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Il ritorno di Marx in Italia

di Oliviero Calcagno e Gianfranco Ragona

Ripetutamente proclamato morto, Marx continua a far discutere. Il silenzio calato sulle analisi dell’autore del Capitale in seguito alla caduta del Muro di Berlino e alla fine dell’Unione Sovietica sembra essersi infranto. In questo senso, il dibattito culturale italiano non fa eccezione rispetto alle tendenze dominanti su scala internazionale, presentando semmai un ritardo, causato dalla lunga durata della precedente fase di lotte sociali e, parallelamente, da una condizione di subalternità all’egemonia culturale statunitense, che proprio l’esaurimento di quel periodo di lotte ha riproposto in forma più accentuata. Tra la fine degli anni Settanta e la fine degli anni Ottanta, infatti, si è consumata una stagione teorica di abiure e di precari eclettismi, cui ha fatto seguito un revival altrettanto affannoso dell’ideologia dei diritti umani, accompagnato dalla frammentazione delle identità collettive in individualità private. Per contro, il dibattito dell’ultimo decennio mostra un ritorno d’interesse per le condizioni sottostanti la vita dei tanto vezzeggiati individui, ed è qui che un rinnovato confronto con il vecchio Marx può trovare spazio d’accoglienza.

A completare il quadro sono poi intervenuti due fattori decisivi: l’esaurimento del movimento altermondialista e una nuova e presumibilmente durevole crisi economica globale. Il panorama si è fatto insomma sempre più cupo, contribuendo a spazzare via illusioni di varia natura e riportando l’attenzione su quella ‘durezza’ del reale che di Marx fu l’elemento naturale. Da questa soglia storica, databile a poco più dell’ultimo quinquennio, muove questo tentativo di ricostruire, per rapidi tratti, le più recenti letture italiane di Marx.1

Sull’onda della ripresa dell’edizione storico-critica delle opere complete di Marx e di Engels,2 si può infatti notare come la Marx-Renaissance diffusa a livello sovranazionale sia finalmente approdata anche in Italia.

Nel 2004 il simposio internazionale organizzato a Napoli sul tema L’opera di Karl Marx tra filologia e filosofia ne è stato insieme testimonianza e rilancio, anche per l’attenzione suscitata a posteriori dagli atti a stampa editi da Manifestolibri.3

A distanza di due anni, nel 2007, la medesima editrice ha pubblicato il volume Da Marx a Marx?, frutto di una giornata di studi svoltasi a Bergamo nel novembre 2005 in concomitanza con la diffusione dell’imponente Storia dei marxismi in Italia scritta da Cristina Corradi,4 un’opera che ha concorso a tradurre la Marx-Renaissance in una Marxismus-Renaissance, attraverso l’esame critico degli storici contributi, tra gli altri, di Galvano Della Volpe, Cesare Luporini, Lucio Colletti, Raniero Panzieri, Piero Sraffa, Claudio Napoleoni.

Tappe ulteriori di questo itinerario sono state due convegni internazionali: Aspetti del pensiero di Marx e delle interpretazioni successive, svoltosi nel novembre 2006 presso l’Università di Milano-Bicocca; e Pensare con Marx, ripensare Marx convocato pochi mesi più tardi, nel gennaio 2007, presso l’Università di Roma-La Sapienza. In entrambi i casi il lascito marxiano è stato discusso con intento attualizzante e con prevalente contributo di filosofi, pur senza trascurare i versanti economico e politico, come dimostrano i rispettivi atti raccolti in volume5 .

Si può ancora segnalare che, in occasione delle celebrazioni del settantesimo anniversario della morte di Antonio Gramsci (2007), numerosi convegni, accompagnati da pregevoli iniziative editoriali, hanno contribuito a rilanciare l’elaborazione di uno dei più importanti marxisti del Novecento, spesso stimolando discussioni e studi ulteriori proprio sul suo rapporto con Marx e i marxismi.6

Fa il punto sulla ricezione del pensiero di Marx la recente raccolta di saggi di Marcello Musto, che, nel volume Ripensare Marx e i marxismi,7pone i risultati di un lungo lavoro di ricostruzione bibliografica e scavo archivistico al servizio di un tentativo di revisione critica del marxismo ‘ufficiale’ novecentesco, intrecciando prospettiva storico-filologica ed etico-politica secondo la lezione di Maximilien Rubel – curatore dell’edizione francese delle opere di Marx per la Pléiade di Gallimard, ma anche capace di offrire coraggiosamente, nel cuore della Guerra fredda, la lettura eterodossa di un Marx critico del marxismo. Musto è tra i pochi che alla conoscenza delle nuove acquisizioni della MEGA2 aggiunga lo studio d’inediti marxiani custoditi negli archivi dell’Istituto Internazione di Storia Sociale di Amsterdam, cosa che gli consente di ripercorrere con originalità tappe cruciali dell’itinerario biografico e politico del pensatore, passando dal «mito del giovane Marx», soprattutto quello dei celebri Manoscritti economico-filosofici del 1844, all’esame dei Quaderni di Londra, risalenti al periodo di «studio matto e disperatissimo» dei primi anni Cinquanta; per arrivare agli studi economici preparatori del Capitale condotti in vasti appunti di lettura e nei celebri Grundrisse – di cui Musto ricostruisce la genesi, la diffusione postuma e la ricezione presso le diverse scuole ‘marxiste’.

