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La tecnica del capitale

Critica rivoluzionaria dell'esistente. Teoria e prassi per il non ancora esistente

Antiper[1]

“Siamo effettivamente nell’Età della Tecnica, ma questa non assomiglia assolutamente alle età che l’hanno preceduta, perché tutte le età che  l’hanno preceduta dall’antichità, al medioevo, al rinascimento, l’illuminismo, il romanticismo, il positivismo erano tutte età pre-tecnologiche  dove funzionava il paradigma che l’uomo è il soggetto della Storia e la Tecnica è lo strumento con cui realizza i suoi scopi. Oggi non è più  così. La Tecnica è diventata il soggetto della Storia e gli uomini sono diventati funzionari negli apparati tecnici. Siamo stati deposti dal  protagonismo storico. La Storia non è più il luogo della nostra azione, ma il luogo dell’azione della Tecnica” [2].

Da quando è nato il Governo “tecnico” di Mario Monti si è fatto un gran parlare di sottomissione della “politica” ai “tecnici”, di “espropriazione” e “sospensione” della democrazia, di “dittatura dei mercati finanziari”, ecc... Lo ha detto a gran voce la destra, lo dice la sinistra [3]. Ma è proprio così? C'è davvero un prima “democratico” e un dopo non democratico, post-democratico, anti-democratico di cui il Governo Monti rappresenta lo spartiacque?

La democrazia come acclamazione. Il fatto che la tecnica riduca il principio di autorità non significa che allarghi o favorisca il  processo  democratico, anzi: la riduzione del dominio politico ad amministrazione tecnocratica priva di oggetto ogni formazione democratica  originata dalle volontà...” [4]

“A questo punto, il processo di formazione della volontà democratica si risolve in un procedimento regolamentato dall'acclamazione di elites  chiamate alternativamente al potere” [5].

“A questo punto la democrazia cessa di essere la norma dei sistemi politici, e la tecnica, che la sostituisce come sistema normativo, finisce  con il creare seri dubbi sulla possibilità, nelle società tecnicizzate, dell'esistenza della democrazia”[6]

Il ragionamento di Galimberti è suggestivo e coglie senz'altro un aspetto caratteristico della modalità attraverso cui oggi – specialmente in Italia - sembrano essere prese le decisioni, una modalità che appare “neutra”, “oggettiva” - “tecnica”, potremmo dire - in quanto interpretata in modo interscambiabile dalle diverse espressioni politiche che si alternano al potere.

Si dirà, infatti, che se i partiti di centro-destra e quelli di centro-sinistra (che si suppone abbiano proposte e programmi alternativi) fanno sostanzialmente le stesse cose allora vuol dire che quelle cose sono necessarie per il “bene comune”; ne conseguirà che se, per qualche ragione, tali partiti smettono di fare quelle cose allora - per il “bene comune” - la sovranità deve spostarsi dai partiti (e dunque dai cittadini che li votano) verso qualche altra parte.

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Il punto che Galimberti non coglie è che non siamo di fronte ad una vera novità, come ha opportunamente ricordato Marcello Musto sul Manifesto del 13 novembre scorso

“In qualità di giornalista del New York Tribune, uno dei quotidiani più diffusi del suo tempo, Marx osservò gli avvenimenti politico-istituzionali che, in Inghilterra, nel 1852, portarono alla nascita di uno dei primi casi di “governo tecnico” della storia, il gabinetto Aberdeen (dicembre 1852 - gennaio 1855). L’analisi di Marx si contraddistinse per sagacia e sarcasmo. Mentre il Times celebrava la nascita dell’avvenimento come il segno dell’ingresso “nel millennio politico, in un’epoca in cui lo spirito di partito è destinato a sparire e in cui soltanto genio, esperienza, industriosità e patriottismo daranno diritto ai pubblici uffici”, e invocava per questo governo il sostegno degli “uomini di ogni tendenza”, poiché “i suoi principi esigevano il consenso e l’appoggio universali”; egli irrise la situazione inglese nell’articolo Un governo decrepito. Prospettive del ministero di coalizione (gennaio 1853).

Ciò che il Times considerava tanto moderno e avvincente costituiva per lui una farsa. Quando la stampa di Londra annunciò un “ministero composto da uomini nuovi”, Marx dichiarò che “
il mondo sarà certamente non poco stupito quando avrà appreso che la nuova era nella storia sta per essere inaugurata nientemeno che da logori e decrepiti ottuagenari (…), burocrati che hanno partecipato a quasi ogni governo dalla fine del secolo scorso, membri del gabinetto, doppiamente morti, per età e usura, e richiamati in vita solo artificialmente”.”

