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giornale critico

Dialettica, oggettivismo e compenetrazione degli opposti

Il pensiero di Lenin tra filosofia e politica

di Emiliano Alessandroni

october 211. L'oggettivismo di Lenin e «la favola sciocca del libero arbitrio»

In uno dei suoi scritti giovanili più noti Lenin pone l'attenzione sulla prospettiva non-volontarista ed anticoscienzialista di Marx. Il fondatore del materialismo storico, egli afferma,

considera il movimento sociale, come un processo di storia naturale, retto da leggi che non solo non dipendono dalla volontà, dalla coscienza e dalle intenzioni degli uomini, ma che anzi determinano la loro volontà, la loro coscienza, le loro intenzioni1.

Lenin tende ad evidenziare, in questo come in altri passi, la natura circostanziale della volontà umana, il suo essere, ovvero, ontologicamente inscritta all'interno di reticoli e quadri combinatori, non meramente accidentali, che ne determinano la nascita e ne scandiscono lo sviluppo. Non sembra esser dunque sull'opposizione determinismo/volontarismo che si sia prodotta, sul piano filosofico, la rottura con la II Internazionale2. La prospettiva deterministica, invero, non viene mai respinta o esecrata dal futuro dirigente bolscevico: al contrario, essa costituirà l'unico punto di partenza dal quale egli, senza minimizzare la dimensione coscienziale del Für sich, riterrà possibile contrastare quei sedimenti di misticismo presenti all'interno del senso comune e coincidenti con la favola sciocca del libero arbitrio:

L'idea del determinismo, stabilendo la necessità delle azioni umane, rigettando la favola sciocca del libero arbitrio, non sopprime affatto la ragione o la coscienza dell'uomo, né l'apprezzamento delle sue azioni. Allo opposto, soltanto dal punto di vista del determinismo è possibile dare un apprezzamento rigoroso e giusto, invece di attribuire tutto ciò che si vuole al libero arbitrio3.

Si tratta di una critica radicale al soggettivismo, la quale, prima ancora che da Marx, Lenin desume da Hegel, la cui Scienza della Logica, descrive il Volere come Necessità inscritta nell'immanenza della Soggettività, come autoimpulso esternante dell'Oggetto, mediato entro se stesso, che si riflette in sé attraverso le proprie interne differenziazioni. La Volontà è volontà degli Esistenti, che costituiscono la concretezza e la determinazione dell'Essere. Ma gli Esistenti non sono autonomi in modo unilaterale ed esclusivo: essi sono invero unità di Autonomia ed Eteronomia, e accrescono la prima con l'aumento delle mediazioni di cui si compone la seconda. È all'interno di un tale circuito interattivo che va concepita l'esistenza della Volontà umana. Occorre comprendere, secondo Hegel, che «tutti gli Esistenti (Existierenden) formano un mondo di dipendenza reciproca e di connessione infinita tra Fondamenti e Fondati», che «gli stessi Fondamenti sono Esistenze (Existenzen), e gli Esistenti, a loro volta e secondo diversi aspetti, sono sia Fondamenti che Fondati»4.

Questa negazione del concetto di libero arbitrio inteso come Volontà indeterminata, che Lenin desume da Marx e da Hegel, è riscontrabile anche nel Me-ti di Brecht, preambolo concettuale alla pospettiva oggettivista che sorreggerà la Vita di Galileo (opera incentrata sulla differenza, o meglio sulla contraddizione, tra Oggettivo e Universale-Soggettivo, tra Certezza e Verità):

La fisica ha constatato che i corpuscoli infimi sono imprevedibili; i loro moti non si possono predire. Sembrano individui dotati di libero arbitrio. Ma gli individui non sono dotati di libero arbitrio: i loro moti sono difficili da predire o non si possono predire soltanto perché per noi ci sono troppe determinazioni, non perché non ce ne sia nessuna5.