Non si può però non rilevare come i nuovi approfondimenti continuino a svolgersi in assenza dell’edizione italiana completa delle opere di Marx e di Engels. L’impresa avviata nel lontano 1972 dagli Editori Riuniti, inizialmente prevista in cinquanta volumi, fu infatti interrotta nel 1990, quando ne mancavano ancora diciotto, per di più in ordine cronologico non consecutivo. All’inizio del nuovo secolo un gruppo di lavoro universitario nazionale, guidato dal milanese Mario Cingoli, ha raccolto il testimone, avvalendosi dei frutti dell’indagine filologica sottesa alla nuova MEGA. Si è così insediato un nuovo Comitato Scientifico, incaricato di ricominciare l’edizione là dove si era arrestata. Nel 2008 il XXII volume, con gli scritti del periodo «luglio 1870-ottobre 1871», è apparso a Napoli da un nuovo editore, La Città del Sole, in collaborazione con i vecchi Editori Riuniti.8 Il sodalizio è stato interrotto all’inizio del 2012, allorché le edizioni La Città del Sole hanno dato alle stampe il complesso volume (in due tomi distinti) del primo libro del Capitale, sul quale è ancora prematuro esprimere giudizi di merito, ma che comunque si presenta caratterizzato da spiccati elementi d’innovazione,9 a partire dalla scelta del curatore Roberto Fineschi di presentare il testo del 1867 in una traduzione profondamente rivista, senza per questo respingere del tutto la vecchia versione di Delio Cantimori. Il volume è corredato da un imponente apparato critico, che fa riferimento alle più recenti acquisizioni filologiche della MEGA, e dalle varianti delle diverse edizioni, quelle tedesche del 1867 e del 1873 (la seconda edizione) e quella francese di Joseph Roy (apparsa a dispense tra il 1872 e il 1875), che Marx stesso aveva seguito e approvato, dopo essere però intervenuto direttamente e in profondità sul testo. Il lavoro è completato da un nuovo adattamento del VI capitolo inedito, da scritti diversi e di grande importanza sul tema del valore, nonché da preziosi indici e un opportuno glossario, che permettono al lettore di orientarsi nelle oltre 1500 pagine a disposizione. Altri volumi delle Opere complete in italiano sono stati programmati, e gruppi di lavoro nazionali sono al lavoro per dar seguito a un’impresa che sul piano politico-culturale è certo assai ambiziosa e, stando ai primi risultati, molto promettente.

La rinascita degli studi marxiani in Italia ha invece lasciato pressoché indifferenti le diverse formazioni politiche che ancora si richiamano a Marx e al ‘marxismo’, ma che non sembrano in grado di uscire da una posizione politicamente residuale e culturalmente rituale. Di fatto, la fine del PCI e l’avvio di una esperienza politica neocomunista che era riuscita a coinvolgere anche le formazioni politiche eredi della ‘nuova sinistra’, a cominciare da Democrazia Proletaria, non ha mantenuto le aspettative di un nuovo inizio che potesse reintegrare le diverse componenti in un progetto al tempo stesso coerente e pluralistico. Gli studiosi sono cosi rimasti confinati in una collocazione forse comoda, ma ininfluente, mentre la base militante è stata impegnata nell’ordinaria gestione del quotidiano, finché la mancanza di una prospettiva a lungo termine ha favorito la tendenza alla diaspora di fronte agli ostacoli più impegnativi.

Si può consentire con le scelte politiche dell’una o dell’altra formazione, ma è un fatto testimoniato anche dai rispettivi Atti congressuali che sia quel che resta dell’originario Partito della Rifondazione Comunista, sia il Partito dei Comunisti Italiani, e ancora Sinistra Critica, il Partito Comunista dei Lavoratori o altre formazioni minori, continuano a difettare di quella politica culturale che sola potrebbe tradurre la sempre ribadita necessità di nuove articolazioni teoriche in un effettivo percorso politico, fatto di studio e proposte coraggiose. Sporadicamente associazioni culturali o centri di studio collaterali ai partiti esistenti tentano di rilanciare l’esigenza di riflessioni specifiche, trovando regolarmente scarsa attenzione nei gruppi dirigenti, preoccupati innanzitutto della sopravvivenza propria e delle proprie organizzazioni. Prima ancora che sul piano teorico, l’eredità marxiana sembra dunque scomparsa sul piano antropologico, come coerenza d’impegno critico tesa a dissolvere le artificiose distinzioni dell’agire sociale (massima fra tutte, quella fra lavoro intellettuale e manuale, ruoli direttivi ed esecutivi): un esito ben più grave, poiché non si tratta ormai di quali opzioni teoriche si affermino, ma dell’esistenza stessa della discussione teorica come momento politicamente rilevante, anziché come lusso per chi se lo può concedere e perdita di tempo per chi ha cose più importanti di cui occuparsi.

