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Sandro Mezzadra: Nei cantieri marxiani

di Girolamo De Michele

Sandro Mezzadra, Nei cantieri marxiani. Il soggetto e la sua produzione, Manifestolibri, 2014, pp. 158

IMG 3900 Karl Marx Kerzen2 1024pxIn questo testo, definito dall’Autore un “piccolo libro”, viene proposta un’interpretazione del pensiero di Marx che prende congedo dal “sistema-Marx”, e più in generale da ogni tentativo di sistematizzare e “accademicizzare” il filosofo di Treviri, seguendo un consiglio di lettura di Michel Foucault, che nelle letture orientate a “far funzionare Marx come un autore” vedeva un misconoscimento della “rottura che ha prodotto” (p.7). Il taglio interpretativo di Mezzadra mette al centro la questione della “produzione di soggettività“, espressione che ha sempre un duplice significato, poiché rimanda sia ai processi di assoggettamento che a quelli di soggettivazione. Il libro, scaturito da un corso universitario, ha una densità teorica inversamente paragonabile alla sua mole: se da un lato taglia il campo delle interpretazioni, finendo per mostrare una sorta di biblioteca personale dell’autore; dall’altro, nel far proprio un metodo che deriva dal post-strutturalismo francese e dalle letture italiane dei Grundrisse, si confronta non solo con i temi foucaultiani, ma anche, in filigrana ma in aperta contrapposizione, con il pensiero di Heidegger. Nondimeno, l’origine discorsiva del testo gli conferisce una certa scorrevolezza di lettura, a dispetto della gravità dei temi: che, è bene dirlo subito, sono affrontati avendo sottocchio quello “stato di cose presente” la cui critica – e il cui rovesciamento – era per Marx il fine della filosofia.

Non di rado, annota in apertura Mezzadra, “le letture e gli usi più interessanti e creativi di Marx” si trovano “al di fuori del ‘marxismo’” (p.14); al di fuori, cioè, dei tentativi dottrinari di leggere nei testi marxiani una compiuta triangolazione fra una filosofia, una scienza e una politica: con le parole di Göran Therborn, “il classico triangolo marxista si è spezzato, ed è assai improbabile che lo si possa ricomporre” (p.15). Dal punto di vista testuale, la nuova edizione critica delle opere di Marx (Marx-Engels Gesamtausgabe, la cosiddetta MEGA2) “ci consente di apprezzare la frammentarietà ma anche la ricchezza di questo pensiero: e ci offre nuove chiavi di accesso a quelli che si possono definire con una certa precisione i cantieri marxiani” (p.19), nei quali molti sono i sentieri frammentari o interrotti, soprattutto per “l’enorme sproporzione tra quanto Marx ha scritto e quanto Marx ha pubblicato” (p.20). Si rafforza piuttosto l’ipotesi che nell’ultimo Marx “una serie di blocchi teorici si fossero presentati a interrompere l’ordine dell”esposizione’ (Darstellung) della critica dell’economia politica, imponendo a Marx una riapertura della ‘ricerca’ (Forschung)” (p.118) interrotta dalla morte, che ha lasciato i cantieri (e l’opera stessa) aperti.
Ma soprattutto, uscendo dal testo, occorre criticare (seguendo un’analisi di Giovanni Arrighi) l’idea, presente in Marx e sviluppata dal marxismo, che “alla tendenza del capitale a sfruttare la forza lavoro ‘come massa indifferenziata, senza specificità diversa da quella determinata dalla differente capacità di aumentare il valore del capitale’, corrispondesse un’analoga ‘tendenza del lavoro a mettere da parte le differenze naturali e storiche come mezzi per affermare individualmente e collettivamente un’identità distinta’” (pp.16-17). La storia e lo sviluppo su scala mondiale del modello capitalistico e delle lotte operaie hanno smentito questa previsione, mettendo il marxismo in difficoltà nell’elaborazione di strumenti teorici per comprendere, affrontare e contrastare la diffusione, anche all’interno del movimento operaio, di patriarcato, razzismo, nazionalismo, sessismo. Ricercare all’interno dei testi marxiani i temi della “produzione di soggettività” e i processi di soggettivazione significa fare i conti con questo problema: e riconoscere “l’esigenza di andare oltre ogni immagine del soggetto sfruttato (dunque del soggetto rivoluzionario) come soggetto omogeneo” (p.134), assumendo in pieno il valore euristico dell’interpretazione di Gayatri Spivak, secondo la quale “Marx è obbligato a costruire i modelli di un soggetto diviso e dislocato, le cui parti non sono continue e coerenti tra loro” (p.48).