Più o meno consapevolmente, fu nel solco di questa prospettiva che Albert Einstein criticò il principio di indeterminazione di Heisenberg e le teorie casualistiche connesse alla meccanica quantistica: «Trovo assolutamente intollerabile», afferma Einstein, «l'idea che un elettrone esposto a radiazione scelga di sua spontanea volontà non soltanto il momento di "saltare", ma anche la direzione del "salto"»: d'altro canto, prosegue lo scienziato, «non credo che Dio abbia scelto di giocare a dadi con l'universo»6. Il principio di indeterminazione di Heisenberg non spalanca, dunque, le porte al libero arbitrio, ma asserisce piuttosto l'aumento dell'incapacità umana di tener conto di tutte le variabili che soggiacciono dietro i fenomeni, tanto più quanto l'uomo si avventura nel mondo della microfisica, ove le variabili non svaniscono, ma si fanno sempre più impercettibili e sfuggenti.

La confutazione del libero arbitrio, d'altro canto, non cancella la libertà del singolo, né conduce l'individuo alla passività, come in un primo momento si potrebbe reputare e temere. La libertà non consiste invero nell'assenza di leggi che regolano la vita umana, ma nella conoscenza e comprensione soggettiva di quelle leggi, ciò che soltanto può consentire al Soggetto di non lasciarsi soverchiare dal carattere altrimenti imprevedibile e tirannico dei Processi. Ci insegna la Scienza della Logica che «la necessità non diventa libertà perché sparisca, ma solo perché la sua identità ancora interna viene manifestata»7. Non dunque la negazione delle Leggi, quanto piuttosto la loro conoscenza è ciò che consente al Soggetto di conferire efficacia alla propria azione, anziché smarrirla, come diversamente accadrebbe, entro un insieme caotico di eventi assolutamente imprevedibili ed enigmatici. Questa sembra essere, d'altro canto, la prospettiva di Lenin:

L'idea della necessità storica non compromette per nulla la funzione dell'individuo nella storia: tutta la storia si compone appunto delle azioni di individui che sono indubbiamente dei fattori attivi. La questione reale che sorge quando si deve giudicare l'attività sociale di un individuo, consiste nel sapere: in quali condizioni il successo è assicurato a questa attività? Quali sono le garanzie che questa attività non rimanga un atto isolato, sommerso in una marea di atti contrastanti?8

 

2. Dialettica e compenetrazione degli opposti

Nei Quaderni filosofici, cimentandosi con i principi di logica e di filosofia della storia, Lenin individua due concezioni dello sviluppo umano tra loro contrastanti: una prima che concepisce tale sviluppo «come diminuzione e aumento, come ripetizione», e una seconda, antitetica alla prima, la quale concepisce lo sviluppo in termini di «sdoppiamento dell'uno in opposti che si escludono l'un l'altro», e al contempo sussistenti all'interno di un «rapporto reciproco». Di queste due prospettive, afferma Lenin, nella prima «rimane in ombra l'auto-movimento, la sua forza motrice, la sua sorgente, il suo motivo (oppure questa sorgente viene trasportata all'esterno: Dio, soggetto, ecc.)», nella seconda «l'attenzione principale aspira appunto a conoscere la sorgente dell'auto-movimento9. Questa sorgente dell'automovimento è, naturalmente, la Contraddizione: struttura originaria che costituisce il motore interno di tutte le cose naturali e umane, nonché il principio stesso del Divenire. Eliminando questo motore interno, rimarrebbe soltanto la causa esteriore: i fenomeni avverrebbero, cioè, per la libera volontà di un Dio o di un Soggetto che dall'esterno delle cose, ubbidendo soltanto al proprio incondizionato piacere individuale, ne ordinerebbe e ne stabilirebbe l'andamento. Ma le cose che sottostassero alla libera volontà esterna non sarebbero di per sé libere, non avrebbero un fine interno, poiché sarebbero eterodirette, costrette a sottomettersi al fine altrui, rivelando, in sintesi, tutta la propria debolezza sostanziale. Il potere supremo interesserebbe, invero, soltanto il Soggetto volente (sia esso Dio o l'individuo), mentre l'Oggetto ad esso esterno, la Realtà, la Cosa, gli Essenti come Alterità, mostrerebbero tutta la propria impotenza. Per questa ragione, afferma Lenin, di queste due concezioni,

la prima...è morta, scialba, arida. La seconda è vitale. Soltanto la seconda fornisce la chiave dell'automovimento di tutto l'esistente; essa soltanto fornisce la chiave dei salti, della soluzione di continuità, della conversione nell'opposto, della distruzione del vecchio e della nascita del nuovo10.