Pertanto, in Italia, il recente dibattito è rimasto confinato in qualche aula universitaria, nelle sale in cui si sono ripetutamente dati convegno gli intellettuali, o negli uffici di qualche coraggiosa casa editrice. Non senza risultati, tuttavia, se si osserva il numero di pubblicazioni che si sono accumulate nella seconda metà del decennio, alcune delle quali di notevole interesse, in quanto capaci di sollevare ulteriori dibattiti e d’indicare nuovi indirizzi di ricerca. E proprio sulla differenza nelle direzioni di ricerca vorrebbe strutturarsi concettualmente questa breve presentazione.

Un primo capitolo va dedicato alle riletture attualizzanti e vede tra gli autori una prevalenza di filosofi della politica, filosofi della storia e storici della filosofia. Si segnala intanto una nuova antologia di testi marxiani scelti e sobriamente commentati da Enrico Donaggio e Peter Kammerer, edita da Feltrinelli nel 2007 con l’asettico titolo di Antologia, ma significativamente sottotitolata Capitalismo, istruzioni per l’uso, con dichiarata focalizzazione su un Marx che per tutta la vita avrebbe inteso studiare il modo di produzione capitalistico come una forma di vita, dialetticamente contrapposto al comunismo come la promessa di felicità più seducente della storia umana. La prospettiva risulta assai interessante, benché accetti nettamente una ricostruzione dell’opera di Marx improntata alla continuità, che finisce per rendere i due curatori reticenti sugli aspetti più controversi per oltre un secolo di filologia marxiana. Al netto di questa rinuncia, resta una pregevole operazione, che non s’indirizza soltanto agli specialisti e da cui emerge un Marx declinato in chiave sociologico-antropologica, che ha molto più da dialogare con Weber che con Hegel: per gli autori, un titolo di merito e un segno di attualità.10

Altro buon viatico per letture ulteriori è l’antologia di scritti economici curata da Vladimiro Giacché, per l’editore DeriveApprodi, Il capitalismo e la crisi del 2009. Al di là della meritoria presentazione di scritti giornalistici in buona parte inediti in italiano, la tempestività della pubblicazione permette di apprezzare un Marx paradossalmente più attuale oggi di centocinquant’anni fa, quando già aveva individuato nelle crisi economiche un elemento strutturale di quel modo di produzione dove casuale è l’equilibrio.11

Una sintesi complessiva del pensiero marxiano da un punto di vista filosofico-politico è il volume monografico di Stefano Petrucciani,12concorde coi precedenti nel fornire una lettura all’insegna della continuità della meditazione di Marx, fin dalla scelta di ripercorrere genesi e sviluppo del suo percorso nel rispetto del criterio cronologico. Sarebbe l’aspirazione, mai accantonata, alla «ricomposizione del sociale e del politico»,13 a costituire la cifra unitaria del comunismo criticoscientifico del Moro di Treviri. Nondimeno, in questo nucleo biograficamente e teoreticamente originario, viene evidenziata una impasse: Marx avrebbe riconosciuto le contraddizioni decisive della modernità (Stato/società civile; uomo/cittadino; ineguaglianza sociale/eguaglianza politica), indicando quale unica soluzione possibile il loro «superamento» e la loro «ricomposizione in una socialità non mediata dallo Stato e dal denaro», quando invece – afferma Petrucciani appoggiandosi ad Habermas – tali media potrebbero rivelarsi «indispensabili per coordinare le azioni individuali nelle moderne società complesse», a patto di «neutralizzarne gli effetti di dominazione e di alienazione».14 Sembra qui difettare quella fondamentale tesi marxiana, già accantonata da Horkheimer e Adorno, prima di Habermas, che la funzione di Stato e denaro è un attributo del modo di produzione capitalistico, sicché il problema di una loro possibile funzione senza «dominazione» e «alienazione» può porsi solo fuori o contro di esso, in un orizzonte tanto trasfigurato da non farli rassomigliare in nulla allo Stato e al denaro cui l’Autore si riferisce.

Se non accetta la cesura althusseriana, nondimeno Petrucciani riconosce negli scritti del 1845 una nuova impostazione, che da un lato non è interessata ad elaborare una nuova filosofia, dall’altro muta completamente il modo di scrivere la storia, a partire dalla successione dei diversi modi di produzione. Pur accreditando alla consolidata concezione materialistica una persuasiva analisi del passaggio tra i modi di produzione feudale e capitalistico, le viene simmetricamente addebitata l’incapacità di spiegare le transizioni precedenti e, soprattutto, quella al comunismo. Desta tuttavia perplessità l’affermazione che la teoria del valore-lavoro, da Marx collocata alla base dell’intero edificio teorico, risulterebbe «insostenibile», poiché – riteniamo – la sola nozione marxianamente scientifica di sfruttamento deriva dal concetto di plusvalore (ritenuto infatti «uno degli aspetti più originali del suo pensiero»), e questo a sua volta discende dal concetto di «tempo di lavoro necessario», inspiegabile però se si prescinde dalla teoria del valore-lavoro.15

