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Una repubblica fondata sull'ozio
In difesa di Keynes
di Luigi Cavallaro
Risparmio, austerità. Il mantra dell'Unione Europea ha valore per gestire un bilancio familiare, ma non indicano nessuna possibile uscita dalla crisi. Un percorso di lettura a partire da un volume dell'economista greco Yanis Varoufakis
«Ha una ricetta per salvare le casse dello stato?», chiesero una volta ad Alberto Sordi. «È una ricetta semplicissima», rispose l'Albertone nazionale: «Si chiama risparmio. Si prendono i conti dello stato e si dice per esempio: tu, magistrato, guadagni un milione al mese di meno; tu, deputato, due milioni di meno; tu, ministero, devi diminuire le spese per la carta, il telefono, le automobili (il che sarebbe anche positivo per il traffico e l'inquinamento), e così via, informando mensilmente gli italiani, alla televisione e sui giornali, dei risparmi ottenuti. Allora si potrebbero chiedere sacrifici a tutti: diventerebbe una gara a chi è più bravo».
Era il 1995 e c'era ancora la lira, ma quella ricetta di politica economica ha lasciato il segno. Si dovrebbe chiamarla Sordinomics, in omaggio alla lingua madre della «scienza triste», perché non c'è dubbio che ad essa si ispirano le prescrizioni dell'Unione europea e, qui da noi, il loro esecutore (alias l'esecutivo) e i suoi tanti corifei, che non mancano un solo giorno d'informarci non solo dei risparmi ottenuti, ma soprattutto di quelli che si potrebbero ottenere se solo non avessimo sul groppone una «casta» di nullafacenti affamati e corporativi.
Nel paese della banane
In effetti, è una constatazione di senso comune supporre che un individuo che si sia indebitato oltre il limite consentitogli dal proprio reddito debba ridurre i propri consumi e risparmiare di più per ripagare gli interessi e il capitale preso a prestito.
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Insolvenza di classe
di Gigi Roggero
Uno spettro si aggira per il mondo: l’insolvenza. In dicembre la Banca d’Italia ha rinnovato l’allarme: il 5% delle famiglie italiane che ha fatto un mutuo non riesce a pagarne le rate. La percentuale sale al 19% tra i disoccupati, a cui vanno aggiunti gli alti livelli di insolvenza tra precari e persone a basso reddito. Ma non è tutto: i dati sono ricavati da un’inchiesta del 2007, dunque è chiaro come il numero delle persone che non restituiscono i soldi prestati sia in vertiginosa crescita. La quota di insolventi rappresenta un record in Europa, ma com’è ampiamente noto il trend è europeo e globale. La crisi cominciata nel 2007 ha proprio in questo fenomeno un elemento fondante. Negli Stati Uniti sono figure molto specifiche quelle che – per pagarsi una casa, l’istruzione, l’assistenza sanitaria o la mobilità – hanno fatto ricorso ai subprime, da cui il nome dei mutui: disoccupati, donne single, molti afro-americani, latinos, ampi settori della working class e della middle class in rapida proletarizzazione. Nel frattempo, il debito studentesco – progressivamente ingigantitosi negli ultimi vent’anni – ha raggiunto livelli esplosivi. Per frequentare un’università si accumulano decine di migliaia di dollari, il che significa una drastica riduzione del salario monetario spesso prima ancora che esso sia effettivamente percepito. Il non ripianamento del debito in tutte le sue forme – per scelta e soprattutto per impossibilità – ha fatto saltare il sistema.
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Lo Stato in guerra
di Emilio Quadrelli
Note per una lettura della fase imperialista contemporanea
“La guerra è sviluppata prima della pace: modo in cui certi rapporti economici come lavoro salariato, macchinismo ecc., sono stati sviluppati dalla guerra e negli eserciti, prima che nell'interno della società borghese. Anche il rapporto tra produttività e rapporti di traffico diviene particolarmente evidente nell'esercito.” (K. Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica 1857 – 1858, Volume I)
Forse è ancora presto per dire se il 14 dicembre ha rappresentato un’autentica svolta e le masse sono tornate a essere prepotentemente protagoniste della scena politica. Alcuni indicatori, non solo il non ritiro della “Riforma Gelmini" bensì la sua approvazione ma, soprattutto, la decisione con cui Marchionne ha chiuso la “partita Fiat”, porterebbero a dire che i bagliori del 14 dicembre non sono ancora gli incendi di Mosca 1905. Così come, se non è del tutto certo che, la medesima data, possa passare alla storia come il 23 frimaio di Silvio Bonaparte è per lo meno ipotizzabile che le forze della controrivoluzione non sembrano essere state scosse più di tanto dagli avvenimenti di piazza. Resta, ed è un dato politico di grande importanza, che un movimento di massa, non ascrivibile unicamente al mondo dell’Università, ha rotto gli argini della pacificazione sociale.
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La società della miseria (2)* [nuova stesura]
Count Down
I. Diversamente da quanto solitamente immaginato, la politica non ha mai avuto alcun ruolo rilevante nelle società capitalistiche. Essa ha goduto dei favori della crescita economica un tempo (Golden Age) come è caduta in disgrazia quando si è entrati in una fase di pronunciato declino economico.
I. 1 Il tanto sbandierato "primato della politica" è stato un riflesso proprio della ingovernabilità dei processi economici - come la religione lo fu di quelli naturali - da quando l'economia è divenuta una dimensione sovra-determinante gli individui a tutti gli effetti, sicché quel "primato" nel contempo ha fatto da "visione del mondo" con cui gli apparati politico-istituzionali sorti col capitalismo hanno rappresentato e legittimato loro stessi, come un tempo, appunto, gli apparati religiosi
II. A partire in specie dal secondo dopoguerra, il capitalismo ha intrapreso una notevole fase di crescita economica, caratterizzata da consistenti investimenti in capitale fisso ed ampio incremento dell'occupazione. La crescita dei primi si è accompagnata - come sempre nella storia di questo sistema sociale - alla crescita della seconda.