Dunque, quella dei tecnici che soppiantano lo “spirito di partito”, è cosa nota e, potremmo dire, “naturale” in chi pensa (come pensava il Times nel 1853) che il modo di produzione capitalistico possegga una razionalità intrinseca ed una capacità auto-regolatoria che si tratterebbe solo di assecondare tecnicamente e non certo di guidare politicamente.


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Dal proprio ragionamento sulla sottomissione della politica alla Tecnica Galimberti deduce che la lotta di classe è finita perché oggi, a differenza che nel passato, non esistono più due volontà che si contrappongono, che lottano l'una contro l'altra; le due classi - padrone e servo, per usare la terminologia di Hegel - vengono collocate dalla stessa parte e sovrastate entrambe dalla Tecnica, che ne diventa la comune antagonista. Ovviamente, una “Tecnica con la T maiuscola” non può che ergersi di fronte ad un “Uomo con la U maiuscola”. Invece, gli uomini concreti – i concreti “servi” e i concreti “padroni” -, in questo scontro idealistico tra Titani, scompaiono.

Mai profezia fu meno avverata quanto quella della fine della lotta di classe (posto che per andare d'amore e d'accordo bisogna essere in due, ma per cercare di abbassare il più possibile i salari non è necessaria l'approvazione dei salariati). Ma non interessa, in questo contesto, sottoporre a critica la posizione globale di Galimberti che peraltro è comunque stimolante, per alcuni aspetti, ma piuttosto valorizzare il fatto che egli individua uno degli elementi fondamentali della Tecnica nel Mercato (anch'esso, concepito, evidentemente, con la M maiuscola). Il punto è che in Galimberti anche il Mercato diventa un concetto metafisico caratterizzato da un modo del tutto “impersonale” e “automatico” di riproduzione. Come avrebbe detto Althusser, una specie di processo senza Soggetto[7].

Se Galimberti ha scoperto che il modo di produzione capitalistico è un rapporto sociale che (ri)produce anzi tutto sé stesso ha fatto una scoperta giusta, sebbene leggermente tardiva. Già Marx, infatti, chiamava “doppio mulinello” il meccanismo della riproduzione del rapporto sociale che sottende il modo di produzione capitalistico

“Il processo di produzione capitalistico, considerato nel suo nesso complessivo, cioè considerato come processo di riproduzione, non produce dunque solo merce, non produce dunque solo plusvalore, ma produce e riproduce il rapporto capitalistico stesso: da una parte il capitalista, dall’altra l’operaio salariato” [8]
 

E ancora


“Il capitale presuppone il lavoro salariato, il lavoro salariato presuppone il capitale. Essi si condizionano a vicenda; essi si generano a vicenda. Un operaio in un cotonificio produce soltanto tessuti di cotone? No, egli produce capitale. Egli produce valori che serviranno nuovamente a comandare il suo lavoro, e per creare a mezzo di esso nuovi valori” [9]
 

***

Il Governo Monti è certamente “tecnico” se per tecnico si intende un Governo composto da persone che non appartengono a partiti politici. Ma non appartenere ad un partito politico non significa non avere idee politiche e non significa non appartenere ad una classe. Monti e i suoi ministri non apparterranno ad alcun partito politico parlamentare, ma certamente appartengono ad un “partito di classe” (borghese-capitalistico) che ha le idee molto chiare su come agire, su quali obbiettivi perseguire, su quali interessi salvaguardare e su quali colpire.

Mario Monti è un tecnico del capitale e non è stato arruolato per difendere i salari ma per far crescere i capitali. La sua “mission” è quella di aumentare la produttività globale del “sistema Italia” ovvero, in ultima analisi, di realizzare il maggiore spostamento possibile di reddito dal lavoro verso il capitale. Inoltre, i risparmi che lo Stato potrà realizzare grazie al taglio si pensioni, sanità, scuola, ecc....devono andare al sistema delle imprese produttive sotto forma di riduzione del costo del lavoro per via fiscale.

Il modo di produzione capitalistico è un'altalena: se cresce il saggio del profitto, cade il saggio del salario e viceversa  [10]. Tutte e due le cose non si possono avere, a differenza di quanto pensano tutti i vari esponenti riformisti, altermondialisti, mondomiglioristi, indignati...

Nel modo di produzione capitalistico ci sono solo due modi per provare a rilanciare fasi di crescita da fasi di crisi: distruzione di capitale e riduzione del salario in tutte le sue forme; in una parola, guerra. Guerra commerciale/industriale/militare sul fronte esterno, guerra sociale sul fronte interno. E questa è una ricetta che i capitalisti – e i loro tecnici - conoscono benissimo, altro che chiacchiere sull'equità sociale, sulla ripartizione dei sacrifici, sul sostegno al reddito (e alla capacità di consumo) dei lavoratori, sul rafforzamento della domanda aggregata attraverso commesse statali, bla, bla...