Teoria della storia, teoria dello Stato e teoria del valore sono al centro anche del volume che a Marx ha dedicato Nicolao Merker,16 coniugando la biografia e l’analisi concettuale. Se per i primi due ambiti l’Autore risulta persuasivo, rispettivamente confutando la tesi di un Marx portatore di una filosofia della storia dai tratti deterministici ed evidenziando quindi oscillazioni e incertezze che accompagnarono la formazione delle teorie marxiane, nel terzo e cruciale ambito, alla domanda se il nucleo centrale dell’analisi marxiana – dedicato a valore e plusvalore – sia ancora valido, Merker fornisce la risposta argomentata, ma non del tutto convincente che, per quanto in una società postcapitalistica sarebbe evidentemente eliminata la proprietà privata in favore di quella collettiva dei mezzi di produzione e di consumo, con altrettanta evidenza verrebbe conservata la categoria di valore (e conseguentemente l’esistenza del plusvalore). Pur riconoscendo la contraddizione fondamentale del capitalismo nella tensione tra il carattere necessariamente sociale della produzione e il carattere privatistico (di classe) dell’appropriazione dei frutti del lavoro, Merker sostiene che essa non riposerebbe sul plusvalore, perché «in qualunque sistema […] sempre e ovunque la forza-lavoro produce, tradotto in merci, un plusvalore, ossia un valore maggiore di quello ch’essa consuma».17 Tesi che in un contesto di recupero marxiano risulta sorprendente, in primo luogo poiché proprio il Marx critico di Proudhon aveva contestato ogni tentazione di ‘eternizzare’ le categorie dell’economia politica (negando a priori l’ipotesi che «la “emancipazione umana generale” consista nel ripristinare le qualità naturali-umane degli elementi del processo di produzione, nel liberarle dalle distorsioni privatistiche subìte durante le epoche di lotta di classe che hanno segnato la storia dell’umanità»);18 in secondo luogo, poiché sembra cancellata la fondamentale distinzione marxiana tra valore di scambio e valore d’uso (depositario materiale del primo), dove la forma-valore è inestricabilmente legata a un rapporto sociale storicamente determinato, quello che caratterizza il modo di produzione capitalistico: di quale significato del «valore» parlare in una formazione storica postcapitalistica, caratterizzata da rapporti sociali del tutto differenti?

L’aspetto migliore dell’insieme di questi lavori è di presentare un rivoluzionario socialista che tra arretramenti, errori, fughe in avanti, tentò di collocare su basi scientifiche una politica universalistica di emancipazione, di riscoprire cioè la direzione di Marx in luogo di un sistema che è invece esistito soltanto ad opera dei marxismi successivi. Quel che paradossalmente ne vien fuori è che proprio da voci filosofiche si ribadisca e si intenda valorizzare la non-sistematicità del pensiero marxiano quale antitesi al modo classico di filosofare. Una boccata d’aria dopo decenni di scolastica «marxista-leninista», ma anche una mossa difensiva che sembra aver introiettato la dittatura della filosofia analitica anglosassone.

Il che permette di introdurre i nuovi studi sulla problematica collocazione del sapere filosofico in Marx. Una ricognizione che da singoli aspetti è approdata a una monografia complessiva è stata offerta da alcuni volumi in sequenza proposti da Diego Fusaro:19 se è meritorio l’intento di delineare un Marx filosoficamente più rilevante, a prezzo però di attribuirgli una filosofia della storia «antihegeliana» attraverso un uso non sempre persuasivo di Benjamin, l’accostamento del metodo aperto marxiano all’ermeneutica gadameriana mediata da Vattimo suscita qualche perplessità.

Il lettore filosoficamente interessato troverà invece sempre nuovi spunti in quella sorta di opera a dispense periodiche che sul rapporto tra Marx, il marxismo e la filosofia viene conducendo da oltre un ventennio Costanzo Preve.20 Se il limite di una lunga tradizione di studi, anche di autori trattati in quest’articolo, è di valorizzare Marx anche contro la filosofia, la posizione di Preve è per contro quella di valorizzare la filosofia anche contro Marx, senza per questo rompere con il lascito marxiano – con cui infatti conduce un inesausto confronto – ma al più con la vulgata marxista, non senza eccessi polemici. Partito da premesse in qualche modo ‘althusseriane’ per il rifiuto di un Soggetto della storia (soprattutto se individuato nella classe operaia), Preve è attualmente giunto ad una ridefinizione in chiave antropologica del comunismo come erede della forma-pòlis greca classica, la cui natura comunitaria renderebbe possibile un’elaborazione veritativa dell’esistenza umana attraverso l’inesauribile veicolo del dialogo filosofico. Il confronto con Marx verte perciò sul congedo di quest’ultimo dalla filosofia tradizionalmente intesa, interpretato dialetticamente come cedimento al paradigma utilitaristico della modernità, ma al tempo stesso come condizione per la nascita di quella nuova disciplina che è la critica dell’economia politica, al cui centro sta l’unione inscindibile di teoria del valore e dell’alienazione, cioè di riduzione economicistica della natura generica dell’essere umano (Gattungswesen) ad ente fornitore di prestazioni quantificabili. Gli accenti heideggeriani di questa disamina vengono radicalizzati in una decostruzione della genealogia filosofica convenzionale – che faceva perno sulla categoria di materialismo, qui debitamente smontata – culminante nella connotazione di Marx come «idealista naturalista», indagatore di una natura umana reale in cerca dell’incontro col suo concetto, e perciò terzo e ultimo nella lista dei grandi idealisti tedeschi, dopo Fichte e Hegel.

