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marxiana

[marxiana] Re: marxismo. Bellofiore e lo 'stato dell'arte'

Riccardo Bellofiore <riccardo.bellofiore@...>
riccardo.bellofiore@...

Evidentemente, quando si vola alto è più facile cadere in picchiata ... Sorridente

Cercherò, in questa email, di dare qualche risposta al collega Cavalieri, che giustamente mi ricorda che ormai ho la mia età ("di lunga data") e mi onora di una qualifica come "antagonista", addirittura "scientifico", del suo pensiero. Mi limito, da tempo, ad esprimere alcune opinioni su questioni su cui a ragione o a torto pretendo di avere molto studiato, e su cui credo però anche di avere molto imparato da altri. Opinioni soggettive, le mie: discutibili dunque quant'altre mai. Prego dunque nel seguito, come sempre, di tener conto che alcuni giudizi che darò, tipo "superficiale", "affrettato", e simili, vannno intesi come dati "dal mio punto di vista", o se preferite, espressi "in my humble opinion" (IMHO).

Sul fatto che io "catechizzerei", "rivelando una dottrina", proprio si sbaglia indirizzo: io dico semplicemente, sempre, quello che penso, e di cui sono convinto, con argomentazioni, giuste o sbagliate che siano. Perché, Cavalieri fa diversamente? Non mi pare. Mi critica duramente, quando gli pare il caso, e fa bene. Dall'altro lato, se e quando lo ritengo il caso, esprimo il mio parere contrastante. Non vedo dove stia il problema.

Mi tocca, innanzi tutto e purtroppo, dissipare anche alcuni equivoci che devono essere sorti nella lettura della mia mail precedente. Per comodità di tutti, riproduco in calce di seguito le tre mail di Cavalieri e, dopo, la mia.

1) Cavalieri scrive come se io intendessi evadere i nodi che ha sollevato nei suoi interventi su marxiana. Ma quando mai! ... Tornato dal Giappone, viste le sue email, e non avendo ancora il tempo di intervenire, mi sono limitato a "anticipare" (si rilegga la mia mail, è proprio il termine che uso) un paio di considerazioni, ed ho fatto capiure che sarei interventuo in seguito (anche qui si rilegga la email, costellata di "potrò intervenire", "intanto", "per ora", etc.). Tutto qui.

2) Avevo chiesto a Cavalieri il permesso di inviare un mio testo del 1994 (pubblicato nel 1966), che lui aveva discusso in profondità, un decennio fa, con il suo commento e con la mia controreplica (comparsi nel 1997). Cavalieri si è offeso, e per ragioni per me ancor più misteriose, ha opposto un rifiuto secco. Misteriose, dato che quel testo lo stesso Cavalieri dichiara di condividerlo tuttora, e non immaginavo certo il contrario. Visto che lo stesso vale per me, Cavalieri sta solo impedendo di dare una documentazione più approfondita a lettori interessati. Cavalieri avrà le sue ragioni. Non mi è chiaro, peraltro, perché questa mia richiesta sarebbe "sintomo di irrefrenabile megalomania autoreferenziale". Per quel che riguarda il contenuto di questa affermazione, d'altronde, ho già dichiarato su questa lista che nessuno è il miglior giudice di se stesso. Constato che su questa stessa lista molti hanno invece delle idee solidissime su di me, e non propriamente tali da esprimere una qualsiasi forma di stima minimale: l'unica cosa che mi chiedo a questo punto è per quale motivo vogliano discutere con uno così. Certo, mi viene da aggiungere, se avessi avuto tutta questa pulsione a far circolare quei testi, avrei potuto far che spedirli, invece di chiedere il permesso a Cavalieri. Ho lasciato a lui la scelta, e lui l'ha fatta. Contento lui ...

3) Così, per curiosità, mi piacerebbe sapere da Cavalieri dove mai avrei discusso con "poca serietà" e "poca serenità" (mi astengo da battute troppo facili). Mi chiedo poi, sempre per curiosità, come mai Cavalieri pretenda di essere giudice dell'uso che faccio del mio tempo. Ribadisco comunque a Cavalieri che sullo stato dell'arte del marxismo scrivo, ahimé, da sempre, e che tanto lui come altri hanno tutta la possibilità di sapere cosa penso leggendo i miei lavori pubblicati, che a mio disdoro non sono pochi. Capisco che la mia posizione in questo dibattito sia un po' strana: non credo che Marx abbia sempre e comunque ragione (anzi!), e al tempo stesso non reputo che sia un cane morto in economia, e non solo lì. Chissà perché, l'Italia è il posto dove gli accademici una volta molto di sinistra (non sto parlando di Cavalieri) trovano un atteggiamento del genere molto singolare, e dove anche gli accademici comunque fanno intuire alle nuove leve che su quella strada non si va da nessuna parte. Qualcuno magari pensa pure che sono un cattivo maetstro (peccato che io non ho mai preteso di essere maestro di nessuno). Ribadisco, in ogni caso, e so che faccio dispiacere a molti, che NON reputo una mailing list il luogo adeguato a discussioni scientifiche, e, sì, serie nel senso di approfondite (nella posta elettronica anche i giganti scivolano, come si vede dall'ultima mail di Cavalieri: vale per lui, come per tutti, incluso me). Possono aiutare, le liste, ad uno scambio di opinioni, di informazioni, magari appunto a far circolare materiali (tipo quello a cui Cavalieri ha detto di no), e così via. Ma chi vuole istruirsi su queste questioni, ha una sola strada: studiare.

4) Cavalieri è persona troppo intelligente per non capire che la mia risposta a TUTTI i suoi quesiti è GIA' contenuta nei vari scritti, incluso, in specie, quello scambio su Trimestre, basterebbe che se lo rileggesse. L'unica differenza, e me ne compiaccio, è che Cavalieri ha trovato il tempo in questo decennio per "cercare ancora", e dunque per aggiornarsi ulteriormente su una letteratura che, bene o male, io conoscevo già all'epoca. Ricordo che quando, con colpevole ritardo, organizzai un convegno internazionale nel 1994 a Bergamo, i cui atti sono stati pubblicati in due volumi in inglese non proprio da una casa editrice marginale e con la partecipazione dei nomi più importanti del dibattito mondiale, un convegno che per la prima volta in Italia (e non solo) in modo aperto dava conto di questi orientamenti, essi erano, per la gran parte dei nostri professori universitari grandi esperti di marxismo, ahimé, del tutto sconosciuti. Tra parentesi, nulla impedisce a Cavalieri di ingaggiare una discussione diretta e in prima persona, nelle sedi internazionali, con questi nuovi approcci.