III. In questa fase il capitalismo ha portato a compimento la sua più essenziale natura, quella di trasformare la popolazione in una massa di lavoratori salariati.
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I conflitti svelati nella società della conoscenza
Enzo Modugno
Il ministro Mariastella Gelmini non si sta sbagliando, al contrario, come tutti i suoi predecessori sta portando avanti il lungo processo di razionalizzazione capitalistica dell'istruzione, anche se la crisi ne mostra gli aspetti peggiori. Non sarà quindi una migliore riforma della scuola che potrà arrestarlo. Perché questo processo di razionalizzazione deve rendere permanente l'espropriazione capitalistica dell'intelligenza collettiva che costituisce oggi l'essenza stessa di questo modo di produzione, e non saranno i governi a fermarlo. Ma le lotte degli studenti e dei lavoratori, attaccandolo, possono riuscire a renderlo impraticabile.
Le conoscenze sono ormai le merci più diffuse, algoritmi che si vendono sul mercato mondiale, e anche il sapere, come le ferrovie, è stato privatizzato: è antieconomico produrre conoscenze nelle università statali e l'imprenditoria italiana non ha interesse a svilupparvi la ricerca. Le conoscenze sono merci come le altre, si possono comprare a prezzi migliori.
Il nostro sistema scolastico invece deve produrre qualcosa di più urgente per il buon andamento dell'economia: chi vede solo le cose prodotte non si accorge, ha scritto Marx, che i lavoratori sono un prodotto essenziale del processo di valorizzazione del capitale.
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Meno occupazione e stato in ginocchio con i tagli lineari
Domenico Moro
Il decreto legge 95 del 2012 prevede la riduzione della spesa pubblica di 26 miliardi in tre anni, di cui 4,5 nel 2012, 10,5 nel 2013 e 11 nel 2014. Per raggiungere questo obiettivo il governo Monti ha predisposto una spending review, che nell’intenzione dovrebbe favorire tagli non lineari ma selettivi, in modo da mantenere inalterato il servizio erogato dalla P.A. La spending review prevede l’intervento su varie direttrici: la soppressione di enti, il tetto allo stipendio dei manager pubblici, le procedure d’acquisto per ridurre i costi di beni e servizi, il riordino degli enti territoriali, la dismissione di immobili dello stato e la riduzione del personale. L’aspetto sicuramente più grave della spending review è la riduzione del personale statale. Il 25 settembre è stata adottata la circolare firmata da Patroni Griffi, il ministro della P. A. La riduzione prevista è del 20% sul costo delle dotazioni organiche del personale dirigente e del 10% del personale non dirigente, in pratica decine di migliaia di persone.
La gestione verrà centralizzata presso il Dipartimento della Funzione pubblica. Le singole amministrazioni dovranno inviare le proposte di tagli entro il 28 settembre (enti pubblici e agenzie) e il 4 ottobre (amministrazione dello stato). Entro il 31 dicembre 2012 verranno quantificati i tagli e comunicata agli interessati la data di cessazione del rapporto di lavoro. Il Dpcm che metterà in mobilità i dipendenti è previsto entro il 31 marzo 2013, mentre entro il 31 maggio 2013 è prevista l’individuazione del personale da collocare in part time. Il provvedimento interesserà tutto il personale pubblico con l’eccezione del comparto sicurezza, il personale operativo operante nei presso gli uffici giudiziari e il personale della magistratura.
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Mettersi di traverso. Per una critica del biocapitalismo contemporaneo*
Sergio Bologna, Dario Banfi
Tutti i sistemi totalizzanti tendono a ridurre l’umanità a un insieme di corpi senz’anima, senza personalità, il capitalismo per primo e il biocapitalismo quasi ci riesce(1). Il problema sta nel rifiuto di subire, di sottomettersi, è l’eterno problema della libertà dell’individuo, qui sta il senso del discorso sulla coalizione. Ma la libertà non è scindibile dalla conoscenza e pertanto l’affermazione che l’informatica ha creato una diversa epistemologia significa che ha modificato i parametri del processo conoscitivo liberandolo in parte dalla dipendenza dell’insegnamento, del lavaggio del cervello, e dalla dipendenza dei procacciatori/manipolatori d’informazioni, aprendo lo spazio a una, seppur parziale e in permanente tensione, autonomia dell’individuo. Parlando il linguaggio dei simboli ha ridotto lo scarto tra la parola e i suoi effetti, il gesto e i suoi riflessi. Ha abbassato la statura dell’autorità, le ha tolto il piedestallo, contribuendo in questo senso alla de-professionalizzazione.
La nascita e lo sviluppo delle «nuove» professioni» avviene proprio nel periodo in cui questo passaggio di civiltà comincia a compiersi. Non hanno un percorso di formazione precostituito, non possiedono conoscenze alle quali corrisponde un ambito di giurisdizione ben definito, vivono di relazioni più che di competenze, la loro autorità è sancita dal mercato non dalle credenziali, a loro non servono i paludamenti del professionalismo, anzi sono d’impaccio. Ma il termine generico di «nuove professioni» comprende anche alcune antiche esercitate in maniera nuova o, per meglio dire, svolte in contesti di mercato talmente diversi da quelli che in origine le aveva viste nascere, che possono essere considerate «nuove».
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Pašukanis ieri e oggi. Una introduzione
di Carlo Di Mascio
Da Pašukanis e la critica marxista del diritto borghese, Phasar Edizioni, Firenze, 2013, pp. 268.
I.