Una prospettiva simile, ma orientata verso una problematicità militante, anziché verso una consapevole iconoclastia, è rintracciabile nel filosofo Roberto Finelli, il cui studio Un parricidio mancato ridiscute il rapporto di Marx con Hegel (anche attraverso l’uso di categorie psicoanalitiche), per approdare a un «marxismo dell’astrazione», che proprio nel Capitale individua l’opera filosoficamentematura di Marx, e per ragioni diametralmente opposte a quelle althusseriane.21 Se infatti la produzione del giovane Marx rivelerebbe, in luogo del tanto celebrato passaggio dall’idealismo al materialismo, un’incapacità di effettiva emancipazione dal Maestro; se anzi le rispettive teorie della soggettività mostrano un soggetto che per Hegel si costituisce pienamente solo nel rapporto con l’alterità, mentre per Marx conserva una primordiale natura organicistica, la rimozione della dimensione singolare dell’essere umano avrebbe originato un felice paradosso: che proprio l’indifferenza verso la storia dei singoli avrebbe permesso a Marx di approdare a una teoria scientifica del capitale, «il vero soggetto della modernità», che nel suo movimento ignora e schiaccia i soggetti individuali.22 L’elaborazione del lutto per la sconfitta politica del Quarantotto avrebbe quindi condotto all’abbandono della precedente «metafisica del soggetto»,23 trasformando il tentativo di «parricidio» in un rapporto maturo con il Maestro e permettendo cosi al Marx critico dell’economia politica di approdare a un diverso paradigma scientifico, fondato su un criterio ‘idealistico’ di verità come articolazione delle parti nel tutto, ma appunto depurato da ogni residuo di metafisica. È quel che Finelli definisce nei termini del «circolo epistemologico del presupposto-posto»: come la verità del concetto sta per Hegel in un processo dialettico, che prevede la sussunzione dell’intera realtà sotto di sé, così il capitale, quale soggetto principe della modernità, è un’astrazione reale in quanto si appropria di tutti i suoi presupposti esterni trasformandoli in propri prodotti.

La mai esaurita questione del rapporto tra Marx e Hegel è stata inoltre ripresa da Roberto Fineschi – qui già menzionato – nel suo studio su Marx e Hegel, un contributo di taglio squisitamente filologico, ma opportunamente finalizzato a definire lo statuto epistemologico della critica dell’economia politica operante nel Capitale.24 Una declinazione solo disciplinarmente diversa della medesima problematica è quella del rapporto tra comunismo e libertà, organicismo ed individualismo, che Ernesto Screpanti, raccogliendo alcune suggestioni del marxismo analitico nordamericano, ha proposto in uno studio orientato alla ricerca di un «comunismo libertario», che in verità sembra coincidere con una declinazione radicale di democrazia sostanziale.25 Appare perciò discutibile fondare questa prospettiva sull’opera di Marx, che infatti non viene spezzata in due soli tronconi (come nella distinzione althusseriana tra il giovane filosofo idealista e il maturo scienziato sociale), ma ulteriormente sezionata attraverso la «ricostruzione selettiva» di un’inedita teoria della liberazione, in base alla convinzione che solo il «nucleo scientifico» del Marx critico dell’economia politica sia ancora vitale, e che pertanto vadano espunte dal suo pensiero tutte «le componenti che si trovano con esso in contrasto»:26 l’idealismo, il determinismo, la filosofia della storia, il richiamo alla morale, contenuti nelle opere pre-scientifiche, che però Screpanti stesso non rinuncia talvolta a utilizzare.

Un’assoluta estraneità di Marx a qualsiasi tentazione organicistica è ancora sostenuta da Luca Basso nel suo Socialità e isolamento:27 prediligendo il termine «singolarità» ad «individualità» e impiegando argomenti tratti dalle prime opere sino ai Grundrisse, si evidenzia che nella prospettiva marxiana non c’è né organicismo olistico né individualismo atomistico, bensì un tentativo di «coimplicazione» dei diversi elementi. Al di là dei mutamenti di prospettiva, pur riconosciuti, sarebbe questo il motivo di continuità nell’opera marxiana: la tensione fondamentale alla realizzazione individuale nel collettivo.

Da una ricognizione svolta attraverso l’uso delle categorie temporali del pensiero politico moderno occidentale muove, per parte sua, il volume di Massimiliano Tomba Strati di tempo,28 che prende le mosse da una minuziosa ricostruzione della genesi del marxiano «materialismo pratico» (opportunamente distinto da una filosofia della storia d’impianto metafisico e dallo svolgimento lineare e progressivo) per individuare la molla della storiografia marxiana (mirabilmente esemplificata dal 18 Brumaio di Luigi Bonaparte) in un atteggiamento mentale non descrittivo, ma performativo, e cioè parte in causa in una lotta in corso. Lotta che, con ulteriore passaggio teorico, viene ricondotta ad una temporalità dei vinti radicalmente ‘altra’ da quella dei vincitori, in un affresco dove il Marx ‘scientifico’ del Capitale e quello ‘politico’ che studia la comune agricola russa sono collocati lungo un asse di ricerca unitario volto a individuare un tempo distinto da quello astratto della produzione capitalistica. Una proposta suggestiva e passibile di ulteriori sviluppi, nella prospettiva certo ambiziosa e tutta da verificare di coniugare il Marx maturo con gli studi culturali ‘postcoloniali’ per il tramite della critica benjaminiana al concetto di progresso e, più da vicino, della lezione dell’operaismo nella versione di Panzieri e della critica culturale di Pasolini e Fortini.