5) Cavalieri scrive che sarà lieto di dialogare con me, "su questa rete O IN ALTRE SEDI". Lo prendo in  parola. Quando vuole, una volta finito il mio semestre di insegnamento (dunque da febbraio in poi), non ho problemi a discutere con lui, tanto di Marx quanto, se crede, di Napoleoni. A Firenze, a Bergamo, al convegno AISPE. Dove vorrà. Per la verità, l'anno prossimo organizzerò qualcosa su Napoleoni a Bergamo, e pensavo di dare lì l'occasione a Cavalieri di venire a esprimere la sua interpretazione. A questo punto, però, dal mio lato mi taccio, perché non vorrei che un invito significhi un altro esempio di "irrefrenabile megalomania autoreferenziale" - dopo la sua risposta a una banale richiesta di faar circolare del materiale, mi aspetto di tutto. Veda lui. Non mi pare, in verità, che Cavalieri avesse così urgente bisogno di discutere con me del suo libro su Napoleoni. E' stato organizzato un  dibattito sul medesimo, a settembre o ottobre, dove, se ricordo bene, sono stati invitati Fabio Ranchetti, Ferruccio Marzano, Jean-Pierre Potier. Non mi risulta di essere stato invitato. La cosa non mi ha stupito. Con Cavalieri discutiamo di queste cose, come scrive, "da lunga data".  Ne abbiamo discusso anche per iscritto (appunto su Trimestre). Trovavo e trovo del tutto naturale che cercasse altre opinioni (e sicuramente conoscerà la legge dei rendimenti decrescenti). Nè mi pare granché produttivo lo stile dei dibattiti potenzialmente senza fine, commento, risposta, replica, seconda risposta (come nel caso del dibattito tra Graziani e Cavalieri sul circuito). Vedo ora che se ne è avuto a male perché non sono intervenuto (ancora) sul suo libro. Ma io non ho problemi a farlo (salvo il tempo: sono un impenitente materialista). Veda lui se vuole organizzare un incontro a Firenze, a Bergamo, dove vuole, se vi vuole aggiungere uno scambio scritto in una sede disposta ad ospitarlo a me va altrettanto bene (ma tutto ciò non sarà irrefrenabile megalomania autoreferenziale? Chissà!). Se però è LUI a volerlo: io, appunto, non ho pruriti presenzialisti. E ho sempre detto e ripetuto, per quel che riguarda le mie cose, su Marx o Napoleoni o quant'altro, la mia posizione è quella stessa di Sraffa: ognuno è stato lasciato libero di interpretarle e giudicarle come crede.

6) Sui contenuti, parto da alcune diffferenze significative con il mio interlocutore, che però non toccano più di tanto il cuore della discussione (IMHO). Cavalieri sostiene che "[Bellofiore] a quanto pare si ritiene inventore dell'approccio monetario alla teoria del valore (la cosiddetta "teoria monetaria del valore-lavoro"). Io per la verità ho scritto: "l'espressione "teoria monetaria del valore-lavoro" l'ho coniata io (in un articolo sulla Review of Radical Political Economics, 1989: il testo è di almeno un paio di anni precedente ... quell'espressione sta dentro un dialogo, MA ANCHE UNA CRITICA, e una critica radicale, della c.d. New Interpretation. Una critica che ho approfondito anche nei confronti di altri nuovi approcci (Moseley, TSSI, e così via) da cui la mia distanza è ancora maggiore."

Allego l'abstract di quel lontano articolo ("A Monetary Labor Theory of Value", Review of Radical Political Economics, XXI, n° 1-2, 1989, pp. 1-26: da qui presero le mosse poi i miei scritti con Realfonzo, e a un certo punto anche Forges Davanzati, all'interno di una linea di ricerca esplicitamente e nettamente distinta e distante, in alcuni casi polemica, con il filone neorcardiano):

A critical survey of the recent literature on the labor theory of value is offered, focusing upon the view of Marxian labor theory of value as a macroeconomic theory of exploitation within the money circuit of capital. The traditional and the 'new" solutions of the so-called transformation problem are rejected, and it is argued that the purely monetary reading of value and the revived clasical Marxist approach have mirror-like weaknesses. The paper claims that Rubin's insight - that in the end value is created in exchange but that the substance of value is latently present in production - can be pursued within a theory of money as a symbol. In this perspective the concept of exploitation as the extraction of surplus labor can be seen to be compatible with the concept of a non-commodity money. This reading of abstract labor theory of value argues that the quantitative aspect of Marx's argument is relevant not for the setting of prices of production but rather for shedding light on the actual process of incessant change in the economic structure.

Mi limitavo dunque a ricordare un FATTO. Cavalieri non ci crede. Sopravviverò.

Gli suggerisco però di fare due esercizi. Vada su Google (di cui, lo ammetto, pur nella mia megalomania non sono proprietario, e di cui dunque non sono in grado di manipolare le risposte) e digiti "monetary labor theory of value". A me appena adesso sono risultate 78 ricorrenze, che fanno tutte riferimento al mio articolo sulla RRPE. Sarà un caso. Provi poi a digitare, in italiano, "teoria monetaria del valore-lavoro", cioè proprio l'espressione da lui impiegata. A me sono saltate fuori 9 ricorrenze. 1 è relativa alla mail di Cavalieri a marxiana. 6 altre fanno riferimento al mio saggio nel volume di Lunghini e ad altri miei scritti. E le altre 2? Sorpresa!: fanno riferimento a 2 saggi dello stesso Cavalieri, dove a quella espressione si accompagna un rimando in nota a ... me!

In un caso, si dice che tra gli approcci "simili" starebbe la NI, si veda nel testo quel che segue:

[...] alcuni teorici del circuito si sono però spinti anche oltre e hanno sostenuto che la moneta non solo "conta", ma conta a tal punto che senza di essa in una società capitalistica non si potrebbe nemmeno iniziare un'attività produttiva. Perché se non vi fosse la moneta sarebbe impossibile pagare anticipatamente dei salari in moneta a chi è chiamato a prestare la forza-lavoro necessaria a produrre le merci. In tal senso questi autori parlano talvolta, con
terminologia discutibile, di una ³teoria monetaria del valore-lavoro², che fornirebbe una
spiegazione del potere d'acquisto della moneta riconducibile nell'ambito della teoria classica e
marxiana del valore 20

20 Cfr., ad esempio, Bellofiore, 1989. Un approccio simile era stato in precedenza prospettato, all¹inizio degli anni Ottanta, da un altro filone di macroeconomia monetaria neomarxista, quello della New Interpretation (Duménil, Foley, Lipietz), che aveva elaborato un metodo per esprimere il valore degli aggregati monetari in termini di forza-lavoro.

 (non chiedetemi cosa sia quel "metodo" perché non l'ho capito: comunque, come si vede, e con ragione, la terminologia discutibile l'ho tirata fuori per primo io) .

Nell'altro caso, si rimanda di nuovo al modo con cui chi scrive ha messo insieme la teoria del circuito monetario a Marx.

Rifacendosi in modo improprio a Marx, i circuitisti affermano una cosa ben diversa: ossia che
senza una moneta creditizia, una società capitalistica non potrebbe nemmeno iniziare a funzionare,
perché sarebbe impossibile alle imprese capitalistiche pagare un salario in moneta ai lavoratori che
dovrebbero produrre le merci. E su questa base, chiaramente arbitraria, essi non solo sostengono la
natura monetaria della teoria marxiana del valore, ma rivendicano anche il merito di avere costruito,
rivalutando il nesso marxiano tra denaro e valore, una teoria monetaria del valore-lavoro, in cui il
valore sia semplicemente inteso come l¹espressione monetaria del lavoro 21.

21 Cfr. Bellofiore, 1991, pp. 123-29, che identifica arbitrariamente il lavoro vivo dei salariati (che è lavoro concreto) con il lavoro astratto (considerato in potenza) e afferma l¹esistenza di un nesso altrettanto stretto tra il lavoro astratto (sostanza del valore) e il denaro (forma mediata del valore). Si tratta di due elementi del tutto estranei al modo di pensare di Napoleoni, che rifiutava ogni mediazione tra la categoria filosofica del valore e quella scientifica del prezzo

Preferisco stendere un velo pietoso di silenzio sul contenuto della nota 21. Lasciamo anche perdere Napoleoni, i cui scritti parlano da sé, e scendiamo a più umani livelli (o più disumani, visto che si tratta di me, e visto la megalomania eccetera). Se si rileggesse la RRPE o il saggio nel volume curato da Lunghini ("Per una teoria monetaria del valore-lavoro. La teoria marxiana tra radici ricardiane e nuove vie di ricerca", in Valore e prezzi a cura di G. Lunghini, Utet, Torino 1993, pp. 63-117), ma basta l'abstract che ho citato, Cavalieri (ri)scoprirebbe che la MLTV è un riferimento-  esplicito - alla mia impostazione CONTRO vecchie E NUOVE 'soluzioni' o 'interpretazioni' della trasformazione, e che l'aspetto quantitativo della teoria del valore è ricondotto ad altro che NON la determinazione microeconomica dei prezzi di produzione. Il che evidentemente smonta tutto il suo discorso nelle mail a marxiana, se riferito a me.

