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Dalla filosofia alla concezione materialistica della storia

Appunti per un'introduzione al materialismo storico e alla dialettica, n.1

Antiper

particolare VOLANTINO 8 marzopeg1236332427Del rapporto tra marxismo e filosofia hanno trattato tanti libri da riempire intere biblioteche. Il “dilemma” è ricondotto, in definitiva, alla questione, posta da tutti i filosofi “di mestiere”, dell’insufficiente, nascosto, frainteso o addirittura mistificato “statuto filosofico” del marxismo. Nel parlare di marxismo e filosofia si va da chi afferma che il problema del marxismo è quello dell’assenza di uno specifico spazio filosofico (Preve) a chi afferma che un po’ di buona filosofia c’è, ma bisogna depurarla da deformazioni economicistiche, storicistiche, umanistiche (Althusser), a chi sostiene che in Marx è posto in modo tutto sommato chiaro il problema ontologico fondamentale (Lukacs).

Come è naturale, i filosofi chiedono più filosofia. Così come, del resto, gli economisti chiedono più economia, i sociologi più sociologia, ecc… Molto raramente si ricorda che una delle conclusioni teoriche di Marx – giusta, o anche sbagliata che possa essere considerata – è quella del superamento della divisione disciplinare della conoscenza (si potrebbe dire, della divisione del lavoro nel campo della conoscenza) e l'adozione di un approccio olistico – diciamo, interdisciplinare -ai problemi che in genere vengono catalogati come “filosofici”, “economici”, “storici”, “sociali”, “psicologici”, ecc...

«il marxismo non si lascia collocare in nessuno dei comparti tradizionali del sistema delle scienze borghesi, e anche se si intendesse approntare appositamente per esso... un nuovo comparto chiamato sociologia, esso non vi rimarrebbe tranquillamente, ma continuerebbe a uscirne per infilarsi in tutti gli altri. “Economia”, “filosofia”, “storia”, “teoria del diritto e dello Stato”, nessuno di questi comparti è in grado di contenerlo, ma nessuno di essi sarebbe al sicuro dalle sue incursioni se si intendesse collocarlo in un altro»1.

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Più o meno tutti i filosofi “progressisti” criticano benevolmente Marx - il quale sta pur sempre sui manuali di filosofia, economia politica, storia, sociologia, ecc... -, ma riservano un ben diverso trattamento a Friedrich Engels che di Marx è stato per 40 anni amico fraterno e straordinario collaboratore. Ad Engels si rimprovera il supposto scivolamento positivistico verso la scienza e la sovrapposizione tra dialettica della storia e dialettica della natura. Più precisamente, il “reato” di Engels sarebbe quello di aver dichiarato la fine della filosofia come principale strumento di conoscenza e la sua riduzione a semplice teoria della conoscenza (gnoseologia) o addirittura a semplice teoria della conoscenza scientifica (epistemologia)

«La filosofia intera, nel senso che finora si è dato a questa parola, è finita. Si lascia correre la ‘verità assoluta’ che per questa via e da ogni singolo isolatamente non può essere raggiunta, e si da la caccia, invece, alle verità relative accessibili per la via delle scienze positive e della sintesi dei loro risultati a mezzo del pensiero dialettico. Con Hegel ha fine, in modo generale, la filosofia»2.

E' naturale: la fine della filosofia, sia pure enunciata in modo provocatorio, non può certo piacere ai filosofi i quali preferiscono lasciar correre le “verità relative accessibili per la via delle scienze positive e della sintesi dei loro risultati a mezzo del pensiero dialettico” -ciò che renderebbe molti di loro disoccupati -per correre dietro a verità -più o meno “assolute” -raggiunte, ovviamente, nel campo del più puro e indimostrato pensiero.

D'altra parte, la stessa ricostruzione - e rivendicazione – fatta da Engels nel suo piccolo saggio3 sulla giovanile rottura con Hegel e con i suoi epigoni è a tutti gli effetti un “atto filosofico” e questo vuol dire che esiste ancora uno spazio filosofico dopo la dichiarazione di morte della filosofia. Il punto è che la filosofia diventa solo uno dei diversi strumenti della conoscenza perché una conoscenza puramente filosofica, non supportata da altre forme di conoscenza – le scienze naturali e sociali, innanzitutto -, è una conoscenza che non conosce o che conosce solo in modo insufficiente.

E del resto che la natura stessa (e non solo il pensiero) sia pervasa dal movimento e che dunque solo attraverso la dialettica sia possibile coglierne la dinamica è cosa abbastanza semplice da mostrare. Prendiamo questo semplice esempio: sappiamo tutti che da un semplice seme può nascere una pianta che poi, a sua volta, può svilupparsi in albero. Ma chi direbbe che l'albero è solo un seme più grande o che il seme è un albero ancora piccolo? Chi direbbe che la differenza tra seme ed albero è una differenza solamente quantitativa?