Vediamo come accanto alla prospettiva immanente e oggettivista, già osservata nel precedente capitolo, Lenin introduca il principio di conversione nell'opposto, parlando quindi di «trapassi, digradamenti [e] connessione reciproca degli opposti»11. Si tratta anche qui di un principio desunto dalla Logica hegeliana, nelle cui pagine troviamo illustrata la legge di azione reciproca sotto le vesti di «una causalità mutua di sostanze presupposte che si condizionano», in maniera tale che «ciascuna è di fronte all'altra in pari tempo una sostanza attiva e una sostanza passiva»12. L'attività delle sostanze contrapposte non va tuttavia intesa come mero atto di volontà, bensì come Esserci stesso da cui scaturisce l'influenza: l'azione reciproca costituisce, in sintesi, una caratteristica ontologica, non un atto arbitrario. Si tratta, a ben vedere, di quel secondo principio della dialettica designato da Engels come «legge della compenetrazione degli opposti (Gesetz von der Durchdringung der Gegensätze13. Il pensiero dogmatico, viceversa, al quale Lenin si contrappone, aggrappato ancora com'è alla rigidità delle antinomie kantiane, privo di una visione dialettica ed elastica rispetto agli intrecci e ai mutamenti della realtà, non concepisce né la relazione degli opposti né la possibilità del loro compenetrarsi. Questi vengono piuttosto intesi, secondo la sua visuale, come monadi irrelate, fisse nella propria fisionomia identitaria, congelate entro un essenzialismo geloso e immutabile: rette parallele alle quali viene preventivamente negato qualunque luogo d'incontro e d'interscambio.

 
3. La variante politica del pensiero dogmatico e soggettivista: il moralismo piccolo-borghese

Gli elementi filosofici cardinali, ovvero le principali impostazioni culturali, verso cui Lenin scaglia inflessibilmente le proprie critiche, comprendono, come abbiam visto, il dogmatismo e il soggettivismo, la cui principale fisionomia prospettica possiamo sintetizzare nei seguenti termini:

1) Dogmatismo: gli opposti risultano privi di connessione e ontologicamente incapaci di compenetrazione.

2) Soggettivismo: il Soggetto determinato (l'individualità) appare pienamente libero di decidere la configurazione (formale e sostanziale) della realtà a proprio piacimento.

Questi due elementi filosofici, secondo Lenin, finiscono, perlopiù inconsapevolmente, per trovare un approdo anche sul piano politico, confluendo in quel tipico atteggiamento da egli designato come moralismo piccolo-borghese. Questi assume invero, nei confronti dei fenomeni storico-politici della realtà effettuale e dei suoi conflitti, la medesima impostazione mentale che, abbiamo osservato, soggettivismo e dogmatismo assumono in ambito filosofico.