Ribadisco ancora una volta qui, e non lo ripeterò più (ma lo ho fatto sino alla noia su questa lista) che quando parlo di "mia" posizione parlo di una interpretazione/ricostruzione di Marx che utilizza come materiali di partenza posizioni di altri nella lunga storia della teoria marxiana. Una occhiata distratta al saggio nel volume manifestolibri ("Quelli del lavoro vivo": copyright, Giorgio Gattei) dà i dettagli. Mi ritengo un modesto artigiano, nulla più. Che poi le mie posizioni abbiano assunto un rilievo tale da infastidire, qui come altrove, teste ben più brillanti delle mie ha semplicemente a che vedere con il degrado del dibattito negli ultimi vent'anni, o più. Lo so, sono un tipo per niente facile: ma forse è dovuto al marxismo che gira intorno.

7) Sulla questione dell'aggettivo "neoricardiano", ognuno è certo libero di inventarsi la terminologia che crede, e può - se statunitense - appellarsi al primo emendamento. Ha però l'obbligo di segnalare quando essa diverge da quella consueta: almeno, a me hanno insegnato così. Da tempo immemorabile, cioè dai primi anni settanta, per scuola neoricardiana si intende urbi et orbi la costellazione dei 'seguaci' di Sraffa. Per dire: Luigi L. Pasinetti, Pierangelo Garegnani, Fabio Petri, John Eatwell, Ian Steedman, Krishna R. Bharadwaj, Heinz D. Kurz, Neri Salvadori, Bertram Schefold, Alessandro Roncaglia, Carlo Panico, Fernando Vianello, Andrea Ginzburg, Giancarlo De Vivo, e potrei continuare. Preferiscono, in verità, definirsi "scuola del sovrappiù". Ciò non toglie che il nome gli sia rimasto appiccicato a partire da un bell'articolo di Bob Rowthorn che ne forniva una critica tempestiva, e ai miei occhi da condividere pressoché integralmente (1974). E, per chi ritiene rilevante la tradizione orale, quell'articolo piacque molto e fu condiviso da Napoleoni (non è un richiamo all'autorità, è una informazione: da quando ho iiniziato a scrivere di economia l'ho fatto in critica con Napoleoni).

A me, di nuovo IMHO, pare superficiale e affrettato dare del neoricardiano a chi, come Foley o Duménil (che NON vanno identificati: GD condivide molte delle mie critiche a Foley ...), rimanda nella sua lettura al denaro come equivalente generale. Nel caso del primo, addirittura si parte dalle grandezze ex post. Nel caso del secondo, nella trasformazione ritiene senza problemi che l'unità di misura sia il lavoro, etc. O a chi, come Moseley, vede come il fumo negli occhi la Sraffian interpretation of Marx (su cui ha le idee molto, ma molto confuse, visto che ci mette dentro Samuelson e Morishima!). Dare della variante di una variante dei neoricardiani al TSSI supera di gran lunga quanto la mia fantasia permette.

Tra parentesi: basta leggere Foley, e ciò che Foley, dice di sé per capire che la sua è una simultaneous single system interpretation (cfr. Recent Developments in the Labor Theory of Value, RRPE, 2000). Come lo è, con varianti, anche la mia.

Sempre detto tra di noi, poi, la Dual System interpretation io la attribuirei piuttosto a Dobb-Meek-Sweezy (quest'ultimo, tra l'altro, si è autocriticato, in proposito; Dobb non ha mai visto i risultati di Sraffa come in contrasto con la dimensione in 'valore', etc.), e lascerei pure in pace il buon BB: se no si fa come gli autori TSSI che fanno di ogni erba un fascio. Bortkiewicz (a cui Sraffa dà dell'idiota) mi pare quasi più un walrasiano. Insomma, sono lieto che Cavalieri stia facendo i conti con questa letteratura, ma conviene che "cerchi ancora" (IMHO, of course).

Per quel che riguarda il ragioni in termini di Netto e non di Lordo, mi permetto di segnalare che non si doveva affatto aspettare la NI. Come ho ricordato nel volume della manifestolibri le identità della trasformazione sono riformulate in termini di Netto, e gli elementi del capitale variabile  e del capitale costante sono valutati in termini di prezzi di produzione, già in Marcello Messori, Sraffa e la critica dell'economia politica, Angeli, 1979 (libro anti-neoricardiano quant'altri mai). Il libro di Duménil, in francese è del 1980, il saggio di Foley è pubblicato nel 1982, quello di Lipietz pure (ma la letttura di Marx di Messori li batte tutti, e non a caso, visto che sta[va], come sto io, all'incrocio tra teoria del valore-lavoro astratto e teoria del circuito monetario).

Non ci vuole molto a capire che la cosa doveva essere (i) rinvenibile nei gtesti di Marx (ii) e poteva essere vista perché era nell'aria. Come mai? Io una ideuzza ce l'avrei.

8) Su Sraffa e Marx, dopo l'apertura degli archivi, scrivo da un decennio. L'interpretazione di Cavalieri, come il 98% di quelle circolanti, su questo rapporto è molto, ma molto discutibile: IMHO. Anche se certo sta, come la sua lettura di Marx, nella vulgata. Poco male: invito Cavalieri quando può a leggersi quanto ho scritto sulla questione, se ha il tempo, troverà ampie citazioni dagli archivi; e ad ammettere che su questo come su altro non c'è la Verità, ma gli argomenti. Intanto possiamo accordarci sul disaccordo tra di noi. In ogni caso, il legame tra il §10 e il §12 di Produzione di merci, e il ponte tra Sraffa (NON i neoricardiani) e i nuovi approcci, è chiaramente ricordato nel mio commento a Panico, presentato in italiano a un convegno del 1998 a Torino, dove si dice (cito dalla versione pubblicata in inglese nel 2000),

[For Sraffa], as the other passages indicate, that, in a monetary economy, the rate of surplus value should be measured in 'prices' and not in 'values'. This is exactly the conclusion that, in the last two decades, the new, broadly 'monetary', approaches to the labour theory of value have been attributing to Marx . There is some analogy between these approaches with what is argued in §§10 and 12 of Production of Commodities. In the new approaches, as in Sraffa, the national income, expressed in prices, is placed in a one-way relation with the total annual labour of society. More exactly, the relation is with the direct labour multiplied by the 'monetary expression of labour', or the inverse of the 'value of money', which Sraffa implicitly posits as equal to one. Hence, the national income is assumed as the measure of value. Further, on this account, wages are regarded as anticipated in nominal terms and the rate of surplus value is (re-)interpreted as the share of the labour ³represented² in national income going to monetary profits over the fraction going to the monetary wage bill.

ma un giudizio del genere è stato senz'altro pronunciato da me varie volte prima negli anni immediatamente precedenti. Come mai? Perché sono un genio? Nient'affatto, sono uno molto lento.

