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sinistra

Verso la metamorfosi completa dell'“operaio” sociale

Karlo Raveli

marx cortandose las uñas del pieLe riflessioni di Andrea Fumagalli in “Per una metamorfosi della rappresentanza e del conflitto sociale” segnano a mio modo di vedere, anche se non ho una conoscenza esaustiva del processo teorico in corso in Italia, un passo decisivo verso la ricomposizione teorica su/della classe operaia. In sé, visto che il “per sé” è ancora un po' lontanino.

Detto in parole povere, ci stiamo finalmente avviando verso il funerale della “classe lavoratrice”. Anche se nel general intellect è tutt'ora dominante quel linguaggio (come Sistema Operativo) “marxista” ereditato dai primordi della lotta di classe nel capitalismo, quando la classe operaia, classe radicalmente antagonista del modo di sviluppo – che comprende la produzione... - capitalista, venne “scambiata...” con il suo settore lavoratore salariato, industriale oltretutto, con tutte le fatali conseguenze che tutt'ora sopportiamo.

Tant'è che lotta di classe operaia non è ancora, mai soggettivamente, esistita sul pianeta Terra.

Marx indicò in modo definitorio e categorico l'origine e il principio delle classi nell'attuale sistema sociale. È nella contraddizione fondamentale del capitalismo, tra appropriazione privata (sotto tutte le sue forme, le attuali ancor più) e carattere sociale della produzione e attività umana, che prendono corpo i due campi sociali radicalmente antagonisti. Quindi: non solo nello sfruttamento, alienazione e poi coscienza di classe. Il termine operaio, e classe operaia, non comprende solo il suo settore – oggi sempre più minoritario - degli sfruttati salariati, tanto più se fissi e stabili nella struttura produttiva “classica”.

Ma certo, Andrea Fumagalli, “la condizione di precarietà è condizione strutturale e collettiva di vita”, ma fin dalle origini della realtà di classe. È la manifestazione, con l'alienazione/costrizione capitalista del lavoro salariato, della concretezza e oggettività di tutta la classe. È la precarietà organica dell'operaio studente in formazione, passando per quella della riproduttrice familiare, o evidentemente dell'emigrazione, della mobilità “interna” o delle frange autonome, precarie, “costituite e istituzionalizzate”, o intermittenti e stagiste, in rapporto o sommate alle truppe stabili della “composizione tecnica e politica del lavoro”. Per poi finire con la precarietà del pensionamento condizionato generale e di tutti i tipi di vittime inferme, fisicamente e mentalmente sconvolte dal sistema!

Ma, come ben dici, “l’allargarsi definitivo della condizione precaria non è (ancora) riuscito a stare al centro dell’azione diretta dei movimenti se non come semplice corollario” proprio per quel terribile virus lavorista, quell'orrendo cancro operaio nella lotta di classe che, senza volerlo..., ci ha trasmesso il caro compagno treviriano al momento di applicare nella politica del suo tempo, agli inizi dell'industrializzazione, con i suoi molto discutibili “eserciti di riserva”, la sua stessa definizione ben diversa dell'assoluto operaio. E da lì, nonostante il rispettosissimo (troppo) sforzo disinfettante del genero Paul Lafargue, il movimento comunista ne ha raccolto il contagio: classe lavoratrice.

Una merda giudeo-cristiana, tipicamente alemanna, anche se allora storicamente realista!

Si, operaio, inteso al massimo come operatore di comunismo, in quanto elemento di classe per sé. Non come surrogato di lavoratore. Operaio: depuriamo il nostro linguaggio una buona volta. Operaio in formazione, riproduttore, lavoratore intermittente, migrante o pensionato o LAVORATORE come ingranaggio più o meno fisso (sempre meno) dalla “composizione tecnica e politica del lavoro”.

Questa è la pura impostazione del rapporto K/Arbeit, ma non la esclusiva della plusvalorizzazione industriale, o poco più... ...visto che la PROPRIETÀ è assolutamente determinante e generale nel rapporto di classe, e non solo dei mezzi di produzione, ma di tutti i cosiddetti beni comuni. Cominciando ora dalle TIC e internet.

Classe operaia alienata, classe espropriata, classe sfruttata (in parte, “ufficialmente” nella produzione più o meno classica) e quindi per “organizzare e lanciare una fase offensiva sui temi del lavoro e del reddito” non possiamo partire unicamente dalla cosiddetta fabbrica. Leninista, fordista, toyotista, virtuale, logistica, cognitiva o tutto quel che si voglia. Perché la fabbrica capitalista essenziale è ormai alla vista di tutti come situazione biopolitica generale, di biopotere di classe, nel cosiddetto capitalismo cognitivo globalizzato.