 
4. Il moralismo piccolo-borghese di fronte alla coppia concettuale dittatura/democrazia

Se fissiamo l'attenzione, ad es., sulla coppia concettuale dittatura/democrazia, attorno alla quale si è molto discusso dopo lo scoppio della Rivoluzione d'Ottobre, ci accorgiamo come il moralismo piccolo-borghese riproduca l'atteggiamento dogmatico che rappresenta a se stesso gli opposti in questione quali essenze eterne, isolate l'una dall'altra, inclini, per disposizione ontologica, a respingere ogni forma di compenetrazione reciproca e ogni luogo d'incontro, in un aut aut esclusivo tra gli Essenti, che non permette alcun allentamento della morsa dicotomica (un sistema sociale si configura, in sostanza, per il moralismo, come o dittatoriale o democratico). Ma questa impostazione politica riproduce anche la variante soggettivista: l'instaurazione di un determinato sistema sociale (sia esso a carattere dittatoriale o a carattere democratico) dipende dalla libera volontà (dalla volontà incondizionata) del Soggetto che si trova a dirigere, in un determinato momento storico, un dato paese. Diversa si rivela, a tal proposito, la posizione di Lenin: «finché rimangono le classi», egli afferma, «finché la borghesia, rovesciata in un solo paese, moltiplica i suoi attacchi contro il socialismo su scala mondiale, questa dittatura è necessaria»14. Il dirigente sovietico non si affanna a negare il carattere giuridicamente dittatoriale dello Stato che sta formando, né esalta la forma dittatoriale in sé, ma presenta piuttosto questa come un fatto non-arbitrario, in sé necessario, dettato dalle specifiche circostanze oggettive che mantenevano la Russia in uno stato d'eccezione permanente, in uno stato d'assedio sofisticato e incessante da parte delle potenze che avevano preso parte alla prima guerra mondiale. Ma la necessità, ovvero la non-arbitrarietà della dittatura, viene espressa da Lenin nella convinzione che quel sistema sociale in via di sviluppo che egli si accingeva a consolidare in Russia, sotto la veste giuridico-politica formalmente dittatoriale, contenesse al proprio interno delle spinte profondamente democratiche in grado di riconsegnare alle masse operaie e contadine quella dignità umana, perduta sotto i feroci colpi della povertà, della fame, della disperazione e della guerra che la precedente dittatura, quella zarista, aveva loro imposto.

Per comprendere più adeguatamente la posizione di Lenin, che ad uno sguardo superficiale potrebbe apparire come simpatizzante nei confronti dei regimi dispotici, vale la pena osservare gli approfondimenti che nei Quaderni del carcere dedicherà Gramsci al concetto, per l'appunto, di dittatura. Quest'ultima, spiega l'intellettuale italiano sussumendola sotto la categoria di cesarismo, non sorge a causa di un'indole malvagia dei reggitori, per desiderio arbitrario di questo o quell'altro dittatore, ma risponde piuttosto a ben precise circostanze oggettive che, come una forza ineluttabile, travalicano tanto i buoni propositi quanto i malvagi intenti: «si può dire che il cesarismo o bonapartismo esprime una situazione in cui le forze in lotta si equilibrano in modo catastrofico, cioè si equilibrano in modo che la continuazione della lotta non può concludersi che con la distruzione reciproca»; in questi casi, spiega Gramsci, «la soluzione» viene «affidata ad una grande personalità»15, a «uomini provvidenziali o carismatici»16; si assiste pertanto, in questi casi, al determinarsi di una forte «influenza dell’elemento militare nella vita statale»; e tuttavia, ci tiene a specificare l'intellettuale sardo, questo non significa soltanto «influenza e peso dell’elemento tecnico-militare, ma influenza e peso dello strato sociale da cui l’elemento tecnico-militare (specialmente gli ufficiali subalterni) trae specialmente origine»17. Il cesarismo, d’altronde,

non ha sempre lo stesso significato storico. Ci può essere un cesarismo progressivo e un cesarismo regressivo, e il significato esatto di ogni forma di cesarismo, in ultima analisi, può essere ricostruito dalla storia concreta e non da uno schema sociologico. È progressivo il cesarismo quando il suo intervento aiuta la forza progressiva a trionfare, sia pure con certi compromessi limitativi della vittoria; è regressivo quando il suo intervento aiuta a trionfare la forza regressiva, anche in questo caso con certi compromessi e limitazioni, che però hanno un valore, una portata e un significato diversi che non nel caso precedente […] Si tratta di vedere se nella dialettica “rivoluzione-restaurazione” è l’elemento rivoluzione o quello restaurazione che prevale, poiché è certo che nel movimento storico non si torna mai indietro e non esistono restaurazioni “in toto”18.