Il punto è che questa cosa qui (questa conseguenza di una lettura in simultanea dei §§10 and 12 ) non la ho scoperto io, e non la ha scoperta neanche Gattei, che è invece molto più brillante e veloce e chiaro di me, ma Dario Preti. Un ricercatore indipendente, lavoratore (il che automaticamente lo mette fuori dall'Università: se ricordo bene, lavorava come impiegato alla Siemens, e ha fatto a tempo a stare nei Quaderni Rossi), autodidatta e non laureato, che ha studiato, lui sì seriamente, Marx, in una ottica 'temporalista' ben diversa dalla mia, senza conoscere il TSSI, ma niente, dico niente della letteratura internazionale (i suoi materiali erano, oltre Marx, Napoleoni, Lunghini, Garegnani, Lippi, e poco più. Un pensatore di eccellente qualità (il che non toglie che una rivista come Il pensiero economico italiano gli abbia bocciato un pezzo perché ... mah, sarebbe una storia davvero istruttiva  da raccontare, farebbe capire come funziona un pezzo dell'accademia italiana). Preti mi aveva mandato, credo nel 1992, un suo manoscritto, che lessi con un qualche ritardo, sei mesi dopo, lo trovai notevole e gli suggerii di inviarlo a una serie di lettori potenzialmente interessanti. Alcuni non hanno mai aperto il pacco, probabilmente. Gattei, invece, si, è uno dei pochi e va a suo onore. Si è accorto della qualità di quel lavoro. E, come me, è stato convinto da un argomento che ha il piccolo vantaggio di puntare l'attenzione su qualcosa di evidente, sotto gli occhi di tutti. E che guarda un po' trova conferma nella storia della "formazione" di Produzione di merci a mezzo di merci.

9) Passiamo a quella che per me è la questione di sostanza. IMHO l'intera lettura di Marx e del dibattito di Cavalieri è inconsistente. Chi vuol sapere perché sia così, appunto dal mio punto di vista, ha SOLO due strade: leggersi Marx; leggersi le mie cose. Come diceva qualcuno, non c'è una via maestra per la scienza 8-)

Ma questo non significa non rispondere a Cavalieri, perché la risposta nell'essenziale è nelle tre citazioni di Cavalieri che seguono, e nel comprendere perché non si applicano a me, come Cavalieri dovrebbe ben sapere (ma tende spesso a dimenticarsi).

 L’attenzione è posta sul prodotto netto del sistema, anziché sul prodotto lordo. E si afferma – ma apoditticamente, quasi fosse un postulato – che esiste un’equivalenza a livello di sistema tra il neovalore (il valore del prodotto netto, o valore aggiunto, che è comprensivo del capitale variabile e del plusvalore) e il lavoro vivo (cioè l’occupazione nel sistema). Un’equivalenza tutt’altro che evidente, quando nella produzione non si utilizza solo lavoro, ma anche mezzi materiali. Tale equivalenza, tuttavia, è data per certa da Gattei ed altri (Perri, Bellofiore, Gozzi, ecc.). Gattei la ritiene implicita non solo in Marx, ma anche in Sraffa. E’ in base ad essa che i valori delle merci sarebbero interpretabili come contenuti di occupazione per unità di prodotto netto.

Risulta quindi evidente che uno dei punti centrali da discutere, per chi intende ricondurre l’origine del profitto al pluslavoro, ossia a un rapporto di sfruttamento, è quello che afferma l’equivalenza di neovalore e lavoro vivo (quest’ultimo ovviamente comprende il lavoro necessario e il pluslavoro).

Ne consegue che il prodotto netto per unità di lavoro incorporato equivale al lavoro vivo impiegato nella produzione del prodotto lordo del sistema. Mentre non risulta soddisfatta l’altra uguaglianza, affermata da Marx, tra il valore-lavoro della produzione lorda e il prodotto lordo del sistema espresso in prezzi. Su questa base sembrerebbe che la teoria marxiana del valore-lavoro possa spiegare l’origine del valore (sia pure riducendolo a una semplice espressione monetaria del lavoro), ma non i rapporti tra i prezzi di produzione delle varie merci.

E' chiaro dalle tre citazioni che Cavalieri NON vuole in realtà discutere CON ME, se no dovrebbe tenere conto dei MIEI argomenti, mentre non lo fa UNA SOLA VOLTA nelle sue email.

Per mio conto io NON HO MAI ACCETTATO LA TESI DI FOLEY (Duménil è più complicato, appunto) secondo cui l'eguaglianza tra neovalore e lavoro vivo sarebbe un "postulato". Ritengo anzi che se ne debba dare una "fondazione", e questo lo dico da una vita (la mia). Ritengo anche che la 'giustificazione' di Marx nei primi tre capitoli del Capitale, geniale, alla fin fine NON tenga - come minimo, non tiene appena compare sulla scena il capitale. Credo anche che la vera spiegazione stia in ciò che chiamo il "metodo della comparazione", sviluppando e modificando i ragionamenti di Rubin e Napoleoni, e integrandoli dentro il circuito (Graziani), FUORI tanto da una teoria della moneta e del credito di tipo 'fondi prestabili' (Foley), quanto dalla assunzione di una configurazione produttiva data (i neoricardiani). Ho anche mostrato che al metodo della comparazione, per quel che riguarda almeno il sorgere del plusvalore, ha prestato attenzione, incredibilmente, più Sraffa che il marxismo. Sul metodo della comparazione, e su questa lettura di Sraffa, mi ha poi seguito, con sviluppi analitici più sofisticati dei miei ma a partire proprio dalla mia intuizione, già chiara nel testo 1994 poi pubblicato su Trimestre, Stefano Perri: un autore che da principio, basta vedere il fascicolo di Trimestte del 1994 che contiene il mio saggio, era ancora lontano da una prospettiva del genere (chge a memoria credo abbia preso a partire dal 1998), e ancora troppo interno a un tentativo di sintesi Pasinetti-Foley.

Vediamo meglio. A partire da un salario reale dato per LA CLASSE dei lavoratori, Marx definisce il "lavoro necessario" (a produrre i mezzi di sussistenza), e poi "prolunga" la giornata lavorativa, estrae dunque lavoro vivo, realizza il lavoro vivo potenziale atteso dalla forza-lavoro, "usando", ergo sfruttando, i lavoratori come lavoratori (allungamento assoluto della giornata lavorativa, variazione della forza produttiva del lavoro, variazione dell'intensità del lavoro). Questo prolungamento avviene analiticamente mantenendo intanto 'fermi' i prezzi come "prezzi semplici", cioè prezzi proporzionali alle quantità di lavoro (i cd 'valori-lavoro'). Dopo di che, 'trasforma' quei prezzi semplici in prezzi di produzione. La fondazione del nesso neovalore-lavoro vivo, per cui il primo non è altro che esposizione/esibizione ed espressione del secondo E DI NIENT'ALTRO, sta dunque, IMHO, qui: nella natura 'problematica' dello sfruttamento, inteso primariamente come estorsione di tutto il tempo di lavoro, dai lavoratori, soggetti liberi portatori della forza-lavoro, da loro ceduta ai capitalisti nella compera-vendita sul 'mercato del lavoro'. La fondazione sta dunque nella comprensione che forza-lavoro e lavoro vivo sono  determinazioni dei lavoratori come soggetto sociale storicamente determinato, tanto quanto è vero il contrario (ovvero, che i lavoratori sono appendice in carne ed ossa di quella forza lavoro, 'potenza' di lavoro vivo). Con quel che segue.

Ho SEMPRE sottolineato che la NI trova una via troppo facile di fuga quando (e se) identifica il lavoro 'necessario' come il lavoro 'pagato', cioè come il lavoro comandato sul mercato dal salario monetario. No, le due grandezze sono distinte, e la distinzione si dà SOLO nel terzo libro. Nel primo libro è il lavoro necessario è quello che va a produrre i beni di sussistenza, e data la valutazione logica, a quel livello di astrazione) in prezzi semplici non è altra cosa dal lavoro pagato. Le due determinazioni sono contraddittorie? Certo, se si ragiona alla Sraffa (non solo, dunque, come i neoricardiani), la risposta è si. I lavoratori, se possono cambiare i valori d'uso che acquistano, modificano il lavoro necessario, almeno nel mio senso. La NI ragiona NELLO STESSO MODO, assumendo la 'libertà di scelta' dei lavoratori-consumatori. Ma su questo io NON li seguo affatto. Autori come Moseley risolvono il problema leggendo il lavoro necessario a ritroso, secondo la loro lettura del terzo libro. Il che è testualmente smentito dalla lettera di Marx, ma soprattutto teoricamente non necessario. I lavoratori come classe NON possono che acquistare solo quello che gli è lasciato disponibile dalla classe capitalistica (di nuovo, basta leggersi il Capitolo sesto inedito per avere conferma).