La connessione tra l’elemento critico e quello politico della critica dell’economia politica marxiana sembra invece passare per il recupero della nozione di lavoro vivo, già fondamentale per le interpretazioni in chiave operaistica degli anni Sessanta e Settanta. La componente più politicamente radicale di quella scuola – che ormai passa per post-operaistica – ha continuato negli anni ad elaborare studi, spesso di grande interesse e carica innovativa anche se talvolta inficiati da compiacimenti linguistici (quasi che l’uso insistito di un vocabolario per iniziati potesse proteggere la ridotta comunità di resistenti da un mondo esterno di cui si sancisce con depressione l’onnipotenza o con presunzione l’obsolescenza). Si può vedere in proposito, di Antonio Negri, Christian Marazzi, Sandro Mezzadra, Paolo Virno e altri, un Lessico marxiano, esito di una serie di seminari svolti in seno alla Libera Università Metropolitana con l’obiettivo di assumere il significato originario di parole-chiave della teoria sociale di Marx per metterle alla prova nel presente.29

Un approccio del tutto diverso allo stesso tema e che non fa sconti ai digiuni di economia arriva invece da Riccardo Bellofiore, che in una vasta messe d’interventi ha riproposto nel lavoro vivo il concetto fondante la nozione di sfruttamento in chiave non esclusivamente etica. La riaffermata qualifica dell’opera marxiana come scienza sociale complessiva permetterebbe di tematizzare la «costituzione monetaria del comando capitalistico sul lavoro vivo, e della lotta delle classi innanzi tutto nel cuore della produzione».30 Tuttavia, il processo di valorizzazione del capitale non atterrebbe soltanto alla sfera della produzione, come mostra l’analisi del lavoro vivo tra i due momenti essenziali che coinvolgono il mercato, prima attraverso l’acquisto della forza-lavoro, poi con la realizzazione del plusvalore. Il modo in cui concretamente è dato ai capitalisti di utilizzare quella speciale merce che è la forza-lavoro è indice del comando capitalistico sul processo di lavoro, da cui consegue il ruolo della lotta di classe nella valorizzazione del capitale, in forma di antagonismo o subalternità dei lavoratori.31

Una prospettiva originale sul nesso tra critica dell’economia politica ed emancipazione sociale viene da Gianfranco La Grassa, che, con modalità e tempi analoghi a Preve, da molto tempo va conducendo un’impegnativa opera di ‘decostruzione’ del marxismo (senza riverenze neppure per il padre fondatore), ora approdata, dal modello interpretativo del «capitalismo lavorativo», a quello del «conflitto strategico». Ne Gli strateghi del capitale32 e in Due passi in Marx,33 l’Autore ricapitola meriti e (soprattutto) limiti di un’impresa teorica di cui intende riconoscere i caratteri della scientificità (inclusi fallibilità e superamento), a partire da due punti critici. Il primo, che per Marx il modo di produzione capitalistico sarebbe strutturalmente fondato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione, quando invece il suo nucleo andrebbe cercato non nell'elemento giuridico della proprietà, e neppure in quello economico della superficie mercantile, ma nell'articolazione del processo produttivo, nelle dinamiche di processi di lavoro che riproducono in forma storicamente specifica ruoli dominanti e subordinati. Il secondo, consequenziale, che Marx avrebbe inteso fondare «l'intera dinamica sociale sulla teoria del valore, sulla mera acquisizione da parte dei dominanti […] del pluslavoro dei dominati, pur nella forma specifica del plusvalore», rivelando così di essere ancora prigioniero di un'impostazione finalistica per cui la dinamica strutturale avrebbe polarizzato la società tra una classe parassitaria e numericamente sempre più esigua ed una di lavoratori collettivi cooperativi divenuti sempre più consapevoli e pronti ad integrare anche quel patrimonio di conoscenze impiegate nella produzione definite general intellect. Al di fuori di quest'illusione finalistica, non esisterebbe alcun limite naturale alla multiforme accumulazione capitalistica, né alcuna formazione endogena di un soggetto rivoluzionario; da cui una rivalutazione della posizione leniniana sulle potenzialità rivoluzionarie aperte dalle lotte tra gruppi di potere dominanti. In generale, l'Autore intende riqualificare criticamente la tessitura 'politica' del discorso marxiano, ben sintetizzata nell'affermazione che «il capitale non è una cosa, ma un rapporto sociale» discutendo l'apparente primato dell'economico, in forma di determinismo nella Prefazione del 1859 a Per la critica dell'economia politica e di sostanzialismo nella teoria del valore monetario come «lavoro incorporato». La proposta in positivo di una teoria del conflitto strategico per la supremazia su scala mondiale presenta peraltro due difficoltà: sul piano teorico, la tendenza a sfumare la specificità storica del modo di produzione capitalistico, una volta semplicemente sostituita, e non variamente articolata, la centralità della categoria di merce con quella di riproduzione di rapporti sociali subordinati; sul piano politico, la resa all'amara diagnosi della non-rivoluzionarietà delle classi dominate, le cui pur legittime lotte di resistenza potrebbero avere esito rivoluzionario soltanto se favorite o addirittura promosse da scontri tra i soggetti sociali dominanti.