L'albero e il seme sono due cose diverse, così come lo spermatozoo e l'adulto sono due “cose” diverse (diversamente il coitus interruptus equivarrebbe ad un omicidio volontario e a praticarlo si verrebbe arrestati e condannati all'ergastolo). Ma quando è successo che la “cosa” che prima era seme e poi è diventata albero ha cessato di essere seme ed ha iniziato ad essere albero? Senza un approccio dialettico che ammetta la contraddizione (tra “essere” e “non essere”, direbbe Amleto) rispondere a certe domande diventa impresa molto ardua.

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Nel 1857, redigendo l’introduzione a Per la critica dell’economia politica (che uscirà due anni dopo, nel 1859), Marx ricorda il periodo in cui lui ed Engels decisero di

«...mettere in chiaro, in un lavoro comune, il contrasto tra il nostro modo di vedere e la concezione ideologica della filosofia tedesca, di fare i conti, in realtà, con la nostra anteriore coscienza filosofica. Il disegno venne realizzato nella forma di una critica alla filosofia posteriore ad Hegel»4.

È una frase dell'Ideologia tedesca, un testo importante rimasto sostanzialmente inedito per molti anni (a parte alcuni brani) e pubblicato in modo rocambolesco dall'inizio del '900 (addirittura, le ultime 3 pagine rimaste inedite furono pubblicate nel 1962)5. Una frase che suggerisce due interessanti elementi di riflessione: il primo riguarda il fine (“fare i conti con la nostra anteriore coscienza filosofica”); il secondo riguarda il mezzo, l’occasione, lo spunto (la “critica alla filosofia posteriore ad Hegel”, ovvero la critica alla “filosofia critica” giovane-hegeliana e al materialismo feuerbachiano).

Marx riconosce che nella propria concezione (e in quella di Engels) è ormai giunto a maturazione un passaggio decisivo (quella che Althusser avrebbe poi definito enfaticamente una “rottura epistemologica”6) ovvero la comprensione che la trasformazione della realtà non può avvenire per effetto di una battaglia delle sole idee e che la base materiale -economica e sociale -è il vero terreno su cui si gioca ogni trasformazione. Bisogna dunque abbandonare il terreno esclusivamente filosofico (tanto più quello di matrice idealista che fa discendere la realtà da un'Idea che si colloca a priori rispetto ad essa) per abbracciare il terreno della lotta politica. È la prima Tesi su Feuerbach

“Il difetto principale di ogni materialismo fino ad oggi, compreso quello di Feuerbach, è che l'oggetto, il reale, il sensibile è concepito solo sotto la forma di oggetto o di intuizione; ma non come attività umana sensibile, come attività pratica, non soggettivamente7. E' accaduto quindi che il lato attivo è stato sviluppato dall'idealismo in contrasto col materialismo, ma solo in modo astratto, poiché naturalmente l'idealismo ignora l'attività reale, sensibile come tale. Feuerbach vuole oggetti sensibili realmente distinti dagli oggetti del pensiero; ma egli non concepisce l'attività umana stessa come attività oggettiva. Perciò nell'Essenza del cristianesimo egli considera come schiettamente umano solo il modo di procedere teorico, mentre la pratica è concepita e fissata da lui soltanto nella sua raffigurazione sordidamente giudaica. Pertanto egli non concepisce l'importanza dell'attività 'rivoluzionaria', dell'attività pratico-critica”

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In realtà gli studi di economia di Marx sono già iniziati da tempo ed hanno portato alla stesura di una serie di appunti (generalmente noti come Manoscritti parigini e successivamente definiti, appunto, Manoscritti economico-filosofici del 1844). In questi appunti Marx ha già maturato la propria idea fondamentale anche se la sua realizzazione pratica in quella fase (i “manoscritti”) è ancora largamente influenzata dai temi e linguaggi mutuati dal campo filosofico. Del resto, come scrive Althusser, anche le Tesi su Feuerbach, che costituiscono “l’estremo margine anteriore” della “rottura epistemologica” di Marx, lasciano trasparire “dentro la vecchia coscienza e dentro il vecchio linguaggio, e quindi in formule e in concetti per forza disequilibrati ed equivoci”, “la nuova coscienza teorica”.