Norberto Bobbio, in un saggio pubblicato nel 1954 dal titolo Democrazia e dittatura, osservava che gli enormi progressi, che l’Unione Sovietica stava in quel tempo compiendo in direzione di uno Stato fondato sul diritto, dovevano in gran parte essere ascritti alla cosiddetta «riscoperta del diritto», e ciò in particolare per merito della scuola facente capo a Vyšinskij, la quale, concependolo «come complesso di norme coattive imposte dalla classe dominante al fine di salvaguardare le relazioni sociali ad essa vantaggiose», si poneva in netta sintonia con quanto tracciato dalla più avanzata dottrina borghese di matrice kelseniana, tendente a considerare il diritto «come una tecnica speciale per la organizzazione di un gruppo sociale (qualunque esso sia)». Ma per Bobbio questi progressi dovevano ritenersi attribuibili anche ad un altro motivo, e cioè alla piena «sconfessione delle dottrine giuridiche estremistiche di Pašukanis e compagni, secondo cui il diritto era una sovrastruttura della società borghese e come tale destinato a scomparire con l’avvento della società socialista»1.
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Precarietà operaia: leva decisiva per l'affossamento del capitalismo?
di Karlo Raveli
La ricetta liberista di precarizzazione massiccia e crescente, per di più nella logica dell'economia transnazionale della conoscenza, è lo sbocco politico principale della classe oligarchica per rompere tutte le possibili egemonie, passate e future, di settori lavoratori più stabili della classe.
Dal lavoratore professionale – egemone da Marx a Luxemburg – al lavoratore-massa fordista, e passando poi per l'impiegato toyotista, il liberismo ha registrato molto bene questa necessità di scomposizione permanente della classe antagonista per sviluppare il suo dominio.
Ma non la pseudo-classe lavoratrice, bensì La classe: operaia.
La primitiva lettura marxista del lavoratore professionale (accompagnato dalla comparse di un esercito 'industriale' di riserva) come equivalente determinante della classe – da cui sorge la confusione o sinonimicità dei due termini, operaio e lavoratore, è la peggior zavorra ideologica che trasciniamo da ben oltre un secolo.
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La decrescita non è un'alternativa
di Pierluigi Fagan
“Tis the time’s plague when madmen lead the blind”.
W. Shakespeare King Lear (Atto IV°, scena prima)
Le opinioni ed il dibattito su quel composito mondo di stimoli ed idee che cade sotto il termine -decrescita-, partono da un assunto. Questo assunto risale al momento nel quale questo termine, ed il successivo movimento di idee che lo seguì, nacque.
Eravamo ai primi degli anni ’70 e a cominciare dall’economista franco-rumeno N. Georgescu Roegen, ma in contemporanea nel movimento dell’ecologismo scientifico e nelle analisi del Club of Rome, nonché in certa cultura sistemica, si prese coscienza del semplice fatto che una crescita infinita (modello economico dominante) in un ambito finito (pianeta), era impossibile. Prima che impossibile era assai dannoso per le retroazioni che si sarebbero innescate sia in termini ecologici, sia negli stessi termini economici termini che avrebbero portato con loro, pesanti conseguenze sociali, alimentari, sanitarie, culturali, geopolitiche, paventando la formazione di chiari presupposti catastrofici. L’intuizione della decrescita, una sorta di cassandrismo destinato come tutti i cassandrismi a risultare antipatico e sospetto di eccesso paranoide, nasceva quindi da uno sguardo in prospettiva e nasceva proprio nel momento in cui la società della crescita era al culmine dei suoi gloriosi trenta anni di galoppata.
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Il sapiente e il parassita
Alberto De Nicola e Francesco Raparelli
Società della conoscenza tra comando e libertà
Chi ha tradito la società della conoscenza? Questo è il leit motiv che percorre buona parte dei materiali raccolti dal quarto numero di Molecole. Meglio ancora, chi ha tradito Delors?, e chi la strategia di Lisbona? Come dire, tutto sembrava filare liscio, il progetto era solido, le intenzioni altrettanto, qualcuno deve aver manomesso la macchina. Chiaramente, guardando alla triste scena italica, questa posizione sembra non solo giusta, ma imprescindibile. Berlusconi e Bossi sono l’incarnazione politica della «società dell’ignoranza», tra Bunga bunga e dito medio la loro ricetta è trasparente: distruggere la formazione, azzerare la mobilità sociale, difendere (male) la piccola e media impresa, favorire la fuga dei cervelli. Se poi pensiamo a Brunetta e Sacconi il ritornello non cambia: «cari giovani, abituatevi a fare lavori umili e manuali», ha detto a più riprese Sacconi, mentre Brunetta è l’esempio più riuscito di «anti-intellettualismo di Stato» (vedi Common, numero 0, Derive Approdi 2010). Insomma l’anomalia Italia vede nella guerra all’intelligenza – guerra che coincide fino in fondo con il controllo delle forze produttive – il suo punto d’espressione privilegiato.
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Perché votare NO nel referendum costituzionale di ottobre
Perché votare NO nel referendum costituzionale di ottobre – per la riconquista dell’autonomia politica ed economica del nostro paese contro la tirannia tecnocratica sovranazionale e dei trattati europei
Siamo di fronte a una delle più grandi mistificazioni politiche e culturali dalla fine della Seconda Guerra Mondiale
La contro-riforma costituzionale adottata dal governo Renzi, il c.d. DDL Boschi, viene presentata, dal governo e dalla quasi totalità dei media nazionali, come la più importante razionalizzazione delle istituzioni mai realizzata nel nostro paese, dopo decenni di politica degenerata e corrotta, da parte di una classe politica “nuova”, giovane e risoluta. In realtà, con questo disegno di legge costituzionale, di cui va considerata la sinergia con la “nuova” legge elettorale, l’Italicum, siamo di fronte ad una delle più grandi mistificazioni, politiche e culturali, a partire dalla fine della II Guerra Mondiale, pari se non peggiore della stessa “riforma” costituzionale di Berlusconi, Bossi e Fini del 2005, sonoramente battuta col voto referendario del 25-26 giugno 2006 dalla maggioranza del popolo italiano.