Apparentemente simile nel metodo generale, di disamina critica del lascito teorico in funzione di una nuova declinazione politica, è il volume che Guido Carandini ha dedicato ad Un altro Marx34 e che tuttavia assume il significato profondamente diverso di riportare il dimenticato autore del Capitale nell’agenda politica delle risposte riformistiche alle dinamiche di lungo periodo dell’economia capitalistica su scala mondiale. Operazione che viene affrontata con alcune semplificazioni, o scientificamente inaccettabili (la fittizia intervista a Marx redivivo con cui il volume si apre) o già ampiamente discusse e confutate nella comunità degli studiosi (il peso dell’eredità messianica nella previsione pseudo-scientifica di un inevitabile avvento del comunismo). Il lettore avveduto può nondimeno cogliere l’opportunità di riscoprire per contrasto alcune semplici, ma decisive verità: in primo luogo, che Marx non ha mai inteso scrivere un trattato di economia politica (fornito di relative ricette ‘di fase’), ma fare (e per tutta la vita) critica dell’economia politica, e cioè critica del modo in cui la società capitalistica si legge attraverso la scienza dei dominanti; in secondo luogo, che la tanto vituperata teoria del valore (che nella versione marxiana si regge sulla distinzione tra lavoro e forza-lavoro) non è uno strumento di contabilità economica, ma il luogo teorico in cui si compie il gesto ‘politico’ di dare spazio allo sfruttamento del lavoro umano; infine, conseguentemente, che non può esistere ‘scienza’ in senso marxiano senza che la teoria accolga le dimensioni della conflittualità soggettiva e della trasformabilità oggettiva – finendo per sussumerle ‘speculativamente’ nell’articolazione del tutto.

Si può così concludere questa rassegna attorno al tema di un Marx irrinunciabilmente politico, in quanto le sue analisi permettono di svelare un mondo sociale articolato su rapporti di forza. Non è un elemento scontato, poiché la riscoperta attualità dell’analisi marxiana, in assenza o in latenza di forze politiche e sociali portatrici di lotte radicali e non resistenziali, tende ad un ‘marxismo della cattedra’, come già ne esistettero in passato, sovente ad uso di un intento ‘modernizzatore’ anziché rivoluzionario. Un’acquisizione tuttavia universalmente raggiunta – e si tratta di un’acquisizione decisiva – è la distinzione tra Marx e il ‘marxismo’, anche da parte di studiosi che li avevano precedentemente identificati o commisti, qualsiasi definizione e qualsiasi valutazione di ‘marxismo’ si voglia dare. Da un lato, infatti, i diversi marxismi sono stati tentativi di sintesi necessariamente instabili di un patrimonio che aveva il pregio di essere aperto, ma il problema di esserlo in troppe direzioni. Lo sforzo di sistematizzarlo esprimeva il bisogno pratico e non soltanto manipolatorio di farlo agire nella lotta politica, ed è questo che rende tutti i marxismi in qualche misura legittimi. Un rinnovato confronto con Marx può essere importante per il presente se accetta di mettere in scena un confronto triangolare tra il Marx storico, i marxismi storicamente esistiti e una possibile teoria della trasformazione politica e sociale, affrancata dalla sterile nostalgia o dalle mode provvisorie, che sarà inevitabilmente cosa diversa da entrambi i predecessori, ma di cui non potrà non condividere l’intenzione fondamentale di liberazione.

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 Note
1 La rassegna si concentra sugli studi e le interpretazioni apparsi in forma di libro, trascurando la disamina dei pur numerosi contributi su rivista. In tal modo, abbiamo inteso concentrare l’attenzione sui risultati presentati dai diversi autori in forma sintetica e, per quanto possibile, definitiva.

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Il primo tentativo di raccogliere le opere complete di Marx e di Engels risale agli anni Venti del Novecento, quando la costituzione dell’Istituto Marx-Engels (poi Marx-Engels-Lenin) a Mosca permise a David Riazanov (poi sostituito da Vladimir Adorackij) la pubblicazione della prima MEGA: K. MARX, F. ENGELS, Historisch-kritische Gesamtausgabe. Werke, Schriften, Briefe, Frankfurt a. M. -Berlin-Moskau-Leningrad, Marx-Engels-Verlag, 1927-1935 – opera che però fu interrotta dopo l’uscita di soli 12 dei 42 volumi previsti. Nel 1975 fu inaugurata la MEGA2 (Berlino, Dietz), a sua volta sospesa nel 1990 e rilanciata grazie alla costituzione, da parte dell’Istituto Internazionale di Storia Sociale di Amsterdam e della Karl-Marx-Haus di Treviri, della Fondazione internazionale Marx-Engels, che nel 1998 ha ripreso a stampare presso l’editore Akademie di Berlino i volumi mancanti (a oggi sono disponibili 59 dei 114 volumi previsti).

3 M. MUSTO (a cura di) Sulle tracce di un fantasma. L’opera di Karl Marx tra filologia e filosofia, manifestolibri, Roma 2005.

4 C. Corradi, Storia dei marxismi in Italia, Roma, manifestolibri, 2005; Da Marx a Marx? Un bilancio dei marxismi italiani del Novecento, a cura di Riccardo Bellofiore, Roma, manifestolibri, 2007.