Ecco dunque che alla fine del processo di produzione/circolazione esiste, eccome, un saggio di plusvalore, accuratamente misurato, in termini di classe, IN PREZZI SEMPLICI, proporzionali alle quantità di lavoro contenute nei 'beni profitto' sulle quantità di lavoro contenute nei 'beni salario'. Ma gli scambi avvengono IN GENERALE ad altri prezzi che i prezzi semplici (p. es. ai prezzi di produzione). Ciò significa una cosa soltanto, che NON riguarda il rapporto di classe capitale/lavoro, ma i rapporti tra i capitali. E cioè che i prezzi a cui i vari beni sono venduti devono garantire ai capitali anticipati di 'comprare' lavoro sul mercato in modo tale da garantire la regola di distribuzione implicita nei prezzi (p. es., l'eguaglianza nei saggi del profitto). Sotto le ipotesi date, la quantità di lavoro vivo TOTALE prestata NEL SISTEMA dipende dalla lotta di classe nella produzione, la quantità di lavoro necessario TOTALE dipende dalla lotta NEL SISTEMA tra le classi sul salario c.d di sussistenza, che comprende un elemento storico e morale. Il rapporto tra profitti monetari e salari monetari, INVARIANTE in termini 'reali' nella trasformazione, si esprime in un diverso rapporto tra quantità di lavoro comandato. Ma lo sfruttamento, ribadisco, è ADEGUATAMENTE rappresentato dal ragionamento in valore (di scambio, o in prezzi semplici, senza che questi ultimi siano un secondo sistema di contabilità come rapporto di scambio in senso proprio). I lavoratori, in questo ragionamento, danno DAVVERO un certo lavoro vivo e si vedono tornare DAVVERO un certo lavoro necessario (nel mio senso), senza che la determinazione micro, a questo livello di astrazione, modifichi alcunché. La tendenza all'eguaglianza del saggio di profitto maschera, dissimula (Finelli: che ahimé sta ancora a giocare con la soluzione di Huber ...), tutto ciò. Dove si devia da Marx, guarda un po' si trova un Marx più Marx di Marx. IMHO.

Ecco dunque che E' VERO ciò che dice la NI e in generale la SSSI, cioè che 'valori' e 'prezzi' NON sono regole di scambio successive ma alternative (di nuovo, lo aveva detto bene anche un neoricardiano intelligente come Vianello per qualche anno, 1970-73/4, influenzato da Colletti: e secondo me, di nuovo, dovremmo smetterla con questa adorazione dell'estero, perché la lettura di Vianello era molto fine).

Ma E' PURE VERO che NON A CASO il ragionamento di Marx segue una "sequenza":

valore => valore di scambio (prezzi semplici) => prezzi (ad es. di produzione)

il che è nient'altro che una fondazione MACROMONETARIA della determinazione individuale dei prezzi. Su questa sequenza aveva posto l'accento Napoleoni nei primi anni Settanta, ma senza comprenderne il vero senso per la sua sordità al circuito monetario. IMHO.

Per mio conto, sono sempre stato curioso di capire come sia possibile che, SE SI PARTE DA UNA TEORIA CHE GIUNGE A FONDARE UNA EGUAGLIANZA TRA NEOVALORE E (ESPRESSIONE MONETARIA) DEL LAVORO VIVO - il che avviene già nel capitolo quinto, e si compie con la sussunzione reale del lavoro al capitale, cioè nei capitoli impropriamente ritenuti storici (11-13), e si sintetizza nei capitoli 14 e 15/16 -  bene, sono curioso di capire come si possa, poi, ritenere che la trasformazione sia lì a confermare o sconfermare qualcosa (da un altro punto di vista rispetto al mio, un collega di Bergamo, allievo di Pasinetti, Andrea Salanti, ci è arrivato, in fondo basta il buon senso; teorici fini come Cavalieri e Marchionatti, no). E' chiaro che su quella base, su quella fondazione, si redistribuiranno semplicemente ed ESCLUSIVAMENTE quantità di lavoro 'diretto'. E del lavoro morto, detto tra di noi, ICIHICPCL - è un termine tecnico, basta cercare tra gli acronimi su Google; se no, basta ricordarsi l'ultima frase rivolta da Rhett Butler a Rossella O'Hara. Insomma, per definizione c'è la trasformazione (una delle tante in Marx) ma non può esserci il problema. Il problema vero sta proprio nel come fondare l'identità neovalore-lavoro vivo.

Se poi Cavalieri mi chiedesse una "prova" ulteriore di questa identità prima presupposta e poi posta da Marx, lo confesso, mi arrenderei subito. Aggiungendo che se la vuole, davvero, dovrebbe uscire dalla scienza e dalle aule universitarie, e andare in quei luoghi VIETATI AI NON ADDETTI AL LAVORO VIVO (ciao, Giorgio!). Se, ragionevolmente, non gli interessa, smettiamo di parlare di Marx perché Marx è un CRITICO dell'economia politica, e alla fine a questo la critica rimanda.

Tra questo mio approccio e  i nuovi approcci cui si riferisce Cavalieri ci sono, certo, molti rapporti di continuità. Ma altrettanti sono i punti di forte e radicale DISCONTINUITA'. NI, SSSI etc. sono approcci "aggregati", NON autenticamente macro (IMHO). Nè sono davvero approcci monetari (IMHO), nel senso almeno della teoria del circuito monetario. Su questo letico amabilmente con i vari autori in questione da più di vent'anni.

10) Qui mi fermo. Chi vuole capirci qualcosa in più di quanto è detto al punto 9 (e NESSUNO è obbligato) deve andarsi a studiare quello che ho scritto (cosa che Cavalieri ha fatto in modo affrettato e superficiale), e provarsi a rispondere a quello che ho scritto io (cosa che Cavalieri non ha fatto: perché quanto ho scritto qui Cavalieri lo trova già nel nostro vecchio scambio). Mi spiace dirlo, ma la distrazione di Cavalieri mi pare proprio eccessiva. Se uno scrive frasi del tipo "[amici] che non amano smentire o correggere Marx", o non parla di me, o semplicemente, prima di studiare Marx e la letteratura, ha un problema ben più radicale, che è quello di imparare a leggere un testo altrui. Per dire, che io non ami smentire o correggere Marx è un dubbio che non ha mai sfiorato né Moseley né Kliman. Quest'ultimo, per esempio, ha scritto su Proteo:

C¹è, comunque, una differenza significativa fra i critici di Marx. Gli anti-marxisti usano le prove presunte delle contraddizioni interne per sostenere che le teorie di Marx dovrebbero essere rifiutate. I marxisti e gli sraffiani, d¹altra parte, si considerano gli eredi del progetto di Marx piuttosto che i suoi critici. In un modo o nell¹ altro, tutti si vantano di aver "corretto" i suoi errori-cioè, di arrivare in pratica alle stesse conclusioni a cui arrivò Marx, ma in un modo logicamente accettabile.

E cita proprio me e Mongiovi come esempio. Io sarei proprio uno che vuole aggiustare qualcosa che non è rotto.

Neanche Foley o Duménil mi attribuirebbero l'atteggiamento del true believer, anche perché hanno un atteggiamento altrettanto aperto come il mio. Un atteggiamento che (amici o corrispondenti preferiscono per la verità definire, disgustati, eclettico. Ma nessuno è perfetto.