La visione di Gramsci in merito al cesarismo può essere sintetizzata in due punti fondamentali che, come vedremo, costituiscono di per sé una opposizione prospettica nei confronti di quella stessa impostazione filosofica, soggettivista e dogmatica, precedentemente criticata da Lenin:

1) in primo luogo, Gramsci registra l'esistenza di una serie di circostanze storiche, oggettive, identificate nell'equilibrio delle forze sociali in lotta, all'interno delle quali la scelta tra la tipologia di sistema da instaurare non ricade tra tutte le varianti conosciute o congetturabili, ma, per forza di cose, soltanto entro la cerchia stessa del cesarismo: pertanto, in rari casi le circostanze storiche potranno consentire l'alternativa dittatura/democrazia, giacché il più delle volte l'alternativa riguarderà unicamente la tipologia di dittatura (progressiva o regressiva), che prenderà il sopravvento, a seconda del gruppo sociale a cui questa sarà legata, ovvero delle spinte emancipatrici o de-emancipatrici a cui darà origine, ciò che determinerà un significato profondamente diverso, o a ben vedere persino opposto, della stessa. Si tratta di una critica implicita al soggettivismo, che, ignorando la dipendenza del fenomeno dai rapporti di forze in gioco, attribuisce l'instaurazione di un regime democratico o dittatoriale ad un semplice atto di volontà.

2) In secondo luogo la categoria di cesarismo progressivo costituisce già di per sé una critica al dogmatismo che, ignorando il principio di compenetrazione degli opposti, non riesce a concepire come all'interno di un regime esteriormente dispotico possano nascondersi consistenti elementi di democrazia, né come nel sottosuolo di un regime formalmente democratico, possano aver luogo pratiche ferocemente dittatoriali. Se per il pensiero dogmatico dittatura e democrazia costituiscono due opposti ai quali è preclusa ogni possibilità di reciproca compenetrazione, per il pensiero dialettico di Gramsci non suscita alcuno scandalo né costituisce un ossimoro parlare di dittature democratiche (cesarismi progressivi) o di democrazie dittatoriali (al cui concetto il pensatore sardo alluderà spesso nei Quaderni allorché prenderà in esame l'interno funzionamento dispotico di quelli che definisce regimi rappresentativi)19. Il soggettivismo e il dogmatismo, contro cui si sviluppa il pensiero di Gramsci, costituiscono la nervatura di quel moralismo piccolo-borghese preso di mira da Lenin negli scritti più prettamente politici: «Dal punto di vista borghese volgare», afferma con toni critici il dirigente russo, «il concetto di dittatura e il concetto di democrazia si escludono l'un l'altro»20.

 
5. Il moralismo piccolo-borghese di fronte alla coppia concettuale capitalismo/socialismo

La medesima dialettica alla quale abbiamo assistito in riferimento alla coppia concettuale dittatura/democrazia è possibile altresì riscontrarla in riferimento al binomio capitalismo/socialismo. Anche in questo caso l'atteggiamento del moralismo nei confronti di tale problematica rivela la propria struttura dogmatica e soggettivista: gli opposti non si compenetrano e vengono interamente stabiliti per mera volontà individuale. Profondamente distante risulta, anche questa volta, la prospettiva di Lenin. Nonostante egli assuma, come noto, l'ottica ideale del socialismo, l'ottica, in sostanza, della forza che intende superare lo stadio capitalistico dell'umanità, nelle Tesi per il rapporto sulla tattica del Partito Comunista, egli si esprime in questi termini:

La libertà di sviluppo del capitalismo … non è affatto spaventosa per il socialismo...Al contrario, lo sviluppo del capitalismo controllato e regolarizzato dallo Stato proletario (ossia del capitalismo di Stato) è conveniente e necessario in un paese a piccola economia contadina, arretrato ed estremamente rovinato, in quanto questo sviluppo è in grado di accelerare immediatamente la ripresa dell'economia agricola...Senza procedere ad alcuna denazionalizzazione lo Stato operaio dà in affitto determinate miniere, lotti di foreste, pozzi di petrolio, ecc. ai capitalisti stranieri, per riceverne attrezzature complementari e macchine, che ci permettono di accelerare la ricostruzione della grande industria sovietica21.