5
M. CINGOLI E V. MORFINO (a cura di), Aspetti del pensiero di Marx e delle interpretazioni successive, Unicopli, Milano 2011; C. ARRUZZA (a cura di), Pensare con Marx, ripensare Marx, Alegre, Roma 2008.

6
Si segnala a questo proposito il saggio di F. FROSINI, Da Gramsci a Marx. Ideologia, verità, politica, DeriveApprodi, Roma 2009.

7
M. MUSTO, Ripensare Marx e i marxismi, Carocci, Roma 2011.

8
K. MARX, F. ENGELS, Opere complete. XXII. Luglio 1870-ottobre 1871, a cura di Marco Vanzulli, La Città del Sole-Editori Riuniti, Napoli-Roma 2008.

9
K. MARX, F. ENGELS, Opere complete. XXXI. Il capitale, a cura di Roberto Fineschi, La Città del Sole, Roma 2012.
 
10 K. MARX, Antologia. Capitalismo, istruzioni per l’uso, a cura di Enrico Donaggio e Peter Kammerer, Feltrinelli, Milano 2007.
 
11 K. MARX, Il capitalismo e la crisi. Scritti scelti, a cura di V. Giacché, DeriveApprodi, Roma 2009.

12
S. PETRUCCIANI, Marx, Carocci, Roma 2009.

13
Ivi, p. 35.

14
Ivi, p. 65.

15
Ivi, cap. 6, La critica dell’economia politica, in partic. pp. 190-211.

16
N. MERKER, Karl Marx. Vita e opere, Laterza, Roma-Bari 2010.

17
Ivi, pp. 155-158.
18 Ivi, p. 159.

19
Cfr. D. FUSARO, Marx e l’atomismo greco. Alle radici del materialismo storico, Il Prato, Padova 2007; Id., Marx e la schiavitù salariata. Uno studio sul lato cattivo della storia, Il Prato, Padova 2007; Id., Bentornato Marx. Rinascita di un pensiero rivoluzionario, Bompiani, Milano 2009.

20
Dell’ampia produzione di Preve, segnaliamo in particolare: Marx inattuale. Eredità e prospettiva, Bollati Boringhieri, Torino 2004; Una approssimazione al pensiero di Karl Marx. Tra materialismo e idealismo, Il Prato, Padova 2007; Ripensare Marx. Filosofia, idealismo, materialismo, Ermes, Potenza 2007.
21 R. FINELLI, Un parricidio mancato, Bollati Boringhieri, Torino 2004.

22
Ivi, pp. 12-13.

23
Ivi, p. 304.

24
R. FINESCHI, Marx e Hegel. Contributi a una rilettura, Carocci, Roma 2006.

25
E. SCREPANTI, Comunismo libertario. Marx, Engels e l’economia politica della liberazione, manifestolibri, Roma 2007.

26
Ivi, p. 161.

27
L. BASSO, Socialità e isolamento: la singolarità in Marx, Carocci, Roma 2008.

28
M. TOMBA, Strati di tempo. Karl Marx materialista storico, Jaca Book, Milano 2010.


29
AA.VV., Lessico marxiano, manifestolibri, Roma 2008.

30
R. BELLOFIORE, Quelli del lavoro vivo, in Da Marx a Marx? cit., pp. 197-250: 199. Richiamiamo inoltre i contributi apparsi nei volumi curati dallo stesso Bellofiore: R. BELLOFIORE -R. FINESCHI (ed. by), Re-reading Marx. New perspectives after the critical edition, Palgrave Macmillan, Basingstoke 2009; H. J. BACKHAUS, Dialettica della forma di valore. Elementi critici per la ricostruzione della teoria marxiana del lavoro, a cura di R. Bellofione e Tommaso Redolfi Riva, Editori Riuniti, Roma 2010.

31
R. BELLOFIORE, Quelli del lavoro vivo, p. 237.

32
G. LA GRASSA, Gli strateghi del capitale. Una teoria del conflitto oltre Marx e Lenin, manifestolibri, Roma 2006.

33
G. LA GRASSA, Due passi in Marx. Per uscirne infine, Il Poligrafo,Padova 2010.


34
G. CARANDINI, Un altro Marx. Lo scienziato liberato dall’utopia, Laterza, Roma-Bari 2005.
 

 

 
 

BIBLIOGRAFIA
 
AA.VV., Lessico marxiano, manifestolibri, Roma 2008.
ARRUZZA C. (a cura di), Pensare con Marx, ripensare Marx, Alegre,Roma 2008.
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del lavoro, a cura di R. Bellofiore e Tommaso Redolfi Riva, Editori Riuniti, Roma 2010.
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FUSARO D., Marx e l’atomismo greco. Alle radici del materialismo storico, Il Prato, Padova 2007. Id.,
Marx e la schiavitù salariata. Uno studio sul lato cattivo della storia, Il Prato, Padova 2007. Id.,
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2007.
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SCREPANTI E., Comunismo libertario. Marx, Engels e l’economia politica della liberazione, manifestolibri,
 

 

Roma 2007.
TOMBA M., Strati di tempo. Karl Marx materialista storico, Jaca Book, Milano 2010.

 

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