11) Aggiungo solo una cautela, anzi due, per amici come "anonimo ricardiano", o altri entusiasti degli approcci macromonetari a Marx. Primo, bisogna distinguere gli approcci macromonetari spuri da quelli autentici. Ma anche, secondo, che se si crede che Marx sia SOLO questo, la fondazione macromonetaria e dintorni, si è proprio fuori strada. Occorrerebbe un rapido corso di ripetizione su cosa significhi lavoro astratto, lavoro socialmente necessario, denaro, scambio, e così via, a partire dai basics. Gli economisti, anche i brillanti giovani economisti, queste cose non le sanno, perché spesso e volentieri credono già di saperle (sarà magari quello che [credono] gli hanno insegnato Lunghini o Graziani o, che so, Gattei o Bellofiore. Dubitare di tutto, e di tutti. Insomma, leggersi, ma davvero, Marx. Evitare di ridurlo a Keynes, ripetendo lo stesso errore di chi lo ha ridotto a Ricardo. Vale quindi, pure per loro, l'invito di cercare ancora: cioè studiare. Io per esempio di me non mi fido affatto, e infatti me lo sto ristudiando, faticosamente, con il testo a fronte, e spero di uscirne vivo.

Un caro saluto a tutti

rb

> ----- Original Message -----
> From: Duccio Cavalieri
> To: marxiana@...
> Sent: Friday, October 26, 2007 7:40 PM
> Subject: Re:Marxismo: qual'è lo "stato dell'arte"?
>
>    Permettetemi una riflessione sullo stato del dibattito in corso sul marxismo, suggerita dalla constatazione che alcuni nostri amici che si interessano di economia, e che non amano smentire o correggere Marx, sembrano riporre una fiducia eccessiva nella cosiddetta New Interpretation (NI) del problema marxiano della trasformazione dei valori in prezzi. Quella che ha proposto una "teoria monetaria del valore-lavoro". Come è noto, tale approccio analitico al problema del valore - formulato più di vent'anni or sono da Foley, Lipietz e Duménil  - si fonda sulla considerazione che se nel calcolo dei prezzi di produzione delle merci si usasse come numerario la produttività monetaria del lavoro, il valore del capitale variabile non sarebbe dato dalla quantità di lavoro incorporata nei mezzi di sussistenza dei lavoratori, ma dal valore della forza-lavoro espresso in moneta. Il valore della forza-lavoro verrebbe in tal modo a coincidere con il capitale variabile espresso in prezzi, senza alcun bisogno di ricorrere alla ‘trasformazione’ dei valori in prezzi. Ne consegue che il prodotto netto per unità di lavoro incorporato equivale al lavoro vivo impiegato nella produzione del prodotto lordo del sistema. Mentre non risulta soddisfatta l’altra uguaglianza, affermata da Marx, tra il valore-lavoro della produzione lorda e il prodotto lordo del sistema espresso in prezzi. Su questa base sembrerebbe che la teoria marxiana del valore-lavoro possa spiegare l’origine del valore (sia pure riducendolo a una semplice espressione monetaria del lavoro), ma non i rapporti tra i prezzi di produzione delle varie merci.
>    E' appunto per per ovviare a questo inconveniente, che questi  nostri amici, interlocutori abituali della 'mailing-list', propongono di valutare i salari non già in termini di valore-lavoro, come ha fatto Marx, ma ai prezzi di produzione dell’insieme dei beni-salario acquistati dai lavoratori. Poiché per Marx la somma del capitale variabile e del plusvalore è necessariamente pari alla quantità di lavoro vivo complessivamente occupato nel sistema, i valori sarebbero interpretabili come quote di occupazione per unità di prodotto. Sarebbero cioè dei prezzi di produzione suscettibili di essere ‘normalizzati’ adottando come numerario la produttività del lavoro, espressa in moneta. Questo non solo confermerebbe che il lavoro vivo è la sostanza valorificante, la vera fonte di ogni nuovo valore, ma permetterebbe anche di passare da una contabilità svolta in termini di un valore astratto non osservabile e soggetto a mutare al variare della distribuzione del reddito, a una contabilità molto più semplice, svolta in termini di occupazione, una grandezza la cui quantità è direttamente osservabile e non varia al variare della distribuzione. Il sistema teorico marxiano risulterebbe valido anche quando i prezzi divergono dai valori, purché si assuma come unità di misura dei prezzi la quantità di moneta che serve ad acquistare il prodotto netto per unità di lavoro incorporato (lavoro vivo e morto). Se poi dal prodotto netto della contabilità nazionale, che non comprende le quote di ammortamento dei capitali fissi, si togliesse anche il consumo necessario dei lavoratori (come sarebbe logico), il profitto totale risulterebbe pari al plusvalore totale. Che è quanto afferma Marx.
>
>     Il discorso si può facilmente estendere a due note varianti della NI. La SSSI (Simultaneous Single System Interpretation), di Moseley e altri, è una variante in cui gli inputs e gli outputs del processo produttivo sono valutati simultaneamente e nell’ambito di un unico sistema di prezzi. Essa si propone di estendere il trattamento analitico della NI dal capitale variabile a quello costante, rafforzando in tal modo la 'riscoperta' del nesso marxiano tra valore (un realtà fenomenica, dato che le merci sono valori) e denaro (un semplice feticcio con cui il valore si scambia). Ossia riscoprendo la forma-denaro del valore, marxianamente inteso come valore-lavoro. Qualora poi dalla SSSI si passasse alla TSSI (Temporal Single System Interpretation), di Kliman e altri - un approccio più generale, detto anche Non-Equilibrium Marxism, che introduce esplicitamente nel problema l’elemento tempo - tutto il valore del capitale potrebbe essere assunto come già ‘trasformato’ in termini di moneta, al momento dell’acquisto dei mezzi materiali di produzione e del pagamento dei salari.
>
>    Sul terreno analitico, questo cambiamento di prospettiva richiede la sostituzione a tutto il lavoro incorporato nelle merci – vale a dire sia al lavoro ‘vivo’ sia a quello ‘morto’ – del corrispondente valore monetario.  In sostanza, i prezzi della forza lavoro e dei mezzi materiali di produzione verrebbero considerati già noti all’inizio del processo di produzione e costituirebbero dei dati, anziché delle incognite, nel problema marxiano della trasformazione (che quindi verrebbe meno). Sotto questo profilo, un salvataggio della coerenza interna della teoria marxiana del valore potrebbe apparire teoricamente possibile, almeno in prima approssimazione. Nel senso che prezzi e valori sarebbero determinabili contemporaneamente, in termini di moneta. Mostrando di condividere con i teorici della NI la sensazionale scoperta che il tempo di lavoro può essere espresso in termini di moneta, questi nostri amici ('fondamentalisti'?) si spingono fino ad affermare una precedenza logica della moneta rispetto allo scambio iniziale che ha per oggetto l'acquisto da parte dei capitalisti della merce forza-lavoro (cfr. la teoria del circuito monetario) e sembrano rivendicare a se stessi almeno in parte il merito di avere posto fine alla lunga 'caccia al tesoro' aperta nel 1960 da Sraffa.
>
>    Non è però il caso di rallegrarsi troppo. C’è infatti da superare un’obiezione di fondo. Si tratta del fatto che i lavoratori, a compenso dei servizi produttivi prestati, non ricevono un salario in natura, di composizione merceologica uniforme, ma un salario in moneta, che essi possono spendere come meglio credono, acquistando panieri diversi di beni. Da questo fatto conseguono alcuni risultati che io considero inaccettabili. Ne richiamerò tre. Primo, se non si introducono delle ipotesi di comodo sul valore della forza-lavoro, la legge marxiana del valore-lavoro diventa inapplicabile proprio alla merce forza-lavoro, il cui valore è per Marx quello dei mezzi di sussistenza dei lavoratori necessari a riprodurla e può quindi essere calcolato solo se si conosce il vettore dei beni-salario consumati dai lavoratori. Secondo, se i prezzi di produzione delle merci differiscono dai rispettivi valori-lavoro, il valore della forza-lavoro risulta diverso nei vari settori di produzione e i saggi di plusvalore settoriali sono diversi tra loro, sicché non è chiaro come il sistema possa assicurare nel lungo periodo, attraverso la concorrenza tra i produttori, un saggio di profitto uniforme. Terzo motivo, per un marxista, per rifiutare la New Interpretation è la sua incompatibilità con la teoria marxiana dello sfruttamento. Un’incompatibilità che si riscontra sia nella versione ‘sequenzialista’ o diacronica, fornita dalla TSSI, che nel calcolo dei prezzi di produzione delle merci fa riferimento al tempo storico in cui è stato sostenuto l’acquisto dei fattori produttivi, sia nella versione sincronica della SSSI, che invece si basa sul costo sociale odierno di riproduzione delle merci. Due lavoratori che facciano esattamente lo stesso lavoro, fianco a fianco, per un tempo uguale e ottengano il medesimo salario, ma lo spendano nell’acquisto di beni diversi, risulterebbero soggetti a saggi di sfruttamento diversi. Cosa evidentemente inammissibile. Lo stato dell'arte non è quindi molto incoraggiante. Come diceva Claudio Napoleoni, dobbiamo "cercare ancora".
>
>                                                                                                                                                                                                                              d.c.