L’attuale classe politica non appare certo migliore di quella del recente passato, soltanto perché giovane e, nella propria autorappresentazione, nuova. Essa agisce con grande determinazione e sfrontatezza, verbale e legislativa, oltre a scontare un vuoto culturale e del rispetto delle regole democratiche senza precedenti nel periodo repubblicano.
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COVID. I vaccinati si ammalano più degli altri: cosa cambia con la “scoperta” dell’ISS
di Mariano Bizzarri
Variante Omicron 5, reiterazione dei vaccini, efficacia di quelli a mRna, eventi avversi: gli ultimi studi sul Covid stanno smontando molte tesi ideologiche
È quantomeno curioso che nessuno in Italia – né enti istituzionali, né l’Accademia e tantomeno i politici – avvertano l’esigenza di promuovere un momento di riflessione pubblica su quanto è successo in Italia con la comparsa del Covid dai primi del 2020 in poi.
Eppure, tanti sono gli interrogativi sospesi – da come è iniziata l’epidemia alla tempestività e appropriatezza delle misure predisposte – e che oggi tornano ad incombere a fronte dell’incertezza delle prospettive che si profilano al nostro orizzonte. Ci sarà una recrudescenza della pandemia? Quali vaccini dovremo utilizzare? Non dovremmo sviluppare una strategia diversificata? È pronto il nostro sistema sanitario a farvi fronte?
Non sono questioni di scarsa irrilevanza ed è scandaloso che l’informazione debba limitarsi a riportare le esternazioni – spesso strampalate, quando non addirittura ispirate ad una visione catastrofista priva di qualunque fondamento – di un manipolo di esperti, invero conosciuti ormai più per le loro intemerate televisive che per le ricerche che realmente conducono in laboratorio o nei reparti.
Proviamo noi a formulare – quantomeno – le domande fondamentali.
Punto primo: è cambiato non solo il profilo epidemiologico ma anche il quadro clinico, dato che l’attore prevalente è ormai Omicron, parente alla lontana del Sars-CoV-2 che– con le sue varianti principali Alpha e Delta – ha alimentato i primi due anni di epidemia. Omicron – a prescindere dall’efficacia dei vaccini – ha considerevolmente ridotto l’impatto sul sistema sanitario perché, anche se più contagioso, si accompagna ad un ridotto tasso di occupazione dei reparti di medicina e di terapia intensiva.
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Mai scrivere “noi”. Appello per la libertà di ricerca e di pensiero
Il 15 giugno 2016, il tribunale di Torino ha condannato Roberta, ex studentessa di antropologia di Ca’ Foscari, a 2 mesi di carcere con la condizionale per i contenuti della sua testi di laurea, conseguita nel 2014. Per scrivere la tesi «Ora e sempre No Tav: identità e pratiche del movimento valsusino contro l’alta velocità», Roberta ha trascorso due mesi sul campo durante l’estate del 2013, ha partecipato a varie dimostrazioni in Valsusa, intervistando attivisti e cittadini. Coinvolta insieme a lei in questo procedimento giudiziario era Franca, dottoranda dell’Università della Calabria, che come Roberta era in Valle per ragioni di ricerca, che compare con Roberta nei video e nelle foto analizzati dalla procura ma che a differenza di Roberta è stata assolta da tutti i capi d’imputazione.
A differenza di Franca, Roberta è stata condannata a 2 mesi di reclusione con la condizionale. Nonostante le motivazioni della sentenza saranno rese pubbliche tra 30 giorni, la ragione della sua condanna è stata attribuita all’utilizzo, nella sua tesi di laurea, del “noi partecipativo” interpretato dall’accusa come “concorso morale” ai reati contestati. Di fatto, i video e le foto scattate durante le manifestazioni parlano chiaro: le due donne sono lì, presenti, anche se in disparte. È stato dimostrato in tribunale che nessuna delle due imputate ha preso parte a momenti di tensione.
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Conoscenza, cultura, competenza*
di Sergio Bologna
Come difendere il valore del lavoro intellettuale e creativo: un contributo alla discussione
Dovessi raffigurarmi il paradiso me lo immaginerei come una biblioteca (H. Müller)
A Roma il moto di rivolta dei lavoratori della cultura, dello spettacolo, dei media, è partito col piede giusto. I simboli contano. E’ cominciato da una biblioteca, dalla Biblioteca Nazionale. Non importa se allora la protesta è riuscita o meno, ma aver scelto una biblioteca come punto di partenza ha avuto il potere di evocare valori universali e contraddizioni importanti della nostra epoca. Cosa viene in mente a sentir dire “biblioteca”, oltre a servizio pubblico, bene comune? Provo a elencare alcune parole-chiave.
Conservazione della memoria, ricerca, silenzio, palestra della mente.
Difficile stabilire una gerarchia, ma conservare la memoria è una funzione essenziale, un cardine della civiltà, la metterei al primo posto. La Biblioteca è il luogo dove sono custoditi, salvati, i documenti con i quali si può visitare il passato e dunque conoscere meglio il presente. Senza biblioteche non c’è storia, senza storia non c’è cultura. Sono luoghi che resistono alla cancellazione permanente insita nel nostro modo di vita.
Ricerca, paziente, ostinata, che avanza passo dopo passo – l’opposto della frettolosa ricerca via Internet.
Educazione della mente, non performance. Riflessione, non prestazione. Ultimo luogo pubblico dove trovi quel bene prezioso, sempre più raro, che è il silenzio.
In una biblioteca non c’è il vuoto degli spazi pubblici inutili, tanto cari agli architetti di certi musei o gallerie d’arte.
