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L’accusa di marxismo

Scritto da Diego Fusaro

Dall’11 al 28 luglio si tiene a Civitanova Marche un importante evento culturale, il cui nome è “Futura Festival” (www.futurafestival.it). Molti gli ospiti, tantissimi gli appuntamenti, tra cui Marc Augé, Achille Varzi e Lucio Caracciolo. Anche lo scrivente terrà un suo intervento, il 27 luglio alle ore 19:30, sul tema della società della fretta e della rimozione del futuro, a partire dal suo libro Essere senza tempo. Accelerazione della storia e della vita (Bompiani 2010, presentazione di A. Tagliapietra).

È curioso il fatto che sui blog si sia scatenata un’infuocata polemica contro la partecipazione del sottoscritto al Festival. Fusaro è marxista – si dice – e, in quanto tale, non è bene invitarlo a “Futura Festival”. Così su alcuni blog: “come la prenderà la quasi totalità dei civitanovesi (dati elettorali alla mano) – con il cui denaro si finanzia Futura Festival – che con il marxismo non si riconosce?”. E ancora: “Fusaro è invece un marxista dichiarato impegnato nella rivalutazione del pensiero di Marx. Invitarlo è una scelta sballata da un punto di vista culturale e politico”. Non ha, in effetti, senso rispondere a queste patetiche critiche, che offendono più l’intelligenza dei loro autori che non la persona del destinatario. E, tuttavia, alcune considerazioni possono essere utili per ragionare sullo statuto dell’ideologia oggi onnipervasiva, quale si manifesta nelle sue forme più grossolane e grezze nelle frasi poc’anzi riportate.

Che la nostra sia la società dell’equivoco, della chiacchiera e della curiosità, l’aveva già detto splendidamente Heidegger in Essere e Tempo e non vale la pena tornarci sopra.

Ora, è significativo che questi dotti e acuti critici sostengano che il sottoscritto sia un marxista, e lo facciano citando il suo libro Bentornato Marx!, che, per ironia della sorte, distingueva nettamente Marx dal marxismo… Dire, come fanno questi utili servitori di Monsieur Le Capital, che bisogna buttare a mare Marx perché responsabile dello stalinismo equivale a dire che bisogna congedare Cristo in quanto colpevole per le crociate! In Bentornato Marx! lo scrivente sosteneva la necessità di ripartire da Marx dopo il marxismo, e non certo di tornare al marxismo tout court. Questo passaggio – che anche un bambino può capire senza difficoltà – è sfuggito, evidentemente, ai dotti critici di cui sopra, inguaribili abitatori della notte in cui tutte le vacche sono nere.

Lo scrivente sa perfettamente che è inutile discutere seriamente con chi serio non è (sarebbero i famosi verba ventis): come si può criticare un libro o un autore senza averlo letto? È la domanda che lo scrivente pone ai suoi dotti critici, fieri detentori del monopolio delle definizioni. Egli non si è mai definito marxista, ma sempre e solo allievo indipendente di Hegel e di Marx. Chi leggesse con attenzione i suoi libri, anziché starnazzare scompostamente (offendendo anzitutto la propria presunta intelligenza), scoprirebbe anzi che molte sue tesi sono del tutto incompatibili con il marxismo, vuoi anche con quello più eterodosso: Marx idealista, ritorno allo Stato nazionale, abbandono della dicotomia destra-sinistra, ecc. Così, ad esempio, in Minima mercatalia. Filosofia e capitalismo (Bompiani). Dove sarebbe il marxismo dogmatico di Fusaro, dunque? E, comunque, sia detto per inciso, lo scrivente ritiene molto più offensivo essere qualificato come liberale che non come marxista, dato che i mali del nostro tempo provengono dal liberalismo e non certo dal morto e sepolto marxismo. Ma – lo ripetiamo – è inutile discutere con costoro, che parlano dei libri senza leggerli e criticano il pensiero senza conoscerlo.

Anche in questo, d’altra parte, risiede uno dei tratti che fa della nostra società quella che Hölderlin non avrebbe esitato a etichettare come una dürftige Zeit, un “tempo della povertà”, in cui i crimini di Stalin e dei comunismi novecenteschi sono ideologicamente utilizzati in vista di una integrale rilegittimazione del capitalismo, a prescindere dai crimini e dagli orrori di cui è esso stesso stato (e continua a essere) protagonista. Di più, sono impiegati per neutralizzare in partenza ogni possibile critica, subito liquidata come inevitabilmente stalinista. È questo l’odierno scenario dell’idiozia organizzata!

