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Una recensione su David Harvey

di Connessioni

Harvey, David: The enigma of Capital and the Crises of Capitalism, London: Profile, 2010, 296 pp.

Come funziona il sistema capitalistico e perchè accadono le crisi? È difficile, ma cruciale, provare a rispondere a queste parole, specie di questi tempi. Un buon tentativo di accettare la sfida è il libro di David Harvey, “L'enigma del capitale”.

Nel suo libro, Harvey prova a costruire una teoria delle crisi del capitalismo, in primis proponendo la sua visione del capitale come un flusso. Se questo flusso è interrotto, a causa dei limiti che il capitale incontra, descritti da Harvey nel prosieguo del libro, c'è una crisi, come quella che stiamo sperimentando oggi. Le crisi servono a riconfigurare il capitalismo, permettendo la sua sopravvivenza.

Dato che le crisi hanno accompagnato l'intera storia del capitalismo, è piuttosto chiaro che ci deve essere una contraddizione sistemica nel processo di accumulazione capitalistica. Harvey affronta la questione definendo il capitale non come un oggetto ma come un flusso, dove il denaro è costantemente mandato in cerca di altro denaro.

I capitalisti, sotto la pressione della forza della competizione, sono costantemente forzati a re-investire i profitti che essi eventualmente abbiano guadagnato. I problemi nascono quando il flusso si interrompe. L'11 Settembre ha fermato momentaneamente il flusso. Non fu sorprendente, allora, che il presidente Bush dedicasse tutto se stesso a riportare il flusso alla normalità.

Infatti, se lo stop si fosse prolungato, avrebbe probabilmente generato una crisi. La crisi, per Harvey, è definita come una condizione dove c'è un eccesso di capitale che non è capace di trovare opportunità di re-investimento profittevoli. Se la crescita non riprende, allora il capitale sovra-accumulato è distrutto, per permettere alla accumulazione di ricominciare. La crisi è vista dall'autore come un processo di aggiustamento strutturale che razionalizza le contraddizioni del capitalismo.

Perchè il flusso si interrompe? Nei suoi tortuosi percorsi il capitale può incontrare alcuni limiti, ad esempio secondo Harvey la mancanza di domanda effettiva che caratterizza questa crisi. Marx nei “Grundrisse” ha spiegato che il capitale non può superare un limite, ma lo deve trasformare in una barriera che deve essere aggirata. Analizzando il processo di produzione capitalista che è divenuto dominante a partire dal XVIII secolo-il capitalismo industriale-Harvey identifica sette barriere potenziali all'accumulazione capitalistica che possono rallentare, o perfino interrompere, il flusso e quindi causare delle crisi.

Inoltre, è sempre accaduto che il capitale, al fine di superare una di queste barriere, ne ponga un'altra davanti a sé. Questo è esattamente ciò che accadde negli anni '70 con la contro-rivoluzione neoliberista. Nata in risposta ai problemi nell'accumulazione del capitale e all'eccessivo potere raggiunto dal Lavoro nella bilancia dei rapporti di forza. La svolta neoliberista ha funzionato bene per il capitale per almeno 30 anni. Tuttavia, ha portato alla mancanza di domanda effettiva che, secondo Harvey, è stata una delle ragioni principali dietro la crisi attuale.

La resistenza attuata dai lavoratori nel processo lavorativo è uno degli esempi delle barriere che si oppongono alla accumulazione di capitale. Il modo di produzione capitalista coinvolge relazioni umane molto complesse. Un elemento di conflitto è insito in quello che Marx chiama “il segreto laboratorio della produzione”. Harvey argomenta che, contrariamente a quanto si pensi, è il capitale che di solito ha bisogno di lottare per disciplinare il lavoro. Infatti, è la classe capitalista alla fine dei conti che ha bisogno dei lavoratori, poiché la sua riproduzione dipende da essi.