***

Ci si lamenta della “espropriazione di sovranità” che sarebbe stata imposta all’Italia dalla UE con la famosa lettera (“i 39 punti”) e non ci si accorge, come al solito, di guardare il dito invece che la luna.

Il dito è il fatto che l’Europa detta linee guida ai vari paesi dell'Unione cosa che, in un senso è non nuova e, in un altro senso, è non vera: non nuova, in quanto sono anni che le politiche economiche dei Governi nazionali sono sottoposte al vaglio della Comunità Europea (do you remember, “sinistra”, Maastricht?) e che le leggi nazionali sono sottoposte alle leggi comunitarie; non vera, perché la crisi ha ulteriormente disintegrato il già peraltro fallimentare tentativo di costruzione di un polo imperialista europeo in competizione con gli USA; oggi l'Europa è solo un un pugno di paesi che si sgambettano gli uni con gli altri, in Libia o sui mercati dei titoli di Stato, ognuno per cercare di galleggiare affogando qualcun altro (aldilà delle dichiarazioni di – ipocriti - intenti uscite dal Congresso Europeo del PPE di Marsiglia).

La luna è il fatto che il problema è molto più grosso del fatto che l'Europa abbia recapitato all'Italia una lista della spesa. Il vero problema sono i contenuti della lista e le conseguenze della loro applicazione sui lavoratori. Non è poi così diverso per il groppone dei lavoratori se a dare bastonate sono, invece di Merkel e Sarkozy, Berlusconi, Prodi o Monti (che infatti rivendica all'Italia di aver capito ben prima dell'UE le cosa da fare)


“Ciò che occorre fare per ricominciare a crescere è noto da tempo. Gli studi dei migliori centri di ricerca italiani avevano individuato le misure necessarie molto prima che esse venissero recepite nei documenti che in questi mesi abbiamo ricevuto dalle istituzioni europee. Non c'è nessuna originalità europea nell'aver individuato ciò che l'Italia deve fare per crescere di più. È un problema del sistema italiano riuscire a decidere e poi ad attuare quanto noi italiani sapevamo bene fosse necessario per la nostra crescita” [11]
 

Il grande capitale sa sempre quello che serve, anche se il contrasto di interessi interno spesso gli impedisce di seguire piani ordinati (ed è proprio questo uno degli asset del movimento rivoluzionario, giacché se dovesse contare solo sulla propria capacità soggettiva ci sarebbe da mettersi a piangere, o forse a ridere).

Solo la “sinistra” continua a scandalizzarsi (pardon, oggi si dice ad indignarsi) e casca ogni volta dal pero [12].

Aldilà della rappresentazione ideologica che ne danno i suoi fan, il “mercato” deve essere corretto, sia dal punto di vista sociale (per attenuare gli squilibri che genera – e su questo concordano sia il classico Adam Smith sia il neo-marginalista Friedrich Von Hayek), sia dal punto di vista del suo funzionamento intrinseco che può condurre a crisi devastanti (e da qui nascono le istituzioni della impossibile regolazione internazionale FMI, BM... spesso guidate dalla sinistra neo-keynesiana, come nel caso di Dominique Strauss-Kahn). Ed ecco allora che arrivano (da decenni, altro che novità) i “piani di aggiustamento strutturale” del FMI o i “39 punti” dell'UE

“Gli stati formalmente democratici sono infatti costretti a prendere le loro decisioni economiche e politiche fondamentali tentando di “dare un colpo al cerchio del Fondo Monetario Internazionale (e del capitale multinazionale) e uno alla botte del proprio elettorato” (Markoff, Waves of democracy: social movements and political change)” [13].


Certo, fino ad oggi, erano prevalentemente i paesi del “terzo” mondo a ricevere gli ispettori del FMI. Oggi è anche un paese importante come l'Italia (e questo dimostra a quale livello di profondità, pian piano, stia scavando la crisi del capitalismo).

Per chi ha un minimo di nozioni marxiste le “linee guida” dell'azione sul piano “sociale” del Governo Monti (come di ogni Governo del capitale - e in questo senso ha parzialmente ragione Galimberti, non ci sono molti margini di scelta -) sono sempre piuttosto chiare: riduzione del salario (diretto, indiretto, differito) e, più in generale, trasferimento di reddito dal lavoro al capitale. La ragione, capitalisticamente parlando, è semplice: il taglio globale del salario e la destinazione alle imprese della quota di reddito corrispondente a questo taglio sotto forma di sgravi fiscali/contributivi [14] permette una riduzione dei costi di produzione e dunque una maggiore competitività (minori prezzi) e/o redditività (maggiori profitti) che sono gli indici di riferimento di ogni impresa capitalistica.