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La rottamazione dell'intelligenza
Franco Berardi Bifo
Non bisogna pensare che quello italiano sia un caso isolato, o una controtendenza. La tendenza universale della fase finale della mutazione neoliberista era stata anticipata da Michel Foucault: nelle sue parole deve portare alla formazione del modello antropologico dell’homo oeconomicus. L’espansione delle competenze cognitive sociali per affrontare la crescente complessità del mondo tecnico e sociale, fondamentale nella storia della civiltà moderna, è stata invertita, bruscamente e drammaticamente.
«Tutti devono sapere» è lo slogan di una campagna di informazione e denuncia sulla riforma Gelmini che partirà a metà del mese di maggio nelle scuole di Bologna. Tutti devono sapere che in Italia si è avviato un processo di smantellamento del sistema di produzione e trasmissione del sapere, destinato a produrre effetti devastanti sulla vita sociale dei prossimi decenni.
Taglio di otto miliardi di finanziamenti per la scuola pubblica mentre il finanziamento alle scuole private viene triplicato. Gli effetti di questo intervento sono semplicissimi da prevedere.
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I disaccordi tra le classi dirigenti dell’eurozona sono un’opportunità per la lotta di classe
Angie Gago
L’aggravamento della crisi in Irlanda dimostra tre elementi importanti. Primo, che i salvataggi delle banche uniti ai tagli sociali e occupazionali non rappresentano affatto l’‘unica soluzione possibile’ alla crisi -come continua a predicare la classe dirigente mondiale- al contrario la peggiorano. Quando è scoppiata la crisi, tre anni fa, il governo irlandese ha garantito tutti i depositi bancari, aumentando così il debito pubblico e creando tra gli investitori internazionali la convinzione che la solvenza dello Stato irlandese era intimamente legata a quella delle sue banche private. Quando le banche coinvolte cominciarono a perdere importanti clienti, tutto affondò, aprendo così una nuova crisi politica. Il governo di Dublino fece ‘i compiti’ che gli chiedevano gli organismi neoliberisti internazionali, tagliando molti miliardi della sua spesa pubblica. Ma servì a poco per frenare la caduta; rappresentarono al contrario un disincentivo economico.
Il ‘salvataggio’ dell’Irlanda da parte dell’UE e del FMI dimostra che la crisi internazionale continua ad avanzare, con lo Stato spagnolo nell’occhio del ciclone.
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Paradigma Covid: collasso sistemico e fantasma pandemico
di Fabio Vighi
A un anno e mezzo dall’arrivo di Virus, qualcuno forse si sarà chiesto perché la classe dominante, per sua natura senza scrupoli, abbia messo nel congelatore la macchina del profitto a fronte di un patogeno che si accanisce quasi esclusivamente contro i soggetti improduttivi – quegli ultra-ottantenni che, tra l’altro, da tempo mettono a dura prova il sistema pensionistico. Perché, improvvisamente, tutto questo zelo? Cui prodest? Solo chi non conosce le mirabolanti avventure di GloboCap (capitalismo globale) può illudersi che il sistema chiuda i battenti per spirito caritatevole. Ai grandi predatori del petrolio, delle armi, e dei vaccini, non frega proprio niente dell’umanità.
Quale emergenza?
Prima di entrare nel vivo della discussione facciamo un passo indietro all’estate 2019, quando l’economia mondiale, a 11 anni dal collasso del 2008, era di nuovo sull’orlo di una crisi di nervi.
Giugno 2019: La ‘Banca dei Regolamenti Internazionali’ (BRI), potentissima ‘banca centrale di tutte le banche centrali’, con sede a Basilea, lancia un grido d’allarme sulla sostenibilità del settore finanziario. Nel suo Rapporto Annuale la BRI evidenzia il forte rischio di “surriscaldamento [...] nel mercato dei prestiti a leva”, dove “gli standard del credito si sono deteriorati” e “sono aumentate le obbligazioni garantite da collaterale (CLO).” Si tratta di prestiti erogati a società iper-indebitate che vengono poi messi sul mercato come bond. In parole povere, la pancia dell’industria finanziaria è di nuovo piena di spazzatura.
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Piccole bombe nucleari crescono
La fusione fredda e le nuove mini armi atomiche
di Emilio Del Giudice
Incontro sul libro inchiesta Il segreto delle tre pallottole di Maurizio Torrealta e Emilio Del Giudice (Edizioni Ambiente, collana Verdenero, 2010) alla libreria Odradek di milano, 1 ottobre 2010
Una delle caratteristiche della società moderna, che sembra fondata sull’abbondanza e sulla disponibilità dell’informazione, è la capacità di mantenere segreti. E li mantiene proprio grazie all’enorme quantità di informazione che viene rovesciata sulla testa delle persone le quali, non avendo più punti di riferimento, assumono, rispetto all’informazione che ricevono, un’attitudine passiva. Convinti di sapere tutto proprio perché hanno ricevuto un mare di notizie i cittadini, paradossalmente, non sanno niente. E non esiste modo migliore per nascondere la verità che fare riferimento non a bugie plateali ma a verità parziali.
Alcuni giornalisti chiesero, durante una conferenza stampa del portavoce del governo israeliano, se era vero che nel 2006, sul fronte del Libano, Israele avesse usato armi nucleari di tipo nuovo. La risposta del portavoce fu: “noi dichiariamo che l’esercito israeliano non ha mai fatto uso di armi vietate dalle convenzioni internazionali”. Il che è verissimo, l’arma di cui parliamo non è vietata dalle convenzioni internazionali, per il semplice motivo che è un arma di tipo nuovo, e quindi non è prevista nelle convenzioni internazionali; nessuno ufficialmente sa dell’esistenza di questo tipo di arma e dunque essa non è un’arma vietata.