Un passo come questo, che presuppone la necessità di introdurre elementi di economia capitalistica all'interno della Russia sovietica, con l'intento non già di animare o consolidare un tale tipo di sistema, bensì di favorire lo sviluppo della sua Negazione, verrebbe senz'altro accolto dal moralismo (il cui pensiero procede per aut aut volontaristici), come un tradimento, come una conversione deliberata ai principi del sistema capitalistico.

Qualche cosa di simile si era verificato, all'interno dello stesso gruppo bolscevico, oltre che con l'introduzione della NEP, già al momento della firma del trattato di pace con la Germania. Le condizioni per l'uscita dalla guerra che l'Impero tedesco aveva imposto alla Russia furono, come noto, estremamente pesanti: Trotsky e Bucharin, contro la volontà di Lenin, si opposero alla firma del trattato, il quale venne recepito da molte parti come una cessione e persino una complicità nei confronti dell'Imperialismo teutonico. In quello scritto, divenuto presto noto, dal titolo L'estremismo malattia infantile del comunismo, Lenin ritorna in questi termini su tale questione:

Immaginate che la vostra automobile sia fermata da banditi armati. Voi date loro il denaro, il passaporto, la rivoltella, l'automobile. In cambio vi siete liberati della spiacevole compagnia dei banditi. Il compromesso esiste, senza dubbio. Do ut des (io dò a te il denaro, l'arme, l'automobile affinché tu dia a me la possibilità di andarmene sano e salvo). Ma è ben difficile trovare un uomo in possesso delle sue facoltà mentali che dichiari un simile compromesso inammissibile in linea di principio, o che proclami la persona che lo ha concluso complice dei banditi (anche se i banditi, installatisi nell'automobile, possono utlizzare la macchina e l'arme per nuove grassazioni). Il nostro compromesso con i banditi dell'imperialismo tedesco è stato simile ad un tale compromesso22.

Le circostanze oggettive all'interno delle quali è stata stipulata la pace di Brest-Litovsk, sta evidenziando qui Lenin, sono circostanze non libere, ma obbligate, riassumibili con la formula ricattatrice «o la borsa o la vita!». I numerosi territori che la Russia di Lenin ha dovuto concedere all'Impero tedesco per fuoriuscire dalla Prima Guerra Mondiale, costituirono in qualche modo la borsa che il socialismo fu costretto a consegnare al proprio avversario per preservare la propria stessa esistenza. Questo tipo di dialettica, che vede ciascun Essente costretto a mediarsi col proprio opposto, non riguarda, a ben vedere, soltanto la pace di Brest-Litovsk, ma caratterizza tutti i processi di emancipazione nel loro complesso e, con ogni probabilità, costituisce una costante dei processi storici in quanto tali. Lo stesso sistema capitalistico, invero, si è trovato a svilupparsi all'interno di tale circostanza: i diritti acquisiti all'interno di questo sistema, il superamento, quantomeno giuridico, della discriminazione sessuale, sociale e razziale, il Welfare, il diritto di sciopero, la maternità, la cassa integrazione, lo Statuto dei Lavoratori, costituirono in qualche modo la borsa che il sistema capitalistico fu costretto a concedere al mondo socialista, nonché alle spinte provenienti dal movimento operaio e comunista internazionale, per non rischiare di mettere a repentaglio, in ogni parte del globo, le condizioni del proprio stesso Esistere. Anche in questo caso assistiamo ad una compenetrazione degli opposti non prettamente intenzionale: l'universo capitalistico si è visto costretto a consentire, per attenuare le sue vacillazioni, la penetrazione di elementi di socialismo all'interno del proprio circuito sociale. Da uno sguardo retrospettivo e più attento, tuttavia, potrebbe sorgere la domanda se non sia stato, forse, proprio in virtù di questa maggior malleabilità che il sistema capitalistico ha saputo mostrare rispetto al proprio avversario, di questa maggiore attitudine, rispetto al proprio opposto, di lasciarsi da quest'ultimo compenetrare, assorbendone quindi le istanze principali e disinnescandone il potenziale offensivo, che il mondo occidentale a conduzione capitalistica ha potuto vincere la feroce e sofisticata battaglia della Guerra Fredda. Ad uno sguardo retrospettivo sembra, cioè, che il mondo capitalistico abbia saputo mostrare nella pratica un'attitudine dialettica ben maggione di quella che ha esplicitamente espresso nella teoria.