>> From: "Duccio Cavalieri" <duccio.cavalieri1@...>
>> Date: Thu, 1 Nov 2007 16:30:10 +0100
>> Subject: [marxiana] Ancora sullo stato dell'arte nel marxismo
>> Reply-To: This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.
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>> Provo a rispondere brevemente a Giorgio Gattei e ad altri intervenuti sull’argomento. Vorrei farlo in termini discorsivi e molto semplici, evitando di appesantire il discorso con delle formalizzazioni. E quindi rinunciando questa volta intenzionalmente a ‘volare alto’, per agevolare la comprensione della materia anche ad eventuali non iniziati.
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>>    Desidero indicare anzitutto quale dovrebbe essere, a mio avviso, l’oggetto specifico della nostra discussione. Si tratta di costruire una teoria oggettiva del valore logicamente coerente, che non solo chiarisca cos’è il valore, come si misura e qual’è la sua origine, ma fornisca anche un’adeguata spiegazione dello sfruttamento, sia individuale che di classe. Parlo dello sfruttamento inteso come risultato di un lavoro compiuto da altri e non pagato. Dopo l’abbandono della teoria pura del valore-lavoro, occorre trovare un modo analiticamente corretto per quantificare lo sfruttamento.
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>>    Ci si chiede quale sia attualmente lo “stato dell’arte”? Penso che per farsi un’idea in proposito, sia pure in termini necessariamente molto approssimativi e schematici, convenga tenere presenti quattro principali interpretazioni del sistema teorico marxiano.
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>> 1) La ‘Dual System Interpretation’. E’ l’interpretazione tradizionale, quella di Böhm-Bawerk e di Bortkiewicz, secondo la quale c’è dualità tra i valori delle merci, espressi in quantità di lavoro, e i prezzi di produzione, espressi in moneta. Ne risulterebbero un teoria del valore (quella del primo volume del Capitale) e una distinta teoria dei prezzi di produzione (quella del terzo volume del Capitale).
>>
>>    Di qui la necessità, per dimostrare che i prezzi di produzione non sono altro che ‘valori trasformati’, di operare con successo la trasformazione degli uni negli altri. Una trasformazione prospettata da Marx in modo erroneo e successivamente corretta da Dmitriev e Bortkiewicz. E, last but not least, affrontata da Sraffa, che ne ha però evidenziato l’inutilità, avendo egli mostrato che per determinare i prezzi di produzione delle merci non occorre partire dai valori.
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>>  
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>> 2) La ‘New Interpretation’ (Foley, Duménil, Lipietz). E’ un approccio analitico di derivazione neoricardiana, di cui esistono diverse versioni. Il sistema teorico marxiano non è ritenuto duale, ma unitario (è un single system). Si sostiene che in tale contesto gli inputs di capitale variabile e di capitale costante non cambiano la loro originaria natura di quantità di moneta, spese per l’acquisto della forza-lavoro e dei mezzi materiali di produzione. Essi non devono essere ‘trasformati’ da valori in prezzi di produzione. Non c’è quindi dualità tra valori (quantità di lavoro) e prezzi (quantità di moneta). Il sistema è unico: in esso tutto è espresso in termini di moneta. Tutto (cioè l’intero processo di circolazione e produzione) ha inizio dalla moneta. Di conseguenza, si afferma che quella di Marx è una ‘teoria monetaria del valore’, che si proporrebbe di spiegare come la moneta si trasformi prima in capitale variabile e costante e poi in prodotti.
>>
>>    L’attenzione è posta sul prodotto netto del sistema, anziché sul prodotto lordo. E si afferma – ma apoditticamente, quasi fosse un postulato – che esiste un’equivalenza a livello di sistema tra il neovalore (il valore del prodotto netto, o valore aggiunto, che è comprensivo del capitale variabile e del plusvalore) e il lavoro vivo (cioè l’occupazione nel sistema). Un’equivalenza tutt’altro che evidente, quando nella produzione non si utilizza solo lavoro, ma anche mezzi materiali. Tale equivalenza, tuttavia, è data per certa da Gattei ed altri (Perri, Bellofiore, Gozzi, ecc.). Gattei la ritiene implicita non solo in Marx, ma anche in Sraffa. E’ in base ad essa che i valori delle merci sarebbero interpretabili come contenuti di occupazione per unità di prodotto netto.
>>
>>    In alcune versioni di questa interpretazione vi è spazio per un diverso trattamento del capitale variabile e di quello costante. Il solo capitale variabile è assunto come dato in termini di moneta, mentre il capitale costante è inteso come il valore dei mezzi materiali di produzione, cioè come una quantità di lavoro.
>>
>>  
>>
>> 3) La ‘Simultaneous Single System Interpretation’. E’ una variante dell’interpretazione precedente, una ‘macro-monetary interpretation’ dovuta a Moseley e altri. Si colloca in un contesto analitico atemporale (‘simultaneista’), in cui tutti gli inputs, di capitale variabile e di capitale costante, sono assunti come dati in termini di moneta (non sono quindi determinati in due modi diversi, ma allo stesso modo) e sono valutati simultaneamente agli outputs. Viene mantenuta l’equivalenza di neovalore e lavoro vivo.
>>
>>  
>>
>> 4) La ‘Temporal Single System Interpretation’, o ‘Non-Equilibrium Marxism’. E’ un’altra variante della New Interpretation, che fornisce una diversa interpretazione, più generale, formulata da Freeman, Kliman, Carchedi e altri. Si utilizza un contesto analitico temporale, o sequenziale. Si sostiene che tale interpretazione renderebbe coerente la teoria marxiana, nel senso che non risulterebbero violati i due ‘postulati di invarianza’ marxiani, che affermano l’uno l’uguaglianza tendenziale nel lungo periodo tra la somma dei prezzi e quella dei valori e l’altro l’uguaglianza tendenziale tra il profitto totale e il plusvalore totale. Anche in questa versione viene mantenuto il postulato di equivalenza di neovalore e lavoro vivo.
>>
>>  
>>
>>    Risulta quindi evidente che uno dei punti centrali da discutere, per chi intende ricondurre l’origine del profitto al pluslavoro, ossia a un rapporto di sfruttamento, è quello che afferma l’equivalenza di neovalore e lavoro vivo (quest’ultimo ovviamente comprende il lavoro necessario e il pluslavoro). Tale punto è importante per valutare nel merito le interpretazioni sub 2), 3) e 4).
>>
>>    Un altro punto da discutere, connesso al precedente, riguarda la determinazione del prezzo di produzione del prodotto netto del sistema. Lasciamo la parola a Gattei (Proteo, 2003), che però ne offre una spiegazione troppo semplice: “E come si fa? Si sottrae al prezzo di produzione delle merci prodotte il prezzo di produzione dei beni-capitali utilizzati e quindi si ottiene il prezzo di produzione del «prodotto netto» al quale corrisponde soltanto il lavoro ‘presente’ necessario a produrlo, dato che il prezzo dei beni-capitali è già stato sottratto dal computo”. Mi sembra che il suo discorso non provi affatto ciò che egli vorrebbe provare. Ossia che il prezzo di produzione del prodotto netto equivale al lavoro vivo e non risente del lavoro passato.
>>
>>                                                                                                                                                                        d.c.