Mettere in questione il soggetto e la sua produzione implica un confronto con la critica di quello che si suole chiamare “soggetto cartesiano” (sintagma verso il quale l’Autore dichiara la propria insofferenza), o meglio, per dirla con Husserl, dell’immagine dell’ego cogito come soggettività trascendentale; critica che ha nel Novecento in Martin Heidegger il suo più noto esponente. Mezzadra riconosce a questi il merito di aver contribuito in modo rilevante alla formazione di quella “costellazione anti- umanistica” entro cui si muoveranno Althusser e Foucault. Al tempo stesso, ad Heidegger viene imputato di “schiacciare su un unico autore, su un unico concetto, su un unico ‘movimento’ l’intera epoca moderna”, cancellando con un’unica mossa, attraverso sapienti strategie retoriche, “le potenti alternative e i violenti scontri” (p.26) che, anche dal punto di vista filosofico, hanno contrassegnato la modernità. Ma la “morte dell’uomo” non implica il tramonto del soggetto, quanto la sua riconsiderazione attorno ai due poli dell’assoggettamento e della soggettivazione, attorno ai quali, come su un’ellisse (per riprendere una nota figura foucaultiana), si determina la produzione di soggettività: il soggetto è, per l’Autore, “impensabile al di fuori di questo campo di tensione, è esso stesso prodotto in questo campo di tensione e di battaglia“, in un equilibrio che “non può essere ricomposto se non in figure provvisorie e instabili, sempre aperte alla possibilità di rottura tanto sul lato dell’assoggettamento quanto sul lato della soggettivazione” (p.27). La distanza tra l’impostazione heideggeriana e quella marxiana trova il suo banco di prova sul tema dell’estraneazione, che per Marx non si configura come una qualche gettatezza o costante della condizione umana, “ma l’esito di un insieme di rapporti che devono essere spezzati” (p.130), e che, in tutta evidenza, lo devono perché è possibile farlo: ciò fa di Marx non un pensatore della libertà – men che meno della libertà-per-la-morte –, ma della liberazione.

In pochi ma persuasivi passaggi, Mezzadra ripercorre “il problema delle condizioni non individuali dell’individualità, presente sotto traccia nel pensiero politico moderno fin da Hobbes” e “assunto con decisione da Hegel come tema fondamentale della sua riflessione” (p.34). Marx si inserisce nello spazio aperto dalla riflessione hegeliana, “sbarazzandosi di ‘uno dei più vecchi tabù della filosofia’ – ovvero della distinzione tra la praxis, l’azione ‘libera’, e la ‘poiesis‘, l’azione ‘necessaria’ per la soddisfazione delle necessità materiali (Balibar)” (p.36), innovando la tradizione del materialismo a partire dalla Prima tesi su Feuerbach, nella quale il materialismo viene criticato per aver concepito l’oggetto, la realtà “solo sotto la forma dell’obietto o dell’intuizione; ma non come attività sensibile umana, prassi; non soggettivamente” (p.37). Su questa strada, il materialismo marxiano individua l’essenza umana come “l’insieme dei rapporti sociali”; da questo tema, filosofico, si passa a quello, politico, della trasformazione degli uomini in astrazioni attraverso i dispositivi dello Stato e della proprietà privata. Questi temi si intrecciano con quello, machiavelliano, della misura degli spazi di possibilità o dei condizionamenti che si dànno per il soggetto costituito da un insieme di relazioni storiche e sociali, sul quale Mezzadra mette in luce le oscillazioni tra i diversi testi di Marx. Nondimeno la storia non ha un movimento lineare teleologicamente orientato, ma – come mostra l’analisi degli scritti marxiani sul 1848 – si scompone in diversi momenti di sviluppo, entro i quali è possibile individuare almeno tre storie: quelle, di lungo periodo, della moderna forma dello Stato e del capitale; ma, anche, “un’altra storia”, quella delle lotte e dei movimenti “subalterni” (termine che non è presente in Marx, ma che Mezzadra assume a partire da Spivak e Gramsci).