Pur essendo sostanzialmente corretto affermare che è con l’Ideologia tedesca8con le Tesi su Feuerbach9 che Marx ed Engels portano a conclusione il superamento – l'aufhebung10 della propria vecchia concezione e cominciano ad incamminarsi verso e su quella nuova, è probabilmente altrettanto vero che i prodromi di questa transizione si delineano già in precedenza, proprio nei Manoscritti

“Attraverso il lavoro alienato l'uomo non genera soltanto il suo rapporto con l'oggetto e l'atto della produzione come con un uomo estraneo e nemico, ma genera anche il rapporto in cui altri uomini stanno con la sua produzione e il suo prodotto, ed il rapporto con cui egli sta con questi uomini”

“Generalizzato oltre i limiti del lavoro alienato – scrive Marx - sarà questo il concetto di rapporti di produzione e di struttura economica ('anatomia' della società civile). È un germe di enorme importanza. Non vi è infatti più bisogno di presupporre negli individui una misteriosa e metafisica 'qualità sociale'; essenza la cui 'oggettivazione' produrrebbe la società e le sue istituzioni. Basta constatare e presupporre il fatto empirico del lavoro umano associato (di individui, cioè, associati e cooperanti, in qualche modo, nella produzione e riproduzione della loro vita materiale) la cui origine non spetta alla filosofia bensì a scienze empiriche ricercare e ricostruire (nell'evoluzione dall'animale all'uomo), per rendersi conto delle forme della società, delle loro mutazioni e dei loro svolgimenti. Per contro, la diametrale contrapposizione di individuo e società risulta a sua volta erronea e metafisica: l'individuo quale lo conosciamo (a livello umano) è sempre sociale; cioè non esiste mai fuori del condizionamento dei rapporti sociali e delle strutture di base (famiglia, rapporti di produzione e loro intersecazioni) in cui i rapporti sociali si stabilizzano per lunghi periodi, evolvono o si rivoluzionano"11.

In sostanza, non c'è bisogno di ricorrere alla filosofia per osservare che gli uomini si uniscono in società e formano rapporti sociali che condizionano la loro coscienza e che possono essere studiati grazie alle scienze storiche e sociali. E allora, dalla Grande Domanda Ontologica “cos'è l'Uomo?” si può passare alla più semplice – ma più concreta - domanda “come è evoluto storicamente il modo attraverso il quale gli uomini hanno riprodotto la propria vita materiale?” e da lì, semmai, ricostruire il modo attraverso il quale gli uomini hanno pensato sé stessi ed hanno costruito le proprie rappresentazioni, le proprie idee.

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Note

1 Karl Korsch, Marxismo e filosofia, Sugar, Milano, 1968, pagina 87. Cit. in Nicola Abbagnano, Storia della filosofia, Vol.3, Cap.10 “Marx”.