Di questa attitudine dialettica Lenin si è rivelato essere un acuto interprete e portavoce: lungi, invero, dal seguire i propri desideri ideali astratti, ha dimostrato di saper interrogare le circostanze oggettive della realtà concreta circa le strade necessarie da imboccare per il superamento dello stadio capitalistico: superamento che, egli comprese (a dispetto dello sconcerto avvertito dai nostri rigidi schemi concettuali), esigeva il passaggio per una serie obbligata di istanze capitalistiche. Ecco come il dirigente russo ha dialetticamente sintetizzato la questione:

È fuori di dubbio che tra il capitalismo e il comunismo vi è un determinato periodo di transizione. Esso non può non racchiudere in sé i tratti o le particolarità di ambedue queste forme di economia sociale23.

 

6. Conclusioni: la grandezza di Lenin e gli errori teoretici di Norberto Bobbio

Quanto osservato sin qui ci dimostra l'erroneità di Bobbio nel concepire il principio di compenetrazione degli opposti in chiave prettamente sincronica e non-diacronica, tale per cui nella «relazione tra [i] due termini» non potrebbe mai generarsi «un terzo termine»24. La compenetrazione degli opposti riguarderebbe in sostanza, per Bobbio, soltanto la relazione, il rapporto, il nesso, rimanendo estranea ad ogni forma di movimento, di svolgimento, di processo. Ovvero compenetrazione degli opposti e sintesi degli opposti costituirebbero due principi reciprocamente esclusivi: secondo Bobbio, invero, «la negazione della negazione è per Hegel la categoria generale di comprensione di tutto il movimento storico, mentre la teoria dell'azione reciproca non è che un capitolo della logica». Donde «l'assolutizzazione, compiuta da Engels, di un capitolo della logica» che avrebbe condotto ad una miscomprensione della dialettica25. Evidentemente Bobbio ha trascurato, in questo frangente, la relazione presente tra Scienza della logica e Fenomenologia dello Spirito (che Hegel stesso aveva sottolineato nell'Enciclopedia delle Scienze filosofiche), al punto da giungere a privare la Logica della sua referenzialità, degradandola ad una mera scienza del pensiero formale astratto, innalzando barriere insormontabili tra Pensiero ed Essere, nonché tra ordine logico ed ordine storico. Da quanto abbiamo osservato in relazione alle coppie concettuali dittatura/democrazia e capitalismo/socialismo, ci accorgiamo come non soltanto la legge dell'azione reciproca e della compenetrazione degli opposti non sia estranea al movimento storico, ma come in realtà, senza di essa, quest'ultimo risulterebbe di difficile comprensione, spalancando le porte al soggettivismo e al dogmatismo, ovvero a quella loro variante politica raffigurata dal moralismo piccolo-borghese.

Più chiare appaiono, dopo quanto osservato, le parole di Gramsci nei Quaderni del carcere, che evidenziano come «molti non riescono a calcolare quale mutamento storico sia avvenuto in Europa nel 1917 e quale libertà abbiano conquistato i popoli occidentali»26. Quanto ha prodotto Lenin in Russia, non è stata soltanto una rivoluzione politica e sociale, ma ha costituito, a ben vedere, «anche un grande avvenimento “metafisico”»27, che ha fatto progredire il pensiero filosofico europeo ed extra-europeo, ovvero «avendo fatto progredire la dottrina politica avrebbe fatto progredire anche la filosofia»28, ampliando di fatto la cultura, la coscienza collettiva e le categorie universali del pensiero nel loro complesso.