Perciò, il capitale deve raggiungere una situazione che permetta la sua sopravvivenza. Ciò può accadere o tramite coercizione o tramite una via maggiormente cooperativa, a seconda dei rapporti di forza fra le due parti. Gli importanti risultati in termini di standard di vita raggiunti dai lavoratori nella “età dell'oro” del capitalismo, fra la fine della II Guerra Mondiale sono un esempio di che cosa organizzazioni dei lavoratori strutturate e potenti possano ottenere. Tuttavia, la svolta conservatrice degli ultimi 30 anni ha dimostrato che la classe capitalista può utilizzare una ampia gamma di tattiche per indebolire il lavoro. Di queste tattiche la più efficace è forse l'uso del “potere delle differenze sociali”, allo scopo di frammentare, e quindi indebolire, la classe lavoratrice. Harvey potrebbe avere derivato questa idea dallo storico marxista Giovanni Arrighi. Arrighi, in una intervista raccolta dallo stesso Harvey, aveva notato un difetto nel “Manifesto del Partito Comunista dei Lavoratori”. Quando Marx ed Engels affermarono che “le differenze di età e di genere non hanno alcuna validità di distinzione sociale per la classe lavoratrice”1 non sembravano essere consapevoli che i lavoratori spesso utilizzano le differenze di status (come quelle derivate dal genere o dall'etnia) per guadagnarsi un trattamento migliore da parte dei datori di lavoro. Perciò, per il capitale può essere conveniente utilizzare differenze di status a suo vantaggio. Comunque, qualunque sia la strategia usata dal capitale, le lotte del lavoro definiscono un “potenziale punto di blocco all'accumulazione di capitale che è perpetuamente presente”.

Tuttavia, la riproduzione del capitale non è un processo a-temporale. Perciò, è necessario introdurre alcune categorie temporali di analisi. L'autore identifica sette “sfere di attività” dialetticamente interrelate attraverso le quali il capitalismo si sviluppo. Ne sono un esempio le relazioni con la nature, o le strutture tecnologiche. Siccome la riproduzione del capitale e la circolazione devono avvenire attraverso queste sfere, è importante guardare ai movimenti di “co-evoluzione” che li caratterizzano. Una prospettiva che veda solamente una di queste categorie come determinanti, appare inevitabilmente come riduttiva. Un movimento in una di queste sfere probabilmente determinerà un cambio anche in una o più delle altre (per esempio, l'invenzione della macchina a vapore ha avuto un enorme impatto sull'ambiente). Comunque, le relazioni fra le sfere non sono causali e ciascuna di esse presente la sua propria evoluzione autonoma (ad esempio, la natura cambia solo parzialmente a causa delle azioni umani). Sviluppi ineguali fra queste variabili producono tensioni e pressioni sulle altre, il che può essere una fonte di crisi. Tuttavia, il capitale deve trovare un modo per organizzarle se vuole perpetuare la sua accumulazione, come ad esempio ha fatto in maniera vincente con l'instaurazione dell'ordine neoliberale a partire dagli anni '70.

L'accumulazione del capitale ha non solo una dimensione temporale, ma anche geografica. Come Harvey suggerisce, “la circolazione del capitale non avviene sulla capoccia di uno spillo”2 . Il processo di riproduzione del capitale e la crescita demografica hanno avuto un enorme impatto sulla natura, portando ad uno sviluppo geografico diseguale. Si potrebbe pensare che è impossibile tracciare una traiettoria evoluzionistica coerente sulla geografia del capitalismo che possa spiegare queste differenze e come esse influiscano sul capitalismo. Tuttavia, Harvey afferma che sia possibile identificare due principi che aiutano a fare luce su questo apparente caos.

Primo, come ho spiegato in precedenza, il flusso di capitale deve superare ogni barriera, includendo quelle geografiche, al fine di riprodursi. Come Marx ha spiegato nei “Grundrisse”: “Più sviluppato il capitale, più esteso perciò il mercato in cui circola, [mercato] che forma l'orbita spaziale della sua circolazione3”.

Ciò spiega il processo di “compressione spazio-temporale”, guidato dalle forze della competizione, che ha portato alla globalizzazione globale.