Decisivo, per lo sviluppo tanto filosofico quanto politico di questo pensiero, è l’assunzione del “mercato mondiale” come orizzonte, e la “tendenza” come “proprio vettore temporale privilegiato” a partire dai Grundrisse (p.57): la stessa “produzione di capitalisti e di operai salariati”, si legge nei Grundrisse, “è un prodotto fondamentale del processo di valorizzazione del capitale” (p.58). Questo perché il capitale “non è una cosa, ma un rapporto sociale tra persone mediato da cose” (p.59), e come tale riproduce nel mondo non soltanto merce e plusvalore, ma (Il Capitale, libro primo) “produce e riproduce il rapporto capitalistico stesso: da una parte il capitalista, dall’altra l’operaio salariato” (p.62). In altri termini, il capitalismo non è la logica di funzionamento di uno dei sistemi in cui si articola la società (quello economico), ma un rapporto sociale che “tende piuttosto a strutturare l’insieme della società con la propria ‘razionalità‘” (p.61).
A partire da questa scissione nella produzione di soggettività, Marx individua nel lavoro, definito come “vita che produce la vita”, la genesi di una pluralità di coppie concettuali attraversate anch’esse dall’antagonismo: “lavoro vivo e lavoro morto, lavoro presente e lavoro passato, lavoro astratto e lavoro concreto, forza lavoro e lavoro, lavoro produttivo e lavoro improduttivo, lavoro necessario e plusvalore, solo per ricordarne alcune delle più significative” (p.60). La produzione di soggettività è dunque attraversata da una pluralità di dispositivi e processi; a questo riconoscimento Mezzadra aggiunge la critica alla convinzione marxiana “secondo cui il modo di produzione capitalistico è caratterizzato da una tendenziale generalizzazione dello standard del lavoro salariato ‘libero’”: il più realistico riconoscimento, nel “presente globale” del capitalismo, di “una molteplicità di forme di regolazione e sfruttamento del lavoro dipendente impone di pensare quest’ultimo a partire dal dato di una costitutiva eterogeneità” (p.134). I campi di costituzione delle soggettività sono dunque “internamente ‘stratificati’, per via di una molteplicità di condizioni che intervengono a mediare e differenziare il rapporto che i singoli individui intrattengono da una parte con il denaro e dall’altra con la forza lavoro” (pp.95- 96): da cui le contraddizioni di genere e razza. Che non possono più essere considerate come “secondarie”, perché investono in modo potente lo stesso corpo, lo plasmano, lo costruiscono “all’interno di un campo di forze e di resistenze che si tratta di volta in volta di indagare” (p.96): un’indagine che rimanda al tema della liberazione e dei suoi processi che caratterizza il pensiero di Marx.

L’attualizzazione del pensiero marxiano non è certo un ritorno ai polverosi distinguo d’antan – non si tratta di stabilire cosa è vivo e cosa è morto in Marx, men che meno di liberarne il pensiero dagli aspetti scabri per farne una figura a tutto tondo, esemplare ma museale: il merito della proposta di Mezzadra è di collocare il filosofo e rivoluzionario di Treviri all’altezza dei problemi del capitale globale posti dal rapporto liberazione-soggettivazione, di intenderne gli strumenti concettuali come “un archivio di forme” ancora utile a leggere i conflitti determinati dall’espansione globale del capitalismo “definitivamente e materialmente pensato nella sua dimensione mondiale” (p.126). Nella consapevolezza che per i soggetti del tempo presente vale quanto il vecchio Marx osservava, “nel suo caratteristico impasto di tedesco e inglese”, per i muratori di Algeri: “dennoch gehen sie zum Teufel without a revolutionary movement, ‘e tuttavia sono fottuti senza un movimento rivoluzionario’” (p.127).

Questa recensione è stata pubblicata su Universa. Recensioni di filosofia – Anno 4, Vol. 1 (2015)

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