2 Friedrich Engels, Ludovico Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca,
 Autoproduzioni, 2013, pag. 9.

3 Il Ludovico Feuerbach.
4 Karl Marx, Introduzione del 1857 a Per la critica dell’economia politica.
5 Marcello Musto, Vicissitudini e nuovi studi de «l’Ideologia tedesca», Critica marxista, n.6, 2004.
6 Louis Althusser, Per Marx, Mimesis edizioni, 2008, pag. 33 “Che cosa ne è della filosofia marxista? Ha teoricamente diritto all’esistenza? E se esiste il diritto, come definirne la specificità? Nella pratica questo problema essenziale si trovava inserito in un problema apparentemente storico, ma in realtà teorico: il problema della lettura e dell’interpretazione delle opere giovanili di Marx. Non è un caso se sembrò indispensabile sottoporre a un esame critico serio questi testi famosi, che erano stati sbandierati e utilizzati da tutti, questi testi apertamente filosofici in cui avevamo creduto, più o meno spontaneamente, di leggere la filosofia di Marx in persona. Porre il problema della filosofia marxista e della sua specificità a proposito delle opere giovanili di Marx significava per forza porre il problema dei rapporti tra Marx e le filosofie che egli aveva adottato o attraversato, quelle di Hegel e di Feuerbach, vale a dire porre il problema della sua differenza. Fu appunto lo studio delle opere giovanili di Marx a spingermi inizialmente alla lettura di Feuerbach e alla pubblicazione dei suoi testi teorici più importanti del periodo 1839-45... La medesima ragione doveva poi condurmi per forza di cose a studiare, nel particolare dei loro rispettivi concetti, la natura dei rapporti tra la filosofia di Hegel e la filosofia di Marx. Il problema della differenza specifica della filosofia marxista assunse così una forma tale da chiedersi se esisteva o no, nello sviluppo intellettuale marxiano, una rottura epistemologica tale che segnasse il sorgere di una nuova concezione della filosofia, e il problema correlativo del punto preciso di questa rottura. Nel campo di questo problema, lo studio delle opere giovanili di Marx assunse un’importanza teorica (esistenza della rottura?) e storica (luogo della rottura?) decisive.
È chiaro che, per asserire l’esistenza di una rottura e definire il luogo, non poteva trattarsi di accettare, se non come dichiarazione da dimostrare, invalidare o confermare, la famosa frase in cui Marx afferma questa rottura (“fare i conti con la nostra anteriore coscienza filosofica”) collocandola così nel 1845 in corrispondenza dell’Ideologia tedesca. Per provare i titoli di validità di questa dichiarazione c’era bisogno di una teoria e di un metodo: c’era bisogno di applicare a Marx stesso i concetti teorici marxistici in cui può venire pensata in generale la realtà delle formazioni teoriche (ideologia, filosofia, scienza). Senza la teoria di una storia delle formazioni teoriche, non si potrebbe in effetti cogliere e definire la differenza specifica che distingue due formazioni teoriche diverse. A questo scopo, ho creduto di poter riprendere da Jacques Martin il concetto di problematica per designare l’unità specifica di una formazione teorica e di conseguenza fissare il luogo di questa differenza specifica, e da Gaston Bachelard il concetto di “rottura epistemologica” per significare il mutamento avvenuto nella problematica teorica, contemporaneo alla fondazione di una disciplina scientifica. Che fosse necessario costruire un concetto e prenderne a prestito un altro, non implica affatto che questi due concetti fossero arbitrari o estranei a Marx; al contrario, anzi, si può dimostrare che sono presenti e operanti nel pensiero scientifico marxiano, anche se la loro presenza resta il più delle volte allo stato pratico. Con questi due concetti mi ero concesso quel minimo di teoria indispensabile a consentire un’analisi pertinente del processo di trasformazione teorica del giovane Marx e a giungere a una qualche conclusione precisa.
Mi sia consentito riepilogare qui, in forma estremamente sommaria, alcuni risultati di uno studio che si protrasse lunghi anni e di cui i testi che pubblico sono soltanto testimonianze parziali.
1) Una “rottura epistemologica” senza equivoci è chiaramente presente nell’opera di Marx, laddove Marx stesso la colloca, nell’opera non pubblicata mentre era ancora in vita, che costituisce la critica della sua antica coscienza filosofica (ideologica): L’ideologia tedesca. Le Tesi su Feuerbach, che non sono che poche frasi, segnano l’estremo margine anteriore di questa rottura, il punto in cui, dentro la vecchia coscienza e dentro il vecchio linguaggio, e quindi in formule e in concetti per forza disequilibrati ed equivoci, traspare già la nuova coscienza teorica.
2) Questa “rottura epistemologica” riguarda congiuntamente due discipline teoriche distinte. Creando la teoria della storia (materialismo storico) Marx, con un unico e medesimo gesto, aveva rotto con la sua coscienza filosofica ideologica anteriore e gettato le basi di una nuova filosofia (materialismo dialettico). Riprendo appositamente la terminologia consacrata dall’uso (materialismo storico, materialismo dialettico), per designare in una sola rottura questa duplice creazione.
7 “Der Hauptmangel alles bisherigen Materialismus (den Feuerbachschen mit eingerechnet) ist, daß der Gegenstand, die Wirklichkeit, Sinnlichkeit, nur unter der Form des Objekts oder der Anschauung gefaßt wird; nicht aber als sinnlich menschliche Tätigkeit, Praxis; nicht subjektiv”. Da osservare che nella traduzione italiana tanto la parola Gegenstand quanto la parola Objekt vengono tradotte con lo stesso termine (“oggetto”), ma hanno un diverso significato. Nel primo caso (der Gegenstand) si vuole intendere ciò che sta davanti a noi come oggetto di analisi... Nel secondo caso (Objekts) si vuole intendere l'oggetto analizzato come cosa distinta e separata dal soggetto che lo analizza.

8 Scritta nel 1846 e pubblicata nel 1932, come i Manoscritti del ‘44.

9 Scritte nel marzo 1845 e pubblicate nel 1886 da Engels nella rivista di Kautsky, Neue Zeit,
 contestualmente al saggio Ludovico Feuerbach e il punto d'approdo della filosofia classica tedesca.

10 Dizionario di filosofia Treccani: “Aufhebung Sostantivo ted. dal verbo aufheben, che ha duplice significato di «togliere via, eliminare» e di «sollevare, conservare». Con questo termine Hegel esprime il carattere peculiare del processo dialettico, il quale «nega», «supera» un momento, una categoria, ecc., e, al tempo stesso, lo «eleva» e «conserva» in un ulteriore momento, in un’ulteriore categoria, che quindi ne è l’inveramento e il completamento. La negazione dialettica di un momento ne annulla dunque soltanto l’immediatezza, e in effetti lo riafferma e lo compie in un grado superiore di svolgimento”.
11 Cesare Luporini, Introduzione a Karl Marx – Friedrich Engels, Ideologia tedesca, Dalla filosofia alla scienza, pag. XVI, Editori Riuniti, 2000.
 

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