Secondo, dato che non è possibile sapere in anticipo se un'attività economica sarà di successo o no-siccome le leggi delle competizione operano ex post e non ex ante-il capitale è forzato a muoversi dovunque al fine di sfruttare i potenziali vantaggi dati dalle differenze di condizioni locali.

La globalizzazione ha accentuato questa caratteristica, poiché le imprese sono forzate a cercare perfino la più piccola differenza, allo scopo di procurarsi da essa un vantaggio competitivo. Perciò, lo sviluppo diseguale non è una barriera ai flussi di capitale ma, piuttosto, una componente chiave per la sua riproduzione. Se non ci sono differenze geografiche fra stati, allora è necessario crearle: ad esempio, i governi cercano di abbassare i salari allo scopo di attrarre i capitali stranieri.

Durante il capitalismo, la produzione di spazio e la urbanizzazione sono divenuti efficaci, benchè sottostimati dalla teoria, metodi di assorbimento del capitale sovra-accumulato. La ricostruzione di Parigi ad opera del Barone Haussman nel XIX secolo o la suburbanizzazione statunitense durante l'età dell'oro sono esempi di un buon modo di trovare investimenti profittevoli per una vasta quantità di capitale. Questi investimenti infrastrutturali sono sempre garantiti da debito. Questo può portare a problemi, come si può facilmente osservare durante gli attuali disordini economici che sono esplosi dal settore dei mutui. Certamente, data la volatilità del settore finanziario, questo “capitale fisso incorporato nel terreno” è esposto al rischio di subire un improvviso abbandono e conseguentemente una de-valutazione. Inoltre, questo processo implica un alto rischio di “distruzione creativa”, tramite la violenza o metodi più subdoli (come il disciplinamento usato negli anni '70). Questo, di solito,accade alle spese della parte più debole della società. Tuttavia, gli investimenti sulla terra possono portare ad una tensione fra rentiers e gli altri capitalisti, dato che i rentiers hanno la possibilità di alzare gli affitti sui luoghi di produzione. Questa può essere un'altra fonte di tensione che mette pressione sul sistema.

Il problema di che cosa fare in un simile sistema che abbia la caratteristica intrinseca di provocare crisi è argomento attuale a causa della crisi in cui viviamo. Harvey sostiene che il capitalismo sia indubitabilmente capace di superare la attuale depressione, e che la classe capitalista sia in grado di riprodurre il suo potere, nonostante tutti i possibili ostacoli. Chi sopporterà il peso della sua riproduzione sarà la gran parte della popolazione mondiale le cui condizioni di vita dipendono da un salario. Tuttavia, ciò non significa che questo sia l'unico risultato possibile della crisi. L'etimologia della parola “crisi” , dal greco “krino”, contiene il significato di “punto di svolta”. Harvey, parafrasando Lenin, domanda “che fare, e chi lo farà?”. Secondo l'autore, ciò che dobbiamo fare è sviluppare un'alternativa che produce il controllo sociale sopra “la produzione e la distribuzione di plusvalore”4 .

Ciò non sarà raggiunto senza un movimento co-rivoluzionari che coinvolga tutte le sette sfere di attività che ho richiamato sopra, come accaduto durante la transizione dal feudalismo al sistema capitalista. Qui giace uno dei maggiori fallimenti dei tentativi di costruire un'alternativa al capitalismo. Non c'è stato nessun tentativo, per esempio, di creare forme tecnologiche di comunismo o relazioni non distruttive con la natura. Come Harvey ha dimostrato attraverso il suo libro, il capitalismo è perpetuamente una forma. Coloro che desiderino cambiarlo, pertanto, devono lavorare sulle contraddizioni dell'accumulazione di capitale e cerchino modi di trasformarlo in una configurazione differente.

Urge un'alleanza fra le forze sociali che trovano la loro ragion d'essere attorno ad una delle sfere di attività. Gli oppositori del capitalismo devono operare un cambio radicale dal proprio paradigma principale, la crescita infinita, per giungere al concetto più ampio di benessere (qui Harvey sembra richiamare la tesi del filoso Amartya Sen). Concetti come un radicale egualitarismo o il rispetto per la natura devono diventare principi-guida di un movimento anticapitalista. Data la situazione attuale, la transizione verso una nuova forma di socialismo o comunismo, che si muova lungo le linee delineate sopra, non è più impossibile da raggiungere. Tutto ciò può essere visto come utopico, ma deve essere fatto, perché “il capitalismo non cadrà mai da solo, deve essere spinto”5.

