di causalità tra l’attuale discredito di cui gode il Nostro e il crollo del socialismo di stato nell’Europa dell’Est. L’inconsistenza logica della dottrina marxista, così come la cattiva astrazione sulla quale si fondava la legittimità dei regimi socialistici, erano nascoste solo agli occhi di chi non voleva vedere. Tutto era chiaro già da prima, da molto prima. A testimonianza che il senso comune non ha atteso il crollo del muro di Berlino per formulare un giudizio sulla teoria del socialismo scientifico e sulla natura del socialismo di stato riproponiamo, qui di seguito,un breve commento a riguardo, scritto nel 1983, in occasione del centenario della morte di Marx, quando il Paese dei Soviet esisteva ancora[1]:

La celebrazione di K. Marx, nel centenario della morte, costituisce quel piccolo dettaglio più illuminante che un intero discorso. Innanzi, tutto chi celebra chi? Giacche’ bisognerà bene augurarsi che esista qualche differenza tra il Marx celebrato dal compagno Andropov, attuale primo ministro sovietico ed ex-capo del K.G.B.; e quello di cui si ricorda il militante dell’Autonomia nelle prigioni italiane. Non che ci siano celebrazioni illegittime; è solo che, forse, Marx, il nostro Marx, non merita d’essere celebrato[2] né dagli agenti segreti,né dai professori universitari e nemmeno dai militanti di Autonomia.

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maggiofil

Così parlò Saggio Massimo. Cronache marXZiane n. 7

di Giorgio Gattei

Cubo di ZarathustraSul pianeta Marx, questo corpo celeste improvvisamente comparso nella costellazione dell’Economia sul finire del XVIII secolo, è presente una estrema periferia dove non si pagano salari (così si dice, ma non è proprio così come vedremo). Qui abita Saggio Massimo (del profitto) che logicamente consegue, in un sistema di prezzi di produzione, da un Netto Y che si spartisce tra Salario W e Profitto P, con quest’ultimo misurato da un saggio generale del profitto r sul capitale K complessivamente impiegato:

Y = W + P = W + rK

quando il salario W risulta pari a zero:

max r = R = Y / K

(il che sembrerebbe una pacchia per i capitalisti perché i lavoratori non consumano nulla, ma nella condizione di Saggio Massimo tutto il profitto deve essere risparmiato per essere investito in accumulazione, così che nemmeno i capitalisti consumano nulla). Così Saggio Massimo misura quel rapporto tra Netto e Capitale che nella Cronaca marXZiana precedente abbiamo visto coincidere, mediante l’espediente sraffiano del “sistema tipo”, con quel Rapporto-tipo (R = R*) che prescinde dai prezzi e siccome nella periferia di Saggio Massimo il salario è nullo, R* non è influenzato nemmeno dalle variazioni della distribuzione del reddito che non possono esserci.

Si capisce perciò come quel luogo sia il più insolito del pianeta Marx e dove devono valere regole così particolari di funzionamento che quando Piero Sraffa nella sua esplorazione del pianeta ha incontrato Saggio Massimo, ha voluto farsele spiegare in un colloquio personale.

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materialismostorico

L’eredità di Rosa Luxemburg

di Giovambattista Vaccaro (Università della Calabria)

rosaluxemburg targa1. Introduzione

Il pensiero di Rosa Luxemburg non ha mai riscosso un particolare interesse nel nostro paese, probabilmente perché, come ha rilevato il suo maggiore studioso e diffusore italiano, Lelio Basso, su di esso hanno pesato due diversi approcci: quello socialdemocratico, che fa della rivoluzionaria polacca il grande avversario di Lenin e il grande difensore della democrazia, e quello comunista, per il quale – specularmente – la Luxemburg aveva sempre torto e Lenin sempre ragione1. Così, nonostante si sia visto in lei uno dei migliori esegeti e volgarizzatori del marxismo2 e l’esponente di un marxismo creativo e ricco di contributi originali3, il giudizio che ha prevalso è stato quello per cui il suo pensiero rimane caratterizzato da un economicismo4 in cui l’analisi slitta dal piano economico a quello geografico, producendo così «acrobazie in materia economica»5 e argomentazioni economiche deboli. Un pensiero che non contribuisce a una teoria politica della rivoluzione, inoltre, perché manca in esso l’attenzione per l’aspetto politico-istituzionale della rivoluzione e la distinzione tra avanguardia e masse6. Questo giudizio non è sostanzialmente cambiato negli anni del ripensamento del marxismo e della strategia del movimento comunista successivi alla catastrofe del ’56, anche se sulla base di argomentazioni diverse, come ad esempio quella, tipica dell’operaismo italiano, che chiama in causa il tramonto della figura dell’operaio professionalizzato e il parallelo sorgere dell’operaio-massa; una novità che avrebbe reso del tutto inattuale e astratta l’ipotesi politica dei consigli operai formulata dalla Luxemburg e ripresa da tutto il Linkscommunismus tedesco degli anni Venti, incapace di scorgere nella ristrutturazione del ciclo capitalistico che modificava l’assetto della forza- lavoro la risposta del capitale all’insubordinazione operaia7.