>> At 14:57 +0100 3-11-2007, Duccio Cavalieri wrote:
>>> Al collega e antagonista scientifico di lunga data Riccardo Bellofiore - che a quanto pare si ritiene inventore dell'approccio monetario alla teoria del valore (la cosiddetta "teoria monetaria del valore-lavoro") - vorrei rispondere in questi termini:
>>>  
>>> 1) Dato che non intendo prestarmi a fare da cassa di risonanza alla sua irrefrenabile megalomania autoreferenziale, non vedo alcun valido motivo per cui dovrei accettare che egli metta in rete un mio scritto pubblicato ben dieci anni fa (e che non smentisco affatto), invece di trovare il tempo di rispondermi a tono sullo stato dell'arte odierno del marxismo.
>>>  
>>> 2) Sarò lieto di dialogare con Riccardo, su questa rete o in altre sedi, se accetterà di farlo in modo serio, per confrontare serenamente le sue idee con gli altri e non solo per catechizzarli, rivelando loro una dottrina. Ma ho motivo di dubitarne. Attendo infatti ancora che egli trovi il tempo e la voglia di rispondere alle numerose, precise e argomentate critiche che su questo tema e su altri ad esso connessi gli ho mosso nel mio libro Scienza economica e umanesimo positivo: Claudio Napoleoni e la critica della ragione economica (edito quasi due anni or sono da Franco Angeli e di cui a suo tempo ho consegnato personalmente una copia a Riccardo);
>>>  
>>> 3) La ‘New Interpretation’ è un approccio analitico aggregato che può legittimamente ritenersi di derivazione ricardiana. Per ricardiani, o neoricardiani, intendo alcuni esponenti della scuola russo-tedesca di economia matematica (Dmitriev, Tugan-Baranowsky, Bortkiewicz, Charasoff), che operarono all'inizio del secolo scorso. Partendo da schemi di riproduzione delle merci in modelli circolari di tipo lineare, questi studiosi hanno mostrato che in generale non vi è alcuna relazione di proporzionalità diretta tra i valori-lavoro e i prezzi che garantiscono nel lungo periodo la riproducibilità del sistema, ma che è possibile ‘trasformare’ formalmente gli uni negli altri, mediante il ricorso a un appropriato algoritmo algebrico, di natura matriciale. Ne è conseguita una duplice constatazione: (i) che i valori-lavoro non sono da considerare logicamente prioritari rispetto ai prezzi delle merci, e (ii) che l’unico saggio di profitto valido ai fini di un corretto calcolo economico è quello basato sui prezzi. Le analisi di tali autori non prendono avvio necessariamente da valori-lavoro, ma da prezzi di costo. Prezzi che possono essere espressi in moneta, anziché in quantità fisiche di merci (come ha poi fatto Sraffa, che non è un autentico ricardiano, ma che a tale scuola di pensiero si è largamente rifatto, senza mai nominarla).
>>>  
>>> 4) In tema di valore, Sraffa non può essere ritenuto un ricardiano, o un neoricardiano. Lo hanno da tempo sottolineato attenti studiosi di Ricardo, come Caravale, Tosato, Porta e Peach. E' appena il caso di aggiungere che, sempre in tema di valore, Sraffa non può neppure essere ritenuto un marxiano (con buona pace di Garegnani, Petri & Co.).
>>>  
>>> 5) Come Riccardo Bellofiore ben sa, ma talvolta sembra disposto a dimenticare, l’approccio analitico della New Interpretation si colloca sul cosiddetto ‘versante debole’ del problema marxiano della trasformazione. Che è un procedimento analitico del quale, come è noto, i neoricardiani non vedono affatto la necessità. Al contrario di quanto sostengono i neomarxiani fondamentalisti, che si collocano sul ‘versante forte’ del problema della trasformazione.
>>>  
>>>                                                                                                                                                                                                                 d.c.
>

>>>> Carissimi,
>>>>
>>>> dopo qualche giorno in Giappone, sono di ritorno. Ho visto che vi sono stati molti interventi interessanti su vari temi. Potrò intervenire solo su poche questioni. Intanto, però, stimolato dall'inizio di questa mail di Duccio Cavalieri, autore che stimo ma da cui spesso dissento (certo che il sentimento è ricambiato), gli chiedo se acconsente a che io spedica a questa lista i file di un mio vecchio articolo, di alcune sue note critiche e di una mia risposta (il tutto fu pubblicato su Trimestre). Che ne dici, Duccio? Molte delle questioni trattate furono già sollevate in quella sede, e sarebbe più facile agli infelici pochi interessati a queste questioni seguire il filo del ragionamento.
>>>>
>>>> Per ora, mi limito a segnalare che l'espressione "teoria monetaria del valore-lavoro" l'ho coniata io (in un articolo sulla Review of Radical Political Economics, 1989: il testo è di almeno un paio di anni precedente).
>>>> E che quell'espressione sta dentro un dialogo, MA ANCHE UNA CRITICA, e una critica radicale, della c.d. New Interpretation. Una critica che ho approfondito anche nei confronti di altri nuovi approcci (Moseley, TSSI, e così via) da cui la mia distanza è ancora maggiore.
>>>>
>>>> Mi permetto cmq di anticipare che qualificare questi approcci come "neoricardiani", come mi pare abbia fatto Cavalieri, e se le parole hanno un senso, corrisponde a un grave travisamento di quello che è appunto lo stato dell'arte nella teoria marxiana di oggi.
>>>>
>>>> Se si tengono presenti quel mio vecchio articolo sulla RRPE (pubblicato con qualche ampliamento in italiano in un volume a cura di Lunghini, Valori e prezzi), dell'altro su Trimestre, la cui stesura risale al 1994 (e il successivo dibattito con Cavalieri), e infine "Quelli del lavoro vivo", credo sia possibile dare sia una sintesi del dibattito alternativa a quella di Cavalieri, sia una ricostruzione della teoria marxiana che consenta di sfuggire alle secche di un dibattito che in Italia è stato, per lo meno tra gli economisti, e con rarissime eccezioni, alquanto ripetitivo e stantio (da cui, appunto, la riconduzione dei nuovi approcci al filone neoricardiano, il che riconduce l'ignoto al noto, senza comprenderlo) .
>>>>
>>>> rb


--

Riccardo Bellofiore
Dipartimento di Scienze Economiche
"Hyman P. Minsky"
Università di Bergamo
Via dei Caniana 2
I-24127 Bergamo, Italy
e-mail:   riccardo.bellofiore@...
direct    +39-035-2052545
fax:     +39 035 2052549
homepage: http://www.unibg.it/pers/?riccardo.bellofiore

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