Il resto (“noi la crisi non la paghiamo”, “noi il debito non lo paghiamo”, “noi non ci stiamo”... e tutta l'altra paccottiglia movimentista che viene incredibilmente spacciata come tattica dai campioni dell'opportunismo) sono solo chiacchiere per chi ha ancora voglia di farne.

Per chi invece si è stancato del massimalismo impotente e della retorica c'è solo un tema che merita di essere messo all'ordine del giorno, ogni giorno: poiché il capitalismo, per sopravvivere, deve distruggere la nostra vita, allora noi, per sopravvivere, dobbiamo distruggere il capitalismo.

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Note

[1] Antiper,  WEB: www.antiper.org, EMAIL: This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.

[2] Etica e Tecnica. Dove andiamo? Intervento di Umberto Galimberti a Popsophia, Primo Festival del Contemporaneo, Civitanova Marche.

[3] Cfr. Giorgio Cremaschi, No alla postdemocrazia, Liberazione, 20 novembre 2011.

[4] Umberto Galimberti, Psiche e techne. L'uomo nell'età della tecnica, 1999, Feltrinelli, pag 450 (ed UEF).

[5] ibidem

[6] ibidem

[7] Cfr. Louis Althusser, I marxisti non parlano mai al vento. Risposta a John Lewis, Mimesis althusseriana, pag. 47: “La storia è un immenso sistema “naturale-umano” in movimento, il cui motore è la lotta delle classi. La storia è un processo, e un processo senza soggetto” [Nota di Althusser: “Ho proposto questa categoria in uno studio: Marx e Lenine davant Hegel (febbraio 1968) pubblicato in appendice a Lenine et la Philosophie, Maspero, Paris, 1972. Per maggiori dettagli, vedere più avanti Osservazioni su una categoria: “Processo senza Soggetto né Fine(i)”]. Si potrebbe, forse, aggiungere sommessamente che se è corretto dire che non esiste un Soggetto, non sarebbe tuttavia corretto dire che non esistono “soggetti” (con la “s” minuscola”) altrimenti la lotta tra classi chi la farebbe?

[8] Karl Marx, Il capitale, Libro I, Sezione VII, (“Il processo di accumulazione del capitale”), Cap. 21 (“Riproduzione semplice”).

[9] Karl Marx, Lavoro salariato e capitale, Roma, Editori Riuniti, 1960, p. 52.

[10] Infatti Marx considerava l'aumento del grado di sfruttamento del lavoro e la riduzione del salario al di sotto del suo valore come due importanti controtendenze alla caduta tendenziale del saggio di profitto (cfr. Karl Marx, Il capitale, Libro III, Sezione III, Cap. XIV).

[11] Mario Monti, Discorso al Senato, 17 novembre 2011.

[12] La quale sinistra, non perde l'occasione per dimostrare per l'ennesima volta di avere perso completamente il lume dalla ragione e non esista a salire sul carroccio anti-francogermanico nazional-italiota guidato da Ferrara, Libero e Il Giornale (vedere Contropiano, Comitato “no debito” di Cremaschi, La Grassa ecc.. per credere) senza capire la differenza che passa tra una lotta di liberazione nazionale contro un'invasione nazista e la difesa della frazione italiana della borghesia imperialista europea dall'attacco delle altre fazioni. Se quella che abbiamo di fronte, come sostiene correttamente Giorgio Gattei di Contropiano, è un forma di guerra inter-imperialista allora si cerchi di essere minimamente coerenti con le proprie affermazioni e si chiami a combattere, non già a fianco, ma contro l'imperialismo di casa proprio, come ci insegnava il più grande rivoluzionario che la storia ci abbia fino ad oggi proposto, Lenin.

[13] Beverly J. Silver, Le forze del lavoro. Movimenti operai e globalizzazione dal 1870, Bruno Mondandori, Pag. 5, 2003.

[14] “Decreto legge Monti”, Titolo I “Sviluppo ed equità”, Articolo 1 “Aiuto alla crescita economica (Ace)”", ilsole24ore.com, 6 dicembre 2011: “In considerazione della esigenza di rilanciare lo sviluppo economico del Paese e fornire un aiuto alla crescita mediante una riduzione della imposizione sui redditi derivanti dal finanziamento con capitale di rischio, nonché per ridurre lo squilibrio del trattamento fiscale tra imprese che si finanziano con debito ed imprese che si finanziano con capitale proprio, e rafforzare, quindi, la struttura patrimoniale delle imprese e del sistema produttivo italiano...”, ecc, ecc...
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