Non è facile avanzare delle critiche alle argomentazioni del Professor Harvey. Tuttavia, si può e si deve notare che l'autore non esplica in maniera chiara la sua opinione riguarda l'impossibilità di una crescita senza fine del capitale6. Forse l'autore avrebbe dovuto dedicare più spazio alla teoria Marxiana dal valore (che rimane, in qualche modo, nascosta nelle pieghe del libro) e conseguentemente anche alla caduta tendenziale del saggio di profitto. Ad essa invece Harvey dedica solo poche righe. Eppure Marx nel terzo libro del “Capitale” aveva attribuito al tasso di profitto il ruolo di forza guida del sistema di produzione capitalistico. Perciò una sua caduta può solo portare alla fine ultima del capitalismo7. Nonostante il dibattito sia ancora aperto sulla validità di questa parte teorica del lavoro di Marx (c'è chi, come Joseph Halevi, che ricorda come Marx dedichi forse più tempo a descrivere le controtendenze alla caduta che alla caduta stessa), un'analisi del problema da parte di Harvey sarebbe stata appropriata. Forse, come spiegato nell'articolo che abbiamo recentemente tradotto come “Connessioni”8, questa impostazione deriva ad Harvey dalla sua formazione culturale negli anni '70, in cui i pensatori e gli accademici marxisti hanno abbandonato alcune linee del pensiero marxiano per difendersi dalle accuse teoriche mosse loro (per una discussione più approfondita si rimanda all'articolo). Inoltre, benchè in misura minore che nel suo “Breve storia del Neoliberismo”, la analisi di Harvey riguardo la costruzione di un'alternativa al capitalismo rimane sfuocata, poiché offre solo alcune linee guida per l'organizzazione politica di una concreta opposizione ad esso.

Tuttavia, come afferma lo stesso Harvey nell'introduzione al testo, “se possiamo raggiungere una migliore comprensione del disastro e della distruzione al quale siamo tutti esposti, potremmo anche cominciare a sapere cosa fare”. Da questo punto di vista, il risultato raggiunto dal libro non è di poco conto.

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Note

1 Marx, K. & F. Engels (2004 [1848]). Manifesto of the Communist Party, traduzione mia.

2 Harvey, D. (2010) ibidem , pg. 159

3 Marx,K. (2009 [1857]) Grundrisse: Foundations of the Critique of Political Economy

4 Harvey, D. (2010) ibidem, pg. 228

5 Harvey, D. (2010) ibidem, pg. 260

6 Kunkel, B. (2011) How much is too much? , London Review of Books, vol. 33, nr. 3

7 Gattei, G. (2011) Storia del valore-lavoro, Giappichelli, Torino, p. 113

8 http://connessioni-connessioni.blogspot.it/2012/12/una-critica-david-harvey.html



BIBLIOGRAFIA Books

Gattei, G. (2011) Storia del valore-lavoro, Giappichelli, Torino.

Harvey, D. (2005) A Brief History of Neoliberalism. Oxford: Oxford University Press.

Marx,K. (2009[1857]) Grundrisse: Foundations of the Critique of Political Economy

Marx, K. (2010 [1867]) Capital. A Critique of Political Economy, Volume I

Marx, K. & F. Engels (2004 [1848]). Manifesto of the Communist Party


Fonti online:

“Reading Marx's Capital with David Harvey” , http://davidharvey.org/2008/06/marxs-capital-class-01/


Articoli da riviste:

Kunkel, B. (2011) “How much is too much?” , London Review of Books, vol. 33, nr. 3, pg. 76

Picchio, A. (2008) “ Denaro, lavori, corpi e responsabilità. Una crisi di sistema” , Quale Stato?,3/4, 27 –50.

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