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L’ipotesi della instabilità finanziaria e il ‘nuovo’ capitalismo
di Riccardo Bellofiore*
Questa introduzione ha un triplice obiettivo. Chiarire organicamente, passo passo, in modo il più possibile elementare, un pensiero non sempre facile, come quello esposto nel libro che qui si presenta. Integrare le tesi di questo volume con gli sviluppi contenuti nei due libri successivi di Minsky, così come nella sua ultima riflessione sul money manager capitalism e sulla ‘cartolarizzazione’, fornendo così al lettore un quadro aggiornato e d’insieme. Mostrare infine la sorprendente attualità dell’approccio dell’economista americano, quale rivelata dalle dinamiche del ‘nuovo’ capitalismo e dal ritorno della crisi finanziaria (e reale). Una interpretazione ‘finanziaria’ della teoria di Keynes
Il pensiero di Hyman P. Minsky ha ruotato attorno a tre questioni. Innanzitutto, una rilettura di Keynes come economista monetario eterodosso che sottolinea il ruolo essenziale dei mercati finanziari e l’intrinseca non neutralità della moneta. In un mondo caratterizzato dall’incertezza, le oscillazioni degli investimenti privati determinano il ciclo, mentre gli investimenti sono a loro volta influenzati dai rapporti finanziari. Di questo versante della riflessione di Minsky fanno parte integrante il c.d. Modello ‘a due prezzi’ e la ripresa delle equazioni di Kalecki per la determinazione dei profitti.
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Per una discussione su Siria, guerra e internazionalismo
di Emilio Quadrelli - Giulia Bausano
I piemontesi hanno commesso un errore enorme fin dall’inizio, contrapponendo agli austriaci soltanto un esercito regolare e volendo condurre una guerra ordinaria, borghese, onesta. Un popolo che vuole conquistarsi l’indipendenza non deve limitarsi ai mezzi di guerra ordinari. L’insurrezione in massa, la guerra rivoluzionaria, la guerriglia dappertutto, sono gli unici mezzi con i quali un piccolo popolo può vincerne uno più grande, con i quali un esercito più debole può far fronte ad un esercito più forte e meglio organizzato (K. Marx, F. Engels, Sui metodi di condotta della guerra popolare d’indipendenza)
Gli scenari che si sono delineati giorno dopo giorno in Medio Oriente sono una puntuale conferma di come, dentro la crisi sistemica del modo di produzione capitalista, la tendenza alla guerra diventi l’elemento cardine intorno al quale ruota per intero l’attuale fase imperialista. Nel mirino delle consorterie imperialiste sono entrate soprattutto quelle entità statuali che, a lungo, hanno mantenuto una posizione poco prona agli interessi del capitalismo internazionale e delle sue principali articolazioni. Buona parte di tali realtà statuali, nel corso della Guerra fredda, avevano optato per una alleanza, pur con gradi e modalità tra loro differenti, con il Blocco sovietico o la Cina dell’epopea maoista e, dopo l’89, pur all’interno di uno scenario radicalmente modificato, avevano manovrato per mantenere la propria autonomia politica e militare concedendo, almeno sul piano politico, il meno possibile agli imperativi degli organismi imperialistici internazionali, FMI e non solo. In altre parole hanno manovrato dentro i nuovi scenari internazionali cercando di scambiare una certa arrendevolezza sul piano economico in cambio di una non negoziazione della propria autonomia e sovranità politica e militare. Un fenomeno che, con gradi e modalità diverse, ha caratterizzato gran parte di quei governi che al termine delle lotte anticoloniali hanno dato vita a regimi nazionali democratico – borghesi più o meno progressisti.
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L'esaurimento dell'attuale fase storica del capitalismo
di Guglielmo Carchedi
Una tesi fondamentale per la teoria della storia e della rivoluzione di Marx è che “Una formazione sociale non perisce finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive a cui può dare corso” (Per la Critica dell’economia politica, prefazione). Ora, se il marxismo è una scienza, ciò deve essere verificato empiricamente. Ma questa verifica è importante anche per un altro motivo. Come dice Gramsci, “La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere”. (Quaderni del carcere , «Ondata di materialismo» e «crisi di autorità», volume I, quaderno 3, p. 311, scritto intorno al 1930). La verifica empirica ci permette anche di capire perché e soprattutto come il vecchio muore.
Nella fase storica attuale – e cioè dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi – il capitalismo incontra un limite sempre più insormontabile a causa della contraddizione tra la crescita della forza produttiva del lavoro da una parte e il rapporto di produzione, quello tra lavoro e capitale, dall’altra. Questa contraddizione si sta facendo sempre più dirompete e il capitalismo sta esaurendo le sue capacità di svilupparsi nel contesto di questa fase storica. La forma concreta presa da questa contraddizione, da questa sua crescente incapacità di svilupparsi, sono le crisi sempre più violente.
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Le false pensioni
di Galapagos
L'Ocse ha diffuso ieri un rapporto sulla spesa pensionistica nel 2005. Quello che ne emerge sono dati terrificanti per l'Italia: spende per la previdenza il 14% del Pil, quasi il doppio rispetto ai paesi concorrenti. Dopo la diffusione del rapporto c'è stata una corsa a reclamare una nuova riforma. In testa al gruppo, si è messo a tirare Enrico Letta. Ma c'è un «inghippo»: i dati Ocse sono palesemente falsi (magari ai pensionati italiani finisse veramente il 14% del Pil) e confrontano metodologie fra loro non confrontabili. Vediamo perché.
Con una premessa: oggi l'Ocse presenterà le nuove previsioni sulla crescita del Pil: l'anticipazione è che la ripresa slitterà al 2011. Nel frattempo, però, da Parigi chiedono una riforma che deve essere pagata dai lavoratori (quelli italiani sono già i più tartassati dal fisco) e non dal capitale finanziario che ha generato le bolle speculative che hanno innescato la recessione dell'economia mondiale.