 

Note:
1 Lenin, Che cosa sono gli “Amici del Popolo” e come lottano contro i socialdemocratici?, in Id., Opere scelte, Editori Riuniti, Roma 1968, p. 32.
2 Questa rottura, sul piano filosofico, possiamo individuarla in due aspetti fondamentali: 1) il primo concerne la visione evoluzionista, meramente unilineare della storia, che caratterizza la prospettiva della II Internazionale, l'incomprensione, in sostanza, di quella categoria di salto qualitativo, di cui parla Hegel nella prefazione alla Fenomenologia dello Spirito e nella Scienza della Logica; 2) il secondo riguarda il modo meccanico e non-dialettico di concepire il rapporto struttura/sovrastruttura,:l'incomprensione, questa volta, del concetto di azione reciproca illustrato da Hegel nella Scienza della Logica e ben compreso, come vedremo, da Lenin, in rapporto non soltanto a queste determinazioni.
3 Lenin, Che cosa sono gli “Amici del Popolo” e come lottano contro i socialdemocratici?, cit., p. 25.
4 Hegel, Enciclopedia delle Scienze Filosofiche, a cura di Vincenzo Cicero, testo originale a fronte, Bompiani, Milano 2007, § 123, p. 283.
5 Bertold Brecht, Me-ti, il libro delle svolte, trad. di Cesare Cases, Einaudi, Torino 1970, p. 171.
6 Albert Einstein, e Max Born, Scienza e vita. Lettere 1916-1955, Einaudi, Torino 1973, p.108.
7 Hegel, Scienza della Logica, Vol II, Laterza, Bari 1974, p. 255.
8 Lenin, cit. p. 25.
9 Lenin, A proposito della dialettica, (Quaderni filosofici), in Id., Opere scelte in sei volumi, vol. III, Editori Riuniti, Roma, p. 602.
10 Ivi.
11 Ivi., p. 604.
12 Hegel, Scienza della Logica, cit. p. 253.
13 Friedrich Engels, Dialektik der Natur, in Karl Marx/ Friedrich Engels - Werke. (Karl) Dietz Verlag, Berlin. Band 20, Berlin/DDR, 1962, p. 348; trad. it., Dialettica della Natura, Editori Riuniti, Roma 1971, p. 77.
14 Lenin, Tesi per il rapporto sulla tattica del Partito comunista, in Id., Opere scelte, cit. p. 1595-96 (corsivo mio).
15 Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, Einaudi, Torino 2001, Q 9, 133 A, p. 1194 e 13, 27 C, p. 1619.
16 Ivi., Q 13, 23 C, p. 1603.
17 Ivi., Q 13, 23 C, p. 1608.
18 Ivi., Q 9, 133 A, pp. 1194-1195 e 13, 27 C, pp. 1619-1620.
19 Cfr. Ivi., Q 9, 13 A e Q 13, 30 C.
20 Lenin, Due tattiche della socialdemocrazia nella rivoluzione democratica, in Id., Opere scelte, cit., p. 415.
21 Lenin, Tesi per il rapporto sulla tattica del Partito Comunista, in Id., Opere scelte, cit., pp. 1591-92.
22 Lenin, L'estremismo malattia infantile del comunismo, in Id., Opere scelte, cit., p. 1395.
23 Lenin, Economia e politica all'epoca della dittatura del proletariato, in Id., Opere scelte, cit. p. 1337.
24 Norberto Bobbio, La dialettica in Marx, in Nicola Abbagnano (a cura di), Studi sulla dialettica, Taylor, Torino 1958, p. 232.
25 Ivi., p. 238.
26 Gramsci, cit. Q 6, 39 B, p. 714.
27 Ivi., Q 7, 35 B, p. 886.
28 Ivi., Q 4, 38 A, p. 465 e 13, 12 C, p. 1250.

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