Sono completamente d'accordo: “1: La condizione precaria è una condizione generale, strutturale e esistenziale”. Però “2: La precarietà è oggi la condizione lavorativa da cui origina la produzione di ricchezza” non è del tutto corretto: la precarietà è invece la condizione OPERAIA GENERALE, “da cui origina la produzione di ricchezza”, perché dietro, sotto e sopra la “composizione tecnica e politica del lavoro produttivo” esiste una precarietà originaria, di classe operaia precaria, nel suo insieme e nella sua essenza come classe. Poiché espropriata e alienata nel e dal sistema in tutti i modi. (A parte determinati settori capitalizzati della classe, ma di questo parleremo più avanti, soprattutto a proposito delle false “classi medie”, per esempio).

Infatti, se come da anni ormai studiano e affermano molti compagni marxiani, soprattutto italiani, e come scrive per esempio A. F. che (3.) “la produzione di valore si fonda oltre che sulla messa a lavoro della vita anche sull’eterogeneità delle condizioni produttive, ovvero è la differenza (di genere, di formazione, di etnia, di preferenze) che crea (plus)valore”, visto che (2.) “il processo di sussunzione reale tipica del fordismo ha lasciato spazio a uno rapporto di sfruttamento che fa perno su una sussunzione vitale, come processo sinergico di sussunzione reale e, soprattutto, formale (non semplice sommatoria)”, mi chiedo cosa debba succedere, compagni comunisti..., affinché non si concretizzi in termini scientifici di campo operaio, o classe, tutto l'insieme sociale che subisce la sussunzione vitale. Come classe, come campo, dove in termini quantistici la coerenza di campo è definita (molto semplicemente...) dalle coordinate della contraddizione fondamentale del sistema o modo di sviluppo ormai globale.

 
Organizzazione della ricomposizione di classe

Nel testo che sto terminando “Per una riscossa operaia generale contro l'attacco globale. Ricomposizione sociale e lotta comunista” sto proprio trattando la questione dell'organizzazione. Vedremo chi me lo pubblica. Ma A.F. non solo “la nuova composizione tecnica del lavoro non si traduce così in una composizione politica in grado di dettare i tempi della lotta, le forme della rappresentanza e quindi le modalità del conflitto”, e pure o soprattutto, non solo “non c’è quindi una ricomposizione della forza lavoro attivata da una unica condizione lavorativa imposta dall’esterno”, quando non siamo ancora arrivati a ridefinire l'intuizione “operaio sociale” in termini di classe, di assoluto e generale campo operaio.

Cioè quando continuiamo a confondere operaismo con lavorismo, nonostante la storica intuizione a tutta pagina del “Rifiuto del lavoro” del lunedì di PO, per esempio :-)

In fondo ancora prigionieri della repubblica del cazzo fondata sul lavoro. Salariato. Sfruttato.

Perché, se “l’organizzazione politica, in questa fase, sembra non poter prescindere dall’utilizzo di strumenti innovativi, a cui fino ad ora non si è fatto ricorso, come i percorsi autocoscenziali, che possono trarre ispirazione dalle lotte biopolitiche dei movimenti femministi”, è proprio a causa dell'incapacità di assumere la maggior parte dei movimenti cosiddetti sociali come espressioni particolari di classe OPERAIA che questo ormai ingiustificabile ritardo storico si verifica.

Proprio di fronte alla maggior offensiva storica di classe capitalista: senza lotta di classe operaia. Classe operaia globale, tra l'altro. Ne parleremo.

Quindi invece dell'assurda in termini marxiani ricomposizione della “classe” lavoratrice direttamente ed esplicitamente sfruttata (= salariata), è solo a partire dalle primitive emergenze organizzate (autorganizzate, “autocoscenti” e persino autonome...) di tutte le espressioni sociali (OPERAIE) della contraddizione fondamentale marxiana (casa, trasporto, scuola, riproduzione, cure, salute, ecc.) che possiamo parlare di ricomposizione. Di processo di CLASSE PER SÉ.

Pertanto è ben vero che “lo sciopero è efficace (fa male) se (attiva) un processo di coinvolgimento e complicità che tracima la situazione puramente individuale (e settoriale di classe). (Ma) deve essere strumento di ricomposizione sociale sulla base di una piattaforma rivendicativa che va al di là della singola situazione di lavoro” per cominciare, ma non servirà alla lotta reale ed effettiva di classe come tale classe fino a quando non supererà la barriera lavorista e non entrerà in tutto il territorio dell'antagonismo di classe.

Ciò che ridurrà finalmente il sindacalismo dei lavoratori stabili del sistema a una espressione, a un movimento, a un aspetto (sempre decisivo, chissà, compagno Marx... ma che già a Vladimir gli puzzava) della lotta di classe in sé e per sé, ma soprattutto per sé. Unica negazione della negazione possibile.

Puro materialismo storico della tua bisaccia, mein Grosse Karl.

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