Da parecchi anni in Italia viene pubblicato (a cura di Roberto Pizzuti) dal Dipartimento di economia pubblica dell'Università La Sapienza di Roma, un «Rapporto sullo stato sociale» che spiega - da tutti apprezzato - quello che l'Ocse nasconde. Apparentemente si tratta di questioni metodologiche, ma non lo sono. La spesa previdenziale pubblica è estremamente disomogenea rispetto a quella degli altri paesi.
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Lavoro autonomo in crescita anche se colpito dalla crisi
di Sergio Bologna
Nella costellazione della precarietà, il lavoro autonomo non gode certo di buona salute, anche se è spesso il modo per evitare una disoccupazione di lunga durata. In assenza di politiche del lavoro, la sua unica possibilità per sopravvivere ai colpi della crisi è riappropriarsi delle risorse destinante alla formazione
Nella provincia di Milano, la più ricca d’Italia (in termini di valore prodotto, non di reddito pro capite), secondo alcune statistiche recenti, riguardanti il primo semestre 2009, le assunzioni a termine avevano toccato punte dell’80%, portando l’incidenza di questa forma contrattuale al 56% dell’occupazione totale dipendente. Se a questo si aggiunge un 12% tra lavoro interinale e intermittente, risulta che nelle nuove assunzioni i lavoratori dipendenti con contratti a tempo indeterminato stanno sotto la soglia del 30%, ma di questi un quarto circa ha un contratto part time. Aggiungiamo le collaborazioni occasionali, cresciute del 30% nello stesso periodo, e mettiamoci su il dato impressionante che il 38,9% degli assunti a tempo indeterminato dopo 18 mesi ha cambiato lavoro – ed avremo un’idea, parziale ma non distorta, di quanto siamo diventati «flessibili». La precarietà, condizione tipica del lavoro autonomo e parasubordinato, si sta estendendo a macchia d’olio a tutti i rapporti di lavoro, quindi deve essere assunta come il punto di partenza di qualunque discorso sulla condizione umana oggi.
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La rivalutazione del renminbi fra mito e realtà
Alberto Bagnai
Il tasso di cambio del renmbimbi è un falso problema economico: ecco perché non sarà la rivalutazione della moneta cinese a salvare gli Usa e l'Europa
I giornali plaudono alla promessa di Hu Jintao di lasciar fluttuare il cambio del renminbi in risposta alla lettera di Barak Obama, che il 16 giugno si è rivolto ai “colleghi” del G-20 richiamando la loro attenzione sul fatto che “tassi di cambio determinati dal mercato (nota del traduttore: liberi di fluttuare) sono essenziali per la vitalità dell’economia globale”. Il commento più lucido mi sembra quello di Federico Rampini: “Bel colpo, Hu Jintao!". In effetti, dimostrando disponibilità alla soluzione di un falso problema economico, Hu Jintao ha spostato la pressione politica di Obama (leader del principale importatore mondiale) sull’altro grande esportatore mondiale, la Germania, creando a quest’ultima un vero problema politico.
Ho detto falso problema economico? Come? Ma se gli economisti concordano sul fatto che il disallineamento del cambio cinese è il motore primo degli squilibri macroeconomici globali? Veramente questa è la visione del problema tramandata dai media italiani, che si allineano, in questo come in altri casi, alle posizioni espresse dalle istanze più conservatrici degli Usa. Le indicazioni della letteratura scientifica sono tutt’altro che unanimi. Vale la pena di richiamarle succintamente.
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Relazioni pericolose
di Enzo Traverso
Da Dialettica dell’irrazionalismo. Lukács tra nazismo e stalinismo, Ombre Corte, Verona 2022
Queste considerazioni sull’esistenzialismo giovanile di Lukács potrebbero essere estese a molte altre correnti di pensiero esaminate ne La distruzione della ragione. Valgono ad esempio per la critica di Weber alla razionalità occidentale, che Lukács stesso aveva incorporato nel proprio concetto di reificazione in Storia e coscienza di classe, un testo fondamentale del marxismo occidentale1. Valgono anche per Nietzsche, la cui appropriazione da parte dell’ideologia nazista non impedì a diversi studiosi marxisti o anarchici di considerarlo un pensatore stimolante. Sia Ernst Bloch che Herbert Marcuse accolsero le potenzialità emancipatrici di una rivolta dionisiaca contro la civiltà repressiva. Il pensiero di Nietzsche, ha sottolineato Marcuse, conteneva ben più di un rifiuto aristocratico della modernità e di una nefasta apologia della schiavitù; portava con sé anche “l’aria liberatrice” di una filosofia che tracciava la propria strada attaccando “la Legge e l’Ordine”2. Adorno e Horkheimer non ignoravano le ambiguità del nichilismo di Nietzsche, che già conteneva alcune premesse di un’ideologia “prefascista”, ma lo consideravano uno dei pochi, dopo Hegel, ad aver riconosciuto la dialettica dell’illuminismo3. E considerazioni analoghe valgono anche per Heidegger, il cui convinto sostegno al regime nazista non invalidava le molteplici direzioni del suo pensiero ontologico, in cui pensatori marxisti come Marcuse e Günther Anders hanno trovato preziose munizioni per la loro critica radicale della tecnologia e dell’alienazione capitalista. Adorno, che non esprimeva alcun compiacimento verso Heidegger nel suo Il gergo dell’autenticità (1964), non poteva accettare la tendenza di Lukács ad assimilare al fascismo tutte le forme di irrazionalismo che, in tempi diversi, erano affiorate in seno alla filosofia tedesca.
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Dopo il neoliberismo. Il nuovo ruolo del Sud del mondo*
di Giovanni Arrighi e Lu Zhang
[Un'anticipazione dal cap. 5 di Capitalismo e (dis)ordine mondiale, raccolta degli scritti di Giovanni Arrighi a cura di Giorgio Cesarale e Mario Pianta, in uscita presso Manifestolibri]
Parte della confusione sorge dalla persistente influenza sulla politica mondiale di vari aspetti del defunto consensus. Come notato da Walden Bello, “il neoliberismo [rimane], semplicemente per forza d’inerzia, il modello standard per molti economisti e tecnocrati che... non hanno più fiducia in esso”.