L’imperante “ideologia globale” si regge su un’automatica identificazione tra la critica radicale del capitalismo e l’approvazione a posteriori del defunto comunismo totalitario in tutte le sue varianti: in questo modo, sono esorcizzate in partenza tanto la possibilità di una critica del presente quanto la pensabilità di una società diversamente strutturata. Così anche chi, come lo scrivente, critica il capitalismo senza per questo aderire allo stalinismo, viene subito liquidato come stalinista! Il gioco è facile e costa poco in termini intellettuali (come già si diceva, anche un bambino potrebbe farlo). Questi sapienti Soloni che starnazzano contro Marx e il marxismo lo sanno? Ne dubito: l’ideologia, del resto, ha di tipico il fatto che, come l’alitosi, tutti pensano che ad averla siano sempre e solo gli altri. Del resto, su uno di questi blog viene citata una frase del libro dello scrivente, Bentornato Marx!: “la cosa fondamentale di Marx è che la critica in lui si lega a un progetto storico-filosofico di emancipazione dell’umanità e di riscatto dell’umanità stessa dai meccanismi repressivi di alienazione, sfruttamento e schiavitù del capitalismo”.

È vero, lo scrivente l’ha scritta e la sottoscrive in pieno, senza vergognarsene. La si cita per dire che sono cose false, in quanto marxiste, e dunque tali da dover essere tenute a debita distanza da “Futura Festival”. E dunque? Può la verità di un enunciato dipendere dalla sua fonte? Se una cosa la dice il marxismo diventa per ciò stessa falsa? Non spetterebbe piuttosto ai dotti critici dimostrare che è falso l’assunto di partenza, ossia che la nostra società è reificata e in preda alla disuguaglianza più oscena? Essi invece sembrano accettare tale assunto e non la conseguenza, ossia la necessità di far valere uno spirito oppositivo, e in questo modo si rivelano per quel che sono: utili alleati dello status quo, portatori dell’incoscienza felice che domina su tutto il giro d’orizzonte.

Il punto della questione sta tutto qui, e lo scrivente si rivolge direttamente ai suoi dotti critici. È sbagliato dire che alienazione e sfruttamento vanno denunciati e combattuti? O è sbagliato dire che esistono? Nel primo caso, si è conniventi: approvare l’esistenza delle ingiustizie significa essere, a nostra volta, ingiusti (per saperlo basta aver letto i Vangeli, senza spingersi al Capitale di Marx!). Nel secondo caso, significa essere ciechi o in cattiva fede: glielo dite voi ai disoccupati e ai giovani precari che le ingiustizie e lo sfruttamento non esistono? Glielo dite voi a chi lavora otto ore al giorno nei call centers che l’alienazione è un’invenzione del marxismo?

L’argomento dei dotti critici pare, in ultima analisi, potersi così compendiare: non bisogna invitare a parlare Fusaro, perché dice cose false in quanto marxiste. Infatti, dire che esiste lo sfruttamento o che c’è l’alienazione è, per i nostri critici, falso perché l’ha detto Marx, e poco importa poi se alienazione e sfruttamento esistano davvero! Non solo è falso, ma non bisogna neppure poterlo dire: dunque, non invitate Fusaro! Ancora più grave, poi, esortare – come fa Fusaro – a rifiutare le ingiustizie del capitale e cercare un’ulteriorità nobilitante! Bisogna adattarsi al tono del mondo, subendolo – magari fantozzianamente! – in tutte le sue forme. È quella che potremmo liberamente qualificare come l’“aporia di Popper”: il capitalistico regno animale dello spirito è il solo argine dell’open society contro i suoi nemici e, per poter svolgere questa funzione, deve chiudersi nella forma di una closed society, neutralizzando, in maniere sempre più prossime all’integralismo, la possibilità di pensare e perseguire modelli alternativi di società. Se non sei liberale, non hai nemmeno il diritto di dirlo! Se non accetti l’ingiustizia, devi essere allontanato e zittito! È quello che da tempo lo scrivente viene qualificando come il fanatismo del pensiero liberale. È questa l’essenza di quel pluralismo, oggi tanto encomiato, che dice al plurale sempre e solo la stessa cosa: questa in cui viviamo è la sola realtà possibile, la dimensione intrascendibile in cui permanere illimitatamente a livello sia reale, sia simbolico. E chi prova a dire che non è così, dev’essere subito zittito: non può che essere un marxista, un fascista, uno stalinista, un illiberale, ecc.

In conclusione, lo scrivente spera che il 27 luglio siano presenti all’evento anche i suoi dotti critici, in modo che si possa socraticamente discutere di tutto, senza pregiudizi e con spirito dialogico. Magari riusciranno anche a persuadere lui e l’uditorio che le ingiustizie, lo sfruttamento, l’alienazione, la disoccupazione e la miseria sono solo invenzioni perverse della sua mente marxista e che non hanno alcun riscontro nella realtà oggettiva.

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