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Cosa ci insegnano le presidenziali francesi sull’Europa e sull’autonomia della sinistra
di Domenico Moro
I risultati delle presidenziali
I risultati più evidenti delle elezioni presidenziali francesi sono tre:
1) La crisi del Partito popolare europeo e del Partito socialista europeo, già evidente in tutta Europa, in Francia diventa crollo, come già accadde in Grecia; il Partito socialista (Ps) e i repubblicani, per la prima volta, non accedono al ballottaggio. La crisi dei due principali partiti francesi, su cui si basava la tradizionale alternanza bipartitica e che sono stati espressione politica dell’élite francese, è direttamente connessa con le politiche europeiste di austerity di cui sono stati esecutori bipartisan. La crisi del bipartitismo è espressione della crisi dell’integrazione europea, in particolare di quella valutaria, che aumenta le divergenze economiche. La Francia, nonostante altri paesi come la Grecia abbiano pagato un costo sociale molto più, alto, è forse il paese che ha subito la decadenza relativa, sia politica sia economica, maggiore, specialmente rispetto alla Germania.
2 ) Il settore di vertice della classe dominante francese, fortemente internazionalizzato, ha risposto in modo "gattopardesco" a questa "crisi di egemonia" del bipartitismo, che lo lasciava senza referenti politici diretti, con l'abile operazione "Macron".
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Euro al capolinea?
Riccardo Bellofiore, Francesco Garibaldo
Sfortunatamente per vederla si deve essere dei visionari”
(Sheldon Cooper, The Big Bang Theory)
Il libro di Alberto Bagnai (Il tramonto dell’euro. Come e perchè la fine della moneta unica salverebbe salverebbe democrazia e benessere in Europa, Imprimatur , Roma 2012) è un libro utile sia lo si condivida nelle sue tesi di fondo sia, come nel nostro caso, pur apprezzandone i meriti, si abbiano su punti chiave opinioni diverse.
Il libro è utile in primo luogo perché rappresenta uno sforzo divulgativo di alto livello; ciò consente a molti di potere comprendere il merito di complesse questioni economiche e di potere quindi partecipare a una discussione, sulle sorti dell’Italia, che si vuole ristretta a minoranze tecnocratiche.
In secondo luogo perché è tra i primi, e altrettanto sicuramente lo fa con massima radicalità, che da noi pone la questione della dissoluzione dell’unione monetaria, e propone seccamente l’uscita dall’euro: una posizione che in varia forma ha preso il largo, e oggi molti, in un modo o nell’altro, vi aderiscono, senza avere forse il coraggio dell’estremismo della tesi di Bagnai. Tesi discussa, da almeno due – tre anni, da altri economisti non ortodossi italiani (tra gli altri, Bellofiore, 2010), e comunque ben presente nel dibattito tra gli economisti a livello internazionale. I dubbi sulla sostenibilità dell’euro risalgono per altro alla sua stessa nascita. (Gaffard, 1992; Grahl, 1997; in tempi più recenti Vianello, 2013, e per un inquadramento generale Toporowski 2010 e Wray 2012)
Non era difficile, in verità, predirlo. Durante la fase del cosiddetto SME credibile (dal 1987 agli inizi del 1992), con cambi fissi fra le valute aderenti, situazione allora vista come una sorta di antipasto della moneta unica, le contraddizioni si andarono accumulando sino all’esplosione.
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Il pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi per la nuova era è il marxismo del XXI secolo
di He Yiting
Presentiamo la traduzione dal cinese dell’articolo scritto a metà giugno del 2020 dal compagno He Yiting, allora vice direttore della prestigiosa Scuola di Partito centrale del partito comunista cinese, avente per oggetto la funzione e ruolo su scala mondiale del pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era.
Buona lettura
Il pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi per la nuova era è il marxismo del 21 secolo: questa è la definizione scientifica del Partito comunista cinese sulla rilevanza storica attribuita al pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi per la nuova era, oltre ad essere anche la prima volta che il nostro Partito per denominare gli ultimi risultati della cinesizzazione del marxismo utilizza “secolo” come parametro.(1)
Il marxismo fin dalla sua comparsa ha superato confini geografici e barriere temporali mosso dalla forza della verità, si è diffuso attraverso i cinque continenti e i quattro oceani seguitando a evolversi nel tempo; ha influenzato profondamente il corso generale della storia globale, modellandola razionalmente e mutandone sensibilmente l’aspetto.
Come ha sottolineato il Segretario Generale Xi Jinping nel suo discorso alla conferenza di commemorazione del 200° anniversario della nascita di Marx: “La ricchezza spirituale lasciataci da Marx che più ha valore ed autorevolezza è senz’altro la teoria scientifica che porta il suo nome: il marxismo. Come una magnifica alba, questa teoria ha illuminato il cammino dell’umanità nella sua indagine sulle leggi della storia e nella ricerca della propria emancipazione.”
Non è possibile affermare che le conquiste teoriche marxiste di ogni paese e di ogni popolo possano essere inserite negli annali del pensiero dell’umanità e venir considerate forme di marxismo del secolo, non tutte possono acquisire il titolo di “marxismo del secolo”.
Perché il marxismo possa essere definito secondo il criterio di “secolo”, riteniamo debbano sussistere tre condizioni: in primis l’obiettivo di ricerca teorica deve essere un modello/campione rappresentativo del mondo; in secundis il risultato teorico deve avere valenza storica a livello mondiale e infine in tertiis, che l’efficacia della prassi modifichi il mondo reale.
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